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Autore: Hi Ban    09/11/2009    5 recensioni
“Non lo so.” Dissi con voce afona, schiarendola subito dopo, quasi per riflesso.
“Non lo sai? Eppure sei a casa sua.” Disse con voce allegra Deidara, tirando fuori la mano che aveva messo in quel borsellino in cui teneva l’argilla.
Le possibili risposte:
‘Non abito veramente qui, faccio finta.’
‘L’ho cacciato un mese fa fuori di casa perché non si toglieva le scarpe prima di entrare.’
‘L’ho ucciso e messo in una sacca da bowling perché non voleva farmi tenere un famigerato cervo.’
‘Era troppo bello allora l’ho rinchiuso in cantina per non rimanere abbagliata dalla sua bellezza.’
‘Itachi Uchiha sono io.’
‘Prima di mettere le mani su di lui dovrete passare sul mio cadavere!’
Oppure...
‘Dovrebbe rincasare per cena, potete aspettarlo in soggiorno.’

[Storia sospesa]
Genere: Avventura, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki, Itachi, Nuovo Personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden
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Capitolo 16


Non avevo la più pallida idea di dove mi trovassi e quello era, sicuramente, un brutto segno, se me ne accorgevo anche mentre dormivo. Era troppo freddo e troppo duro per essere un letto e non poteva nemmeno essere che mi trovassi nuovamente sul prato in cui mi ero svegliata la prima volta. Cosa a cui non avrei mai pensato se fossi stata sveglia, ma la cosa era facilmente giustificabile. Mi ero resa conto molto tempo prima che il mio cervello lavorava il minimo indispensabile quando ero sveglia, mentre quando dormivo funzionava di più. C’era un lato positivo nella faccenda, però: avrei potuto proporre di dormire sempre, così da non creare casini e assillare chi mi stava intorno con la mia scemenza.
Ecco, lo avevo rifatto: ero passata dal chiedermi dove cavolo fossi, al pensare alle possibili conseguenze se avessi fatto sapere di quella mia caratteristica, senza aprire gli occhi e senza quasi accorgermene.
Nonostante non avessi la più pallida idea di dove il mio corpo fosse poggiato, non stavo abbastanza scomoda per decidere di aprire gli occhi e svegliarmi completamente. Mi girai dall’altro lato e mi raggomitolai su me stessa.
Certo, se non era qualcosa a farmi stare scomoda, lo era sicuramente qualcos’altro. La mia sfortuna era riuscita a venire con me anche lì, quasi fedele come il mio cane. Il freddo fu l’unica condizione sfavorevole che aveva impedito al mio cervello di spegnersi e farmi dormire beata. Solo in quel momento mi resi conto che faceva freddo, anche troppo. Sembrava di stare al polo nord e la situazione era davvero insostenibile. Alzai di colpo il busto, alla vana ricerca di qualcosa che potesse riscaldarmi. Intanto avevo iniziato a battere i denti. Possibile che a villa Uchiha facesse così freddo? La primavera era quasi finita, non doveva esattamente fare caldo come a Suna, ma una via di mezzo. Si vedeva che ero sveglia: mi ero alzata, ma non avevo nemmeno aperto gli occhi.
Il mio cervello stava lavorando di meno, anzi, forse non stava lavorando proprio. “Forse dovresti aprire gli occhi, potrebbero servirti.”
Quasi non mi prese un infarto sentendo la voce, ma dopo averla riconosciuta di certo non aprii gli occhi e mi rimisi stesa.
Il freddo era diminuito poco, ma era sopportabile. Se poi stare lì, in balia del freddo, serviva per non dare ascolto a Tsunade, la cosa era sopportabilissima. Rimasi ferma, per poco tempo, visto che una nuova ondata di gelo si abbattete su di me, quasi ad entrarmi nelle ossa. Ripresi a battere i denti e a tremare, ma non l’avrei data vinta a quella santa donna. Sentirla ridacchiare della mia sciagura, mi fece insospettire non poco. Ero sveglia e quello influiva non poco sul fatto che arrivai a rilento alla conclusione della faccenda.
Lei non tremava, tantomeno batteva i denti per il freddo. Era lei! Che gran strega, questa volta se lo meritava. Mi stava facendo congelare per un motivo a me arcano, importante si sperava. O, forse, solo per il piacere che ne traeva nel farmi morire come se avessi vissuto insieme ai mostriciattoli defunti dell’era glaciale.
