La condanna
Mahati fissò il fondo amaranto del calice, vagliando il resoconto appena udito.
«Ripagare le mie attese con una menzogna non gioca a vostro favore.»
Shaeta trasalì quando gli occhi chiari si posarono su di lui avvalorando la durezza dell’accusa. Fece per ribattere, ma l’altro lo fermò con un cenno.
«Capitano Dasmi, cosa riferite in proposito?»
L’interpellata s’irrigidì nella posa formale, la mente febbricitò a caccia di una scusa. Il ragazzo minkari, inginocchiato alla sua sinistra, non mostrava incrinature, come se le vene a decantare il retaggio daama fossero le sue: confermarne la versione lo avrebbe ucciso, confutarla avrebbe portato domande cui bramava non rispondere.
Chi se ne importa di lui!
La lingua si mosse a prescindere dalla mente.
«Un malinteso, mio signore, il prigioniero ha scambiato un duello amichevole per un’aggressione ed è intervenuto secondo i suoi costumi.»
«Amichevole?» Mahati levò l’indice a evidenziare le fasciature di lei.
«E-Ecco, nel tentativo di fermarli…»
«Reikan, rammentate il codice ai vostri sottoposti prima che il demerito si sommi alla scomoda posizione.»
«Assumo l’onere dell’accaduto e chiedo di conferire in privato» replicò Valka.
«Inaudito» sibilò Taygeta tra le zanne.
Gli altri generali scambiarono occhiate perplesse ma non si espressero.
Mahati strinse le palpebre, analizzando l’eterogeneo terzetto ai suoi piedi.
«Lasciateci» ordinò a sorpresa.
Una volta a tu per tu, Shaeta anticipò i compagni.
«Non capisco perché mi tacciate di falsità né perché il capitano tenti una mediazione non richiesta!»
«Come io non comprendo come mai un ragazzino alle prime armi abbia battuto un membro dell’élite, un reikan appaia in apprensione per le sorti di un ostaggio e una guerriera venga sopraffatta dalla paura. E soprattutto chi di voi stia proteggendo chi. Percorrendo tale via vi trasformerete in un cadavere, un degradato e una dorei.»
«Decapitate me e lasciate in pace loro!» gridò l’erede minkari.
«Rendo i gradi!» esclamò Valka all’unisono.
Mahati inarcò un sopracciglio ed emise una breve risata.
«A quanto pare siete l’anello debole della catena, capitano Dasmi. La verità. Ora.»
La giovane deglutì, poi per la seconda volta le parole si staccarono dalla volontà.
«Ho sorpreso il mio promesso sposo in flagrante adulterio, ho preteso lo scioglimento degli accordi, ma lui ha cercato di uccidermi per tutelare la propria immagine.»
«Kayran è risultato indegno in più occasioni» Valka omise l’onorifico «Il capitano ha pazientato per non disobbedire al clan, era disposta ad accettare l’alleanza familiare, non un marito privo di šokai. Non ho fatto rapporto e non sono intervenuto su richiesta dell’interessata, il mio allievo non era tenuto a farlo.»
«Interessante» mormorò il Šarkumaar «Ma non spiega come questi abbia avuto la meglio né come voi, capitano, non vi siate difesa. Quelle ferite provano la vostra netta inferiorità.»
Valka risparmiò alla compagna la risposta avvilente.
«Perché il ragazzo ha appreso i miei insegnamenti ed è valente. Una testa calda ma schietta.»
Mahati scrutò negli occhi del nemico con lieve ironia.
«Non vi dispiace incrociare con me, vero?»
Shaeta avvertì i capelli rizzarsi sulla nuca quando lo vide sguainare.
«N-non sono in grado di battervi, è stato fortuito…»
Il Kharnot afferrò Dasmi per i capelli e le pose la lama alla gola.
«Così muto la vostra disposizione d’animo?»
«Non credo siate come Kayran.»
«Già, a differenza sua non subirei alcun processo.»
Un rivolo di sangue scese lungo il collo della ragazza, che si morse le labbra per non emettere suono, gli artigli del principe khai affondarono lenti nella spalla martoriata.
Valka fremette nello sforzo di tenere la mano lontana dall’elsa, tuttavia l’angoscia emanò incontrollata. Shaeta estrasse all’istante.
Il duello iniziò in sordina, poi infuriò. Nessuno accorse al clamore, gli esigui spettatori non osarono fiatare.
«Il vostro tutore ha ragione, non ve la cavate male» concesse il Kharnot.
«Neanche voi» ansimò il più giovane.
I colpi serrati si susseguirono in crescendo, Shaeta indietreggiò ma non si sottrasse alla sfida. Il demone lo colpì di piatto, infierendo sui lividi ereditati dal combattimento antecedente, poi gli scalfì il dorso della mano.
«La vostra guardia lascia a desiderare.»
«Anche la vostra serietà, non vi state impegnando.»
Le lame stridettero in un’esplosione di faville, sottolineando come in una circostanza reale Mahati gli avrebbe tranciato un braccio senza fatica. Il ragazzo compensò con la forza di volontà, si sottrasse più volte all’apice della spada avversaria e provò ad attaccare nonostante la palese disparità. Non riuscì a bucare la difesa dell’altro, ammirando dal vivo ciò che tutti proferivano con adorazione.
