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Autore: _Tenshi89_    09/11/2009    0 recensioni
*Postato cap. 47!*
Per tanti anni mi sono detta che quella gente doveva morire. Per tanti anni mi ero giustificata dicendo che qualcuno doveva pur fermarli.
Balle. Tutte balle.
Io ero un’assassina.
Ero la più perfetta delle macchine per uccidere, in fondo. Un predatore micidiale.
Ho sempre avuto la pretesa di giudicare quella gente perché seguiva un folle ideale, ho sempre preteso di dire che loro erano la feccia, che io ero nel giusto. Era giusto per me vederli morire uno per uno, con il terrore marchiato per sempre nei loro occhi.
Se è vero quel che si dice, che l’ultima immagine vista in vita rimane per sempre impressa negli occhi, loro vedranno me per l’eternità.
Li uccisi tutti. Come loro avevano fatto con la mia famiglia; li avevo uccisi perché erano delle persone malvagie, avevano fatto soffrire tante persone innocenti. Avevo messo finalmente fine a quei massacri assurdi.
Erano i cattivi.
Ma io ero forse migliore di loro?

Gli errori si pagano, sempre.
Ma le conseguenze non sono sempre facili da affrontare...
Questa è la storia di Elian.
Una storia di odio, una storia di amore.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler!
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***















