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Autore: Glenda    21/03/2024    3 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci volle qualche giorno perché Yèlveran riuscisse a alzarsi dal letto, ma Togfaran e sua figlia si erano presi a cuore la sua convalescenza e lo sommergevano di molte più cure di quante lui ne chiedesse, anzi, forse era proprio il suo essere una persona modesta e di poche pretese a renderlo, ai loro occhi, meritevole di un trattamento di favore. E pensare che Yèlveran non si era fatto sfuggire una parola sulla sua identità! Era sufficiente la sua naturale gentilezza a guadagnargli tutte quelle attenzioni.

Heze passava accanto a lui tutto il proprio tempo, preoccupandosi che non gli mancasse nulla e tenendogli compagnia; non era la circostanza migliore per scambiarsi confidenze, ma, dopo aver ascoltato il racconto del suo passato, anche Yèlveran aveva provato a dire qualcosa di sé: cose semplici, prosaiche, forse scelte affinché non comportassero forti slanci emotivi o «perdite di controllo», ma che erano quanto di più vicino ad una normale chiacchierata tra amici che lui gli avesse mai concesso.

“Mi vuoi far credere che ti sei perso a Villanuova? Ma sei serio?”

“Perso, sì. Due volte. La prima non uscivo dall’enclave da cinque anni: il mio addestratore aveva insistito per mandarmi a fare una commissione, perché pensava che prima o poi dovessi riabituarmi alle persone, credo. Ma quando ho visto tutta quella gente mi sono spaventato e ho fatto dietro front… solo che mi sono infilato in un sentiero che usciva dal paese e sono finito dentro il bosco: il silenzio era bellissimo, così mi sono addentrato un po’, ho fatto passare il tempo, è venuta sera… e quando ho deciso di tornare indietro mi sono reso conto che gli alberi tra loro si somigliano davvero parecchio!”

Faceva ironia, scherzava su se stesso: non lo aveva mai fatto prima.

“La seconda volta c’era il palio degli asini, un gruppo di miei compersi voleva andarci ed io non sono per niente bravo a dire no. Emh, neanche a dire sì, infatti i miei addestratori dicono che lascio che le esperienze mi accadano invece di sceglierle. Sono finito dentro una locanda e l’odore troppo forte dell’erba celeste mi ha preoccupato perché sapevo che era una sostanza capace di confondere la mente, ed a me è vietato lasciare andare la mente in confusione… Ma forse la mia mente era già confusa: dalle voci, dalla folla, dalla festa… fatto sta che mi sono nascosto e non sono rincasato finché non è venuta notte fonda… All’enclave mi prendono ancora in giro!”

“Per forza ti prendono in giro: a Villanuova ci sono due strade in croce e dieci case!”

Dieci è un numero enorme! Ha persino due cifre!”

Heze scoppiò a ridere: quanto gli piaceva vederlo di buon umore, sentirlo parlare di niente, dargli del tu, chiamarlo per nome. Chiamarlo per nome. Accidenti, doveva cercare di starci attento e non farlo in presenza di altri, dato che Yèlveran aveva infranto una regola, per lui.

“Mi è stato insegnato a non presentarmi per nome perché i nomi sono strumenti potenti: alcuni – quelli personali, o quelli molto antichi o quelli con una connotazione affettiva – lo sono più di altri. Ad esempio: la Persuasione del Cuore lavora sulle emozioni, induce ammirazione e lealtà nei confronti del Persuasore che la pratica, e questa arte aumenta la sua efficacia attraverso l’uso del nome proprio. Ricordi, Cesura, Sensi sfruttano un meccanismo simile. Insomma, un nome può essere un’ancora nella mente di qualcun altro, così solo i Persuasori di una stessa enclave si chiamano per nome, e nemmeno sempre.”

“Beh, in base a questo principio è proprio agli altri Persuasori che non si dovrebbe rivelare il proprio nome, non ai disgraziati come me che di manipolazione della mente non sanno un fico secco!”

“Eh già! Ma questo margine di pericolosità lo rende un rito di fiducia. Per quanto io sinceramente pensi che la fiducia stia da un’altra parte.”

“Dove?”

Yèlveran sorrise.

“Mm. Nel raccontare a qualcun altro che ti stai fingendo morto, credo.”

Poi si massaggiò la fronte e sfocò lo sguardo lontano.

“O nel lasciare che qualcuno nasconda un messaggio nella tua testa, credo. Cose così.”

