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Autore: LubaLuft    31/03/2024    2 recensioni
Dal testo
«A Tooru l’inaspettato non piaceva. Come con le battute flottanti in salto, non gli piacevano le traiettorie strane e quel sorriso era inaspettato e strano. Erano ormai vicinissimi e tentò di passare oltre con un cenno della mano ma la abbassò subito.
Lui si era fermato e lo fissava.
No, Ushiwaka non fissava. Inchiodava.
Come le sue dannate parallele.
Tooru allora prese fiato, e si fermò anche lui, piegandosi in avanti e appoggiando le mani sulle cosce.
Il battito del suo cuore però non decelerava.
Sollevò la testa.
“Cos’è, non te la guardi, la partita? Ti brucia ancora?”
“Non mi brucia quanto te.. però un po’ sì.”
“Il freddo Ushiwaka che accusa la sconfitta…”
“Un’esperienza come un’altra. Utile, anche.”
“Washijo deve avervi strigliato bene, dopo.”
“Cento servizi. Io centouno.”
Tooru chiuse gli occhi con un sorrisetto ironico.
“Vuoi sempre primeggiare.”
Anche Wakatoshi indossava gli auricolari e aveva ascoltato la partita fino a quel momento.
“Ha vinto il Karasuno.” Disse con un tono neutro. Una voce perfetta per il telegiornale, pensò Tooru ghignando dentro di sé.
“Bah! E chi se ne frega.” Esclamò allora.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Seconda Parte
 

All’inizio non si erano scambiati molte parole. Qualche battuta sulle formazioni, a malapena. 

Il Karasuno serviva per primo, con Kageyama.

Wakatoshi scoccò un’occhiata in tralice a Oikawa durante quel servizio, che fu potente e preciso. Kageyama si era scaldato bene.

“Non ricordo di averci mai giocato, ai tempi delle medie” disse allora.

“Certo che no!!... Era un primino!” sbottò Oikawa. “Piuttosto” cambiando discorso “Chibichan-pelo-di-carota è in netto miglioramento, non trovi?…” sibilò in tono allusivo.

“È presto per dirlo.” Rispose Ushijima con calma.

Sì, come no, pensò Tooru. Fai il possibile per nasconderlo ma ti rode, mio caro super asso!

Ma Wakatoshi in realtà era calmo. Seduto sugli spalti con un atleta d’eccellenza come Oikawa, seguiva una partita ben giocata e sapeva che sul quel terreno comune avrebbero potuto confrontarsi in maniera intelligente. 

Erano entrambi catturati dall’incontro, e lentamente il loro dialogo si faceva più strutturato sebbene distaccato, ed era incentrato totalmente sugli scambi lunghi, insistenti fra entrambe le formazioni, determinate a tenere la palla in gioco. 

Non gli sfuggiva però la tensione di fondo in Oikawa, era la stessa tensione che aveva notato in lui durante quella breve corsa al parco.

Che sotto sotto ce l’avesse ancora con lui? Tanto valeva chiederglielo con schiettezza, una volta per tutte.

“Tooru. Sei ancora irritato per quella nostra discussione…? Se è così, me ne rammarico.”

Tooru si stava mangiando con gli occhi le alzate di quello psicopatico di Tobio e lì per lì non fece caso a ciò che dicesse Ushijima, ma quando udì la sua voce profonda e impostata che lo chiamava per nome, si voltò lentamente verso di lui.

“Scusa?…”

“Ti ho chiesto se sei ancora irritato con me, per quella discussione dopo la vostra sconfitta contro il Karasuno.”

Tooru si fermò a registrare le sue parole e di nuovo ritornò alla luce calda di quel pomeriggio di delusioni cocenti. 

Il maledetto Ushiwaka, con cui stava guardando una partita intensa e si stava tutto sommato divertendo, aveva voglia di tornare nel passato per tirarne fuori cose sepolte e lui non se lo aspettava.

