Capitolo 29
La battaglia per Gaia - Parte II
Akenet vide Adel sbucare dalle fronde di un ampio cedro e fare un cenno circolare con la mano che indicava che gli uomini di Razel erano in posizione.
Si guardò indietro per essere sicuro di avere le spalle coperte e nel vedere Azaele combattere da solo contro Zamesh, impallidì. «Ma porc… è impazzito il cuginetto?»
Ma non aveva tempo di preoccuparsi più di tanto per il cugino perché doveva pensare a distrarre l'attenzione dei Centauri dalle truppe di Razel, pronte ad attaccare. Sperò che Azaele fosse in grado di uscire sano e salvo dalla situazione in cui si era cacciato e dopo aver ordinato ai suoi demoni di attaccare, si concentrò per trovare il comandante dei Centauri, l'anziano e saggio (probabilmente l'unico saggio tra i Centauri) Chirone.
Lo individuò al centro di una piccola radura, mentre dava ordini a un gruppetto di guerrieri che sparirono in mezzo agli alberi. Aveva il manto bianco schizzato di macchie nere, il petto muscoloso protetto da un’armatura leggera e i polsi circondati da larghi bracciali di cuoio, chiodati. Il viso dallo sguardo fiero era incorniciato da una folta barba più bianca che grigia, il capo era coperto da un elmo dorato dal quale uscivano lunghe ciocche di capelli candidi. Come gli altri centauri oltre all’arco, era armato anche di una lunga spada che gli pendeva sul fianco destro.
Akenet non aveva un gran desiderio di attaccarlo, perché ne aveva sempre avuto rispetto, ma se fosse riuscito a sconfiggere l’unico che riusciva a farsi obbedire da quel branco di ubriaconi e attaccabrighe, sicuramente i Centauri si sarebbero dispersi o comunque avrebbero cominciato a combattere senza una strategia, diventando facili prede delle truppe di Akenet e Razel.
Chirone, non appena si accorse di Akenet, alzò il suo arco e iniziò a scoccare una freccia dopo l'altra, ma l'Arcidiavolo era giovane e veloce, per cui riuscì a evitare le frecce infuocate e arrivare di fronte al suo nemico che gettò l’arco e sguainò la spada.
«Bentrovato, Akenet, sapevo di essere diventato troppo vecchio per riuscire fermarti solo con le mie frecce»
«O forse non sei convinto di combattere dalla parte giusta, vecchio?» replicò l'Arcidiavolo.
«Dopo una certa età, capisci che in guerra non ci sono una parte ingiusta e una giusta. È solo una questione di potere, o vorresti farmi credere che combatti per un ideale?»
«Al momento, combatto per evitare che Zamesh ammazzi la moglie di mio cugino e rapisca suo figlia, mi sembra un motivo che poco ha a che fare con il potere.»
«Non mentire a te stesso, tu vuoi dimostrare di essere più forte di Zamesh perché se se vincesse, ottenendo la gloria di aver portato con sé all'Inferno il piccolo Alfiere del male, temi che Lucifero possa premiarlo assegnandogli il tuo trono.»
«Zamesh non vincerà, anche se può contare sulla sua crudeltà e su un maggior numero di soldati: crudeltà e quantità sono nulla, senza una buona strategia» sbuffò Akenet.
«Ritieni di essere uno stratega migliore di lui?» domandò Chirone con una punta di ironia.
Urla di rabbia alle sue spalle risposero alla sua domanda al posto dell’Arcidiavolo: Razel era passato all’attacco su indicazione di Adel.
Chirone assistette, non troppo sorpreso, alla reazione scomposta dei suoi Centauri che, presi alla sprovvista, non riuscivano a opporsi alle truppe di Razel. «Idioti» pensò tristemente vedendoli galoppare da tutte le parti e lanciare frecce a caso che finivano dappertutto, tranne che sui loro nemici.
Il suo attimo di distrazione permise ad Akenet di saltargli in groppa e stringergli un braccio intorno al collo. «Arrenditi!» gli suggerì minacciandolo con la sua spada «non ha senso morire per questi idioti e ancora meno per Zamesh!»