 

Non appena si sentì in grado di muoversi, Yèlveran insistette per rimettersi in cammino: sapeva che non era una scelta prudente, la ferita faceva ancora male e di sicuro in un altro momento si sarebbe concesso ben più tempo per riposare, ma non aveva gli strumenti per valutare quanto il suo ritardo fosse grave e quali potessero esserne le conseguenze: Luxei gli aveva solo raccomandato di fare in fretta. In momenti come quelli si domandava quanto e se il suo addestratore, chiedendogli di fidarsi di lui, si fosse a sua volta fidato. Diceva di avergli consegnato un messaggio di immensa importanza, di poter contare solo su di lui, e si era persino preoccupato che il suo acconsentire alla richiesta non conseguisse da una passiva accettazione, bensì da una lealtà contraccambiata… «Non desidero che tu obbedisca ad un ordine» gli aveva detto «Desidero che ti fidi di me. Ti è ancora così difficile?»

No, non gli era affatto difficile. Gli era invece troppo facile. Difficile era stato imporsi il contrario:

difficile era stato alleggerirla, quella fiducia, smussare l’affetto che provava per quell’uomo, dare a quell’incarico la stessa importanza che avrebbe dato a qualsiasi altra richiesta ricevuta dall’enclave, perché, se non lo avesse fatto, la sua mente si sarebbe inceppata in una catena di domande senza fine e lui avrebbe solo saputo domandare, e domandare, e ancora domandare Luxei, perché? Che cosa ti è successo? Da dove viene questo dolore? Di cosa hai paura? Perché vuoi che proprio io, che tu hai portato lontano da Feuzte e tenuto nascosto per tutti questi anni, torni in quel luogo? Perché dici che ti fidi di me, ed invece non lo fai? Perché non chiedi apertamente il mio aiuto?

Glielo avrebbe dato, il suo aiuto. Senza riserve e senza condizioni.

Avrebbe fatto esattamente quello che gli avevano insegnato a non fare: ascoltare tutti i segnali, caricarsi di tutto il peso e correre il rischio di non poter controllare più nulla. Per lui.

Perciò non aveva domandato niente: si era comportato esattamente come chi di scelte non ne ha. Perché infatti non ne aveva.

Partirono un mattino all’alba, su un carro che la figlia di Togfaran si era fatta prestare per accompagnarli fino alle pendici dei monti: Heze aveva valutato la possibilità di cambiare itinerario e di aggirare l’ultimo tratto di catena montuosa in modo da non dover affrontare i sentieri, ma questo avrebbe comportato due giorni di percorrenza in più e Yèlveran aveva rifiutato. Gli dispiaceva imporre la propria volontà sulla sua guida, e gli dispiaceva ancora di più essere cosciente che, se lui non replicava, era perché si sentiva colpevole del ritardo: d’altro canto era anche certo che se la ferita gli avesse dato problemi Heze avrebbe saputo come comportarsi.

La salita fu molto più morbida rispetto alla prima parte del viaggio. Il mirdev brillava in piccole chiazze che sembravano pozze di luce aperte nella roccia, ma non erano abbastanza estese per dare fastidio alla vista. C’era anche più vegetazione, il luyo in piena fioritura tingeva il paesaggio di giallo e arancio e nelle spaccature della pietra si facevano spazio arbusti e muschi: l’acqua non abbondava, ma su quel versante le piogge erano più frequenti e il clima più dolce. Yèlveran riusciva a procedere con passo lento ma costante e al tramonto avevano già percorso un buon tratto di strada.

“Qui a due passi ci dovrebbe essere un posto in cui fermarsi.” decretò Heze “Siccome il Valico Basso è un passaggio che molti viaggiatori usano come scorciatoia, nel tempo ci sono stati costruiti alcuni capanni. Sono soluzioni arrangiate e non tutte reggono al passaggio dell’inverno, ma vediamo se siamo fortunati…”

“La temperatura è buona,” fece Yèlveran “e le giornate si sono allungate. Non potremmo procedere ancora un po’?”

“Potremmo, ma non lo facciamo.” tagliò corto Heze, fronteggiandolo con un ampio sorriso “Lo so che hai tutta la fretta del mondo, ma se ora non ci fermiamo domattina avrai addosso tutti i dolori del mondo. Ed io ho bisogno di luce per medicare la ferita e rifare il bendaggio.”

“Mm.”

“Stai tranquillo. Ti prometto che domani in giornata avremo superato il Valico Basso.”

