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Autore: Selene123    12/04/2024    6 recensioni
Che cosa sarebbe successo se l'unico posto libero, dopo la richiesta a Maria Antonietta, fosse stato davvero in Marina invece che alla Guardia nazionale? Un what-if che cambia completamente le carte in tavola rispetto alla storia canon.
(un ringraziamento speciale a xwaterice per avermi lanciato l'idea)
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Axel von Fersen, Hans Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si svegliò confusa.

Intorno a lei era tutto sfocato, la stanza si muoveva. Socchiuse le palpebre, lentamente. I raggi di un timido sole che entravano dall’oblò le davano fastidio. Provò a fare un respiro profondo, ma una fitta le percorse il torace. Passò una mano sul volto, per tentare di capire almeno se fosse viva, e sentì di avere la pelle coperta di ferite che bruciavano ancora. Scoprì di avere una fasciatura alla fronte, inoltre.

Non capiva dove fosse, non ricordava nulla. Non aveva particolare memoria di niente, solo qualche immagine qua e là che le procurava un gran mal di testa. Doveva essere finita in mezzo a una colluttazione piuttosto violenta e poi svenuta a un certo punto, ma non prima di aver parlato con qualcuno – forse addirittura urlato! – non poteva giurarci... Aveva la febbre, di questo era sicura, ma qualcosa l’aveva portata fuori dalla cabina. I volti e le urla di uomini sconosciuti a bordo le cominciavano a fare capolino tra i pensieri. Possibile fossero stati attaccati da dei predoni? Sì, qualcosa di simile.

Non riuscire a completare a dovere il mosaico degli ultimi eventi, però, la seccava terribilmente, al punto di credere di non essere più in grado di distinguere fra sogno e realtà.

Si guardò intorno come poté dal letto dell'infermeria e notò la presenza di almeno una ventina di uomini, tutti storditi dal laudano. Alcuni erano adagiati in due sullo stesso letto: dovevano essere più di venti. Si sforzò ancora di ricordare e le sembrò che l’ultima volta che era vigile non fosse lì e nemmeno nella propria cabina.

Provò a muoversi, ma ogni muscolo le doleva. Non aveva la forza neanche per lamentarsi, anche se il senso del pudore e la proverbiale resistenza glielo avrebbero impedito in ogni caso.

Voltò solo il viso e trasalì appena. Lo vide lì, al suo fianco. André dormiva nella branda accanto, fasciato e medicato ovunque i suoi occhi riuscissero a guardare, con un braccio legato al collo e gli ennesimi lividi. Il cuore ricominciò a batterle forte, lo stomaco si strinse e le mani tremarono. Aveva rischiato di perderlo, questo lo ricordava bene. Purtroppo. Per un momento pensò di averlo sognato, che fosse soltanto uno dei tanti incubi che le capitavano spesso e che la preoccupazione fosse eccessiva. Poi, però, ebbe finalmente contezza di dove fossero e la realtà la svegliò del tutto.

Oscar si girò piano su un fianco, nonostante il corpo provasse a impedirglielo, e lo osservò investita da una sensazione sconosciuta (o che forse nei mesi aveva dimenticato). Si concentrò su di lui, immerso in un sonno profondo di cui avrà avuto bisogno da chissà quanto. Lo guardò in silenzio, come non l’aveva mai guardato. Così intensamente che prese perfino il ritmo del suo respiro e ora inspiravano ed espiravano all'unisono. Come per istinto e come un tempo, quel tempo che adesso voleva riportare indietro e vivere in maniera diversa.

Le tempie pulsarono all'improvviso quando un ricordo ben preciso le rischiarò il buio in cui verteva.

Il mio André.

Lo aveva chiamato così davanti al Maggiore, dopo che quest’ultimo era riuscito a portarla via dallo scontro diretto. Doveva aver protestato, se un poco si conosceva. Era una questione di onore, sì, ma… Il suo André da solo a rischiare la pelle non lo avrebbe mai lasciato di propria sponte.

Chiamò quel nome senza emettere un suono: mosse soltanto le labbra senza far vibrare le corde vocali. Lo ripeté più volte, sicura che lui la riuscisse ad ascoltare anche da addormentato.

