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Autore: Vavi_14    02/01/2024    2 recensioni
Serie slegata di missing moments rubati ad un tempo in cui la vita, per i due fratelli, era quanto di più vicino un Winchester potesse associare al concetto di normalità. O forse no.
I. «Oh no, Sam… nonono, che hai combinato».Due minuti. Centoventi secondi di disattenzione e il disastro era stato compiuto.
II. I vestiti li avevano scelti assieme la sera prima, quindi, si chiede innocentemente Dean, cosa diamine sarebbe potuto andare storto?
V.«Mi stavi bloccando la circolazione del sangue» sussurra mesto guardando Dean di traverso, mentre John gira la chiave per mettere in moto l’auto. Dean fa una smorfia. «Hai sette anni, che ne sai di come circola il sangue?»
VI. La parte razionale di Sam, quella che ogni tanto – per cause di forza maggiore - si dimentica di avere solo dieci anni, sa che dovrebbe proprio stare zitto, ma diamine: un pomeriggio di baseball con Bobby? E quando mai gli sarebbe ricapitata una simile occasione!
VI.«Questo cosa sarebbe?» Sam non fa neanche in tempo a lasciar cadere il proprio zaino a terra, perché la domanda lo pietrifica sull’uscio della camera.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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VII.




«Questo cosa sarebbe?»
Sam non fa neanche in tempo a lasciar cadere il proprio zaino a terra, perché la domanda lo pietrifica sull’uscio della camera. Attende qualche secondo osservando suo fratello, col fiato sospeso: come diamine aveva fatto a trovarlo nel doppio cassetto? Certo, non si poteva dire che avesse costruito un sistema di sicurezza a prova di bomba, ma pensava che avrebbe tenuto testa almeno all’arguzia di Dean. Invece, come sempre, suo fratello viaggiava su un binario parallelo ad una velocità nettamente superiore. Comunque, Sam era previdente, e nei giorni precedenti aveva pensato almeno ad una decina di scuse plausibili per giustificare un’improbabile situazione d’emergenza; peccato che ora, a guardare Dean negli occhi, con quel dannato biglietto tra le mani e l’aria di chi ha appena colto qualcuno sul luogo del reato, a Sam non sembra credibile nemmeno una. Così agisce senza pensare, perché ormai il danno è fatto e tanto vale lottare fino all’ultimo, perciò fa cozzare lo zaino contro il pavimento e si fionda verso il maggiore per riprendere ciò che è suo. Ovviamente, Dean alza l’oggetto della contesa in modo che Sam non possa arrivarci. Può ancora permetterselo, anche se la crescita in altezza del minore sembra preannunciare programmi diversi per il futuro.
«Ridammelo, avanti».
La lotta è impari, eppure Sammy non demorde.
«Chiudi quella porta prima che torni papà e decida di raccontargli cosa stavi organizzando».
Sam sbuffa, esasperato. «Non stavo organizzando niente, Dean. Rendimi il biglietto e ti spiegherò».
«Fallo ora o giuro che lo strappo e non ascolterò nemmeno una parola di quello che hai da dire».
Lo sguardo di fuoco che Dean riceve non lo fa smuovere nemmeno di un millimetro dalle sue intenzioni. La rabbia di un adolescente era niente al confronto di ciò che avrebbe dovuto affrontare se non avesse scoperto in tempo la bravata di Sam. Suo fratello capisce che non c’è alternativa e quindi, di mala voglia, obbedisce. Dean sorvola sul tonfo sordo e melodrammatico con cui Sam ha chiuso la porta e si siede sul letto, aspettando che l’altro faccia lo stesso.
«Come lo hai avuto?»
Una volta, quando Sammy era nel torto, Dean doveva recuperare il suo sguardo chissà dove. Adesso invece quell’ingrato lo guarda dritto negli occhi, senza nemmeno un briciolo di colpevolezza a renderlo insicuro. Avrebbe difeso le sue ragioni ad ogni costo, pure con una ghigliottina a pendergli sulla testa. Che razza di testardo.
«Me lo ha dato un compagno a scuola».
«Lo hai pagato?»
«È un regalo».
«Sicuro» replica il maggiore, senza demordere. «E pensavi di andarci?»
«Dean, è solo un concerto».
«A quindici chilometri da qui! Come diavolo credevi di arrivarci? Sgattaiolando fuori casa nel cuore della notte per poi salire sul primo dannato autobus che trovavi? O magari di farti una passeggiata al chiaro di luna?»
Il silenzio di Sam non fa altro che confermargli quanto l’idea del minore non fosse poi troppo distante da ciò che aveva appena detto. Dean rimane ad osservarlo sperando in una smentita.
«Senti, avrei rimediato un passaggio, va bene? Sarei arrivato a casa del mio amico e da lì-»
«Cosa pensavi di raccontare a papà? Sentiamo. Genio del male».
«Non... non pensavo di dirglielo».
«Certo che no».
Perché non c’era alcuna possibilità che papà lasciasse andare suo figlio minore con degli sconosciuti, per giunta ad un evento mondano nel quale avere il controllo sulla situazione era pressoché impossibile.