Raggiunsero effettivamente una specie di casetta di legno addossata ad una parete di roccia: la struttura pendeva un po’ da un lato, ma l’effetto d’insieme era tutt’altro che cadente. Un ciuffo di luyo era persino cresciuto in una crepa e si era esteso fino sulle assi di legno del tetto, segno che quella capanna doveva essere in piedi da un po’. Ciò che però li sorprese fu vedere a pochi passi un uomo intento a raccogliere sterpi secchi, forse per accendere un fuoco.

“Mi sa che non siamo soli,” constatò Heze “ma per una notte ci possiamo adattare!”

“Oppure ci potremmo non adattare e andare a mettere il campo da un’altra parte.” fece Yèlveran di rimando, con l’espressione di chi ha appena emesso una sentenza irrevocabile.

“Certo che sì, e dopo aver dormito sulla pietra con quella ferita ti porterò su al valico in spalla.”

“Questo mi sa che è un po’ difficile… sono anche più alto di te…”

Heze scrollò la testa con un sorriso desolato.

“Yèlveran, era un modo di dire.”

In quel momento, lo sconosciuto si accorse di loro e gli rivolse un cenno di saluto, che rese inutili tutti gli ulteriori tentativi di sottrarsi ad un momento di socialità forzata.

“Che il vento favorisca il vostro viaggio!” li accolse “Siete qui per accamparvi?”

“Se non siamo di troppo!” rispose Heze, con la naturalezza di qualcuno che è abituato a quel tipo di convenevoli.

“Siamo solo in due e c’è spazio sufficiente.”

Yèlveran gettò un occhio dentro al capanno e intravide la sagoma di una donna che stava preparando un giaciglio all’interno, ma prima che potesse finire di studiarla fu lei ad uscire, attratta dalla conversazione. Dalla sua espressione, non era lieta come il compagno di trovarsi a dividere quel posto con due sconosciuti, ma fece buon viso a cattivo gioco e li salutò cordialmente.

“Lei è Neirseim, mia moglie, ed io sono Mantog.”

 

Quei due sembravano innocui e cordiali, ma la presenza della donna aveva un po’ insospettito Heze: per quanto il Valico Basso fosse una scorciatoia che i viaggiatori utilizzavano spesso, non era esattamente il percorso che avrebbe suggerito per una scampagnata di famiglia.

“Cosa ci fate qui? Dove state andando?”

Chiese, mentre scaldava sul fuoco l’acqua che gli serviva per la medicazione.

“Stiamo andando a Feuzte per la Celebrazione dell’Umanità.” rispose lui, con tutta la naturalezza del mondo.

“E non sarebbe stato più agevole costeggiare il Lungo e aggirare le montagne?”

“Per noi?” l’uomo sfoggiò un sorriso fiero “Io sono un cavatore di mirdev, questi monti sono la mia casa! Passare di qui era la scelta migliore per fare prima e per non incontrare troppa gente: le locande della valle saranno molto affollate di questi tempi… e i locandieri ne approfitteranno per alzare i prezzi! La Celebrazione dell’Umanità smuove tanta gente…”

Heze non aveva idea che la Celebrazione dell’Umanità ricorresse proprio quell’anno: quando si era svolta la precedente era appena un ragazzino ed era ancora al servizio di Jagsur.

“Non ci sono mai stato, non ho idea di come funzioni.”

Prima che l’interlocutore potesse esprimere la sua sorpresa di fronte a quella che per lui era clamorosa ignoranza, fu Yèlveran a prendere la parola.

“Non ti sei perso granché,” spiegò con poca partecipazione “è solo una sorta di rito religioso, che poi in realtà è un rito politico, e che alla fine è una specie di spettacolo teatrale, solo più grande di quelli che allestisce Grande Mago.”

Heze vide l’espressione sul viso dei due coniugi passare dallo sbigottimento all’indignazione, ma Yèlveran si stava rivolgendo solo a lui, e pareva non essersene nemmeno accorto.