D’un tratto, però, si stranì. Sentiva il bisogno di toccarlo, di sfiorare la sua pelle per un istante, uno solo, perché la necessità di avere una prova in più del fatto che era vivo era più forte perfino del dolore e della distanza. Oscar allungò piano il braccio e poi si sporse leggermente per provare a raggiungerlo. Aprì la mano destra, distese l'indice, ma si accorse che in quelle condizioni non ci sarebbe mai arrivata.

Quando si rese conto che alcuni cominciavano a dare segni di ripresa quantomeno di coscienza si ritrasse, rimanendo però sdraiata su un fianco. Non riusciva a distogliere lo sguardo: seguì il suo profilo, millimetro dopo millimetro, come se fosse la prima volta invece dell'ennesima.

Vide le cicatrici – chissà quante lasciate da lei e quante nuove – i capelli ribelli che ricadevano sulla pelle ora abbronzata, le ciglia lunghe, le labbra leggermente aperte per respirare e si accorse, poi, con grande sorpresa, che sul naso e sulle guance erano apparse delle lentiggini. Non le aveva mai notate prima di quel momento e l'idea di non avergli mai dato l'attenzione che meritava l'afferrò per il collo e la strattonò.

Da quanto tempo covava dentro di sé quel sentimento che ora riconosceva in tutta la sua intensità? E da quanto tempo lo ignorava? Provò a ripercorrere al contrario il filo rosso della sua vita e si vide sempre accanto a lui, da che aveva memoria, che fosse fisicamente presente o solo col pensiero. C'era quando a Versailles camminava da sola per i corridoi, quando era a colloquio con la Regina e perfino quando Fersen la metteva in difficoltà con se stessa. André era con lei anche quando se ne era allontanata per stare da sola, in Normandia, prima di partire per la Provenza e non aveva idea che se lo sarebbe ritrovato sulla nave.

Allora quale era la tessera mancante nel mosaico della loro esistenza insieme? Quella che ora le faceva tremare i polsi perché credeva di aver sbagliato tutto, di aver sprecato un sacco di tempo ed energie che avrebbe potuto dedicargli senza darlo per scontato?

Un colpo di tosse la costrinse a ritornare supina, ma gli occhi si spostarono inevitabilmente su quell'uomo che lei aveva conosciuto bambino e percepì distinto il calore di una lacrima rigarle il viso e scendere lungo una tempia. Avrebbe voluto chiedergli scusa, perché ancora una volta lui si era trovato in pericolo a causa sua, ma riuscì a stento a pronunciarne il nome con un filo di voce, bassissima, che rimase per sé. Erano circondati da troppe persone, benché addormentate o ancora stordite, e anche se fossero stati soli le sarebbe mancato comunque il coraggio per ammettere a se stessa che quello che provava era valido. Ed era bello, perché sincero.

Quando fu sicura che anche l'ultimo dei presenti voltato nella sua direzione avesse di nuovo girato le spalle, Oscar allungò ancora il braccio, ma questa volta si fermò prima e appoggiò la mano sul bordo della branda. Non voleva correre il rischio di svegliarlo né di disturbarlo, era sicura che si fosse battuto con onore anche mentre lei era svenuta e che avesse difeso il vascello al massimo delle sue forze anche se lei non aveva assistito a tutto. Era stata riportata sottocoperta appena in tempo per non essere presa davvero come ostaggio o addirittura uccisa, ma non aveva dubbi sul suo coraggio.

Lo sciabordio delle onde che entrava nell'infermeria dall'oblò aperto risuonava all'interno della grande stanza gremita di gente, come una ninna nanna offerta dalla natura per calmare gli animi agitati dei sopravvissuti. Sentì la stanchezza avvicinarsi un'altra volta e chiuderle gli occhi, ma il braccio restò lì, allungato verso la branda a poca distanza dalla propria e la mano a sfiorare quel marinaio che le dormiva accanto ignaro della dolcissima tempesta che le stava provocando nel cuore.