Il principe khai lo disarmò, troncando la prova senza trasformarla in un’esecuzione.
«Scatenare la vostra ira vi costringe al meglio» constatò incolore «Non vi resta che spiegare come mai tenete tanto a una nemica.»
«I-Io non… non sopporto i prepotenti!»
«Diamola per buona» sogghignò Mahati «Quanto a voi, reikan, stavate per sfoderare in mia presenza, un atto imperdonabile pur contenuto.»
«Imperdonabile da parte mia, tuttavia queste due persone mi sono preziose.»
«Tanto da infrangere le leggi di Belker per cavare un’irresoluta da un’unione nefasta e un assassino dai guai?»
«Nae, Kharnot! Non scorgo né deboli né assassini, bensì la donna e l’amico che ho sempre desiderato.»
Il secondogenito scosse il capo.
«Certi sentimenti sono rischiosi, inoltre vanto infinite ragioni per punirvi e non alludo al caso presente» gli sciolse la decorazione dall’omero e la gettò nel braciere.
«Non è giusto!» si ribellò il ragazzo minkari.
«Silenzio! A meno che non decidiate di illustrare le sfumature che state serbando!»
«Nessuna sfumatura» ribadì Valka impassibile.
Lo sguardo di Shaeta s’incendiò: rispettare la decisione dell’altro e vederlo destituire era intollerabile. Sapeva che il distacco esteriore era mera apparenza, costringerlo a non solcare mai più i cieli era peggio della condanna a morte.
«Se è così, veniamo al resto» seguitò Mahati «Apprezzo il vostro coraggio e la vostra perizia, erede dell’Irravin, tuttavia risultate fonte di contrasti, pertanto deleterio. Vi declasso a shitai, perderete l’uniforme e il mio appoggio, infine sarete assegnato al servizio di un’altra tenda.»
«Non ho mai domandato la vostra pietà e non lo farò ora. Non vado fiero di ciò che ho fatto, ma starei peggio se non avessi agito» Shaeta armeggiò con gli alamari, iniziando a spogliarsi senza imbarazzo «Mutare abito non intaccherà ciò che sono né la riconoscenza per il mio mentore.»
«Ma inciderà sulla vostra sicurezza. Vi siete inimicato un clan potente e siete solo.»
«Avete un bizzarro concetto di solitudine. Sotto la divisa non siamo che uomini, vale anche per i Khai.»
Il Šarkumaar celò il sorriso d’approvazione approfittando di un cono d’ombra.
Dasmi abbassò la fronte a terra, stringendo i denti.
«Interpello con rispetto, sommo Kharnot, lasciatemi la custodia dell’ostaggio.»
Tre paia d’occhi saettarono a lei tra l’incredulità e lo sconcerto.
«Soffrite di nostalgia, capitano?» ironizzò Mahati.
«Nossignore. Passerei per un’insegnante incapace, sarebbe mortificante.»
«Non lo siete? Finirete nella medesima tenda, lì avrete modo di meditare sulle vostre discutibili doti guerriere e didattiche.»
«Mio signore, mi appello alla vostra generosità!» intercedé Valka.
«Conservare la pelle non vi è sufficiente?»
«No, perdonate l’ardire. Domando la mano del capitano Dasmi.»
«Non vi ho dichiarato shitai, siete ancora legato al vostro clan. Desiderate infangarlo introducendo una donna priva di status?»
«Con la mia predilezione la riporto agli insegnamenti di Belker. Chiedo inoltre che l’erede minkari mi venga affidato in qualità di sottomesso.»
«La faccia tosta non vi difetta, piuttosto m’interrogo su come nasca tale propensione per gli ostaggi nemici e gli schiavi.»
La tensione raggiunse l’apice all’implicita accusa di sovversione.
«Dal vostro esempio, mio signore.»
«Prego?!»
«Vostra altezza ha sposato una shitai salki in base al pregio.»
Mahati spalancò gli occhi, ignorando l’osservazione irriverente. Quel reikan prestava servizio nelle sue stanze, negare avrebbe offeso l’intelletto di entrambi. Inalò l’aria spazientito. Perseguire quei tre lo infastidiva più dell’albagia di Ŷalda, che esigeva vendetta a prescindere dalla verità dei fatti e brandiva i privilegi sociali come un’arma. Le troppe ruggini, dall’esecuzione di Althāri al suicidio di Rasalaje fino alla morte di Kayran, esponevano il trono a un rischio fatale e con Rhenn in quelle condizioni era come averlo già perso.
Se solo questa non fosse la goccia che farebbe traboccare il vaso…
«Non sta a me combinare i matrimoni, compreso il mio. La prescelta accetta?»
«Rifiuto!» Dasmi si espresse categorica.
Il rigetto detonò come ladi, gettando l’ambiente in un silenzio greve.
«Vi condannate alla sottomissione senza appello» considerò Mahati.
La ragazza annuì senza ritrattare.
«Sei impazzita?!» esplose Shaeta «Non hai più la scusa del clan altolocato, dell’addestramento prioritario o della spocchia che ti governa! Perché lo respingi?!»
«Voglio decidere da sola!»
«È il momento giusto per iniziare, mi congratulo!»
«Non prendo lezioni da te!»
«Moke! Siete alla presenza del Kharnot!» ringhiò Valka autorevole.