“Per tradizione, ai Nove è proibito mostrarsi in pubblico contemporaneamente. Il Consiglio si riunisce in assoluta segretezza, dietro la protezione dei migliori Persuasori di Confini. Tuttavia c’è un rito a cui questa restrizione non si applica: si tratta della celebrazione che rievoca la battaglia in cui gli antenati delle Nove Famiglie avrebbero ricacciato gli spiriti maligni dentro la Frattura. Fanno una specie di rappresentazione - alquanto grottesca per me, in verità - in cui i capifamiglia ricevono dai rappresentanti delle gilde cittadine delle spade di legno costruire e decorate per l’occasione: con quelle inscenano una battaglia in cui un feticcio che rappresenta la Maledizione viene fatto a pezzi e rigettato nelle profondità della terra, momento di solito di grande d’effetto per via del confine tracciato per simulare la Frattura… Ma ti assicuro che alla fine dello spettacolo il povero fantoccio sta sempre lì, e qualcuno dovrà raccoglierlo e darlo alle fiamme. L’ultima Celebrazione dell’Umanità deve essere caduta otto o nove anni fa: non si ripete a cadenza regolare perché anno e giorno dipendono da una specifica congiuntura celeste. Attira molta gente perché è l’unico momento in cui al popolo è consentito guardare in faccia chi governa, e per una ragione che posso vagamente capire ma non condividere, le persone trovano interessante vedere da vicino le figure di potere… come se questo desse l’illusione di essere in confidenza con loro, persino di essere dei privilegiati. Le Nove Famiglie, ovviamente, conoscono questo meccanismo e se ne servono, con una serie di chiari vantaggi: governare col consenso è più facile che governare con la paura, la città si riempie di pellegrini e ne ha un ritorno economico incalcolabile, e alcuni giorni di abbondanza e divertimento allontanano la mente da tutto ciò di cui invece avrebbe senso lamentarsi. Inoltre, rimarcare in modo rituale che siamo costantemente minacciati da un male potente e strisciante ci rende fragili, e gli uomini fragili portano rispetto a chi gli offre protezione, anche se quella protezione non la riscuoteranno mai. Insomma, come strategia propagandistica funziona.”

Heze sorrise ammirato e pensò che lo trovava davvero straordinario.

Yèlveran era un Persuasore: non traeva alcun vantaggio dallo smontare l’impalcatura su cui si reggeva il potere della sua stessa casta… Eppure, tutte le volte che ne aveva l’occasione, non esitava a metteva a nudo le disfunzioni del lato del mondo a cui apparteneva. Poteva davvero dire le cose che stava dicendo? Era così lucido, diretto, trasparente: trasgressivo senza sembrarlo… e così abile nel mettere in fila i concetti in modo semplice e nello scegliere le parole giuste che persino i due coniugi, per quanto inizialmente scandalizzati, non riuscivano a ignorare il suo fascino.

“Signore, siete uno studioso voi?” prese la parola lei.

“Mm. Direi di sì.”

“E cosa fa uno studioso in cima alle montagne?”

“Vado a Feuzte anche io.”

“Per la celebrazione che non apprezzate…?”

“No. E non è la celebrazione che non apprezzo: non apprezzo la mitizzazione dei celebranti.”

“Cosa intendete? Non ho capito.”

“Dunque… i nove consiglieri sono nove persone. Cosa può avere di tanto speciale una persona? Per quanto possano essere ricchi o importanti, non hanno il potere di aggiungere un solo giorno alla propria vita. Sono foglie appese come noi…”

Per un attimo calò il silenzio, come accade quando, inaspettatamente, la Morte viene invitata e si siede a tavola. Heze guardò Yèlveran: i suoi occhi stavano di nuovo inseguendo pensieri persi altrove. Gli diede una mano a riportarli lì.

“Andiamo dentro il capanno: devo cambiare le bende prima che vada via la luce!”

Yèlveran annuì e abbozzò un sorriso riconoscente.

 

Il capanno era più ampio di come sembrava da fuori. I loro temporanei compagni avevano costruito un giaciglio su un cumulo di paglia e Yèlveran si chiedeva da dove venisse e chi ce l’avesse portata e, soprattutto, se non fosse un nido di pulci e sporcizia.

“Non fare quella faccia,” gli lesse nel pensiero Heze “mi sono organizzato bene.” e cominciò a distendere a terra, una sopra l’altra, le numerose coperte che tirava fuori dal suo bagaglio. Come avevano fatto a entrarci? “E comunque dormire su delle assi di legno sarà molto meglio che sdraiarsi sulla roccia. Tanto lo so che quando ci accampiamo all’aperto cambi posizione duemila volte al minuto!”

“Duemila al minuto mi sa che un po’ difficile…”

“Per la miseria, è un… ”

Yèlveran diede in una lieve risata e si sedette sul morbido, sfilandosi la camicia e cominciando a disfare la fasciatura.