Quando si risvegliò, il Capitano scoprì che lui non c'era più. Quasi tutti erano spariti, in realtà. Soltanto i feriti più gravi erano ancora in infermeria, gli altri più sani e capaci di camminare sulle proprie gambe avevano lasciato il posto a chi ne avrebbe necessitato di più. O almeno così si spiegò Oscar dopo un brevissimo momento di panico, tra il sonno e la ragione, in cui scenari catastrofici le avevano attraversato la mente ingannandola sui motivi della sparizione di André. E anche di tutti gli altri, ma di André in particolare. Si alzò di scatto per sedersi, ma prese male le misure e finì per sbattere la testa contro la branda di sopra con un lamento strozzato.

"Capitano!" esclamò il dottore voltandosi mentre somministrava qualcosa a un ragazzo in pantaloni bianchi, "Avete la testa dura ma non mettetela alla prova!"

La giovane donna si mise in piedi – una mano sul capo per massaggiare dove aveva appena preso il colpo e l'altra sul letto dove ricordava di aver visto André – e si accorse di essere in camicia e gilet. Si guardò intorno, ma la giacca sembrava scomparsa. Non sapeva perché non l'avesse addosso come sempre, ma da qualche parte doveva pur essere.

"Vi avevo detto di rimanere nella vostra cabina, ma non mi avete dato retta e siete svenuta." se ne uscì il medico come se avesse intercettato le sue domande e la situazione fosse stata davvero così semplice.

"Ora sto bene. Credo che lascerò il posto a chi ne ha bisogno..." concluse lei mentre si avviava alla porta sostenendosi in ciò che le capitava.

Uscì in corridoio e piano piano i suoi occhi si abituarono al disastro che si manifestava ogni metro più reale. Porte divelte, pezzi di legno ovunque, macchie di sangue sparse sul pavimento e non solo. C’erano perfino delle armi abbandonate, perlopiù spade, e qualche scarpa. Non era la sua nave quella. Non era nemmeno un campo di battaglia. Era lo spettro di una sconfitta personale, anche se, apparentemente, ne erano comunque usciti vincitori. Chissà come…

Attraversò la soglia per recarsi sul ponte e per la prima volta in vita sua pensò che forse non avrebbe voluto accertarsi di ciò che era successo. Rimanere nell’ignoranza le avrebbe risparmiato la più cocente delle delusioni.

Il vascello si reggeva in piedi per miracolo, ancora abbordato dalla fregata a babordo. La vela dell’albero di trinchetto squarciata dalla palla di cannone era la cosa più a posto su cui i suoi occhi si posarono. Si guardò intorno, agghiacciata. Non si sarebbe mai perdonata un disastro del genere.

Si sentì persa in se stessa. Ogni passo era pesante, cauto a non pestare un asse dissestato e non sprofondare sottocoperta. Studiò con attenzione tutto e tutti ed era come camminare in un cimitero lugubre, nonostante il sole che tramontava all’orizzonte tra le nuvole che si diradavano.

Chi restava dell’equipaggio si aggirava per il ponte in cerca di qualcosa da salvare, da sistemare alla bene e meglio pur di non rimanere con le mani in mano. La salutavano, sollevati che almeno lei fosse ancora viva.

Oscar fermò un sottoufficiale che le passava accanto. Non era da capitano dover chiedere cosa fosse accaduto sulla propria nave, ma ormai il danno era fatto.

“Cos’è accaduto dopo…?”

Non sapeva neanche lei dopo cosa. Dopo essere svenuta? Dopo essere sparita e non averli aiutati fino in fondo?

Dopo. Punto.

“Capitano, vi siete risparmiata il peggio.” fece il suo sottoposto e si congedò, chiamato da qualcuno alle sue spalle.

Oscar proseguì, alla ricerca qualcosa o qualcuno che le indicasse la risoluzione ai propri dubbi. Ma nessuno pareva in vena di parlare e niente a posto per suggerire altro che violenza.

Cosa c’era di peggio rispetto a ciò a cui aveva assistito?

Istintivamente si diresse agli alloggi dell’equipaggio, ma non le fu necessario scendere per avere maggiori spiegazioni. Incrociò sulla strada il Maggiore, conciato non troppo meglio di lei, e si salutarono.