Lo stratega supremo incrociò le braccia sul petto: l’interazione tra i ragazzi, le loro emozioni rendevano trasparente la realtà, dolorosa poiché erano costretti a celarla per orgoglio, adesione al credo o dignitoso rispetto.
La loro vita è nelle mie mani, devo scegliere se è prioritaria rispetto alla soddisfazione pretesa da Ŷalda, che gli dèi lo annientino! Le leggi di Belker appaiono catene in un tempo in cui è possibile l’amicizia tra un prigioniero e un reikan, in cui un ragazzino sfida la sorte per i propri ideali e un innocente perde la libertà per proteggere la donna che ama… ahaki? L’ho pensato davvero?
Continuava a girarci intorno, studiava quel sentimento come una belva analizza un avversario potente, incerta sull’esito della caccia.
Un animale attacca perché ha fame. Vale anche per me? O per Rhenn, che a costo di mortificarsi non vuole smarrire l’affetto di Yozora? Lo capisco. Capisco mio fratello e ne sono turbato, impossibile persino per lui contenere sensazioni tanto vigorose, per le quali il nostro farmaco sarebbe uccidere o morire… sì, siamo maledetti dagli Immortali. Ma costoro no, non vanno condannati. Non per il mio ruolo di arbitro equanime, bensì perché non dovrei consentire che si estinguano nella disperazione.
Oggi fallisco difronte ad altre creature, emetto una sentenza ignorando la diplomazia a favore del cuore. Ormai detesto il gelo che mi è stato impartito, l’atarassia, il mero ufficio. E me stesso.
Shaeta strizzò gli occhi al dispettoso sole primaverile, imboccando un viottolo diverso dal solito. L’indolenzimento dovuto ai duelli lo appesantiva, eppure la stanchezza mentale superava quella fisica. Decise di scrollarsela di dosso.
«Perché mi hai baciato?» domando a bruciapelo.
Dasmi avvampò. Vederla senza uniforme era insolito, gli abiti civili la ringiovanivano, valorizzandone la bellezza naturale. Lo seguiva poco discosta con un fagotto tra le braccia, come una miserabile.
«Ho pensato stessi per morire» borbottò incerta.
«Ah, elemosina. In effetti il riguardo non è da te.»
«Ienaarak! Hai fatto lo stesso!»
«Non finirò mai di pentirmene!»
La ragazza abbassò lo sguardo, i passi persero vigore. Si fermò in mezzo al sentiero.
«Rallegrati, è stata l’ultima volta in cui ho potuto scegliere.»
L’immagine di Evlare saettò nella mente del ragazzo, facendolo sentire in difetto.
«Sai cosa detesto di te?!» sbottò «Che riesci aggressiva anche quando sei patetica!»
Lei lo guardò, gli occhi verde chiaro brillarono di mestizia ma la voce fendette l’aria.
«Puoi coniare insulti peggiori, non sposerò Valka. Scaricare su di me la frustrazione è puerile, è… da te!»
«Invece scartare la possibilità che ti ha offerto è geniale!»
«Onesto! Non provo nulla per lui!»
«Come per il resto dell’universo, a eccezione di te stessa. È assurdo preferire gli ordini di uno sconosciuto all’affetto di un uomo che ti adora!»
«Un Khai non ama!»
«Questo lo sa anche Valka!»
«Perché t’importa tanto!? Perché vuoi che scelga lui, perché ti intrometti!? Tutto ciò non ha nulla a che vedere con te!»
Shaeta la fissò in silenzio, le labbra serrate in una smorfia rabbiosa.
«Già» mormorò riprendendo a camminare.
Quando raggiunsero il luogo cui erano destinati, i barlumi di riscuotere un trattamento dignitoso si estinsero: i vessilli sul padiglione appartenevano al clan di Ŷalda e i gradi del proprietario erano appena inferiori a quelli di reikan. Avrebbero servito un ufficiale giovane, certo meno tollerante di un guerriero avvezzo agli shitai.
«Avresti dovuto lasciare che Kayran mi uccidesse» esalò Dasmi.
«Sei ancora in tempo a provvedere.»
Il principe esitò solo un istante, poi oltrepassò i drappi a testa alta.
L’interno era sobrio ma gli arredi erano di fattura pregiata, indice dell’agiatezza della famiglia del proprietario. Quando nessuno li accolse, dedussero di essere i primi shitai assegnati a quell’ufficiale e il nervosismo increbbe.
«Vorrà esibire il titolo conseguito, terrà la mano pesante» sospirò la ragazza.
«Sono allenato a te, la cosa non mi turba.»
«Che idiozia, non hai ucciso un mio parente!»
«Stai ammettendo angherie immotivate.»
«Non ti azzardare…»
Dasmi rinunciò alla lite allo sguardo graffiante di lui, che le rammentava in silenzio la parità raggiunta nella rovina. Nella penombra le sembrò stranamente alto e forte, le braci nei caldani gli scaldavano le iridi brune, nelle quali non stagnava paura.
Non devo pensare che vorrei essere come lui, non devo pensare che vorrei…
«Il destino compie strane giravolte.»
Alla voce inattesa, la ragazza trasalì.
«I-Indyvar?»
«Capitano Indyvar! Inginocchiati come si conviene!»
L’atto umiliante, cui non si poté sottrarre, fu una lama rovente nella carne. Invece Shaeta si piegò senza imbarazzo, omaggiando la nuova arrivata.
