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Autore: LubaLuft    25/03/2024    2 recensioni
Tetsurō e Kei si incontrano in occasione della prima amichevole fra Karasuno e Nekoma. Resta tutto sospeso, finché a Tokyo, durante il campo di allenamento estivo presso lo Shinzen...
Dal testo:
"Tetsuro è fuori, sul prato. Sdraiato a prendere le stelle, come amava fare da piccolo sul terrazzino di casa sua.
Quella canzone è stata un colpo di testa ben camuffato, a cui fino all’ultimo momento ha tentato di resistere. Non sa se Kei l’ha ascoltata, se ha capito qualcosa. Non crede che possa accadere così, dal nulla. Il mondo è pieno di schermi, maschere, incute timore se si è giovani. Anche Tetsuro è giovane, inesperto, intimorito da ciò che prova, ma lo prova e gli piace disperatamente.
E poi sente dei passi avvicinarsi, alle sue spalle.
Si tira su, si volta.
Kei, con la sua maglietta bianca, brilla quasi sotto la luna. Sembra ancora più fragile di quanto non appaia alla luce del sole. È l’isola luminosa che lo ha incantato.
Tetsuro invece è ancora più scuro nella sua t-shirt nera, si notano solo i pantaloncini rossi. Kei sente una corrente che lo spinge verso di lui. È una barca pronta all’abbrivio. Il porto nella notte. La notte selvaggia."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo racconto in due capitoli si svolge durante il campo di allenamento estivo di Tokyo. Fino a un certo punto, è una storia "missing moments", poi però prende un'altra strada. I dialoghi contrassegnati da un asterisco sono ripresi dal manga, e sono pertanto non di mia proprietà e utilizzati qui solo per fini  - ehm - letterari!

 
Uno
 

“Notti Selvagge - Notti Selvagge! 

Fossi io con te 

Notti Selvagge sarebbero 

La nostra ingorda voluttà! 

Inutili - i Venti - 

A un Cuore in porto - 

Via il Compasso - 
Via la Mappa! 

Vogare nell'Eden - 

Ah, il Mare! 

Potessi soltanto ormeggiare - Stanotte - 

In Te!”

 

Kei appoggia sul comodino il libro di poesie che ha preso in prestito dalla biblioteca della scuola. Sono quasi le undici e non riesce a chiudere occhio.

Le ante della finestra della sua camera sono socchiuse, un vento fresco e leggero, pieno di grilli, si infila fra le tende e lo raggiunge, gli sfiora le guance arrossate, gli accarezza i capelli. Sotto il lenzuolo, il cuore batte veloce, il respiro è profondo, il corpo è sveglio, in allarme.

Fossi io con te 

Notti Selvagge sarebbero…

Basta solo l’immagine del suo viso, del suo sorriso sghembo, dei suoi capelli assurdi, più scuri delle piume di un corvo, più lucidi del manto di un gatto… solo questo basta a stranirlo, a rendergli difficile girarsi su un fianco e chiudere gli occhi. Domani c’è scuola, la verifica di matematica, poi gli allenamenti, poi di nuovo lo studio…

E poi, di nuovo, le parole di Emily Dickinson sul comodino, accanto ai suoi occhiali.

La nostra ingorda voluttà! 

Inutili - i Venti - 

A un Cuore in porto…

Ma lui - il porto -  non c’è, è lontano da quelle parole conturbanti e dal suo corpo, ancora acerbo, che non trova pace. Lui non può sapere che cosa abbia in testa da quella mattina, l’ostinazione dei suoi pensieri, la delusione delle sue speranze. Non può neanche lontanamente immaginare che cosa abbia significato per Kei incontrarlo, conoscerlo, come il suo sguardo sottile e magnetico abbia bucato il suo orizzonte, sfondato il suo muro.

Potessi soltanto ormeggiare

Stanotte - in Te

Kei spegne la luce, disgustato da se stesso, dal suo desiderio patetico - il primo vero desiderio della sua vita.

Ha un nome, quel desiderio: Tetsurō Kurō.

Se lo scrive sul cuore, con un dito.

 

________

 

Tetsurō osserva il paesaggio che corre. Kenma dorme sulla sua spalla, Taketora chatta con qualcuno al cellulare, il resto della squadra parlotta e il professor Nekomata ogni tanto ride di gusto, a bassa voce.