“Sono felice di sapervi in forze, Capitano.” esordì l’uomo cercando di ignorare come fosse andata la loro ultima conversazione.

“Credo di dovervi ringraziare.” rispose Oscar, “Avete salvato la nave.”

De Chabon si mise per un attimo sull’attenti. “Dovere. Consideratelo un modo per ricambiare ciò che fate per noi.”

“Non—”

“E poi non è solo merito mio. Voi ci aiutate nelle esercitazioni, ci avete indicato la presenza degli ostaggi e insieme a quel veliero che vedete a tribordo siamo ancora qui a parlare.”

L’uomo indicò una grande imbarcazione che li scortava, rapida e intatta. Era dipinta di un nero intenso e le vele bianche spiccavano sul cielo arancione.

Oscar provò a capire che bandiera battesse, ma erano un po’ troppo distanti perché la riconoscesse. I colori le sembravano noti, ma il male alla testa le affaticava la vista impedendole di distinguerli meglio.

“Chi sono?”

Il Maggiore si schiarì la voce. “Sono maltesi. Ci hanno notati nonostante le bandiere di pericolo non fossero issate. Capirete anche voi anche non ci sia stato possibile— “

“Va bene così.” concluse lei nel tono meno scontroso che le riuscì. Avrebbero avuto tempo più tardi per sviscerare l’argomento.

Si congedarono, nelle direzioni opposte. Dopo pochi passi, però, l’altro ufficiale si girò per chiamarla.

“È negli alloggi.”

Oscar lo guardò perplessa. Non era sicura di afferrare le sue parole; o meglio, faticava a capire se il contesto in cui doveva inserirle fosse quello giusto.

“Grandier. Lo trovate negli alloggi.” e la salutò a più tardi nella stanza di navigazione, o qualunque cosa ne fosse rimasta.

Ebbe la conferma di aver avuto la giusta intuizione. Aveva immagini confuse di qualche ore prima, ma sapeva che sul momento non aveva capito chi l’avesse portata sottocoperta. Ricordava cosa avesse detto, ma le fu chiaro grazie alle sue parole a chi si fosse rivolta.

Si fece coraggio, un po’ per affrontare la desolazione che la circondava e un po’ per ciò che la stava aspettando.



La accompagnò un sottoposto che incontrò sulle scale. Era stato lui a insistere, nonostante lei avesse assicurato che non ce n’era bisogno: non poteva garantire che i suoi compagni fossero presentabili. La fece attendere fuori dalla porta per avvisarli del suo arrivo e dall’interno, insieme ai lamenti indistinti, si udì un trambusto di persone che si muovevano.

Quando finalmente riuscì ad entrare, Oscar osservò l’intero stanzone. La luce del tramonto filtrava dagli oblò aperti, ma era comunque uno spazio piuttosto scuro. L’atmosfera e l’umore generale, d’altronde, non aiutavano. Li guardò a uno a uno i volti di chi era stato mandato a riposare dopo essere stato medicato.  Gli altri, se potevano, si davano da fare dove ci fosse bisogno: pressoché ovunque.

La colpì anche la consapevolezza che molti di quei letti adesso vuoti non sarebbero stati più riempiti dalle medesime persone. Non avrebbe saputo dire quanti fossero – non ancora quantomeno – ma anche uno solo era troppo. Teneva in conto che nel loro mondo ci fossero grandi rischi, ma nonostante i tanti anni circondata dalle armi era ancora difficile farseli scivolare addosso quando diventavano realtà.

I superstiti la accolsero, benché malconci, sull’attenti, come potevano. Li invitò al riposo, non le interessava il decoro in quel momento. Preferiva che rimanessero interi e non si sforzassero troppo.

“Sono venuta a controllare in quali condizioni versaste.” Non sapeva neanche che cosa volesse dire loro. Le parole più banali che potesse pensare le uscirono dalle labbra spontaneamente, per infrangere il silenzio imbarazzante.

Si sentiva gli occhi puntati addosso ma non ne comprendeva le intenzioni. Poteva essere risentimento, o frustrazione, o rabbia… Potevano avercela con lei e non li avrebbe biasimati più di tanto.