Come riesce a sopportare che calpestino la sua fierezza? Attribuire il servilismo alla natura minkari è un’idiozia, ho visto di cos’è capace.
L’attraente guerriera liberò la chioma bionda, indirizzandole un sorriso di scherno.
«Sistema i tuoi stracci e preparami il bagno» ordinò gettandole addosso il diadema.
Quando il principe si alzò per contribuire, lo fermò.
«Voi no. Ho altri progetti.»
Eskandar si arrestò sul declivio, fissando il cielo vermiglio del tramonto.
«Odore di cenere» disse.
«Un bivacco?» ansò Amshula, sfiancata dalla salita impervia «Cacciatori o i soldati alla mia ricerca. O qualcuno sulle tue tracce.»
«Non trasporta gli aromi del cibo e degli animali. Proviene da laggiù.»
La regina si volse, calcolando i punti cardinali a partire da ponente.
«Dei misericordiosi! Minkar è in quella direzione!»
Il generale elaborò l’informazione che, congiunta all’inconfondibile esalazione di ladi, convalidava quanto il subbuglio interiore della regina lasciava ipotesi.
«Un incendio di notevoli proporzioni.»
Gli occhi di lei traboccarono di disperazione. Lo afferrò al braccio.
«La capitale è caduta?!»
«Probabile.»
«Lo pronunci con tale freddezza!?»
«Se esibissi soddisfazione, infierirei su di te e non voglio farlo.»
«Sei sicuro? Voglio dire… sei intuitivo ma da qui è impossibile essere precisi, forse i tuoi hanno appiccato fuoco alla foresta o è il vostro campo a bruciare.»
«È sentore di pietre roventi.»
Amshula trasecolò, fissandolo tra le lacrime. Quando vacillò, lui la sostenne.
«Era questione di tempo, l’hai sempre saputo.»
«Tempo!? Sono vissuta di speranze e preghiere, ora mi resta la sofferenza! Devi rispettarla e dirmelo! Perché avete scelto l’Irravin? Perché non un altro mondo?!»
«Il divino Belker ha indicato questa terra, questo tempo, questo sangue.»
«Che stai dicendo!?»
Eskandar incatenò lo sguardo al suo, senza tradire alcuna emozione.
«I Khai servono il dio della Battaglia, il prasma è manifestazione del suo volere, una fenditura verso l’altrove che desidera soggiogare.»
La regina spalancò gli occhi, dandosi finalmente ragione dell’improvvisa e misteriosa comparsa dei Khai.
«Ti nutri d’orgoglio e ora vanti cieca sudditanza!» gridò «Sei incoerente!»
«Non ti chiedo di capire.»
«Ma voglio farlo! Che accadrebbe se vi rifiutaste di obbedire, se iniziaste a pensare al dolore altrui e non alla gloria?»
«Moriremmo. Ma non è il timore della punizione celeste a spronarci, è il retaggio. Non è Belker ad averci scelti, siamo noi a reputarlo degno di adorazione, siamo complementari e, se rinnegassimo la nostra indole, smetteremmo di esistere.»
Le lacrime scesero sulle guance della donna all’atrocità dell’affermazione. Scoprire che il male risiedeva nell’animo dei demoni, non in una fede distorta, era peggio della guerra che avevano generato. Pensò agli hanran ed empatizzò con la loro causa a prescindere dalla convenienza.
«Che succede a chi si oppone?»
«Quegli non è un Khai e come tale viene trattato.»
Amshula sedette a terra, scossa dai singhiozzi. La probabile distruzione della sua città, l’atroce fine dei suoi sudditi cozzava con i sentimenti che provava per il guerriero nemico, con ciò che avevano condiviso e si erano promessi.
«Cosa succede dopo la vittoria?»
«Accordi, ostaggi…»
«No! Il buco di cui hai parlato…?»
«Si chiude. Attualmente ne restano aperti tre, non so per quanto.»
Lei annuì senza esprimere ciò che si agitava nel petto.
«Ti porterò via con me prima che accada» affermò Eskandar.
«Non ti viene in mente che non desideri seguirti?»
«No. E comunque non potresti impedirmi di restare.»
La regina levò uno sguardo distrutto, vergogna e gioia insieme, pena e dolcezza.
«Voglio andare a Minkar, constatare con i miei occhi, vedere mio figlio! Ti prego, richiama il tuo vradak!»
«Ci provo da giorni senza risultati. Domani supereremo quei picchi, se è Ankŭrsai è viva risponderà. Ora urge un riparo per la notte» la sollevò come un fuscello e se la caricò in spalla «Cos’è quella costruzione diroccata?»
«Il tempio di Amathira. Perché sorridi?»
«È disabitato da quando la dea ha maledetto Irkalla e non è più tornata.»
«Conosco la storia, c’è poco da rallegrarsi.»
«Davvero? Nessun Immortale si offenderà se ti prendo in un tempio abbandonato.»
«Non ho voglia di fare l’amore con te, date le circostanze.»
Eskandar riprese a camminare senza mostrare fatica.
«Mi dispiace» mormorò.
«Un pensiero oltremodo egoista.»
«Parlo della tua città, non dell’amplesso mancato.»
Lei lo strinse, appoggiando la fronte al suo collo. Il generale dei cieli sorrise malizioso.