Mentre tutto scorre veloce, lungo i binari dello Shinkansen, fuori splende la luna, immobile nel cielo.

Anche Tetsurō ride, silenzioso.

Ride di se stesso e di come ci sia cascato. Ride dei chilometri che già lo separano da quei capelli biondi, da quegli occhi chiari e sfuggenti. Ride per gestire ciò che prova. Non è sufficiente. Vorrebbe tornare indietro e capire meglio che cosa gli stia succedendo. Ma Tokyo si avvicina e Sendai si allontana. 

Solamente la luna resta immobile nel cielo, come un’isola, e sulla luna c’è lui.

C’è Kei Tsukishima, il centrale silenzioso, sottile, delicato, enigmatico.

Un’isola luminosa nel mare nero della notte, come recita il suo cognome.

Tetsurō lo ha osservato attentamente durante le partite infinite di quella lunga giornata di amichevoli, la prima dopo tanti anni fra il Nekoma e il Karasuno, ma è riuscito a scambiare con lui solo poche parole, mentre osservavano entrambi Inuoka e Hinata, sotto rete, che si parlavano l’uno sopra l’altro con un linguaggio comprensibile solo a loro … o forse era l’entusiasmo a rendere quel discorso apparentemente assurdo?

A differenza di Tetsurō, Kei però non aveva colto la spontaneità e la reciproca ammirazione che era scattata fra i due giocatori avversari, non aveva percepito l’adrenalina che li aveva accesi durante la sfida.

 

“Ma come cavolo parlano?”* Aveva infatti sibilato, infastidito.

“Guarda che i liceali parlano così. Forse sei tu quello strambo che dovrebbe adattarsi a loro.”*

Tetsurō era piuttosto divertito da quella intransigenza. Dopo tutto, in quella palestra, ognuno di loro era stracarico di endorfine, parlavano a braccio, a vanvera, ridevano e pensavano già alla prossima amichevole. Perché Kei non registrava nulla di tutto questo? 

“Non mi riesce troppo bene.”*

Una risposta a metà.

“Ricorda che sei giovane…”*  aveva risposto Tetsurō, che ora si chiede se quella battuta non sia suonata troppo paternalistica.

Forse sì. Un po’ si è abituato ad esserlo con Kenma, sin da quando erano bambini… ma Kei non è come Kenma, che il più delle volte fa spallucce e tira dritto: lui è più il tipo che se la prende, lo ha capito dai suoi lineamenti tesi, dal suo essere sempre un passo indietro agli altri. Isolato, annoiato … spaesato, forse, come se quella maglietta numero undici, se quella squadra una volta gloriosa non gli appartenessero davvero.

Infila gli auricolari. 

Una canzone dei Suede, The Wild Ones.

“Fra dieci minuti siamo in stazione.” dice qualcuno.

Fine della corsa.

Tetsurō lancia un bacio alla luna.

 

________

 

Mesi dopo, si rivedono a Tokyo, per il campo di allenamento intensivo.

È estate, e Kei odia il caldo.

Odia sentirsi scivolare addosso le ore appiccicose di sudore, accumulate penitenza dopo penitenza, soprattutto lo innervosisce il fatto che Tetsurō sia a un passo da lui, nel campo adiacente al suo. Lo vede saltare, murare, lanciarsi in ricezione su ogni pallone, sinuoso come un gatto. Lo vede sorridere sghembo sia ai suoi compagni di squadra che ai suoi avversari. 

Lo vede a suo agio, che è l’esatto opposto di come si sente lui. 

I loro sguardi si incontrano, di tanto in tanto, ma nulla più.

È irraggiungibile, perfetto nel suo ruolo di capitano, senpai, fratello maggiore quasi, giocatore completo da ammirare.

E Kei lo ammira, dietro le sue lenti, mentre si muove svogliato. Se potesse, farebbe altro. Gli leggerebbe quella poesia della Dickinson. No, gliela reciterebbe perché la sa a memoria, l’ha imparata per lui.

Se solo avesse il coraggio.

Tetsurō invece maledice le occasioni che non riesce a trovare per interagire con Kei. Sono tutti presi dal gioco, i campi sono sotto un fitto bombardamento di scambi, veloci, servizi al salto, chance ball. Neanche quando le loro squadre si affrontano gli riesce di rompere il ghiaccio. Il suo ghiaccio lunare.

Ma poi, la sera, accade qualcosa.