Un’altra flottante in salto che non sapeva dove sarebbe andata a cadere. 

C’era però qualcosa di diverso nella sua voce: era sempre incredibilmente dura e quasi monocorde ma allo stesso tempo era calda e profonda. Una voce che non chiudeva la conversazione ma la apriva. Le frustrazioni di Tooru, chiamate nuovamente in causa in quella maniera così inaspettata, si riaffacciarono nitide nella sua coscienza ma senza il peso e l’amarezza che avevano avuto fino a quel momento. Se ne rese conto perché in quell’istante esatto gli era anche arrivato alle orecchie il fischio finale dell’arbitro, a sancire la vittoria del primo set da parte del Nekoma, e il fatto stesso che il Karasuno fosse in svantaggio non lo stava riempiendo di acida soddisfazione come avrebbe desiderato.

Lo interessava relativamente.

Don’t look back in anger. Come la canzone.

Non ricordare con rabbia.

“No.” Rispose allora senza tentennare. “È acqua passata.”

Ushijima annuì e tornò a concentrarsi sulla partita. Anche Tooru, sebbene con un po’ di fatica. Il ragazzo dei miracoli che aveva accanto e con il quale aveva corso al parco tutto a un tratto gli apparve sotto una nuova luce.

La flottante alla fine era arrivata sui suoi polsi e ora ne fissava la parabola, alta.

Perfetta per un’alzata.


****

 

Il Karasuno aveva sconfitto il Nekoma.

“Ritorni a Sendai?” Chiese Tooru mentre scendevano dalle tribune verso l’uscita.

“No. Mi fermo a Tokyo per guardare tutte le partite, fino alla finale. La mia famiglia ha un appartamento a Ginza, dormo lì.”

“E come fai con le lezioni?”

“Sei uno studente atleta anche tu, sai che puoi pianificare le interrogazioni.” Rispose Ushijima.

“Sì, ma io non sono a disposizione della nazionale giapponese come te...” Replicò Tooru piccato.

Rieccola, la linea di confine fra di loro. 

Wakatoshi notò lo scarto di Oikawa, umorale come sempre. Era il momento giusto. 

“Io sono onorato di aver avuto quella possibilità. Tuttavia, ho intenzione di crescere indipendentemente dalla nazionale, voglio confrontarmi in una squadra con i più forti giocatori del Giappone. Anche con quelli più orgogliosi.

Tornò a osservarlo, curioso di capire se quelle parole avessero avuto qualche effetto su di lui ma furono distratti da alcune voci concitate che si avvicinavano.

“Ushiwaka!! È Ushiwaka!”

Furono circondati da un gruppo di ragazzine con penne e quaderni.

“Ushijima-san! Per favore, un autografo!”

“Una foto!…”

Le giovani fissate con la pallavolo lo accerchiarono e Ushijima, senza mostrare né fastidio né apprezzamento firmò autografi e scattò foto.

Tooru osservava la scena divertito e un po’ invidioso di quel bel ragazzone con l’espressione da duro che attirava l’attenzione nonostante non giocasse - tanto per cambiare. Lui, che era abituato alle ragazzine bercianti che gli portavano i dolcetti fin nella palestra del Seijo, con Iwachan che rosicava come un castoro, in quel momento restava in disparte, evidentemente non era popolare nel Kantō come a Myagi, e soprattutto non aveva mai ancora indossato la maglia 🇯🇵 JAPAN per cui poteva benissimo essere un perfetto sconosciuto.

Quando rimasero di nuovo soli, Tooru non poté fare a meno di commentare con un “Però, ne hai di ammiratrici… occhio che ti seguono fino a casa.” e un fischio eloquente a coronamento di quella frase buttata lì.

Ma lui lo guardò serio: "Non mi interessano.”

Tooru rimase in silenzio, poi fece spallucce e replicò

“Mica te le devi sposare…”

“Non mi interessano e basta. Firmo autografi perché devo, ma non mi interessano le attenzioni delle ragazze. Loro non mi… piacciono.”