Felix mi guardò come se fossi impazzita. Sgranò gli occhi, sorpreso. «Come hai detto?».
«Hai capito benissimo», gli dissi, non riuscendo a nascondere il sorrisetto che mi era fiorito in viso.
Avevo ragione. Non se l’aspettavano minimamente.
A quel punto, Felix riacquistò la sua espressione seria, mettendosi dritto davanti all’ascensore. «Mettiamo caso che io adesso ti accompagni da Aro», mi disse, fissandomi negli occhi con ironico scetticismo. «Cosa mai potresti volere, tu, da lui?».
«Questi non credo siano affari tuoi», gli dissi, senza abbassare lo sguardo. Stavo cominciando ad arrabbiarmi, non mi piaceva il tizio che avevo davanti, e in più l’attesa mi stava innervosendo. Strinsi gli occhi, avanzando ancora di un passo, e vidi passare nei suoi occhi un’ombra di dubbio. «Ti ho gentilmente detto cosa sono venuta a fare, ma credo tu sappia perfettamente che non chiederò ne il tuo permesso ne aspetterò che tu mi apra la porta per andare da lui, quindi ti conviene farti da parte e farmi salire, non ho tempo da perdere con te».
Detto questo, mi abbassai leggermente, mantenendo i muscoli in tensione, pronta ad un suo attacco. Felix mi guardava in cagnesco, adesso, era sparita ogni traccia di ironia nel suo volto. Sapevo di averlo provocato, ma questa volta fui io a rimanere basita. Rimase a guardarmi per qualche istante, poi si girò, dandomi le spalle, e subito dopo vidi il grande ascensore aprirsi. Si voltò nuovamente verso di me, con un sopracciglio alzato. «Bè, allora? Non avevi tutta questa fretta di andare?».
Aprii la bocca, sbalordita. Mi sciolsi immediatamente, mentre guardavo la sua faccia infastidita. Doveva esserci qualcosa sotto, non potevo averlo convinto così facilmente. «Oh…Si, si certo», dissi, mentre entravo nell’ascensore insieme a lui.
Le porte si richiusero, e cominciammo a salire. Non dissi nulla, ma, passato il momento di sorpresa iniziale, rimasi sull’attenti. Era meglio non fidarsi.
«Per la cronaca, sappi una cosa». Lo guardai, sorpresa. Era accanto a me, ma aveva lo sguardo ostinatamente fisso in avanti, accigliato. «Non pensare che siano state le tue parole a farmi decidere di farti salire. Ti avrei fatta passare comunque, Aro accetterebbe in qualunque caso di incontrarti, e credo tu lo sappia».
«Non ne sono così sicura», dissi, abbozzando un sorriso.
«Come ti pare», disse Felix alla fine, imbronciato. Mi venne istintivamente da ridere, e sentii la un po’ della tensione accumulata prima sciogliersi.
Nello stesso istante di aprirono le porte dell’ascensore, eravamo arrivati. Precedetti Felix nel grande salone chiaro, illuminato al neon, che ospitava una scrivania ordinata e una serie di poltroncine; nell’insieme, l’arredamento ricordava quello di un studio di un avvocato.
Mi fermai al centro del salone, e Felix mi superò, dirigendosi verso una delle porte di legno situate su un lato del salone. «Aspetta qui», mi disse, senza voltarsi.
Rimasi esattamente dove ero. Cominciai a guardarmi intorno, forse per stemperare la tensione che sentivo rinvigorirsi nel mio corpo. Sentivo distintamente l’odore umano che c’era nell’ambiente, e provai un’irrefrenabile moto di disgusto verso quel luogo, e verso tutto quello che rappresentava.
Io ero diversa. Nonostante i miei passati momenti di debolezza, i miei errori, io potevo dire di essere diversa da loro in qualcosa. I miei occhi testimoniavano la mia diversità, il mio voler essere migliore di quanto non fossi, il mio voler essere più forte della loro arroganza.
Anche Vincent lo voleva, l’aveva sempre voluto, anche nei secoli che era rimasto con loro, anche quando se n’era andato via. Non aveva abbandonato il suo stile di vita, nonostante fosse circondato da persone che disprezzavano e denigravano il suo modo di intendere la sua condizione di vampiro.
Lui mi aveva dato qualcosa per cui combattere. I suoi occhi dorati erano un motivo più che sufficiente per continuare a lottare, i suoi meravigliosi, unici occhi dorati.
Speravo con tutto il cuore che non fosse troppo tardi. Non poteva, non doveva essere tardi.
Era tutto quello che mi rimaneva.
Dopo qualche minuto, poi, sentii dei passi, e vidi Felix ricomparire, a passo svelto.
«Vieni», disse, impassibile, «Aro ti aspetta».
Annuii, seria. Era arrivato il momento che tanto aspettavo.
Mi avviai rapida dietro Felix, che procedeva a passo spedito ad un paio di metri da me. mi precedette oltre la porta il legno, che dava su un lungo corridoio dalla moquette cammello, con le alte pareti bianco panna. C’erano molte porte lungo il corridoio, tutte di legno chiaro, ma Felix le oltrepassava tutte senza degnarle di uno sguardo. Il lunghissimo corridoio svoltava di tanto in tanto, ma ad ogni svolta mi ritrovavo davanti sempre la solita infinita sfilza di porte di legno chiaro.