O forse no.
Mahati fissò il fondo amaranto del calice, vagliando il resoconto appena udito.
«Ripagare le mie attese con una menzogna non gioca a vostro favore.»
Shaeta trasalì quando gli occhi chiari si posarono su di lui avvalorando la durezza dell’accusa. Fece per ribattere, ma l’altro lo fermò con un cenno.
«Capitano Dasmi, cosa riferite in proposito?»
L’interpellata s’irrigidì nella posa formale, la mente febbricitò a caccia di una scusa. Il ragazzo minkari, inginocchiato alla sua sinistra, non mostrava incrinature, come se le vene a decantare il retaggio daama fossero le sue: confermarne la versione lo avrebbe ucciso, confutarla avrebbe portato domande cui bramava non rispondere.
Chi se ne importa di lui!
La lingua si mosse a prescindere dalla mente.
«Un malinteso, mio signore, il prigioniero ha scambiato un duello amichevole per un’aggressione ed è intervenuto secondo i suoi costumi.»
«Amichevole?» Mahati levò l’indice a evidenziare le fasciature di lei.
«E-Ecco, nel tentativo di fermarli…»
«Reikan, rammentate il codice ai vostri sottoposti prima che il demerito si sommi alla scomoda posizione.»
«Assumo l’onere dell’accaduto e chiedo di conferire in privato» replicò Valka.
«Inaudito» sibilò Taygeta tra le zanne.
Gli altri generali scambiarono occhiate perplesse ma non si espressero.
Mahati strinse le palpebre, analizzando l’eterogeneo terzetto ai suoi piedi.
«Lasciateci» ordinò a sorpresa.
Una volta a tu per tu, Shaeta anticipò i compagni.
«Non capisco perché mi tacciate di falsità né perché il capitano tenti una mediazione non richiesta!»
«Come io non comprendo come mai un ragazzino alle prime armi abbia battuto un membro dell’élite, un reikan appaia in apprensione per le sorti di un ostaggio e una guerriera venga sopraffatta dalla paura. E soprattutto chi di voi stia proteggendo chi. Percorrendo tale via vi trasformerete in un cadavere, un degradato e una dorei.»
«Decapitate me e lasciate in pace loro!» gridò l’erede minkari.
«Rendo i gradi!» esclamò Valka all’unisono.
Mahati inarcò un sopracciglio ed emise una breve risata.
«A quanto pare siete l’anello debole della catena, capitano Dasmi. La verità. Ora.»
La giovane deglutì, poi per la seconda volta le parole si staccarono dalla volontà.
«Ho sorpreso il mio promesso sposo in flagrante adulterio, ho preteso lo scioglimento degli accordi, ma lui ha cercato di uccidermi per tutelare la propria immagine.»
«Kayran è risultato indegno in più occasioni» Valka omise l’onorifico «Il capitano ha pazientato per non disobbedire al clan, era disposta ad accettare l’alleanza familiare, non un marito privo di šokai. Non ho fatto rapporto e non sono intervenuto su richiesta dell’interessata, il mio allievo non era tenuto a farlo.»
«Interessante» mormorò il Šarkumaar «Ma non spiega come questi abbia avuto la meglio né come voi, capitano, non vi siate difesa. Quelle ferite provano la vostra netta inferiorità.»
Valka risparmiò alla compagna la risposta avvilente.
«Perché il ragazzo ha appreso i miei insegnamenti ed è valente. Una testa calda ma schietta.»
Mahati scrutò negli occhi del nemico con lieve ironia.
«Non vi dispiace incrociare con me, vero?»
Shaeta avvertì i capelli rizzarsi sulla nuca quando lo vide sguainare.
«N-non sono in grado di battervi, è stato fortuito…»
Il Kharnot afferrò Dasmi per i capelli e le pose la lama alla gola.
«Così muto la vostra disposizione d’animo?»
«Non credo siate come Kayran.»
«Già, a differenza sua non subirei alcun processo.»
Un rivolo di sangue scese lungo il collo della ragazza, che si morse le labbra per non emettere suono, gli artigli del principe khai affondarono lenti nella spalla martoriata.
Valka fremette nello sforzo di tenere la mano lontana dall’elsa, tuttavia l’angoscia emanò incontrollata. Shaeta estrasse all’istante.
Il duello iniziò in sordina, poi infuriò. Nessuno accorse al clamore, gli esigui spettatori non osarono fiatare.
«Il vostro tutore ha ragione, non ve la cavate male» concesse il Kharnot.
«Neanche voi» ansimò il più giovane.
I colpi serrati si susseguirono in crescendo, Shaeta indietreggiò ma non si sottrasse alla sfida. Il demone lo colpì di piatto, infierendo sui lividi ereditati dal combattimento antecedente, poi gli scalfì il dorso della mano.
«La vostra guardia lascia a desiderare.»
«Anche la vostra serietà, non vi state impegnando.»
Le lame stridettero in un’esplosione di faville, sottolineando come in una circostanza reale Mahati gli avrebbe tranciato un braccio senza fatica. Il ragazzo compensò con la forza di volontà, si sottrasse più volte all’apice della spada avversaria e provò ad attaccare nonostante la palese disparità. Non riuscì a bucare la difesa dell’altro, ammirando dal vivo ciò che tutti proferivano con adorazione.
