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Autore: risia_writer    10/01/2024    0 recensioni
Miell ormai da un anno vive nei panni di una negoziante di giocattoli nel Regno dei Racconti, Utea. Nessuno sa che in realtà è una mercenaria in fuga da cinque anni, che passa da un'identità fittizia all'altra nel tentativo di lasciarsi alle spalle il suo passato e i suoi peccati.
Quando quel passato riesce a raggiungerla, è costretta ad abbandonare anche questa nuova vita, come tutte le precedenti.
Stavolta, però, non potrà andare lontano, nonostante il suo destino in questo viaggio non sembri essere né quello che si aspettava né quello che temeva...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Triangolo
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Looking through the glass find the wrong within the past knowing
Oh, we are the youth
Cut until it bleeds inside a world without the peace, face it
A bit of the truth, the truth
(Natural- Imagine Dragons)
 

Miell giunse davanti alla bottega. Era sicura di avere la neve fin dentro gli stivali, e anche dentro i vestiti. Prese un grosso respiro. L’incontro con l’Innominato l’aveva sconvolta. Perché aveva dovuto incontrarlo proprio quel giorno?
Aveva ripromesso a se stessa di non recarsi mai più in quel tempio, benché fosse una grande fedele della Voce. L’ultima visita in quel posto le sarebbe bastata per tutta la vita e le seguenti tre reincarnazioni. Cercò di non pensarci, aveva cose più importanti di cui occuparsi. Osservò l’insegna sopra la sua testa, a forma di bambola meccanica, provvista anche di chiave dietro la schiena. Tra le mani la bambola teneva una targa con il nome del negozio: Coppelia.
Miell inserì la chiave nella serratura della porta ed entrò, facendo suonare il campanello.
La prima cosa che colpiva era sempre il forte odore di legno che la bottega emanava, seguito dal suono delle lancette di orologio e di ingranaggi che ruotavano, infine i colori e la bellezza degli oggetti che decoravano gli scaffali.
Respirò profondamente quell’atmosfera piacevole e accogliente, entrò e si chiuse la porta alle spalle facendo suonare di nuovo il campanello sopra di essa. Si avvicinò al bancone in fondo al negozio, la sua postazione di lavoro, e si sedette. Con una chiave più piccola aprì uno dei cassetti, che conteneva un grande libro rosso: il registro di lavoro. Miell controllò le prenotazioni da consegnare quel giorno. Erano solo due. Si assicurò che fossero pronte, già al loro posto negli scaffali alle sue spalle.
Nonostante il brutto tempo, era sicura che i clienti sarebbero arrivati per ritirarli. La Coppelia era una di quelle poche botteghe che riuscivano a lavorare anche in quelle giornate.
Prese il proprio taccuino, che mischiava appunti di scrittura a quelli di lavoro. Appuntò gli orari di ritiro dei due clienti e iniziò a sistemare:
accese il camino, pulì i pavimenti dai residui di polvere e legno lasciati dal suo padrone, mise in ordine la merce spolverandola con cura e tolse quegli oggetti che avevano bisogno di un restauro, portandoli sul retro. Infine, riordinò la vetrina, sostituendo le creazioni vecchie con quelle nuove. Le prime finirono sugli scaffali al posto di quelle da restaurare.
Alle 7:30 in punto, girò il cartello appeso sulla porta e, mentre tornava dietro al bancone, la porta si aprì.  
- Buongiorno, signor Nadier.
- Miell, puntuale come sempre, vedo. - Il proprietario le rivolse un sorriso gentile.
Lei, con prontezza, lo aiutò a togliere il mantello, che mise ad asciugare vicino al camino, prima che la neve bagnasse la merce.
Il bottegaio si sistemò la camicia bianca e si diresse verso il retro, dove aveva il suo studio.
Miell alzò gli occhi al cielo. Per Donai Nadier non esisteva altro che il suo lavoro, non si preoccupava neanche di controllare che il negozio fosse in ordine, e non si capiva se avesse solo fiducia in lei oppure lo facesse per pura distrazione.