Alla fine dovetti dargliela vinta, avevo davvero troppo freddo e non si poteva nemmeno considerare una morto dignitosa quella da Era Glaciale. Aprii gli occhi e li puntai verso la sua direzione, dove lei ridacchiava allegramente, con una mano tesa verso di me. Non lasciai, però, la mia posa rannicchiata, troppo infreddolita anche per muovermi.
“Era ora che ti svegliassi! Non è un po’ tardi?”
Non pensai nemmeno per un secondo di chiederle che ore fossero: lì, a Konoha, gli orari per svegliarsi erano ben diversi di quelli adottati da me e dalla mia sveglia – mia madre – nel mio mondo.
“La smetta, sto morendo di freddo! E che diavolo ha da ridere? È divertente assistere alla mia morte per ipotermia?!”
I risveglia traumatici già di per sé, diventano peggiori se avvenivano ad opera di Tsunade e influivano molto negativamente sul mio umore. Lo sguardo tutt’altro che felice, era un valido aiutante nella causa per far comprendere a quella donna il mio umore. Non colse i segni, o non volle coglierli, perché rise ancora di più. Con un ’ops’ mormorato si premurò anche di abbassare la mano. Per evitare che tentasse, di nuovo, di uccidermi, mi sedetti a gambe incrociate, rivolta verso di lei, non abbandonando lo sguardo imbronciato e mettendo le braccia conserte.
Non avevo idea di che impressione dessi, molto probabilmente quella di una bambina che fa i capricci, ma avrei fatto molto di peggio, vista la situazione. Smise di ridere e mi fisso con un sorriso. Sembrava... come dire... intenerita.
Intenerita? Cosa avevo fatto di tanto eclatante e sconvolgente per averla fatta passare dal proposito di farmi divenire al pari di un ghiacciolo al guardarmi con sguardo intenerito?
In effetti, c’era qualcosa di strano, come un ricordo. Qualcosa di molto importante, ma che la mia mente non riusciva a portare a galla. Non avevo la più pallida idea di che cosa potesse essere e tentai di concentrarmi maggiormente, al fine di scoprire cosa il mio cervello tentava di tenermi nascosto.
“C’è qualcosa che non va, Carmen?”
Aveva una voce macabra che, accompagnata da quel sorriso inquietante, forse solo ai miei occhi, faceva davvero paura. Mi sentivo quasi spaventata e l’espressione arrabbiata che mi ero accinta a mantenere vacillò, trasformandosi in un’espressione sconvolta. Tanto.
Grazie al cielo ero seduta, altrimenti sarei caduta per terra, finendo con il rompermi qualche osso, poiché quel famoso particolare era venuto a galla. Non aveva tutti i torti, la mia mente, tenendomelo nascosto. Tsunade, intanto, era ilare. Forse era quello il suo scopo, ovvero quello di farmi ricordare. E come cavolo faceva lei a sapere? Fui presa dal panico.
Tsunade sapeva quello che era successo la sera precedente? Con Itachi? La mia crisi? Impossibile.
Cioè, lei non c’era e, a meno che non fosse nascosta sotto il tatami, non poteva sapere. Meglio mettere fine ai miei dubbi, chiedendo alla diretta interessata, che vedendomi aprire la bocca, mi incitò a parlare.
“Sì? Qualcosa che non va?”
Qualcosa che non andava? No, niente! Andava tutto benissimo! Quello se lei non sapeva che la sera precedente aveva avuto una crisi isterica da pazza da internare al più presto, dopo aver lavato per tre quarti d’ora buoni la maglia per eliminare le macchie di sangue, anche quando non c’erano più.
Il tutto concluso da un pianto liberatorio abbracciata a lui. Quell’ultimo particolare mandò in crisi il mio cervello, rischiando di farmi venire un emorragia nasale. Le guance si tinsero di rosso e mancò pochissimo che non svenissi.
Mi pentii di non aver potuto gustare il momento e con quell’ultima precisazione mentale mi diedi il colpo di grazia. Stramazzai all’indietro, sotto il peso delle troppe riflessioni. Il vago ricordo che avevo di me tra le braccia di Itachi mi portò ad una serie di risatine nervose che fecero insospettire la Godaime, che si alzò e venne verso di me, spaventata. Se pensava che fossi pazza, aveva centrato in pieno il problema, quindi tentai di darmi un contegno, per evitare di allarmarla maggiormente.
