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Autore: xwaterice    03/03/2024    5 recensioni
“Io verrò con lei, dottore. L’accompagnerò come suo assistente o qualsiasi cosa io possa e debba essere.”
Ho immaginato una parentesi alternativa per André mentre Oscar è in Normandia. Un’occasione e una speranza nuova per ritrovare se stesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il vento vorticava veloce e gelido su Parigi, punteggiata dalle luci di una notte di mezza luna avvolta da un centinaio di stelle. O almeno così la immaginava. Lui di quel panorama riusciva appena a vedere dei rigagnoli indistinti che si riversavano dall’alto sulla Senna, come a riempirla dello stesso spettacolo del cielo. Camminava lentamente, le spalle alzate e il volto nascosto dal bavero del suo mantello scuro. Infilò le mani nelle tasche della sua giacca ed inspirò più volte, ricacciando velocemente il freddo dalle narici.

La carrozza lo aveva lasciato in prossimità dell’abbazia di Saint Germain des Près dopo ore di viaggio passate in solitudine, immerso nello sgomento e nello strazio che aveva vissuto in quei sei giorni a Bourthes.
Sentiva ancora i rantoli e i gorgoglii provenire dal petto di quegli uomini, quelle donne, quei bambini ricolmi di fango in ogni viscere che avevano in corpo. L’acqua era vita ma sapeva essere anche indocile e feroce, nemica tanto quanto la stessa accogliente terra che pure li aveva scossi e percossi.

C’era stato molto da fare ma ben poco da salvare, in verità. Le giornate erano trascorse nella frenesia del tempo che mai, mai aveva concesso una tregua ai caduti e ai superstiti di quella tragedia. Non c’era stato tempo per pensare ed ancor meno per comprendere la realtà che gli si era presentata davanti, straniante come se a stento gli fosse sembrata reale e tangibile, tanto più simile alle intemperie che aveva letto solo nei libri.

C’era un mondo che moriva mentre altrove la vita procedeva quieta, come se nulla fosse; anche l’oro straripava da Versailles mentre il popolo francese periva di febbre e fame, come se nulla fosse. Ed anche lui, come se nulla fosse, era ritornato alla sua vita. Qualunque essa sarebbe stata a partire da domani.

André aveva dato il massimo di sé, pur non avendo competenze, né tanto meno conoscenze, in campo medico. Conosceva le basi dell’anatomia e della fisiologia, tutt’al più, apprese durante le lezioni impartite a lui e ad Oscar da ragazzi. Si era limitato a mobilizzare i feriti, portarli al sicuro ed offrire loro le cure ed il calore necessari. Con i bambini si era intrattenuto spesso, raccontando loro delle favole o le avventura di una certa soldatessa che galoppava su un cavallo bianco. Aveva bene imparato a dosare e miscelare le erbe, a fare alcuni semplici bendaggi. Talvolta Debois si era premurato di spiegargli qualcosa, al termine delle giornate meno impegnative, più come un resoconto di quanto si fosse fatto e perché. Aveva osservato, tanto, e ascoltato bene.

- Ematemesi, il vomito rosso. Emottisi, la tosse rossa. Anche il sangue ha le sue diverse sfumature di colore, il suo movimento e la sua origine. Non ti innamorare di alcuna diagnosi. Nemmeno il corpo umano è innamorato della vita, André.

Aveva imparato a stimare quell’uomo, e più volte aveva rivisto il volto di suo padre sovrapporsi al suo quand’egli lo chiamava per nome. Si era anche immaginato porgergli le tavole e gli strumenti per intagliare il legno, così come consegnava garze e cotone al dottore.

La lente realizzata appositamente per lui gli aveva permesso di avere una visione migliore da lontano e ancor di più da vicino, qualora avesse inclinato la lente ancora più in avanti; tuttavia, non mancava che l’orizzonte si sdoppiasse e annerisse, costringendolo ad allontanarsi ed interrompere le sue attività. Sentirsi responsabile della vita di qualcuno, seppur in un ruolo marginale, lo aveva fatto sentire più inadeguato che mai e sempre più spesso si era dato del folle.

Che avrebbe perso la vista, lui ne era davvero sicuro anche se nessuno – Lassonne compreso – si era mai pronunciato con certezza a riguardo.

Eppure, quella vita sospesa tra il sangue, il fango e la morte mentre la gente davanti a lui s’aggrappava con tutte le forze alla vita, lo aveva accesso giorno dopo giorno di una fiamma immensa, inestinguibile. Ed un’altra idea gli aveva così attraversato la mente: un’uniforme da soldato semplice, la Guardia Metropolitana di Parigi.