Quando il mantello fu asciutto, Miell lo appese accanto al proprio e corse a sbirciare sul retro.
 Nadier stava osservando con i suoi profondi occhi color miele le creazioni da restaurare, le prendeva delicatamente con le mani pallide, e scelse infine quella messa peggio. Non la notò mai, si sedette al banco da lavoro, dandole la schiena, e iniziò il restauro.
A Miell piaceva osservarlo intagliare il legno, così da memorizzare le tecniche e i gesti. Eppure, non trovava nulla di speciale in ciò che faceva. Come facevano le sue opere ad essere migliori delle altre…? Miell non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo, ma era sicura che Nadier fosse una di quelle rare persona a Stylamid ad essere dotato di quella che, a volte, veniva chiamata “magia”, un dono che spettava solo a chi amava con tutto il cuore creare.
Era gentile, dolce e di buone maniere, ma per qualche motivo la intimoriva. Di sicuro, c’era qualcosa di strano in lui.
Il campanello della porta suonò e fu costretta a tornare in negozio.
- Signora Sanir, buongiorno.
- Buongiorno, signorina Halarin. Ciò che avevo ordinato è pronto?
- Ma certo. - Miell recuperò una scatola dagli scaffali alle sue spalle. Era celeste e rotonda, molto elegante. La aprì e ne uscì un carillon a forma di zucca, ma trasparente, come fosse fatto di cristallo. Per dimostrare che funzionava, Miell fece girare da una chiave argentata posta dietro al carillon e la zucca si aprì, facendo partire un valzer. All‘interno una carrozza si muoveva girando, sei cavalli sembravano trainarla e muovevano le zampe come se fossero reali.
La donna osservò meravigliata: - È meglio di come lo immaginavo…
- È un regalo per la sua figlioccia, vero?
- Oh, sì! Oggi compie la maggiore età, la portiamo al teatro “La Fiamma Eterna” per uno spettacolo. Pare che sia arrivato un nuovo direttore musicale da Eugeyus, per una serie di spettacoli di una settimana. Per fortuna siamo riusciti a recuperare i biglietti di oggi per tempo! Andiamo allo spettacolo e poi facciamo una piccola festa a casa.
Mentre ascoltava la donna, Miell richiudeva con cura il carillon e lo riponeva nella scatola, per poi incartare il tutto: - Le faccia gli auguri da parte mia.
- Grazie, cara. Quanto ti devo?
 
Durante la mattinata si susseguirono altri due clienti: il signor Tremet, che venne a ritirare un orologio a cucù, e un giovane uomo che guardò gli oggetti esposti senza però comprare nulla. A Miell sembrò una stranezza, in un primo momento, perché era raro che qualcuno uscisse per una passeggiata quando a Kerneval c’era brutto tempo. La ragazza, per la maggior parte del tempo, si dedicò al suo romanzo, o almeno ci provò: scriveva e cancellava subito dopo, sporcandosi ancor di più le mani di inchiostro nero. Non riusciva a venire a capo di una scena d’azione, e la cosa la faceva quasi ridere. Era possibile che un’esperta di scherma come lei non riuscisse a descrivere un duello? Lasciò perdere quando l’orologio a cucù del negozio, che faceva cantare un gufo al posto del classico uccellino, segnò il mezzogiorno.
Nadier uscì dal suo studio, i vestiti sporchi di trucioli, polvere e vernice.
- Signor Nadier, ha di nuovo scordato il grembiule?
Con l’espressione di chi cadeva dalle nuvole, l’uomo abbassò lo sguardo sulla propria camicia: - Che sbadato! Di nuovo…
Con una spazzola, Miell riuscì a ripulirlo almeno un po’ ma non poteva fare molto per le macchie.
- Grazie comunque, Miell. - Le sorrise il proprietario: - Che dici, andiamo a pranzo? Sto morendo di fame.
- Molto volentieri, signore. “Cigno Bianco”?
Nadier non dovette neanche risponderle. Recuperarono i mantelli, voltarono il cartello di chiusura  ed uscirono dal negozio, dando due mandate alla porta.