“Avete rischiato molto grosso e perso molti compagni, molti amici…”

“Capitano.” la interruppe qualcuno dal fondo della stanza. Il suo tono era grave, il volto duro e livido. “Capitano, per la maggior parte di noi questa non è la prima volta. Saliamo a bordo accettando il nostro destino, perché non ci sono alternative a terra.” Alain
si lasciò scappare una mezza risata mesta. “Anche se è la prima volta che qualcuno si preoccupa di chi è rimasto, in effetti…”

Provò a ribattere: “Mi sembra il minimo.”

“Non per tutti. Anzi, per quasi nessuno. Però, perdonate la franchezza, anche se apprezziamo il vostro interesse e quello che fate, non credo che al momento abbiamo tanto da dirvi.”

Oscar comprese. In altre occasioni non si sarebbe neanche dovuta sporcare le mani per chiudere tutti in cella di rigore a oltranza, ma… Avevano ragione, anche se uno solo di loro aveva parlato.

Diede un’ultima occhiata in giro e lo vide accanto alla sua branda. Come si reggesse in piedi era un mistero: lo era sempre stato, in realtà, perché anche quando era lei a conciarlo male André non si dava per vinto. Ora, però, dopo aver rischiato così tanto... Provò una stretta al cuore ancora più intensa e si trovò a dover stringere i pugni dietro la schiena per non mostrarsi in difficoltà.

Era meglio andare, dopotutto. Loro non volevano vederla né parlarle e non c’erano tante scuse per pretendere che si mantenesse il rigore della gerarchia in quella situazione. Dovette arrendersi all’evidenza di non potersi imporre. Ci avrebbero pensato il giorno dopo.

Si scusò e lasciò gli alloggi, dopo averli salutati.

Tornò sui propri passi, camminando lungo il corridoio ossessionata da pensieri contrastanti. Provava a preoccuparsi per tutti in egual misura, ma solo André occupava il posto al centro delle sue paure.

“Oscar!”

Si fermò a pochi passi dalle scale, già appoggiata al corrimano un po’ traballante. L’amico le si avvicinò piano, a fatica, ma la raggiunse infine e lei si disse che non voleva parlare con altri, in effetti, se non con lui.

“Come stai? Sei pallida.”

“Meglio, grazie. Credo di avere ancora un po’ di febbre, ma passerà… Tu piuttosto?”

André sospirò e alzò il braccio fasciato come poté. - Non mi è andata troppo male, alla fine. Il peggio è solo un braccio rotto.

Oscar ascoltava le sue parole e le conservava una per una, come le fossero necessarie per respirare. La sua voce, così gentile e profonda, era ciò di cui aveva bisogno. Gli occhi tornarono sul suo viso, in penombra, alla ricerca di quei minuscoli dettagli sulla sua pelle che aveva scoperto poco prima.

“Vuoi che ti accompagni in cabina?”

Ci rifletté su, anche se per la verità la risposta le era già ben chiara. Ciò nonostante, preferì rifiutare la sua offerta. Non voleva che si stancasse troppo.

Dopo aver indugiato entrambi su un ultimo saluto, le loro strade si divisero.

André rientrò negli alloggi, dove ormai più nessuno dormiva e si stupì nel constatare che stavano ancora parlando di lei ma non nei termini che si sarebbe aspettato. Parevano, chi più e chi meno, comprensivi nei suoi riguardi. Qualcuno sollevò un lecito dubbio: una volta informato il comando di terra, ci sarebbe davvero stato il disarmo dell’Héros? Avrebbero dovuto davvero dire addio alla loro casa da diversi anni? Dividersi gli uni dagli altri e chissà se si sarebbero più trovati tutti insieme – militari, marinai, mozzi e chi altro – a solcare il mar Mediterraneo? E anche quella donna, quell’assurdo capitano i cui sforzi nei mesi avevano dato i frutti sperati. Se non erano stati fatti prigionieri tutti subito, se qualche superstite c’era era grazie alle interminabili ore di esercitazioni a cui li sottoponeva da che era arrivata.