Non avrebbe speso quei suoi ultimi giorni di luce a crogiolarsi nel baratro senza far nulla. Non sarebbe diventato un eroe, ma sarebbe morto pur di stare al suo fianco. Oscar non aveva di certo bisogno della sua protezione, questo lo sapeva. Gli era rimasta solo la dignità di uomo, fedele amica di sempre.

Si era dunque congedato da quel ruolo improvvisato ed aveva ringraziato Debois per ogni cosa, ogni premura e pensiero, anche se le parole nei suoi confronti non sarebbero mai state abbastanza per esprimere la sua immensa gratitudine. Era salito sulla prima carrozza disponibile ed era così rientrato in tarda notte, con un nuovo senso di irrequietezza e di vuoto che s’aggrovigliavano nel petto.

Continuò a camminare per qualche minuto, svoltò l’angolo alla sua sinistra e si diresse verso La Bonne Table, la solita taverna di sempre. Un fiume di topi gli tagliò la strada, appena qualche passo prima dell’ingresso del locale.

Entrò velocemente e si ritrovò immerso in una coltre di fumo ed alcol che impregnavano l’intera stanza, stivata di gente che formicolava tra i tavoli barcollando sui propri passi, chi cadeva ormai stordito in terra e chi urlava a squarcia gola assurdità senza pudore.

Raggiunse il bancone, sistemò la sua sacca da viaggio sporca e rattoppata ai piedi dello sgabello su cui sedeva e ordinò un boccale di birra. Non beveva da un po’ di tempo oramai. Tuttavia, quella sera gli sembrò impensabile non farlo.

Alle sue spalle il vociare di alcuni uomini si fece più intenso. Sentì la porta spalancarsi e urtare bruscamente contro il muro, lasciando entrare una folata d’aria fredda che spense le candele sui tavoli più vicini.

- Hey! Dateci da bere, io e miei valorosi amici lavoriamo da tutto il giorno!

Non ci fece caso, nemmeno sentì quelle parole pronunciate, probabilmente, con entusiasmo ed euforia. Il clangore della risata che seguì poi, però, gli arrivò forte e chiaro. Si chinò sul suo liquido ambrato, sorreggendosi appena con i gomiti mentre chiudeva e schiudeva ripetutamente i pugni di entrambe le mani, infossando di tanto in tanto le unghie sui palmi. Non voleva davvero sentire né vedere nessuno.

Sarebbe dovuto rientrare a palazzo Jarjayes prima o poi, almeno per rinfrescarsi e dare delle nuove spiegazioni a sua nonna. Quella povera donna… avrebbe finito per lasciarle un’altra lettera data la tarda ora. D’altro canto, doveva ancora ingegnarsi ed inventare qualcosa, qualsiasi cosa, per presentarsi in caserma come recluta. Sarebbe stato complicato, pensò, arruolarsi ed ancor di più essere tra i sottoposti del nuovo Comandante della Compagnia B.

Mandò giù un sorso di birra e all’improvviso sentì una mano posarsi con forza al centro della schiena, costringendolo a tossire e voltarsi di scatto. Alla sua sinistra comparve un volto amico, conosciuto appena la settimana prima. L’uomo rise a gran voce e si accomodò accanto a lui, con due birre in mano.

- Sempre la solita faccia da funerale?

Rise anche lui, mentre finiva di asciugarsi le labbra con la manica. Lo ricordava bene quell’uomo dai capelli neri e col fazzoletto rosso legato al collo, sempre pronto a fare festa e a botte con gli altri ragazzi del suo gruppo.

- Sempre la solita noiosa ronda notturna, Alain?

- Come ogni sera, amico. Era da un po’ che non ti si vedeva in giro… ma vedo che non hai perso le vecchie abitudini. – riempì il boccale di André, a sua detta fin troppo vuoto.

- Bevi, questo giro lo offro io. Mi sto proprio annoiando in questo posto squallido… non c’è mai niente da fare per le strade di Parigi!

- Potresti lavorare, per esempio.

- Io sto lavorando, André o come ti chiami! Tu, piuttosto, dovresti trovare altro da fare invece di sbronzarti ogni sera. – mandò giù un lungo sorso, tutto d’un fiato. – Non mi hai ancora detto cosa fai nella vita o da dove vieni.

- Mio padre era un falegname. – disse, con voce bassa – Per quanto riguarda il resto, non c’è proprio niente di importante da sapere.

In effetti, non c’era davvero nulla che potesse dire o raccontare. Cosa facesse nella vita e da dove venisse erano due domande che si era fatto spesso e a cui, in quel momento, non avrebbe comunque potuto rispondere. Non che lo volesse fare, poi.

Abbassò lo sguardo, rigirando lentamente il suo boccale con la mano destra.