Si diressero verso la locanda più famosa della città, “Il Cigno Bianco”, posto vicino al teatro “La Fiamma Eterna”. Lì  alloggiavano molti ospiti importanti provenienti da fuori, e dopo gli spettacoli il locale si riempiva sempre di gente.
Era una struttura su tre piani, fatta con pietre di varie gradazioni di bianco e grigio. Anche dentro i tavoli, il bancone, le mensole e i mobili delle camere, che erano in legno, avevano le stesse sfumature di colore.
Il vecchio Florest, il proprietario, era intento a pulire. Era una giornata molto tranquilla e con pochi clienti, Miell pensò che l’uomo stesse approfittando per sistemare il tutto alla perfezione.
Quando li vide entrare, un caloroso sorriso si dipinse dietro la sua folta barba grigia: - Oh, bentornati! Non speravo di vedervi, oggi.
- Buongiorno, Florest. - Nadier ricambiò il sorriso dell’amico.
Miell chinò il capo, rivolgendosi a lui con il suo cognome: - Signor Auror, buongiorno.
- Buongiorno anche a te, Miell.
Si sentì un forte rumore di stoviglie dalla cucina e qualcuno ne uscì di corsa, un ragazzo dai grandi occhi verdi. Miell arrossì, quando lo vide, e anche le guance di lui si colorarono.
- Ciao, Miell…
- Buongiorno, Willis…
Sulla stanza scese un silenzio imbarazzante, interrotto dopo pochi secondi dai due adulti.
- Il solito Florest, grazie.
- Arriva subito, Donai. Willis, i piatti sono ancora integri? - Il locandiere trascinò di nuovo il ragazzo in cucina.
Miell e il suo capo si accomodarono al loro tavolino preferito: posizionato proprio a metà tra il camino e il bancone, vicino ad una delle grandi finestre ad arco che adornavano le pareti.
Così potevano godere dello splendido panorama della città innevata, ma anche parlare con Florest e i clienti che si sedevano al bancone.
Quando si furono seduti, Florest servì loro dell’idromele.
- Allora, Miell, abbiamo avuto molti clienti oggi?
- Oggi no, signor Nadier. La signora Sener e il signor Tremet sono venuti a ritirare i loro ordini. È passato anche un uomo, non credo fosse di queste parti. Non ha comprato nulla però.
- Sembrava interessato?
- Molto. Credo tornerà.
Willis li raggiunse e servì loro il pranzo. Miell cercò di evitare il suo sguardo, con la scusa di ere un sorso di idromele. Quando si fu allontanato, tornò a respirare in modo normale.
Nadier sorrideva divertito: - Dovresti dargli almeno una possibilità.
- Ho già abbastanza pensieri signore, lo sa. Non ho tempo per questo genere di cose.
- Ma Willis è un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle e un buon lavoro. Hai già vent’anni, Miell, devi iniziare a pensarci, e raramente si trovano ragazzi come si deve a Kerneval.
- Lo so bene… - Miell tagliò un pezzo di pollo e se lo mise in bocca.
Non dissero più nulla sull’argomento.
Poco dopo sentirono la porta aprirsi e una folata di vento gelido li fece rabbrividire.
Miell si voltò e vide cinque individui con la divisa della guardia cittadina. Lo trovò molto strano, di solito le ronde erano composte da un massimo di due membri.
“Deve essere successo qualcosa…”
Willis si avvicinò, mentre si puliva le mani su uno straccio: - È arrivata la notizia solo stamattina. La sacerdotessa Fira è stata trovata morta. - Sussurrò.
Fu la prima volta in cui Miell vide l’espressione di Nadier farsi seria e cupa.
- Cause naturali?
- Omicidio.
Calò il silenzio, finché Miell non ebbe il coraggio di chiedere: - Thoga?
- Stavolta non si sospetta di loro, no. È un lavoro troppo… pulito, ecco. - Willis torturava lo straccio tra le mani mentre parlava: - Un colpo solo da dietro, con uno stocco.
Miell perse la presa della propria forchetta, che cadde con un tonfo nel piatto. I due si voltarono a guardarla, con sguardo preoccupato.