Alain si avvicinò ad André, senza farsi notare troppo. Si appoggiò con la schiena al suo stesso muro e gli parlò a bassa voce, per non essere udito dagli altri.

“Se dovesse esserci il disarmo e il Capitano venisse mandata su un’altra nave…”

“La seguirei, Alain.” replicò l’amico, senza distogliere lo sguardo dal gruppo. - Come ho sempre fatto.

Sentì una fitta al braccio, ma non si lamentò. Si strinse nelle spalle e ascoltò la conversazione intorno a loro.

Il guardiamarina prese a osservarlo con costernazione. Doveva esserne veramente molto innamorato, oppure completamente pazzo, per essere certo di voler cambiare vita ancora una volta per lei.

Evitò di porlo davanti all’ipotesi che sapeva essere la più caldeggiata dal comando di terra, sarebbe stato inutile. Avrebbe detto addio alla Marina Reale in cinque minuti se l’avessero congedata, anche solo per tenerle compagnia in attesa di trovarsi da fare.

Molto innamorato, o completamente pazzo. Forse entrambe le cose.



Oscar trovò finalmente la giacca. Appoggiata al tavolo della propria cabina, un po’ stropicciata e logora ma tutto sommato intatta. Era comunque piazzata meglio di quanto non si sentisse lei stessa. La indossò di nuovo, con somma fatica, e si domandò fin dove l’avrebbe sostenuta il corpo se avesse continuato a spingersi così tanto oltre il limite. Quella, però, era la sua vita da che ne aveva memoria e non l’avrebbe scambiata con null’altro. Trovò il nastro nero in una tasca e solo in quel momento si accorse di avere i capelli sciolti. Guardò il pezzo di stoffa e lo ripose dove lo aveva trovato. Non era una priorità in quel momento.

Nel trambusto generale, per quale motivo c'era ancora quella strana sensazione di vuoto, lì sopra allo stomaco, che bruciava nel petto e si insinuava in ogni fibra del suo corpo? Lei voleva restare da sola, dannazione, da sola per riflettere sugli errori che aveva commesso! No. Voleva restare da sola con André. Non c'era altra cosa al mondo che volesse di più che non stare in sua compagnia. In silenzio, immobili, ma insieme. Oscar aveva preferito rientrare in cabina senza André accanto e l'altro non aveva insistito per rispettare i suoi spazi e i rispettivi ruoli, ma si trovò ad ammettere che i suoi spazi lo vedevano incluso da sempre.

Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il flusso di coscienza. Quando ebbe il permesso di entrare si materializzò con l'aspetto dei suoi ufficiali. Li aveva fatti chiamare da chi aveva incrociato sul ponte, nel tragitto di ritorno dagli alloggi. Preferiva parlarci lì, dove c’erano più spazio e meno danni. In effetti, pareva che quasi nessuno si fosse avventurato fin laggiù.

I volti di quei tre uomini ricoperti di ferite e lividi erano resi ancora più scuri da espressioni costernate e dismesse, come se le sgradevoli notizie che dovevano darle li toccassero personalmente. O toccassero lei. Oscar li guardava immobile, appoggiata allo schienale della sedia, e prima ancora di sapere cosa avessero da dire aveva già capito il contenuto di quei fogli che tenevano in mano.

"Abbiamo—" esordì il Maggiore, la voce grave e contrita, perfino a disagio nonostante fosse un compito che aveva purtroppo dovuto svolgere altre volte.

"Quanti sono?" lo interruppe il Capitano senza mezzi termini. Li invitò a sedersi, per parlarne meglio, e quando si accomodarono vide meglio in che condizioni versassero. Pietose, come prevedibile.

"L’elenco che vedete su questi documenti non è esaustivo.” proseguì De Valeau, “Non possiamo averne ancora certezza, alcuni saranno finiti in mare…”

“Ebbene?”

“Abbiamo perso metà equipaggio, Capitano. Uomo più, uomo meno.”

Metà equipaggio.

"Perlopiù marinai, essendo i più numerosi a bordo..." ma a quelle parole Oscar serrò la mente come per istinto.