«E a me pensavi di dirlo, di questa tua fuga alla Ethan Hunt?»
Qualche secondo di esitazione basta per confermare le convinzioni del maggiore.
«Dean, sarei stato via solo tre ore. Al mio ritorno avrei trovato papà con la testa sul tavolino dopo aver tracannato l’ennesima bottiglia».
«Attento a quello che dici».
«Sai che è così! Papà ultimamente ci saluta a stento, o non lo hai notato? Potrei andarmene per una settimana e nemmeno se ne accorgerebbe».
«Smettila o giuro che ti dò un pugno in faccia».
Sam non aveva bisogno che Dean gli spiegasse lo stato d’animo in cui verteva il padre. Il tutto faceva schifo, ed era peggio del solito, e forse non esisteva alcuna giustificazione accettabile, ma di certo John non stava bene e Sam lo sapeva. Vedeva la sofferenza di papà, così come quella di suo fratello. Le vedeva e soffriva anche lui, ma poi si arrabbiava, perché anche se ci era dentro quanto loro, una cosa non la si doveva accettare e basta solo perché riguardava la famiglia, non se era pericolosa, stupida e dannatamente suicida. Più cresceva e più Sam faticava a vedere un futuro davanti a sé; tutto sfumava, grigio nel nero, e lui si sentiva dannatamente vuoto e solo come non mai.
Dean, d’altro canto, sa benissimo che suo fratello ha ragione, per quanto le sue parole siano state dure e ingiustamente crude. Vivere accanto a John, ultimamente, è diventato impossibile. Ma se lo lasciassero da solo, papà impazzirebbe. Non ha nessun altro su cui fare affidamento. Loro tre hanno sempre contato gli uni sugli altri e questa è l’unica cosa che li fa stare ancora in equilibrio sul filo della vita – della sopravvivenza -  l’unica ragione per cui valga davvero la pena rinunciare a tutto il resto.
«Volevo solo… sentirmi parte di qualcosa. Qualcosa di normale, Dean. Per una volta».
Sam parla dopo un silenzio tra i due che pare interminabile.
«La normalità è un concetto relativo».
Il minore espira lentamente. «Sai cosa intendo».
In quel momento il rumore delle chiavi nella serratura annuncia che la conversazione, in qualche modo, deve giungere al termine. Dean fa leva sulle ginocchia e si piazza davanti a Sam, al centro della stanza. La sua voce, ora, è molto più bassa.
«Adesso ascoltami bene. Anche se avessi voluto coprirti e accompagnarti a questo stramaledetto concerto -» inizia, e Sam lo guarda ancora da sotto in su, ma stavolta c’è una nota di vergogna nella sua espressione. Nemmeno ci aveva pensato, a quell’ipotesi. Perché non ci aveva pensato? «-non sarebbe stato possibile, poichè giovedì prossimo andremo da Bobby, ben lontani dal luogo della tua agognata serata brava. Papà me lo ha detto ieri sera. Volevo che fosse una sorpresa per te, ma dato che sembri avere altri programmi, è il caso che tu lo sappia».
«Da Bobby?»
«Due settimane di stop dalla caccia, forse di più. Solo io e te».
«Papà non rimane?»
«No» mormora Dean, aguzzando le orecchie per captare i movimenti di John, all’ingresso. «Lui continua».
«Ma Dean-»
«Lo so» lo ferma subito il maggiore, un sospiro incastrato nel petto, quasi facesse fatica ad uscire. «Proverò a parlarci, anche se servirà a poco. Se potessi non dover combattere con i desideri di rivalsa di un adolescente ribelle nel frattempo, sarebbe davvero splendido».
Sam, finalmente, gli tira via il biglietto dalle mani. Dean lo lascia fare, perché vede che lo sguardo di suo fratello è cambiato.
«Che dici, possiamo rivenderlo?» gli domanda, mentre lo sta riponendo nello zaino.
«Lo restituirò e basta».
«I regali non si restituiscono, è scortese».
Sam replica con un sopracciglio alzato. «Venderli per guadagnarci, invece, è un atto di grande cortesia».
«Dipende da quale punto di vista».
Dean sta per aprire la porta, ma si blocca con la mano sulla maniglia. A volte vorrebbe condividere con suo fratello molto più di quello che lascia trapelare, più di una discussione tra maggiore e minore in cui sa che, in un modo o nell’altro, avrà sempre la meglio anche in caso non abbia ragione; Sam meriterebbe di sapere il vero perché di alcune scelte, è abbastanza grande per capire qual è la natura delle responsabilità che gravano sulle spalle del maggiore, ma alla fine non sarebbe giusto, si rimprovera Dean, rovinare quel poco che di normale resta nella vita di Sam con pesi superflui.  
«Comunque, l’avrei capito se si fosse trattato di una ragazza» aggiunge, prima di lasciare la stanza. «Ma Sammy…» continua, facendo seguire quel richiamo canzonatorio da un’espressione disgustata. Il minore evita di guardarlo, immaginando come si sarebbe conclusa la frase. «…Il concerto di Celine Dion? Seriamente?»
Sam chiude lo zaino con un gesto netto e vorrebbe sembrare arrabbiato, ma in realtà riesce a stento a nascondere l’imbarazzo.
«Sta zitto».


 


 
  
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