Chirone si domandò se Akenet non gli avesse letto nel pensiero, ma per quanto concordasse con quel giudizio poco lusinghiero, non poteva abbandonare i suoi soldati né lasciarsi disarmare così facilmente, ne andava del suo amor proprio. Approfittò dell’esitazione dell’Arcidiavolo, che era evidentemente restio ad ucciderlo, per impennarsi, riportare a terra le zampe anteriori e scalciare con forza.
Akenet, nonostante fosse pronto a una simile reazione, per mantenersi in equilibrio sul dorso di Chirone, dovette stringere la presa sul suo collo con il braccio destro e allungare il braccio sinistro che reggeva la spada, così facendo, però, scoprì la spalla colpita dal raggio di luce di Gabriel.
Chirone, che era stato informato da Eymerich del punto debole di Akenet, colse l’occasione per voltarsi di scatto e affondargli i chiodi di entrambi i bracciali nello spazio tra corazza e spallaccio, riaprendo la ferita non ancora cicatrizzata del tutto.
Akenet emise un gemito soffocato e Chirone lo colpì ancora, chiamando rinforzi.
Akenet, fu costretto a lasciare la presa e allontanarsi dal Centauro. La ferita gli faceva troppo male per continuare a combattere da mancino, così fu costretto a impugnare la spada con la mano destra, appena in tempo per difendersi dall’attacco di un drappello di centauri che avevano risposto alla chiamata del loro comandante.
I primi due, che avevano avuto il coraggio di attaccarlo uno alla volta, furono abbattuti senza molti problemi. Gli altri, meno coraggiosi, gli si gettarono addosso tutti insieme. Akenet, troppo dolorante per poterli respingere usando la spada e ormai poco incline a combattere onorevolmente, decise che era arrivato il momento di ricordare ai suoi nemici che avevano di fronte un Arcidiavolo. Strinse la spada fino a renderla incandescente e iniziò a rotearla intorno alla sua testa. Sui Centauri si abbatté un vortice di fuoco e lava, che in pochi istanti li costrinse alla fuga, doloranti e con le code in fiamme.
Chirone e Akenet rimasero di nuovo soli a sfidarsi con lo sguardo.
Il Centauro avrebbe potuto attaccare, ma guardandosi intorno si rese conto della disfatta del suo esercito, ormai completamente disperso in mezzo alla boscaglia.
«Infine, devo riconoscere che sei sempre uno dei migliori generali infernali, Akenet. Forse questa battaglia la vincerai davvero» ammise, rinfoderando la spada e voltando le spalle all'Arcidiavolo per ritirarsi, ormai sconfitto, e sparire in mezzo agli alberi.
Akenet non replicò, non c'era molto da dire e comunque non ne aveva la forza. Cadde in ginocchio, ansimando per il dolore.
«Tutto bene?» Domandò Razel atterrando al suo fianco.
«Chirone mi ha colpito la spalla ferita, è evidente che doveva essere stato informato da qualcuno che conosceva il mio punto debole» rispose l’Arcidiavolo.
«Sarà stato Eymerich, m'è sembrato di averlo riconosciuto nascosto in mezzo ai cespugli di alloro, un vero esempio d’eroismo e spirito de sacrificio!»
Akenet si guardò intorno teso. «Adel?»
«Sta bene. L'ho mandata ad informare Gabriel che qui abbiamo finito. È coraggiosa la ragazzetta» rispose Razel porgendo una mano ad Akenet per aiutarlo a rialzarsi.
L’Arcidiavolo accettò l'aiuto di Razel. «Lo so» rispose.
Razel sorrise.
«Se posso, me sa che le converrebbe rientrare e farsi ricucire. Abbiamo vinto 'na scaramuccia, ma la battaglia è tutt'altro che conclusa.»
Akenet osservò la ferita da cui continuava a uscire sangue. «Hai ragione. Conciato così non posso essere di molto aiuto. Informa Gabriel e Safet che sono costretto a rientrare nel B&B per farmi richiudere la ferita dall’umana con i capelli rossi»
«Se chiama Catherine»
«Quel che è» tagliò corto l’Arcidiavolo alzandosi in volo.