Wakatoshi si accorse che Tooru aveva socchiuso le labbra in un’espressione sorpresa e si pentì dei suoi sempre così alti standard di chiarezza: era uscito dai confini del suo vissuto privato e lo aveva fatto quasi senza accorgersene. 

Forse perché era lui a stargli di fronte? 

La pallavolo riempiva tutte le sue giornate e non avendo una vera e propria famiglia, con un padre all’estero e una madre che vedeva pochissimo, o amici che poteva definire tali, con l’eccezione forse di Tendō, Wakatoshi si era abituato a frequentare solo scuola, palestra ed eventi sportivi. La domanda se gli piacessero le ragazze se l’era posta già da tempo e la risposta finora era stata poco. Si era chiesto anche se gli piacessero i ragazzi e la risposta in quel caso era stata che non lo sapeva

In quel momento, però, aveva capito che il poco era diventato un no e che quel non lo sapeva era pericolosamente in bilico, come una palla sul filo della rete.

Distolse lo sguardo da quelle iridi color nocciola che era abituato a vedere strizzate in sguardi rabbiosi, derisori e che ora avevano una luce diversa, insolita, che non aveva mai visto su quel volto.

 

E Tooru, infatti, era meravigliato.

Tooru che avrebbe volentieri spedito fra le braccia di Iwachan e Matsukawa tutte le ragazzine che gli venivano appresso. Tooru che si guardava allo specchio e giorno dopo giorno si riconosceva per ciò che era, per ciò che la sua natura voleva che fosse. Non era stato un percorso facile ma neanche impossibile, soprattutto lo stava vivendo con naturalezza. 

Tuttavia, la sua naturalezza ora lasciava spazio a una tremenda curiosità davanti allo sguardo imbarazzato che per un nanosecondo Ushijima gli aveva permesso di cogliere nei suoi occhi verdi. Era stato solo un attimo, e anche Tooru si forzò a fare finta di nulla ma la conversazione fra di loro cessò di colpo, come due giocatori che si arrestano ai confini di una zona di conflitto e lasciano cadere la palla.

Tooru agì allora per mero impulso. Improvvisò perché il cervello gli diceva di prenderla come una scommessa al buio, con una posta di cui non conosceva il valore.

“Io resto per la notte a casa di mia sorella. Dovrei ripartire nella mattinata … Ma forse mi fermo anche domani.” Riuscì a concludere.

“Okay.” Rispose Ushijima.

Tooru, finora, era stato quello che lo aveva invitato a correre e quello che gli aveva preso un posto accanto al suo in tribuna. 

Ora sentiva anche il bisogno di chiedergli se voleva vedere insieme a lui la partita dell’indomani. 

Del resto, aveva appena deciso di restare a Tokyo quando in realtà sarebbe dovuto rientrare a casa e prepararsi per la verifica di scienze naturali.

Ma l’altro scattò prima. “Okay.” Rilanciò Ushijima. “Ti do il mio cellulare. Se decidi di rimanere, chiamami. Se ti va vediamo insieme la prossima partita.”

“D’accordo. Ci vediamo domani qui, sul piazzale.”

 

Quella stessa sera, Wakatoshi uscì a fare una corsetta intorno all’isolato.  

Aveva l’impressione che vedere la partita del Karasuno con Oikawa ne avesse amplificato la godibilità. I suoi commenti sulle alzate di Kegeyama e Kozume erano precisi e analitici, mostrava una capacità di visione che lo rendeva davvero un giocatore completo. Non gli serviva una squadra forte, era lui che poteva renderla tale.

In questo, era a suo avviso più completo di Kageyama, nonostante percepisse da parte sua nei confronti del kohai una rivalità ai limiti dell’insano. Erano i caratteri a essere diversi, semplicemente, e laddove Kageyama poteva sfruttare se necessario una maggiore freddezza e compostezza, Oikawa dava il meglio quando c’era da scaldare gli animi anche in maniera forse un po’ teatrale.