“… un modo di dire.” completò la frase “Peccato, però… quasi credevo che per addormentarti contassi le volte che cambio posizione!”

“Ehi, ehi… da dove viene tutta questa ironia?”

Heze si inginocchiò accanto a lui, tirò fuori dalla sacca le bende pulite e ne imbevve una nell’acqua per lavare la ferita, ma in quel momento Neirseim si affacciò sulla soglia.

“Ti do una mano.” disse, non invitata, e si chinò vicino a loro.

“Non c’è bisogno, va… tutto bene… ” si ritrasse Yèlveran, in imbarazzo.

La donna abbozzò un sorriso condiscendente.

“Il nostro villaggio vive di estrazione del mirdev…” spiegò, come a voler giustificare l’intromissione “un mestiere molto pericoloso. Occuparmi di chi rimane accidentalmente ferito è compito mio. Ho con me molte cose che possono servirvi… oltre a un po’ di esperienza. Non fate complimenti.”

Yèlveran non era abituato a dare fiducia al primo sconosciuto incontrato, soprattutto trovandosi in una condizione di vulnerabilità, ma sapeva che per Heze la sensazione di ricevere aiuto gratuito era preziosa, così non reagì e lasciò che Neirseim visionasse la ferita.

I due si scambiarono poche parole, poi lei frugò tra le proprie cose e gli porse una serie di contenitori e pezzi di stoffa variamente profumati, spiegandogli le varie proprietà dei suoi unguenti.

Yèlveran li ignorò, cercando di staccare la mente dal proprio corpo e mandarla in giro altrove: alle cave di mirdev, per esempio, da cui venivano le suppellettili di lusso e i gioielli iridescenti di cui si adornavano le donne nelle corti di Feuzte e la cui estrazione era invece un mestiere molto pericoloso, alla bellezza dannata di quelle distese trasparenti coi loro giochi di luce, all’impasto nero che Heze aveva steso intorno ai suoi occhi per proteggerli dai riflessi, alla stupidità di ridurre l’immensità alla piccolezza, ed altri pensieri vaghi che si inanellavano uno dietro l’altro… finché non si accorse che Neirseim stava parlando con lui. Da quanto tempo?

“… ed avete fatto ugualmente tutta questa strada: siete dotato di un grande spirito di sopportazione…”

“Mm? Dotato…?”

La donna sorrise dolcemente.

“La maggior parte degli uomini ama mostrarsi sprezzante di fronte al pericolo e persino alla morte… ma poi, quando sentono male, diventano fragili come bambini. Voi siete bravo a sopportare il dolore.”

Yèlveran arricciò le sopracciglia, non cogliendo il complimento.

“Capito. Ma dotato è la parola sbagliata. Non è una dote, è solo iella!”

Heze diede in una franca risata.

“No, seriamente:” insistette lui, convinto “se uno è bravo a sopportare il dolore, significa che ha avuto diverse occasioni per impararlo, ed era molto meglio se non lo aveva imparato.”

La donna rimase ferma, col bendaggio sospeso a mezz’aria. Heze smise di ridere. Yèlveran si rese conto di aver detto qualcosa che lo aveva appena messo al centro dell’attenzione e arrossì.

“Intendevo solo che…” mormorò “che sento troppo spesso frasi tipo le mie sventure mi hanno insegnato ad essere forte, o solo quando hai guardato la morte in faccia comprendi il senso della vita… e a me danno un po’ fastidio perché sono… frasi fatte, credo. O solo una maniera vagamente dignitosa per prendere qualcosa di buono da quello che buono non è affatto.” esitò, fece un respiro, riprese sicurezza “Le disgrazie non ci piovono addosso per insegnarci chissà che o per renderci migliori: le disgrazie accadono, punto. E per come la vedo io, preferisco che il dolore mi trovi impreparato, piuttosto che essere bravo a sopportarlo, perché questo significa che prima non lo conoscevo… Insomma, non è detto che il dolore dobbiamo conoscerlo tutti: magari a qualcuno non capiterà mai, e arriverà alla fine dei propri giorni privo di spirito di sopportazione… Ma questo non è forse il meglio che possiamo e che dovremmo augurarci come esseri umani?”

Quando rialzò gli occhi, Heze lo stava guardando incantato.

“Porca miseria…” commentò “Tu sei davvero la negazione vivente dei modi di dire, amico mio!”

 

  
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