- Come vuoi tu. In ogni caso, un posto più divertente in cui potremmo andare lo conoscerei…

Alain si alzò di scatto e lo guardò dritto in volto, cacciando un occhiolino che fece ben intendere all’altro le sue intenzioni. Ma lui non ne voleva proprio sapere, soprattutto quella sera.

Abbozzò un mezzo sorriso, ignorando le lamentele dell’amico mentre lui tirava fuori delle monete e si preparava ad andare via. Si voltò verso l’intera taverna e la sua attenzione venne presto catturata da una serie di giacche blu ammucchiate su un’unica sedia, spostata al lato del tavolo al centro della stanza.

Sgranò gli occhi e gli s’illuminò lo sguardo, come se avesse trovato la risoluzione a tutti i suoi problemi. La trovata perfetta che cercava si era palesata davanti a lui con il nome di Alain De Soisson.

- Ascolta Alain. – si girò verso il soldato e si fece avanti, raccogliendo ogni briciola di coraggio.
- Ho bisogno che tu mi faccia un favore.

Anche l’amico strabuzzò gli occhi in sorpresa. Non sapeva davvero più cosa aspettarsi da quell’uomo che seppur silenzioso e malinconico, nonché dannatamente diverso da lui, gli rimandava comunque un senso di genuina fiducia e calma. Un bravo ragazzo, forse anche troppo.

Ma non ci fu tempo per dire altro.
Si voltarono entrambi di scatto, all’improvviso.

Il suono acuto di una bottiglia scagliata contro la porta che dava sul retro riecheggiò tra le mura della stanza, seguito dallo scricchiolio dei suoi frammenti di vetro sul pavimento. In pochi e fugaci secondi la taverna fu inghiottita dalla confusione più totale. Si ritrovarono accerchiati da volti tinti di rabbia ed euforia, mentre sedie e tavoli venivano lanciati con forza contro pareti, vetrate, le loro teste e le loro membra. E poi ancora vetro, bottiglie e bicchieri su altro vetro. Furono coinvolti anche gli altri soldati, e solo dopo una buona ventina di minuti ritornò il silenzio ed il locale fu finalmente sgomberato.

Ci fu silenzio, di nuovo, quando un rivolo di sangue stillò dal dorso della mano sinistra di Alain e si sparse goccia a goccia sul pavimento, raccogliendosi in specchio d’acqua color rubino.

*****

Fu arrangiato un tavolo coperto da un telo bianco, con sopra un catino riempito di acqua tiepida e diverse lampade ad olio e candele.

- La ferita è profonda… e ci potrebbe essere ancora del vetro all’interno. Avvicinati al tavolo e permettimi di controllarla.

C’era calma nelle parole di André, anche se la velocità e il poco ordine con cui tirava fuori alcuni oggetti dalla sacca che teneva sotto il braccio sinistro tradivano un velo di agitazione.

Sollevò una sedia da terra e si accomodò. Con estrema cautela svolse sul piano di lavoro dei panni di cotone contenenti forbici, aghi e fili. Non toccò nessuno degli strumenti finché non si fu liberato della giacca, arrotolato le maniche della camicia fin sopra i gomiti e sistemato la lente sul naso.
Si lavò infine le mani, frizionando con attenzione i pollici e l’interno delle dita.

- Non dire cavolate André, è solo un taglietto!

Alain era indubbiamente annoiato ed intenzionato ad abbandonare il prima possibile quel posto, oramai divenuto una vera e propria bettola di pazzi. Non ne poteva davvero più. Era tardi e non desiderava altro che stendersi su quella fetida branda che gli faceva da letto.

Si abbassò per raccogliere il berretto e la giubba abbandonate a terra, ma fu tradito dal pizzicore di fuoco evocato da quel movimento. D’istinto si portò la mano ferita alle labbra.

- Tu non vai da nessuna parte. Siediti su quella sedia e non la toccare.

Il soldato fu colto di sorpresa dalla sua voce decisa e perentoria. Fece quanto detto, in fretta. Non aveva voglia né energie per indugiare oltre.

André deglutì lentamente e prese un lungo respiro.
Sentì il corpo farsi ligneo e pregò il Signore affinché il suo occhio non lo tradisse proprio in quel momento, mentre con tutte le sue forze si appellava a parole non ancora troppo lontane.
 
- Acqua calda, alcol o aceto. La ferita va lavata ed osservata bene. Se necessario, lavala ancora. E le mani, lava anche le tue mani.
Un frammento di vetro conficcato nel margine esterno della ferita, al di sotto dell'ultima nocca.
Il liquore versato sulla carne fresca.
 