Tetsurō è nella palestra numero 3, con Keiji Akaashi e Kōtaro Bokuto. Stanno allenandosi sotto rete e lo vedono passare fuori, accanto alle porte aperte sull’afa notturna.

Tetsurō pensa che sia quella l’occasione giusta e che deve coglierla subito, al volo.

Si scambia uno sguardo eloquente con Kōtaro, che però nasconde ragioni completamente diverse da quelle che crede di afferrare il suo amico del Fukurodani. 

Si lancia.

“Ehi tu… un secondo… Quattrocchi del Karasuno!”*

Kei si volta verso di loro.

Tetsurō continua

“Puoi venire a murare?”*

Kei vorrebbe, ma è stanco di quella giornata, di quella bolgia di giocatori ognuno dei quali sembra avere una vera ragione per sudare, correre e agitarsi, a differenza di lui. Poco prima ha detto anche di no a Yamaguchi, che voleva tirare qualche servizio, figurarsi ora finire a murare quello strano e talentuoso Bokuto… e ovviamente, avere lui intorno.

Non vuole essere messo alla prova.

Non vuole sentirsi un fallimento totale.

Non vuole entrare in quella palestra, sebbene senta forte e chiaro di volerlo con tutto se stesso.

“E poi, se tu sei un centrale, faresti meglio ad allenarti nel murare, no?”*

La voce di Tetsurō è insidiosa come il suo sorriso sghembo, tagliente come i suoi occhi. Afferra, artiglia quasi quel minuscolo brandello di amor proprio che Kei conserva da qualche parte. Afferra anche la sua voglia di stargli accanto, che cresce esponenziale a ogni secondo che passa.

Iniziano a giocare ma Kōtaro lo affonda quasi subito. Dopotutto, il suo amico è fra i primi spiker della pallavolo giovanile giapponese, è una gioiosa quanto rumorosa macchina da guerra.

Kei arranca, eppure Tetsurō coglie una nota di fastidio nelle sue risposte e nei suoi sguardi. Qualcosa di piccato emerge dal suo Mare della Tranquillità. Buon segno, può cercare un’occasione.

“Allora proviamo con un muro a due!”*  Propone con finta nonchalance, quando in realtà prova solo un desiderio irresistibile di averlo accanto a sé.

Kei lo guarda sfidare l’amico. Non avrebbe mai osato chiederglielo, di murare con lui. È confuso all’idea di giocare accanto a Tetsurō, ma tant’è: sente il suo odore, la sua maglietta che sa di detersivo e sudore, sente la testa girargli, vede le sue lunghe, bellissime mani e sa che può solo fare peggio di quanto ha fatto finora con i suoi muri ridicoli. Sente che se ne pentirà amaramente. Ma resta lì accanto a lui.

“Conto su di te, Quattrocchi, cerca di bloccare l’attacco!”*

Iniziano e subito Tetsurō riesce a fermare Kōtaro con un muro perfetto.

Kōtaro allora fa quello che fa di solito: la dice, esattamente come la pensa.

“Ecco, come immaginavo! Sei bravo a leggere ma il tuo muro è deboluccio…”*

Kei abbassa lo sguardo. In quel momento, Tetsurō sente che c’è in gioco qualcosa di più importante della cotta che si è preso per lui, sente che il biondo mingherlino che tanto lo turba è a un passo dal mollare tutto. Capisce che bisogna defibrillarlo e decide di rischiare. Non va compatito, va scosso.

Ci va giù pesante:

“Se continui con queste stupidaggini il piccoletto ti passerà avanti e si prenderà il tuo posto.”*

Ed ecco Kei che riceve da lui quella pallonata senza battere ciglio. Anzi, sorride mentre batte in ritirata.

“Beh, c’è poco da fare, no? Io e Hinata abbiamo abilità completamente diverse!”*

Arrivano altri del Nekoma e Kei finalmente se ne va, alludendo al fatto che, con tutti quei giocatori a disposizione, di lui non hanno sicuramente più bisogno.

Tetsurō vorrebbe rimangiarsi parte delle parole che gli ha detto, poter tornare indietro e sceglierne altre, ma è troppo tardi. Kōtaro e Akaashi gli dicono chiaro e tondo che secondo loro il Quattrocchi si è offeso.

Lo sa anche lui, e capisce che nel caso di Kei non si tratta solo di insicurezza ma di una errata percezione delle sue possibilità.