Nuovamente, però, il solo pensare alla sera prima mi rimandò in una crisi di risate e tentai di rassicurare Tsunade facendole segno di aspettare con la mano, ma sembrava più che avessi le convulsioni. Tsunade era un ninja medico, rammentai, e poteva benissimo adottare soluzioni estreme con i casi difficili.
Ovvero, avrebbe potuto, tranquillamente, tirarmi una sberla e farmi ricadere nel mondo dei sogni, se non farmi passare direttamente all’aldilà. Non ci tenevo, perciò, alla bene e meglio, tentai di calmarmi. Sicuramente stava rimpiangendo di avermi svegliata e si sarebbe ben vista la prossima volta dal farlo. Quando smisi completamente di ridere, la osservai, tentando di trattenere le risate e lei tornò a sedersi, dopo aver fatto un cenno d’assenso con il capo.
Rimanemmo un po’ in silenzio, io tentando di reprimere gli ultimi sprazzi di risatine immotivate, lei studiandomi attentamente, chiedendosi se fosse il caso di rispedirmi da dove ero venuta. Calato il più totale silenzio, stava per riaprire bocca, azione che prima non aveva osato fare, dal momento che sarei potuta incappare in una nuova crisi.
Io, però, solo in quel momento feci caso al fatto che io ero sul pavimento, mentre lei poggiava il suo regale deretano sul letto. Più precisamente il mio. Beh, per modo di dire, se mai era di Itachi, ma non mi persi in quelle sottigliezze. La cosa più importante era il perché lei fosse lì, al mio posto.
“Perché non sono io a poggiare il mio sedere sul letto, ma c’è lei?”
Quella era, per certo, la donna più strana che avessi mai incontrato. Di Hokagoso non aveva proprio un bel niente, nemmeno in quel momento, mentre si sedeva più comodamente sul mio letto. Avrei volentieri operato io stessa affinché si alzasse e lasciasse il posto a me, ma alzarmi sarebbe stato uno sforzo immane.
“Oh, ti ha lasciata Itachi ieri sera sul pavimento... Ieri sera, tra l’altro...”
Nuove risatine si liberarono dalla mia bocca al solo nominare Itachi, chiarendo i dubbi altrui che vertevano sul fatto che non ero del tutto centrata, nemmeno un pochino.
Evidentemente non interessata a vedermi ridere convulsamente, al pari di una posseduta, si parò dinnanzi a me e mi tappo la bocca con le mani, non prendendo in considerazione il fatto che io avrei ritrovato il lume della ragione e le avrei morso la mano. Occhio per occhio, dente per dente.
La scazzottata tra me e la donna pazza che ne seguì fu vinta da lei e moralmente e fisicamente subita da me. Ringraziai non so quanti Kami, Jashin compreso, se non mi aveva mandato all’altro mondo. Mi prefissai come buon proposito quello di non istigare più la Godaime, altrimenti non avrei più rivisto la luce del sole. Nemmeno Itachi. Le ossa erano più che d’accordo con quel mio furbo intento. Sarebbe stato carino anche tornare a casa intera, magari con tutte le ossa intatte e anche senza parti del corpo mancanti. Anche lei era per la legge occhio per occhio, dente per dente, perciò non si era fatta grandi problemi nel tentare di dare un morso alla mia mano.
“Brutta strega! Lo farò sapere in giro che l’Hokage è una cannibale!”
Affermazione sbagliata, infatti Tsunade, che si stava volenterosamente aggiustando il mantello verde, minacciò di beccarmi in pieno con un dei suoi dolorosi pugni, con il chiaro intento di farmi rientrare il naso nel cervello.
Grazie a Itachi riuscii ad abbassarmi in tempo.
Fortunatamente per me, si intende: non tanto per la parete. Concordai con Tsunade quando propose di spostarci una quadro, per nascondere il danno.
Dopo aver compiuto l’ardua impresa, dal momento che quella casa i quadri li aveva solo visti da lontano, ci sedemmo di nuovo. Ma lei non doveva fare qualcosa tipo... fare l’Hokage?
“Itachi mi ha detto che hai sprecato del sapone. Non ti hanno detto che non si sprecano le cose in casa d’altri?”
E-eh? Itachi che andava a lamentarsi con Tsunade perché avevo usato il sapone? C’erano molte più probabilità che stessi ancora dormendo e che Tsunade non era ancora venuta a rompere le scatole. Poi non ne avevo usato tanto! Il minimo indispensabile...