Akenet sbuffò contrariato, a causa della ferita il suo atterraggio non era stato dei migliori. avanzò verso l’entrata del B&B, ma non appena aprì la porta si ritrovò una spada puntata alla gola, era Renzo Galletti che si era spartito con Yetunde, Alissa e Elena, le entrate da controllare.
«Levami questa lama dalla gola… umano» sibilò contrariato.
Renzo sussultò e ritirò la spada. «Mi scusi, non l’avevo riconosciuto, Signore».
L’Arcidiavolo torse leggermente le labbra in un’espressione a metà tra “non fa niente” e “idiota”. Renzo decise che era meglio tenersi il dubbio su cosa intendesse realmente Akenet e si fece da parte per farlo passare.
«Se cerca Catherine, credo sia impegnata con Alba. La bambina ha deciso di nascere.»
«Proprio adesso?»
«I bambini quando decidono che è arrivato il momento non hanno pazienza!»
«Fantastico!» grugnì l’Arcidiavolo.
«In ogni modo, provi lo stesso ad andare in infermeria, sono tutti lì e…»
Akenet lo interruppe. «Tutti chi?»
«Catherine, Alba, Aurora, il ragazzino demone e Azaele, che ha portato una demone ferita gravemente…» Akenet alzò il sopracciglio sinistro.
«Comunque, può darsi che ci sia ancora un po’ di tempo per curarle quella ferita. Vada sempre dritto per questo corridoio e poi giri a destra. Troverà una porta con attaccato un cartello verde con una croce bianca e la scritta “infermeria”, non può sbagliare.»
«Direi proprio di no, a meno di essere un imbecille» pensò Akenet che comunque mugugnò un «grazie» e mosse un passo verso l’infermeria per poi fermarsi e domandare incuriosito «Da dove salta fuori la tua spada?»
«Da un’altra vita... letteralmente. Quattrocento anni fa mi è servita ad ammazzare un certo Inquisitore che aveva distrutto la mia famiglia!»
Akenet rimase senza parole.
«Qualche mese fa, ho ricordato il luogo esatto in cui sono stato ammazzato. Ho fatto una “gita” da quelle parti e scavato un po’ di qua e un po’ di là, e a un certo punto è saltata fuori. Incredibile, vero? Sembra quasi che qualcuno abbia un piano preciso per noi tutti!»
Akenet impallidì impercettibilmente. «Potresti aver ragione, niente è mai per caso!» sentenziò, lasciando Renzo a domandarsi da chi avesse già sentito quell’affermazione.
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All’interno dell’Infermeria regnava un certo nervosismo. Alba, seduta su uno dei lettini, sudava e si lamentava in preda a dolorosissime contrazioni, Azaele le stringeva una mano cercando di confortarla, mentre Catherine, aiutata da Aurora e Merlino, era impegnata a curare le ferite di Aluarel, distesa su un altro lettino e priva di conoscenza.
L’entrata di Akenet determinò un istante di silenzio. L’Arcidiavolo si rivolse ad Azaele e Alba «Va tutto bene, continuate pure.»
«Anche perché non è che se ci dici di smettere, la bambina cambia idea, eh!» Strillò Alba, provocando la risata soffocata di Azaele e Merlino e uno sguardo leggermente attonito di Akenet che non era abituato a sentirsi rispondere in quel modo ma, vista la situazione, pensò bene di lasciar perdere e di rivolgere la sua attenzione a Catherine.
«É molto grave?» domandò osservando il corpo martoriato di Aluarel.
«Si, è stata ustionata gravemente dai fulmini di Zamesh, sto cercando di fare il possibile, ma non so se ce la farà» sospirò Catherine, inserendo un ago nel braccio della demone.
«A che serve?» domandò l’Arcidiavolo incuriosito.