Il principe khai lo disarmò, troncando la prova senza trasformarla in un’esecuzione.
«Scatenare la vostra ira vi costringe al meglio» constatò incolore «Non vi resta che spiegare come mai tenete tanto a una nemica.»
«I-Io non… non sopporto i prepotenti!»
«Diamola per buona» sogghignò Mahati «Quanto a voi, reikan, stavate per sfoderare in mia presenza, un atto imperdonabile pur contenuto.»
«Imperdonabile da parte mia, tuttavia queste due persone mi sono preziose.»
«Tanto da infrangere le leggi di Belker per cavare un’irresoluta da un’unione nefasta e un assassino dai guai?»
«Nae, Kharnot! Non scorgo né deboli né assassini, bensì la donna e l’amico che ho sempre desiderato.»
Il secondogenito scosse il capo.
«Certi sentimenti sono rischiosi, inoltre vanto infinite ragioni per punirvi e non alludo al caso presente» gli sciolse la decorazione dall’omero e la gettò nel braciere.
«Non è giusto!» si ribellò il ragazzo minkari.
«Silenzio! A meno che non decidiate di illustrare le sfumature che state serbando!»
«Nessuna sfumatura» ribadì Valka impassibile.
Lo sguardo di Shaeta s’incendiò: rispettare la decisione dell’altro e vederlo destituire era intollerabile. Sapeva che il distacco esteriore era mera apparenza, costringerlo a non solcare mai più i cieli era peggio della condanna a morte.
«Se è così, veniamo al resto» seguitò Mahati «Apprezzo il vostro coraggio e la vostra perizia, erede dell’Irravin, tuttavia risultate fonte di contrasti, pertanto deleterio. Vi declasso a shitai, perderete l’uniforme e il mio appoggio, infine sarete assegnato al servizio di un’altra tenda.»
«Non ho mai domandato la vostra pietà e non lo farò ora. Non vado fiero di ciò che ho fatto, ma starei peggio se non avessi agito» Shaeta armeggiò con gli alamari, iniziando a spogliarsi senza imbarazzo «Mutare abito non intaccherà ciò che sono né la riconoscenza per il mio mentore.»
«Ma inciderà sulla vostra sicurezza. Vi siete inimicato un clan potente e siete solo.»
«Avete un bizzarro concetto di solitudine. Sotto la divisa non siamo che uomini, vale anche per i Khai.»
Il Šarkumaar celò il sorriso d’approvazione approfittando di un cono d’ombra.
Dasmi abbassò la fronte a terra, stringendo i denti.
«Interpello con rispetto, sommo Kharnot, lasciatemi la custodia dell’ostaggio.»
Tre paia d’occhi saettarono a lei tra l’incredulità e lo sconcerto.
«Soffrite di nostalgia, capitano?» ironizzò Mahati.
«Nossignore. Passerei per un’insegnante incapace, sarebbe mortificante.»
«Non lo siete? Finirete nella medesima tenda, lì avrete modo di meditare sulle vostre discutibili doti guerriere e didattiche.»
«Mio signore, mi appello alla vostra generosità!» intercedé Valka.
«Conservare la pelle non vi è sufficiente?»
«No, perdonate l’ardire. Domando la mano del capitano Dasmi.»
«Non vi ho dichiarato shitai, siete ancora legato al vostro clan. Desiderate infangarlo introducendo una donna priva di status?»
«Con la mia predilezione la riporto agli insegnamenti di Belker. Chiedo inoltre che l’erede minkari mi venga affidato in qualità di sottomesso.»
«La faccia tosta non vi difetta, piuttosto m’interrogo su come nasca tale propensione per gli ostaggi nemici e gli schiavi.»
La tensione raggiunse l’apice all’implicita accusa di sovversione.
«Dal vostro esempio, mio signore.»
«Prego?!»
«Vostra altezza ha sposato una shitai salki in base al pregio.»
Mahati spalancò gli occhi, ignorando l’osservazione irriverente. Quel reikan prestava servizio nelle sue stanze, negare avrebbe offeso l’intelletto di entrambi. Inalò l’aria spazientito. Perseguire quei tre lo infastidiva più dell’albagia di Ŷalda, che esigeva vendetta a prescindere dalla verità dei fatti e brandiva i privilegi sociali come un’arma. Le troppe ruggini, dall’esecuzione di Althāri al suicidio di Rasalaje fino alla morte di Kayran, esponevano il trono a un rischio fatale e con Rhenn in quelle condizioni era come averlo già perso.
Se solo questa non fosse la goccia che farebbe traboccare il vaso…
«Non sta a me combinare i matrimoni, compreso il mio. La prescelta accetta?»
«Rifiuto!» Dasmi si espresse categorica.
Il rigetto detonò come ladi, gettando l’ambiente in un silenzio greve.
«Vi condannate alla sottomissione senza appello» considerò Mahati.
La ragazza annuì senza ritrattare.
«Sei impazzita?!» esplose Shaeta «Non hai più la scusa del clan altolocato, dell’addestramento prioritario o della spocchia che ti governa! Perché lo respingi?!»
«Voglio decidere da sola!»
«È il momento giusto per iniziare, mi congratulo!»
«Non prendo lezioni da te!»
«Moke! Siete alla presenza del Kharnot!» ringhiò Valka autorevole.