È curioso, Tetsurō, vorrebbe scavargli nella testa e nel cuore, capire perché fa così. Capire da dove viene e dove va, stemperare la nebbia che lo circonda. È l’unico che non dice una parola, l’unico di cui non riesce a immaginare nulla. Soprattutto, vorrebbe stringerlo fra le braccia per evitare che fugga via dal suo mondo, dal loro mondo: il campo. 

Va in ansia, Tetsurō, ma non lo lascia trasparire. Forse il biondo deve sbollire. 

Fuori della palestra intanto brilla la luna, isolata nel suo mare nero.

 

________

 

Kei dorme male.

Sono tutti stanchi morti, e lui lo è anche di più ma si rigira senza pace nel suo futon. È come se gli mancasse l’aria, lì al buio.

Le parole di Tetsurō lo hanno colpito e affondato. Ha perfettamente ragione a considerarlo una nullità prossima a essere scalzata dal piccoletto. 

Non sa se è più l’orgoglio a fargli male o il cuore.

Ma tanto manca poco alla fine di tutto quello strazio, manca poco e Kei finirà sicuramente sulla panchina del Karasuno.

In panchina, prima o poi ci finiscono tutti. A cosa serve tutto quello sfoggio di forza, tenacia, entusiasmo? Lui ha ben chiaro cosa è accaduto a suo fratello Akiteru, sa che cosa si prova a illudersi di essere qualcuno e poi ritrovarsi a non essere nessuno.

Soprattutto, se Tetsurō pensa che sia un perdente, allora deve essere vero… perché in fondo lo pensa anche lui di se stesso. 

La giornata è mediocre, rallentata, e quando Kōtaro gli offre di allenarsi di nuovo con loro, Kei se la dà a gambe.

Tetsurō lo ha osservato a lungo. Non avendo il coraggio di riprendere il discorso della sera prima, decide di scusarsi con lui per interposta persona, tramite Daichi Sawamura, da capitano a capitano. Si scalda per la prossima amichevole, proprio con il Karasuno.

Kei non si fa illusioni. L’incontro con il Nekoma è il solito disastro e perdono 25 a 16. La serata procede da schifo, finché Yamaguchi non lo affronta. Lo chiama patetico e ha ragione ma Tadashi, nonostante i suoi trascorsi difficili alle elementari, quando la cattiveria degli altri ragazzini si era scatenata contro la sua debolezza, non può farsi davvero un’idea del peso che il suo cuore continua a sorreggere. Non può capire quanto Kei si senta a disagio in mezzo a quella calca di giocatori, quanto Tetsurō lo faccia, inconsapevolmente, sentire solo.

Ma poi scatta qualcosa, quando Tadashi parla di orgoglio. Scatta l’analisi, e Kei è un campione di analisi. Kei ama la sistematica, la filogenesi dei comportamenti, vuole andare a fondo, vedere che cos’è che rende tutti così forsennati dietro a una palla. Cosa li riempie di orgoglio e contemporaneamente li svuota della propria rabbia.

Senza pensarci oltre, arriva di nuovo alla palestra numero 3. 

Tetsurō lo vede arrivare e improvvisamente è più leggero. Vede la sua espressione decisa, sicura, sa che è venuto  da loro perché deve imparare ad andare oltre.

E allora, quale insegnante migliore di Kōtaro? Lascia fare tutto a lui, al suo entusiasmo e alla sua spontaneità. Tetsurō osserva Kei e lo ammira mentre ascolta il suo amico e la tensione finalmente lo abbandona, lo addolcisce. Quegli zigomi delicati, la bocca sottile, la pelle diafana, gli occhi color oro dietro le lenti, tutto della sua fisionomia si rilassa.

E poi, come per magia, Tetsurō se lo trova accanto. Il brutto scambio che hanno avuto sembra superato.

“Devi far affluire tutta la tua forza nelle dita. In questo modo eviterai di far schizzare via la palla…”*

È un piacere sottile farsi ascoltare da lui, essere inquadrato dai suoi occhi chiari. Tetsurō vorrebbe spingerlo via e farsi ascoltare ancora ma fuori, da solo con lui. C’è altro che è urgente da dire, c’è altro che vorrebbe fare e che non vuole più solo immaginare.

La serata però scorre via, il sudore si asciuga, le strade si separano. Domani è di nuovo l’ultimo giorno, e Kei ripartirà…


(Continua...)

 
   
 
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