«A idratarla e allo stesso tempo iniettarle degli antidolorifici. Ora attacco l’ago al tubo della flebo e speriamo che… si, insomma, anche se non è umana, possa aiutarla» spiegò Catherine che in quel momento si accorse della spalla insanguinata di Akenet. «La sua ferita si è riaperta! Non stia lì in piedi, si sieda sul letto, arrivo subito anche da lei.»
Akenet osservò Aluarel rantolare e fece un cenno ad Aurora per farle capire che voleva sedersi al suo posto. Aurora si alzò e Catherine, impegnata a preparare la flebo, stava per dirgli che intendeva l’ultimo lettino ancora libero, ma Aurora, che aveva intuito le intenzioni di Akenet, scosse la testa facendole capire di non intervenire.
L’Arcidiavolo passò una mano lungo il corpo della demone. Le ferite si rimarginarono solo parzialmente e Aluarel non smise di rantolare. «Zamesh voleva uccidere nel modo più doloroso possibile, ha messo in quei fulmini tutta la sua forza. Forse, se fossi intervenuto prima, avrei potuto aiutarla, ora è troppo tardi.»
«Ma tu sei molto più forte di Zamesh, lo hai dimostrato salvando Safet, non è possibile che non riesca ad aiutare anche lei!» esclamò Azaele.
«Safet è un Arcangelo, cuginetto, la sua forza è immensamente più grande di quella di una demone comune come Aluarel. I fulmini hanno attraversato il suo corpo, distruggendo tutto ciò che hanno trovato. Ho curato fin dove ho potuto e l’intervento dell’umana può essere utile a lenire il suo dolore, ma purtroppo non possiamo fare molto altro per lei. La sua morte è vicina. Mi dispiace, in fondo la stimavo, non tutti avrebbero avuto il coraggio di liberare uno dei miei dannati o di voltare le spalle a Zamesh.»
«É tutta colpa mia, sono stato un irresponsabile, attaccandolo ho solo ottenuto di farlo infuriare e questo è il risultato.» si lamentò Azaele sopraffatto dal dolore per essere stato la causa delle ferite mortali di Aluarel.
«Se tu non lo avessi distratto, Zamesh si sarebbe accorto della mia manovra per sorprendere i Centauri e forse non li avremo sconfitti, o comunque non così facilmente. Hai agito senza riflettere, come la maggior parte delle volte, ma in definitiva hai fatto ciò che dovevi. Se questa demone sta morendo non è colpa tua, ma di chi ha lanciato i fulmini che l’hanno colpita.» rispose Akenet.
Una voce roca e irriconoscibile intervenne nella discussione. «Lui pagherà anche per questo crimine!» Era Alba, i cui occhi, umidi di lacrime di rabbia e di dolore, erano diventati rosso carminio.
Azaele, un po’ impressionato, cercò di tranquillizzarla. «Tesoro, non innervosirti, non credo sia il caso, nelle tue condizioni!»
«Quali condizioni?» ringhiò lei.
«Uh, beh… ecco…» balbettò lui.
«É colpa tua se sono in queste condizioni! Almeno stai zitto.. Aaah, che male!» urlò Alba. «Catherine, fa qualcosa! Oddio che maleeeee!»
Catherine si avvicinò con fare professionale, lanciò un’occhiata ad Azaele per fargli capire che era il caso di allontanarsi e sollevò il lenzuolo che copriva le gambe di Alba per controllare la situazione.
Akenet guardò allibito suo cugino e indicò Catherine «Ma che sta facendo?»
Sul muro di fronte a lui apparve una scritta infuocata. «Non ha mai visto nascere un umano, Signore? Sta, ovviamente, controllando la dilatazione dell’utero per capire se il bambino sta per uscire! »
L’Arcidiavolo era così sconvolto che non si rese neppure conto del tono canzonatorio di Merlino.
«La dilatazione è elevata, siamo vicini al momento. Alba tieniti pronta!»
«Non ricordo che nessuno abbia frugato la… la… cosa di zia Gala, quando è nato Azaele!»
«Perché eri presente e com’è stato?» domandò stupito Azaele.