Lo stratega supremo incrociò le braccia sul petto: l’interazione tra i ragazzi, le loro emozioni rendevano trasparente la realtà, dolorosa poiché erano costretti a celarla per orgoglio, adesione al credo o dignitoso rispetto.
La loro vita è nelle mie mani, devo scegliere se è prioritaria rispetto alla soddisfazione pretesa da Ŷalda, che gli dèi lo annientino! Le leggi di Belker appaiono catene in un tempo in cui è possibile l’amicizia tra un prigioniero e un reikan, in cui un ragazzino sfida la sorte per i propri ideali e un innocente perde la libertà per proteggere la donna che ama… ahaki? L’ho pensato davvero?
Continuava a girarci intorno, studiava quel sentimento come una belva analizza un avversario potente, incerta sull’esito della caccia.
Un animale attacca perché ha fame. Vale anche per me? O per Rhenn, che a costo di mortificarsi non vuole smarrire l’affetto di Yozora? Lo capisco. Capisco mio fratello e ne sono turbato, impossibile persino per lui contenere sensazioni tanto vigorose, per le quali il nostro farmaco sarebbe uccidere o morire… sì, siamo maledetti dagli Immortali. Ma costoro no, non vanno condannati. Non per il mio ruolo di arbitro equanime, bensì perché non dovrei consentire che si estinguano nella disperazione.
Oggi fallisco difronte ad altre creature, emetto una sentenza ignorando la diplomazia a favore del cuore. Ormai detesto il gelo che mi è stato impartito, l’atarassia, il mero ufficio. E me stesso.
Shaeta strizzò gli occhi al dispettoso sole primaverile, imboccando un viottolo diverso dal solito. L’indolenzimento dovuto ai duelli lo appesantiva, eppure la stanchezza mentale superava quella fisica. Decise di scrollarsela di dosso.
«Perché mi hai baciato?» domando a bruciapelo.
Dasmi avvampò. Vederla senza uniforme era insolito, gli abiti civili la ringiovanivano, valorizzandone la bellezza naturale. Lo seguiva poco discosta con un fagotto tra le braccia, come una miserabile.
«Ho pensato stessi per morire» borbottò incerta.
«Ah, elemosina. In effetti il riguardo non è da te.»
«Ienaarak! Hai fatto lo stesso!»
«Non finirò mai di pentirmene!»
La ragazza abbassò lo sguardo, i passi persero vigore. Si fermò in mezzo al sentiero.
«Rallegrati, è stata l’ultima volta in cui ho potuto scegliere.»
L’immagine di Evlare saettò nella mente del ragazzo, facendolo sentire in difetto.
«Sai cosa detesto di te?!» sbottò «Che riesci aggressiva anche quando sei patetica!»
Lei lo guardò, gli occhi verde chiaro brillarono di mestizia ma la voce fendette l’aria.
«Puoi coniare insulti peggiori, non sposerò Valka. Scaricare su di me la frustrazione è puerile, è… da te!»
«Invece scartare la possibilità che ti ha offerto è geniale!»
«Onesto! Non provo nulla per lui!»
«Come per il resto dell’universo, a eccezione di te stessa. È assurdo preferire gli ordini di uno sconosciuto all’affetto di un uomo che ti adora!»
«Un Khai non ama!»
«Questo lo sa anche Valka!»
«Perché t’importa tanto!? Perché vuoi che scelga lui, perché ti intrometti!? Tutto ciò non ha nulla a che vedere con te!»
Shaeta la fissò in silenzio, le labbra serrate in una smorfia rabbiosa.
«Già» mormorò riprendendo a camminare.
Quando raggiunsero il luogo cui erano destinati, i barlumi di riscuotere un trattamento dignitoso si estinsero: i vessilli sul padiglione appartenevano al clan di Ŷalda e i gradi del proprietario erano appena inferiori a quelli di reikan. Avrebbero servito un ufficiale giovane, certo meno tollerante di un guerriero avvezzo agli shitai.
«Avresti dovuto lasciare che Kayran mi uccidesse» esalò Dasmi.
«Sei ancora in tempo a provvedere.»
Il principe esitò solo un istante, poi oltrepassò i drappi a testa alta.
L’interno era sobrio ma gli arredi erano di fattura pregiata, indice dell’agiatezza della famiglia del proprietario. Quando nessuno li accolse, dedussero di essere i primi shitai assegnati a quell’ufficiale e il nervosismo increbbe.
«Vorrà esibire il titolo conseguito, terrà la mano pesante» sospirò la ragazza.
«Sono allenato a te, la cosa non mi turba.»
«Che idiozia, non hai ucciso un mio parente!»
«Stai ammettendo angherie immotivate.»
«Non ti azzardare…»
Dasmi rinunciò alla lite allo sguardo graffiante di lui, che le rammentava in silenzio la parità raggiunta nella rovina. Nella penombra le sembrò stranamente alto e forte, le braci nei caldani gli scaldavano le iridi brune, nelle quali non stagnava paura.
Non devo pensare che vorrei essere come lui, non devo pensare che vorrei…
«Il destino compie strane giravolte.»
Alla voce inattesa, la ragazza trasalì.
«I-Indyvar?»
«Capitano Indyvar! Inginocchiati come si conviene!»
L’atto umiliante, cui non si poté sottrarre, fu una lama rovente nella carne. Invece Shaeta si piegò senza imbarazzo, omaggiando la nuova arrivata.