Avrebbe davvero voluto schiacciare su una sua alzata. Una sola.

Mentre rifletteva su come l’avrebbe schiacciata, il cellulare vibrò.

 

Ciao. Scusami ma ho cambiato idea. Riparto domani nella mattinata. Tooru

Registrò il suo numero come Tooru. Non ne conosceva altri.

Riprese a correre.

Il centounesimo servizio.

Un chilometro in più, poi si fermò.

Okay, rispose.



****


 

Tooru aveva visto le spunte blu ma una qualsivoglia risposta tardava ad arrivare.

Poi, dopo dieci minuti abbondanti

 

Okay

 

Cos’è, Ushijima aveva perso la sua insistenza?

Va bene, non era uno che insisteva, ma almeno un ciao

Un saluto

Era un caso di anempatia patologica!

E lui perché se la dava a gambe? Per orgoglio? Perché ne aveva troppo a disposizione per ammettere che quella serie di circostanze fortuite, incontri inaspettati e conversazioni con lui quasi normali gli avevano provocato una reazione imprevista?

Forse sì.

Dannato Ushiwaka!

Prese il telefono e creò un nuovo contatto proprio come dannato Ushiwaka. Ma poi il telefono vibrò.

 

(dannato Ushiwaka)
Mi dispiace

 

Fu allora che iniziò una conversazione ai limiti dell’assurdo. 

 

E perché?

 

(dannato Ushiwaka)
Perché non dovrebbe dispiacermi?

 

       Non mi sembri il tipo che si dispiace per qualcosa.
     Quando hai perso con il piccoletto avrei voluto vederti piangere e disperarti, e invece…

 

(dannato Ushiwaka)
Io invece avrei voluto parlarti, proprio quella sera

 

Per dirmi cosa? Per darmi ragione, forse? Beh, in effetti avevi appena perso con una squadra scomparsa per anni dai radar! 

 

Ushijima tacque.

Tooru si lasciò cadere sul divano con una risata divertita. Ace!!

Però modificò il nome del suo contatto in Wakatoshi

 

(Wakatoshi)
Se ci tieni ti do ragione ora

(Wakatoshi)
“Squadra forte” è un’espressione che in sé non vuol dire nulla

 

(Wakatoshi)
Tu però 

 

(Wakatoshi)
… sta scrivendo…

 

Tooru attese, ma lui smise di scrivere. Contò mentalmente fino a sessanta, poi rispose in batteria 

Io cosa

Allora?

Rispondimi!

 

Dèi, ci volevano le tenaglie per tirargli fuori le parole!

 

(Wakatoshi)
Tu fai la differenza 
E io

 

(Wakatoshi)
… sta scrivendo…

E tu?

****


A Wakatoshi sembrava di sentire la sua bella voce, ostinata e ironica.

 

(Tooru)
E tu?

 

E io vorrei giocare con te anche una volta sola.

Era questo che Wakatoshi

voleva dirgli, ma la semplicità del concetto era in realtà solo apparente. 

Non era solo giocare. Non gli sarebbe bastato, probabilmente.

Le nebbie si diradavano, dopo quel pomeriggio tranquillo, lungo, pieno di chiacchiere interessanti, intelligenti. 

Oikawa era questo.

Tooru era questo.

 

Perché riparti? Gli scrisse, invece

 

(Tooru)
Saranno anche fatti miei, no? 
Ma se proprio ci tieni a saperlo… non lo so nemmeno io

 

In che senso non lo sai?

(Tooru)
… sta scrivendo…

(Tooru)
Forse perché fondamentalmente tu mi fai incazzare più di Tobio

 

Ce l’aveva ancora con lui, allora

 

Okay

(Tooru)
Okay un cazzo

Tooru, scusa ma non capisco

(Tooru)
Scusami
Di solito sono più affabile con le persone che non conosco bene 
 

Non mi conosci?