Sembrava non finisse mai, l’incredibile sequenza di porte tutte uguali, fino a quando, dopo parecchi minuti, arrivammo a quella che mi sembrò la versione gigante delle porte che avevamo incontrato fino a quel momento. Era perfettamente uguale alle altre, la stessa lavorazione a cassettoni delle altre, lo stesso legno, le stesse proporzioni, solo in scala uno a cinque. Trovai la cosa quasi comica.
«Aspetta qui», disse Felix. Bussò una volta alla porta, poi entrò senza aspettare risposta.
«Signore, è arrivata».
«Falla entrare, falla entrare! Non voglio far aspettare una così gradita ospite!», disse una voce all’apparenza allegra e gentile, che, mio malgrado, conoscevo molto bene.
Non aspettai che Felix venisse a prendermi, ma entrai nella stanza alle sue spalle, proprio mentre lui si girava. Mi guardò per in istante, sempre inespressivo, e mi oltrepassò senza battere ciglio.
Quando uscì, chiudendo la grande porta alle mie spalle, notai dove mi trovavo. Era una stanza gigantesca, scura, che contrastava enormemente con il candore del resto dell’edificio. La sala, grande tanto quanto il salone d’ingresso, era fiocamente illuminata dalla luce di alcune lampade appese al soffitto e alle pareti, ed era stipata della più grande varietà di oggetti che io avessi mai visto. Vasi, dipinti, mobili antichi, che dall’aspetto sembravano provenire dalle più svariate epoche, da alcune lampade liberty ad una grande scrivania con il piano superiore di legno intarsiato. A catturare la mia attenzione, però, fu un’immensa libreria, che occupava interamente tre pareti della stanza: era ricolma di volumi, manoscritti ed enciclopedie che, a occhio e croce, sembravano valere un occhio della testa. Un vero e proprio tesoro.
Se non fosse stato per quell’onnipresente sentore di minaccia, che aleggiava nell’aria come un gas tossico, avrei detto che quell’ambiente aveva il suo fascino. Ma, quando mi ricordai dove mi trovassi, l’idea scomparve immediatamente.
«Elianor, mia cara! È davvero sorprendente trovarti qui!» Mi costrinsi a distogliere lo sguardo dalle pareti, e con sommo disgusto guardai la figura sorridente che avevo davanti.
«Mai visita fu più inaspettata, e più gradita di questa!», disse, con le braccia aperte. «Se l’avessi saputo prima, ti avrei riservato un’accoglienza più decorosa!».
«L’accoglienza dei tuoi sottoposti è stata sufficiente, ma grazie del pensiero», risposi io, sarcastica. «Ti hanno risparmiato la fatica».
«Mi scuso se Felix si è mostrato scortese nei tuoi riguardi», mi disse, amabile, «ma di questi tempi», sospirò, con fare teatrale, «non si può mai sapere! Ma tu, tu mia cara sei sempre la benvenuta!», disse infine, avanzando verso di me, con la lunga veste scura frusciante ad ogni suo passo.
Notai, nella penombra della stanza, una piccola figura avanzare lesta dietro Aro. La guardai bene, e riconobbi Sandra, la sua guardia del corpo. Evidentemente, lo seguiva anche in giro per il palazzo.
«Vedo che ti porti la scorta anche in giro per casa», dissi io, e io e Sandra ci fissammo per qualche istante.
«Abitudine, credo», disse Aro, sorridendo. «E’ talmente tanto preziosa, per me, che non riesco a farne a meno nemmeno qui».
Sandra mi guardava sospettosa, come se si aspettasse qualche tiro mancino.
Bè, non aveva certo tutti i torti.
«Già, molto preziosa», commentai laconica, rivolgendole un sorriso sornione. Lei, per tutta risposta, emise un basso e rauco ringhio, mentre si preparava a mettersi sulla difensiva.
«Calma, calma!» disse Aro, e Sandra tornò esattamente alla stessa posizione di prima, guardandomi in cagnesco. «Elianor», disse Aro, «sai, mi fa un immenso piacere la tua visita, ma mi sembra di dedurre che non è una semplice visita di cortesia».
«No infatti», risposi io, sorridendo. Stavo aspettando che me lo chiedesse.
Aro rimase ad aspettare, paziente, sempre con quel suo odiosissimo sorriso stampato sulla faccia, ma nei suoi occhi potevo leggere la curiosità, la sorpresa.
«Sono venuta a farti un regalo», dissi io, mentre non riuscivo a trattenere un sorriso, alla vista della faccia di inaspettata sorpresa che fioriva sul viso di Aro, «un regalo che credo apprezzerai molto».



***





L’università mi ucciderà.
Chiedo umilmente venia. Lo so, sono imperdonabile con i miei immensi ritardi, so quanto è irritante dover aspettare tanti giorni per leggere i nuovi capitoli.
Chiedo scusa =_=
Grazie a tutti coloro che continuano a seguire questa storia, nonostante la mia immensa disorganizzazione ^^ Un bacione grande grande a tutti voi :*





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