Come riesce a sopportare che calpestino la sua fierezza? Attribuire il servilismo alla natura minkari è un’idiozia, ho visto di cos’è capace.
L’attraente guerriera liberò la chioma bionda, indirizzandole un sorriso di scherno.
«Sistema i tuoi stracci e preparami il bagno» ordinò gettandole addosso il diadema.
Quando il principe si alzò per contribuire, lo fermò.
«Voi no. Ho altri progetti.»
Eskandar si arrestò sul declivio, fissando il cielo vermiglio del tramonto.
«Odore di cenere» disse.
«Un bivacco?» ansò Amshula, sfiancata dalla salita impervia «Cacciatori o i soldati alla mia ricerca. O qualcuno sulle tue tracce.»
«Non trasporta gli aromi del cibo e degli animali. Proviene da laggiù.»
La regina si volse, calcolando i punti cardinali a partire da ponente.
«Dei misericordiosi! Minkar è in quella direzione!»
Il generale elaborò l’informazione che, congiunta all’inconfondibile esalazione di ladi, convalidava quanto il subbuglio interiore della regina lasciava ipotesi.
«Un incendio di notevoli proporzioni.»
Gli occhi di lei traboccarono di disperazione. Lo afferrò al braccio.
«La capitale è caduta?!»
«Probabile.»
«Lo pronunci con tale freddezza!?»
«Se esibissi soddisfazione, infierirei su di te e non voglio farlo.»
«Sei sicuro? Voglio dire… sei intuitivo ma da qui è impossibile essere precisi, forse i tuoi hanno appiccato fuoco alla foresta o è il vostro campo a bruciare.»
«È sentore di pietre roventi.»
Amshula trasecolò, fissandolo tra le lacrime. Quando vacillò, lui la sostenne.
«Era questione di tempo, l’hai sempre saputo.»
«Tempo!? Sono vissuta di speranze e preghiere, ora mi resta la sofferenza! Devi rispettarla e dirmelo! Perché avete scelto l’Irravin? Perché non un altro mondo?!»
«Il divino Belker ha indicato questa terra, questo tempo, questo sangue.»
«Che stai dicendo!?»
Eskandar incatenò lo sguardo al suo, senza tradire alcuna emozione.
«I Khai servono il dio della Battaglia, il prasma è manifestazione del suo volere, una fenditura verso l’altrove che desidera soggiogare.»
La regina spalancò gli occhi, dandosi finalmente ragione dell’improvvisa e misteriosa comparsa dei Khai.
«Ti nutri d’orgoglio e ora vanti cieca sudditanza!» gridò «Sei incoerente!»
«Non ti chiedo di capire.»
«Ma voglio farlo! Che accadrebbe se vi rifiutaste di obbedire, se iniziaste a pensare al dolore altrui e non alla gloria?»
«Moriremmo. Ma non è il timore della punizione celeste a spronarci, è il retaggio. Non è Belker ad averci scelti, siamo noi a reputarlo degno di adorazione, siamo complementari e, se rinnegassimo la nostra indole, smetteremmo di esistere.»
Le lacrime scesero sulle guance della donna all’atrocità dell’affermazione. Scoprire che il male risiedeva nell’animo dei demoni, non in una fede distorta, era peggio della guerra che avevano generato. Pensò agli hanran ed empatizzò con la loro causa a prescindere dalla convenienza.
«Che succede a chi si oppone?»
«Quegli non è un Khai e come tale viene trattato.»
Amshula sedette a terra, scossa dai singhiozzi. La probabile distruzione della sua città, l’atroce fine dei suoi sudditi cozzava con i sentimenti che provava per il guerriero nemico, con ciò che avevano condiviso e si erano promessi.
«Cosa succede dopo la vittoria?»
«Accordi, ostaggi…»
«No! Il buco di cui hai parlato…?»
«Si chiude. Attualmente ne restano aperti tre, non so per quanto.»
Lei annuì senza esprimere ciò che si agitava nel petto.
«Ti porterò via con me prima che accada» affermò Eskandar.
«Non ti viene in mente che non desideri seguirti?»
«No. E comunque non potresti impedirmi di restare.»
La regina levò uno sguardo distrutto, vergogna e gioia insieme, pena e dolcezza.
«Voglio andare a Minkar, constatare con i miei occhi, vedere mio figlio! Ti prego, richiama il tuo vradak!»
«Ci provo da giorni senza risultati. Domani supereremo quei picchi, se è Ankŭrsai è viva risponderà. Ora urge un riparo per la notte» la sollevò come un fuscello e se la caricò in spalla «Cos’è quella costruzione diroccata?»
«Il tempio di Amathira. Perché sorridi?»
«È disabitato da quando la dea ha maledetto Irkalla e non è più tornata.»
«Conosco la storia, c’è poco da rallegrarsi.»
«Davvero? Nessun Immortale si offenderà se ti prendo in un tempio abbandonato.»
«Non ho voglia di fare l’amore con te, date le circostanze.»
Eskandar riprese a camminare senza mostrare fatica.
«Mi dispiace» mormorò.
«Un pensiero oltremodo egoista.»
«Parlo della tua città, non dell’amplesso mancato.»
Lei lo strinse, appoggiando la fronte al suo collo. Il generale dei cieli sorrise malizioso.
O forse no.