André. Lui sarebbe potuto essere in quelle liste e non c’era soltanto perché il destino non aveva voluto mettercelo. Eppure la sola ipotesi le procurava un dolore lancinante al cuore. Gli ufficiali però proseguirono, dando un quadro generale delle conseguenze dello scontro.

Il loro superiore ascoltava senza proferire verbo, incapace di spiegarsi come fosse stato possibile perdere tutte quelle persone e averne altrettante ferite nonostante le esercitazioni a cui tutti prendevano parte con attenzione.

La voce nella sua mente ripeteva che sarebbe dovuta uscire prima dalla cabina anche se stava male, che era stata una leggerezza seguire il consiglio del medico nonostante la febbre perché i suoi uomini avevano bisogno di lei e ora duecentocinquanta vite erano state gettate nel vento perché aveva pensato al proprio bene invece che a quello della nave.

"Capitano, vi debbiamo dire un'altra cosa." provò a riferirle D’Audiffret lasciando il foglio sulla scrivania, benché lo vedesse da solo che era come parlare a un muro.

Dal fondo del corridoio si sentirono dei passi avvicinarsi e poi interrompere il cammino dopo pochi istanti.

"Prego..." lo esortò il suo superiore. Non c'era bisogno di tanta attesa, aveva imparato che le notizie vanno date immediatamente per attutire il troppo dolore che avrebbero provocato.

"Capitano, nell'elenco delle vittime troverete anche..." Era difficile perfino per gente navigata come loro, uomini di mare che non si lasciavano toccare da nulla e da nessuno, ma dovevano farlo. "C'è anche Philippe."

La sorpresa si palesò attonita sul viso di Oscar in tutta la sua tristezza. Philippe. Il più giovane degli uomini a bordo, lui che a stento poteva essere considerato un uomo, che non avrà avuto neanche di che farsi la barba, il ragazzino sempre pronto all'avventura che si era divertito durante l'ammutinamento, che aveva bisogno del suo aiuto per scrivere...

Percepì chiaramente il cuore frantumarsi e una morsa allo stomaco contorcerla fino a toglierle il fiato. Quindici anni. La mente volò a Charlotte, al piccolo Pierre a cui ora si aggiungeva anche Philippe, uniti nella drammatica sorte di non poter diventare grandi.

Respirò profondamente, come impossibilitata a fare altro. Forse le stava salendo di nuovo la febbre o forse era il contraccolpo della notizia, ma sentì improvvisante caldo e subito dopo un brivido freddo. Passò una mano sulla fronte madida di sudore, oltre i capelli. Era calato il silenzio nella cabina, poi De Chabon riprese con un filo di voce:

"Non andate nella stiva, Capitano. Ne abbiamo sistemati alcuni là dentro, molti altri sono sulla nave maltese. Non andate a controllare, fidatevi. In special modo—" la frase venne bruscamente abbandonata lì, per non dar corso alle emozioni che avrebbero preso il sopravvento.

"Cosa gli hanno fatto?" domandò Oscar nell'incoscienza del momento difficile.

"Non volete saperlo."

"Sono il vostro superiore, dovete dirmelo." La sua voce non aveva alcuna inflessione, pronunciava le singole sillabe come se non provenissero nemmeno dal proprio corpo.

Quindici anni. Aveva una fidanzata a terra. Ora lo doveva riportare a casa con il cuore immobile nel petto, sempre che lo avesse ancora.

"Prima di ucciderlo lo hanno massacrato di botte, infine è stato freddato con un colpo di pistola in pieno volto. Sono arrivato in tempo per evitare che lo gettassero in acqua, ma forse..."

"Basta così." concluse lei e si diresse fuori a passi lunghi senza aggiungere altro, con la spada ancora nel fodero raccolta dal mobile accanto alla porta all'ultimo.

Percorse il corridoio accecata dalla frustrazione, la stessa che l'aveva investita non appena il dottor Lassonne aveva constato la perdita dell'occhio sinistro ad André. Ma questa volta non si trattava di Bernard Châtelet, non era di un uomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri che voleva vedere il volto per avere vendetta per il proprio amico più che giustizia. Pretendeva di avere tra le mani la faccia del criminale che aveva ordinato di stroncare la vita ai suoi uomini, compreso un ragazzino.