(Tooru)
Beh alla fine io e te siamo quasi due estranei


Dall’altra parte dello schermo, Tooru attese il benservito. Che non arrivò.

 

(Wakatoshi)
Perché ti faccio incazzare più di Kageyama?

 

Si passò una mano sugli occhi. Doveva trasmettere un concetto semplice: Perché sei sicuro di te. Sempre

Ma non si trattava solo di quello: Tooru era quello insicuro, che provava strane sensazioni solo al suono della sua voce profonda, e ora anche davanti a quella conversazione silenziosa.

Era lui che, ora lo capiva meglio, se avesse potuto avrebbe continuato a correre con Wakatoshi Ushijima in quel parco all’infinito, o visto con lui decine di partite di pallavolo solo per scommettere sulla velocità di un servizio o su un out, o sul tipo di veloce dopo una ricezione sporca.

Solo per stargli accanto.

Comunque, scrisse quella frase e attese.

 

(Wakatoshi)
E tu? Tu non ti senti sicuro di te? 


In questo momento, no.

 

(Wakatoshi)
Chi ti dice che io lo sia? Dopo il diploma lascerò la squadra nella quale milito da una vita

 

(Wakatoshi)

La squadra con la quale ho giocato contro di te tutti questi anni
Potrebbe non accadere più
Ma soprattutto 

(Wakatoshi)
Potrei non riuscire a giocare mai con te

Tooru si stupì della piega della conversazione, di come stesse precipitando tutto, di se stesso e di ciò che stava per dire.

 

E che cos’altro vorresti fare con me?

 

Ecco che l’aveva detto.

Attese.

Sperò.

 

(Wakatoshi)
Non sono bravo con le parole



****


 

Era così che ci si metteva davvero a nudo?

Parlandone semplicemente?

Erano partiti dalle frustrazioni accumulate a causa di una sconfitta inflitta loro dalla stessa squadra e che, alla fine, consideravano entrambi meritata: del resto, nella pallavolo vinceva chi teneva la palla in gioco, non chi la usava come un attrezzo per esaltare le evoluzioni del proprio io.

Così, quando Tooru bussò alla porta di Wakatoshi e lui lo fece entrare, entrambi si accorsero di non riuscire più a ricordare il passato con rabbia. 

Per quanto li riguardava, anche il loro personale torneo parallelo era finito quel giorno, con l’ultimo set vinto dai corvi. Avevano entrambi lasciato cadere il rancore e avevano entrambi guadagnato un punto.

Quando furono l’uno di fronte all’altro, si lasciarono andare all’attrazione, che l’inesperienza di entrambi non faceva che aumentare rendendola ancora più irresistibile.

Nell’affollata e rumorosa Ginza per la prima volta potevano spogliarsi a vicenda e meravigliarsi di quanto fosse bello toccare l’altro.

Per la prima volta, la prima in assoluto per entrambi.

Forse non si sarebbero mai più affrontati, forse non avrebbero mai indossato la stessa divisa ma ciò che stavano per condividere andava oltre la perfezione dei corpi allenati che avevano ammirato in silenzio per anni, l’uno nell’altro. Andava oltre parole che ora suonavano inutili come orgoglio, rabbia, invidia, messe da parte a favore di altre. 

Sussurrate, gridate, scambiate, assaporate.

 

****

“E ora?” Chiese l’indomani Tooru, sdraiato accanto a lui. Una domanda piena di altre domande, tante tutte insieme.

Una fra tutte: perché il dannato Ushiwaka era così bello?

Wakatoshi aprì gli occhi e lo guardò, come se avesse pronta la risposta a tutto.

“Ora andiamo a vedere la partita.” Rispose lui.

Tooru sorrise.

La risposta più naturale che potesse dargli.

Chissà perché, se l’aspettava.


Fine

   
 
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