Perciò lei sapeva... Era il momento di porle quella domanda, che avrebbe messo a tacere i miei dubbi. Tanto lei non sapeva, non poteva sapere. Gliel’avrei posta con la massima calma, senza farmi prendere dal panico. Aspetta e spera. Io avrei parlato senza panico e Choji si sarebbe disintossicato dalle patatine.
“Per-perciò... lei... beh... ecco... lei... lei sa... che... eh, già... cioè...”
Sicuramente aveva capito tutto, aveva compreso il messaggio in codice formato dai miei balbettamenti e parole sconnesse. Il fatto che ingoiavo convulsamente a vuoto non aiutava né lei, né me. “Puoi ripetere senza tentare di strozzarti con la saliva?”
Sarcasmo anche in quel momento? Era di tempra forte, la donna. Io di tempra non ne avevo proprio!
“Lei... sa.”
Quello era il massimo che potevo concederle. Più di così non sarei riuscita a dire senza farmi cogliere da infarti e convulsioni, con annesse risatine ed emorragia nasale.
“Oh, certo! Intendi che so che ieri sera hai fatto finta di essere sconvolta con l’intento di abbracciare Itachi? O che lui abbracciasse te, non cambia molto la questione...”
Lei continuava a parlare, ma io, ormai, ero in catalessi. Il mio bel visino aveva raggiunto tonalità di rosso indescrivibili, tali che nemmeno mia mamma mi avrebbe riconosciuta così conciata. Non risposi a nessuna delle sue domande a riguardo, tutte incentrate sul fatto che avevo abbindolato Itachi. Ma tutte e due sapevamo che l’Uchiha non era tanto stupido, perciò la sua teoria non reggeva. Apprezzai molto il fatto che tentò di nascondere la mia scenata da psicopatica con quella versione dei fatti, in modo da non farmi ricordare a cosa era effettivamente dovuta.
Decisi io stessa che non ci avrei più pensato. La frase di Itachi che mi aveva accompagnata nel mondo dei sogni era stata alquanto chiara e decisi di non tornare più sull’argomento, nemmeno tramite pensieri, grazie ad essa.
“Andiamo, lo sappiamo tutti che Itachi ti piace! Ah, i giovani d’oggi...”
Ciò che mi fece insospettire di più di quella frase, a mio parere sconclusionata, fu che aveva marcato un po’ troppo quel tutti. Le presone che sapevano che Itachi era a Konoha, nonché mio Sensei, erano poche. Anche se scontato, Itachi, lei, Kakashi e forse Shizune.
Meglio non indagare oltre. Una nuova disputa scoppiò a causa del suo udito troppo sviluppato. Io credevo, vivamente, che quel ’Tu non rientri più nella categoria dei giovani d’oggi’ lo avessi detto a bassa voce.


La mattinata passò molto velocemente, anche perché non avevo allenamenti da fare, visto che il Sensei si era volatilizzato. Le imprecazione che Tsunade gli mandò dietro mi fecero intendere che non gradiva la cosa. Itachi, dal canto suo, probabilmente finì per credere di essersi beccato un raffreddore.
Mangiai all’Ichiraku e la giornata passò noiosamente. Mi allenai un po’ con la tecnica della palla di fuoco, ma non avevo fatto grandi progressi. Verso sera, la noia era divenuta insopportabile, perciò decisi di togliermi un sassolino dalla scarpa, per così dire. Decisi di chiederle che tecnica fosse quella con cui quella mattina aveva attentato alla mia vita.
Rimase un po’ scocciata dalla mia entrata, palesemente senza bussare, ma sembrava più che felice di non dover stare più dietro a quelle carte che prima, probabilmente, si trovava ad analizzare. Da come li aveva spostati nell’angolo, senza la minima intenzione di riprenderli al più presto, prospettava – sperava – fosse una cosa lunga. Quando mi sedetti non provò nemmeno a trattenere un ghigno soddisfatto.
Anche quella sera era scampata al lavoro di Hokage. Un po’ di mestizia la travolse, perché sarebbe stato poco etico offrirmi del Sakè, ma non poteva avere tutto dalla vita, cara la mia serial killer con istinti tutt’altro che repressi.
Storse un po’ il naso alla mia richiesta, infatti non avevo considerato che poteva essere una tecnica segreta, del suo clan. Perciò poteva essere che non era autorizzata a dirmelo. Rettificai la richiesta, per renderla più chiara.