- L'ago va passato perpendicolarmente alla cute e ai suoi lembi lesi. Ruota il polso, limitando i movimenti dell’intera mano, e lasciati guidare dalla naturale curvatura dello strumento.
Un punto. Il secondo. Il terzo. Ed ancora.
Le labbra strette fino a farsi male, lo stecchino spezzato tra i denti.
Lo stesso liquore mandato giù tutto d'un fiato.

- Gira il filo intorno alle forbici per due volte, in un unico senso, e tendi le estremità per dare forma al primo nodo. Un altro giro, nel senso opposto. Un ultimo, dello stesso senso dei due di prima.
Un taglio secco. La lingua impaniata, il sudore che si faceva strada lungo le tempie fredde. L’ultimo sospiro, l’animo più leggero.

- Ben fatto, André.

*****

- Sai Alain, ho visto bambini crucciarsi decisamente meno di te. Un soldato dovrebbe pur andare fiero di qualche ferita di guerra, non ti pare?

- Non ne voglio sapere nulla di guerre, io. Mi bastano i miei problemi - Alain tirò un calcio contro il muretto in pietra alle sue spalle, poi continuò. – E comunque è tutta storta.

- Mh?

André fissava l’acqua della Senna scorrere lenta e poi svanire sotto il ponticello, raggiunto dopo aver finalmente lasciato la taverna. Il primo con le braccia abbandonate sulla balaustra, l’altro di schiena e lo sguardo volto verso la via principale.

- La tua opera d’arte, signor dottore! Potevi impegnarti di più invece di fare questa freccia che va per i fatti suoi, anzi, non sa nemmeno dove andare!

- Tu avresti potuto muoverti di meno, invece!

Risero entrambi, accompagnati dallo scrosciare dell’acqua che vorticava lenta e incessante.

Precisa o brutta che fosse, si disse André, almeno non era sanguinante ed era stata quantomeno pulita. Il medico della caserma - uno vero - avrebbe dovuto ricontrollarla e trattarla. Quella sorta di cucitura arrangiata era pur sempre meglio di nulla… ed ancora stentava a credere di averla fatta.

Tutt’ad un tratto lo sguardo fattosi improvvisamente grave di Alain lo raggiunse, veloce come una saetta. Ritornò serio. Sapeva già cosa aspettarsi.

- Perché ti vuoi arruolare, André? Fare il soldato non è questa grande cosa, dopotutto…

Lui non rispose.

Perché è l’unica cosa che posso fare per te, Oscar.
L’unica cosa, davvero.
Se diventerò un infermo che altro non può che gravare sulla vita di chi mi vuole bene, preferisco morire al buio ma sapendo di aver dato la vita per te, fino al mio ultimo respiro.
Quell’uniforme blu è davvero tutto ciò che mi rimane.


Trascorsero alcuni minuti in silenzio, senza neppure guardarsi. L’aria fredda aveva intirizzito i loro corpi e la stanchezza si era ormai fatta sentire. Quella giornata era iniziata ma sembrava davvero non terminare mai.

Alain cacciò un lungo sbadiglio e si sistemò la giubba sgualcita sulle spalle. Le ultime parole, prima di salutarlo e sparire nel buio tetro della notte.

- Ti aspetto dopodomani, alle sette in punto. Mi devi un grosso favore, Grandier.

André sorrise, alzando entrambe le mani come in un segno di scuse.

Si incamminò poi verso la direzione opposta e scese lungo i gradini che conducevano ad una nicchia in pietra al di sotto del ponticello, ad un passo dagli argini del fiume. Aveva già passato diverse serate lì, in compagnia delle bottiglie e di alcuni saggi sconosciuti.

Trovò un piccolo spazio scavato tra le pietre, toccandole e tastandone i bordi irregolari e freddi. Tirò fuori l’occhiale dalla tasca interna della sua giacca e lo nascose al suo interno, comprendo il nascondiglio con un ultimo masso.

Era ritornato. E la vista che aveva se la sarebbe dovuta fare bastare, così com’era.
 
Si lasciò andare contro il muro alle sue spalle, trascinandosi per terra.
Lacrime calde e salate iniziarono a rigargli le guance, come goccioline di rugiada sulle foglie al mattino.

Aveva cucito la carne.
Come un medico cuce l’uomo, come una sarta rammenda i vestiti.

Avrebbe ricucito anche quella camicia.
Filo per filo, lembo per lembo, bottone per bottone.

Anche se rimangono le cicatrici e nessun dolore mai si cancella.
Anche se il bianco non è più immacolato.

Si può continuare ancora a sperare.
Forse un po’ più di prima.

E mentre aspettava che i colori dell’alba svelassero il nuovo giorno, André Grandier sentì di aver finalmente ritrovato una parte di se stesso.
   
 
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