- Scusate…- Tentò di riprendere la solita compostezza, recuperò la forchetta ma aveva ormai perso l’appetito. Lo stomaco le si era chiuso all’improvviso. - I quindici si sono riuniti stamattina presto. Sieg ha fatto subito partire le indagini, tra i sospettati c’è Freid, che succede a Fira come Gran Sacerdotessa di Zotarog a Rie.
Miell si ricordò del suo incontro con l’Innominato di quella mattina. Ora che si fermava a rifletterci, erano proprio vicino al Palazzo dei Quindici quando si erano incrociati.
- Beh, se davvero non si tratta del culto di Thoga siamo almeno sicuri che non scoppierà un’altra guerra. L’ultima se la ricordano ancora in molti.
Florest si avvicinò: - Se si trattasse del culto di Thoga, sapremmo almeno cosa aspettarci, Donai. -  Li guardò tutti e tre dritto negli occhi. - Se non si conosce l’entità di un problema, è impossibile sapere quali saranno le conseguenze.
A quelle parole, Miell rinunciò in modo definitivo al suo pranzo. Poggiò coltello e forchetta nel piatto ancora mezzo pieno: “Con uno stocco, eh…?”
 
Si sentì al sicuro solo dopo essersi chiusa la porta alle spalle.
Il cammino verso casa era stato un continuo guardarsi attorno, il pomeriggio in negozio era sembrato durare un’eternità, mentre era intenta a guardare con sospetto ogni persona che passava davanti alla vetrina.
Non è detto si tratti di loro…” Continuava a ripetersi, ripensando alla povera Fira. Ma più cercava di rassicurare sé stessa, meno ci credeva.
Accese il camino del salotto e andò a cambiarsi, indossando già il pigiama per la notte. Quando tornò nella sala, ormai riscaldata, si avvicinò alla mensola posizionata sopra al caminetto e recuperò uno scrigno bianco e argentato posato su di essa. Si accomodò sul divano, la gambe incrociate, e lo aprì.
Per lo più conteneva lettere, tutte senza mittente ma con segnato solo il destinatario: sempre stesso nome, cognome differente, tutti scritti con la stessa calligrafia. L’ultima data riportata era quella del 12 Luglio 1224, un anno prima circa, ad un indirizzo di Venize, altra città del regno di Utea. Ogni lettera riportava un indirizzo diverso di destinazione, ognuno dei quali colpiva Miell al cuore.
“Miell Hissel, Via dell’unicorno, n°2, Ambria, Gegmar.”
“Miell Homber, Via Ondina, n°10, Lavie, Eugeyus.”
“Miell Herbor, via Scarabeo, n°25, Orise, Ashenstral.”
“Miell Honten, Via delle farfalle, n°3, Venize, Utea.”
Le ultime due lettere non erano ancora state aperte.
Miell le ripose sul tavolo e guardò di nuovo dentro lo scrigno. Sotto le lettere vi era un pugnale, blu cobalto con rifiniture d’oro. Lo prese con delicatezza e ripose anche quello sul tavolino.
Infine, sul fondo si trovavano delle foto: una mostrava lei, cinque anni prima, insieme a un ragazzo piuttosto muscoloso e una ragazza molto bella con un caschetto; in un’altra lei sorrideva rivolta all’obiettivo, accanto ad una ragazzina dallo sguardo cupo e l’espressione timida; si soffermò un po’ di più su una foto in cui abbracciava un giovane dai capelli lunghi, molto magro, elegante e dal sorriso carismatico. Sentì gli occhi pizzicare ma cacciò indietro le lacrime.
Osservò l’ultima foto, con lei e gli altri quattro ragazzi messi in prima fila, in ginocchio, con in mano di ognuno uno stocco e appeso al fianco un pugnale, tutti con la stessa divisa. Dietro di loro, cinque uomini, uno dietro ogni giovane. Guardò con malinconia quello posizionato dietro di lei, con sguardo autoritario e una posa ritta e composta.
Si asciugò una lacrima che aveva iniziato a caderle lungo la guancia.
Qualcuno bussò alla porta.
   
 
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