“Se non me lo dice, io me ne vado e lei non potrà né bere Sakè, né fare i suoi porci comodi.”
Facendo segno verso le carte ero stata più che eloquente, perciò non poteva che assecondare la mia richiesta. In realtà, non era una tecnica segreta o simili, semplicemente era troppo lungo da spiegare e lei era Tsunade Senju: le due cose insieme dicevano tutto.
Si perse in una dettagliata descrizione della tecnica, che riassunsi mentalmente in poche parole. Era una tecnica di congelamento. Era usata durante la guerra ninja, soprattutto nei casi estremi, quando la situazione si metteva male.
Infatti non era una tecnica molto usata, era caduta in disuso. Consisteva in un flusso di aria fredda, comandato da colui che si è preso la briga di evocarlo, che può decidere se renderlo più caldo o più freddo. Mi feci promettere, senza troppi giri di parole, che me l’avrebbe insegnata, un giorno. Era davvero una gran bella tecnica. Certo, lo era, ma non tanto se veniva sperimentata su di te. In conclusione, lei aveva usato su una povera fanciulla indifesa che dormiva beata una tecnica, che aveva come unico scopo quello di uccidere? Ovviamente: lei si che era una donna degna di essere Hokage.
“Ehm... E come mai l’ha sperimentata su di me?”
O le stavo antipatica... O anche a lei piaceva Itachi ed era gelosa. La razionalità non la mettevo proprio a conto, viste le cavolate con cui se ne usciva il mio cervello.
“Dovevo svegliarti e il bicchiere d’acqua non era più divertente.”
Era una chiaro avvertimento con cui mi diceva di svegliarmi all’ora che mi veniva prefissata? Troppo simpatica. Quando sarei tornata a casa, sicuramente, mi sarei svegliata quando mi girava. Già, a casa. Mi sorse, istintivamente, un dubbio. Ormai ero lì da un paio di mesi, era passato molto tempo. La scuola era sicuramente finita nel mio mondo, poiché era, di sicuro, passato il quindici giugno e dovevano essersi accorti della mia scomparsa. La mia famiglia, molto probabilmente, era disperata. Non mi piaceva l’idea che mia madre, così come mia sorella e mio padre, fosse triste.
Sarei dovuta tornare a casa, almeno per dire loro che era tutto a posto, che stavo bene. Nel mio mondo, però, magari il tempo passava diversamente, o non si era mosso proprio. Quello era, sicuramente, un argomento più urgente da trattare e, non da tralasciare, mi aveva lasciato addosso un senso di inquietudine.
“Mi scusi, Tsunade, ma avrei una domanda da farle.”
Non poteva non rispondermi quella volta, era un mio diritto. Un conto era non dirmi che diavolo ci facessi lì, ma un altro era dirmi se sarei mai potuta tornare a casa. Certo, era sempre stato il mio sogno andare nel mondo di Naruto, ma volevo avere la certezza che sarei tornata, un giorno. Un senso di nausea mi colse, al solo pensiero che avrebbe potuto rispondermi che ero bloccata lì. Non sarebbe stato più il mio sogno, ma il mio incubo.
“Dimmi pure.”
Si era accorta che qualcosa non andava già dalla mia espressione, ben diversa da quella che avevo mentre parlavamo della tecnica.
“Io... quando tornerò a casa?”
Esclusi immediatamente l’ipotesi che non vi fosse nessuna probabilità che tornassi già dalla domanda che le posi. L’espressione si fece meditabonda, quasi stesse meditando su quale risposta darmi.
“Mi dispiace, ma non lo so...”
Notando l’espressione disperata che avevo assunto si accinse a rettificare, evitando che andassi in depressione.
“... ma tornerai, certo! Solo, non so quando. Mi dispiace.”
Non me la sarei di certo presa con lei. Non ne aveva colpa; se lei non sapeva darmi una risposta mi sarei rivolta a chi aveva creato questo casino, certa che lui, una risposta da darmi ce l’avesse. Oppure mi avrebbe riportato nel mio mondo seduta stante. Su quel punto, però, ero indecisa, confusa più che altro. Stare lì era fantastico, essere una ninja ancora meglio, tralasciando alcuni avvenimenti recenti, ma volevo la certezza che nell’altro mondo andasse tutto bene, che la mia famiglia sapesse che io stavo bene.
Itachi, comunque, era una persona che pensava a tutto, non avrebbe mai tralasciato un particolare così importante. Sicuramente aveva tutto sotto controllo e di lui mi fidavo.