«Aaah, non mi interessa per niente sapere come funziona la gnagna degli Arcangeli!» urlò Alba.
«Tesoro, non essere volgare!»
«Aurora, portalo fuori da qui o giuro che lo ammazzo!» ruggì Alba, con voce da oltretomba, iniziando a sprizzare fiammelle dalle mani.
Aurora prese Azaele per mano e lo trascinò fuori dall'infermeria socchiudendo la porta.
«Ma, Aurora…» si lamentò lui.
«Non preoccuparti», rispose lei sorridendo, «è solo un pò stressata, vedrai che quando sarà il momento, ti vorrà di nuovo al suo fianco!»
Nel frattempo all’interno dell’infermeria Catherine era riuscita a tranquillizzare Alba e dedicarsi a pulire e richiudere la ferita di Akenet.
La calma però durò poco perché Alba ebbe una contrazione fortissima e la sensazione che il parto fosse ormai iniziato.
«Catherine, sta nascendo!»
La ragazza, corse subito da lei per controllare. «Hai ragione, è arrivato il momento!» confermò.
«AZAELE! DOVE DIAVOLO SEI!» chiamò Alba.
«Sono qui tesoro» rispose lui materializzandosi al suo fianco.
Da quel momento la situazione intorno ad Alba si fece alquanto confusa, o almeno così parve ad Akenet che non riuscì a capire nulla di quanto stesse succedendo a parte che di punto in bianco, si ritrovò a stringere una neonata, avvolta in un lenzuolo e sporca di sangue e di altri liquidi disgustosi, che qualcuno, forse Aurora, gli aveva piazzato in braccio dicendo «Tienila un attimo tu, mentre aiutiamo Alba» o qualcosa di simile.
Dopo un primo momento di indecisione, valutò che non poteva farsi sfuggire una simile occasione per cui arretrò silenziosamente fino a trovarsi fuori dall’infermeria, richiuse delicatamente la porta e si diresse verso uno dei bagni al piano. Lavò la bambina, la poggiò su un fasciatoio per piccoli umani (almeno così sembrava dal cartello esplicativo), la avvolse con attenzione in un asciugamano pulito e poi la prese in braccio il più delicatamente possibile, considerando che aveva ancora indosso l’armatura.
Uscì in giardino e dopo aver preso l'aspetto demoniaco per resistere meglio a eventuali attacchi, spalancò le ali per volare via e portarsi la piccola all'Inferno, presentarla a Lucifero e mettere fine a quella stupida battaglia fratricida.
Prima di alzarsi in volo le diede un'occhiata per assicurarsi che andasse tutto bene e vedendola placidamente addormentata non riuscì a resistere alla tentazione di accarezzare una guancia paffutella. Gaia aprì gli occhi, lo guardò incuriosita e gli strinse un dito artigliato tra le dita della manina.
Qualcosa in quello sguardo e in quella stretta provocarono ad Akenet una fitta al cuore così tremenda da fargli piegare le ginocchia.
Un antico dolore lo avvolse come miele e l'Arcidiavolo, che non aveva più versato una singola lacrima da quando i suoi genitori lo avevano abbandonato, pianse in ginocchio sull’erba fresca.
Pianse tutte le lacrime che non aveva pianto, pianse e pianse, fino a non averne più, di lacrime.
Quando finalmente si riprese capì che non poteva farlo, non poteva far provare a quell'esserino indifeso lo stesso dolore che aveva provato lui quando si era reso conto di essere stato abbandonato, quel dolore che aveva finito per fargli odiare la vita e trasformarlo in uno stronzo rabbioso e insensibile. Si asciugò le lacrime con una mano, guardò la bambina imbarazzato per averle mostrato il suo lato più debole, o sensibile, a seconda dell’interpretazione e disse. «Facciamo un patto, io ti riporto indietro, ma quello che hai appena visto rimane tra noi, ok?»
La piccola fece un sorrisetto soddisfatto e Akenet pensò che somigliava terribilmente ad Azaele. «Mi sa che tu e lo stupido cuginetto mi avete appena fregato» commentò sospirando.