Passo dopo passo, l'ira cresceva al punto che chiunque se la trovasse davanti si spostava rapidamente senza neanche il bisogno di ricevere la richiesta. Imboccò la rampa di scale che conduceva ai livelli inferiori della nave, il Maggiore da lontano provava a chiamarla ma sembrava diventata sorda.

Quando arrivò all'ultimo gradino, però, fu costretta a fermarsi. L’uomo l’aveva raggiunta e, in uno slancio di eccessiva confidenza, le aveva messo una mano sulla spalla per obbligarla a prestargli attenzione. Benché la rabbia fosse tanta, un briciolo di razionalità riuscì a vincere.

"Dove volete di andare, Capitano?" domandò lui, ora davanti al suo superiore per sbarrarle la strada. Erano diversi mesi che non si permetteva più di parlarle con tanta fermezza e gravità nella voce, ma non c'era altro modo per trattarla in quel momento. L'avrebbe anche portata via di peso, se fosse stato necessario pur di non lasciarla sporcarsi le mani in quel modo.

"A risolvere ciò che avrei dovuto fare io se non fossi stata così debole da svenire mentre voi avevate bisogno di me!" gli urlò Oscar, che della compostezza del Capitano stava perdendo traccia.

"Pensate che andare a uccidere quella gente possa cambiare le cose? Al massimo mettereste la firma sulla fine della vostra carriera militare. Non ne vale la pena.”

L’altra distese gradualmente i muscoli tesi e abbassò le braccia lungo i fianchi. Aveva dimenticato di essere sul filo del rasoio. La spada di Damocle ora pendeva sulla sua testa.

Il Maggiore provò a farla ragionare ancora, per quanto ne valesse. “Se sono davvero al soldo del Re d’Inghilterra, è probabile che li rivorrà indietro. Ci sarà uno scambio di prigionieri, prima o poi, e sapete che i rapporti tra le due nazioni sono tesi.”

“Uno scambio di prigionieri, dite?”

Tutta quella situazione la stava confondendo. Per un attimo ebbe il dubbio di essere in un incubo. Era un soldato esperto, come poteva non seguire a pieno il suo discorso?

“Sono corsari, Maggiore. Se ne troverà altri!”

“Fidatevi di me. Perdonate la sincerità, ma questa volta non potete fare di testa vostra. Ogni sovrano ha bisogno di occasioni del genere.”

"Spostatevi, per favore. È un ordine.”

L’ufficiale si fece di lato per lasciarla passare, ma lei, sorprendentemente, non proseguì molto. Riprese a guardarlo dal corridoio. Doveva dargli fiducia, era l’unica soluzione: aveva un’esperienza diversa, sapeva ciò di cui parlava. A modo proprio, avrebbe seguito il suo consiglio.

“Faremo così:” esordì Oscar, definitiva “adesso voi tre mi accompagnerete nelle prigioni. Porteremo quella donna nella mia cabina, voglio interrogarla. Da sola. Voi rimarrete fuori, per sicurezza.

I due tenenti, nel frattempo, li avevano raggiunti e ascoltavano il da farsi con attenzione. C’era un po’ troppa tensione nell’aria per sbagliare qualcosa. Annuirono convinti.

“Quanto ai loro ostaggi, chi sono?”

Prese di nuovo parola De Chabon. “Sono tre uomini, una donna e tre bambini maschi. Sono spagnoli. La loro nave è stata affondata da quei pirati.”

“Dove si trovano?”

“Li abbiamo sistemati nelle nostre cabine, ma credo si trovino in infermeria adesso…”

Il Capitano soppesò quelle parole. Una soluzione valida ma troppo di fortuna. “Intendo parlare anche con loro, quando avrò finito. Farò sistemare la donna e i bambini nella mia cabina. C’è sufficiente spazio per tutti1.” Si voltò di scatto. “Ora andiamo.”

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Note: 
1) Come potete vedere in questo post, la cabina del capitano era un luogo davvero grande e c'era spazio a sufficienza per ospitare qualcuno.
   
 
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