Il diretto interessato fece la sua comparsa, rischiando di farmi prendere un infarto. Beh, in verità, prima credei che la Godaime fosse impazzita, dal momento che si era messa a parlare da sola. Quel ’vieni pure, Itachi’ di certo non era di grande aiuto. Il mio adorato Sensei era diventato uno spirito e Tsunade una sensitiva? Che bello, e io che pensavo che le puntate filler avessero già toccato il fondo.
Evidentemente Kishimoto tralasciava molte cose scrivendo il manga. Quando poi vidi Itachi entrare dalla finestra, oltre a prendermi un colpo, stilai la teoria che l’Uchiha fosse imparentato con Spider-Man. Era alquanto evidente che piangendo, la sera prima, avevo pianto anche il mio cervello.
Lo sguardo che Tsunade mi lanciò mi fece ricordare le risatine di quella mattina e non riuscii a trattenerne delle altre. Itachi mi guardò impassibile, probabilmente sperando che non fossi veramente io il soggetto che aveva trascinato lì. Ma la mia sfortuna non si dava per vinta e visto che in quella giornata non avevo fatto grandi figuracce, pensò immediatamente di rimediare.
Ricordai cosa erano dovute e le risatine e mi venne voglia di piangere, invece di ridere.
Abbassai la testa, trovando in quel momento molto interessanti le piastrelle del pavimento.
“Sa-salve sensei.”
Non alzai lo sguardo verso di lui nemmeno una volta, troppo imbarazzata per poter dire anche solo una parola. Tanto, oramai, la figura della scema l’avevo già fatta ed era una cosa irrimediabile. Probabilmente, Itachi si era sbagliato a scegliere me. Nessuno apriva bocca e il silenzio, a mio parere, era davvero troppo silenzioso anche se nella conversazione c’era anche Itachi.
Alzai lo sguardo e trovai la Godaime che ghignava e Itachi che mi osservava. Il pavimento era davvero interessante, perché non studiarlo un altro po’? Chissà chi era quel grandissimo artista fallito che aveva inventato quello stupendo motivo di rombi che, a lungo andare, faceva venire la nausea. Meglio non vomitare, avrei fatto una figura ancora più pessima.
“Sensei, perché mi hai mollato sul pavimento?”
Oh, cavolo. Che vergogna. Pensando a lui che mi portava in braccio non riuscii a trattenere una nuova crisi di risatine, che almeno non furono accompagnate da emorragie varie. Stavo divenendo una degna allieva di Jiraya. Sentii Tsunade dire qualcosa, che decifrai come un ’Ecco, ci risiamo’.
Non riuscivo più a smettere di ridere e, inutilmente, facevo segno ai due presenti di aspettare. Aspettare cosa? Tanto non sarei riuscita a smettere. Vedere la faccia di Itachi per poco non mi fece cadere dalla sedia. Ripresi il controllo dopo vari minuti, in cui tentavo di non cadere dalla sedia, dandomi un contegno. Calò nuovamente il silenzio e Itachi non si premurò di rispondere alla mia domanda.
“Sei proprio insensibile, Sensei.”
Ok, ormai era appurato. Le mie facoltà mentali erano andate a farsi benedire insieme al cervello. In quei giorni, ancora scioccata dalla mia azione, dire qualcosa che fosse vagamente sensato non rientrava nelle mie priorità. Itachi, notando che non ridevo più e che avevo assunto un’espressione vagamente seria, si accinse a dire qualcosa, ovvero il motivo per cui era venuto lì.
“Il tempo sta per scadere.”
Criptico come sempre.
“Quale tempo?”
“Il tuo.”


Rieccomi!^^
Sì, so che ho messo un’eternità ad aggiornare, ma non ho avuto proprio tempo!_-_ Chiedo scusa per aver interrotto sul più bello, ma è scritto nei miei geni!^^’
Scusate, di nuovo, ma non ho proprio tempo per rispondere alle recensioni! Ho appena il tempo di pubblicare il capitolo, che ho appena finito di scrivere, e ho pensato di farvelo leggere subito anziché farvi aspettare ancora.

Ringrazio tantissimo Burdock 95, Asteria 95, Nihal, Gloglo_96, Choco_DN, Pain Hatake 94 e Sweet_Kikka per aver recensito! Grazie!*_*

Ringrazio chi ha messo la storia tra i preferiti e le seguite e chi mi segue! Grazie! Al prossimo capitolo!
  
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