Chapter 1 – E ritorno da te – Parte prima
Ilaria
Ho
sempre pensato che la colonna sonora sia la vera chiave di tutto. Di
un film, di un sentimento, di una storia, di una vita.
A
volte una canzone può parlare tanto di te, a volte
può parlare
tanto di voi.
Ciao,
io sono Ilaria, da poco diciottenne e, purtroppo, infognata in una
storia senza sbocchi.
A
vedermi non si direbbe, lo so bene. Amo lo studio, amo prendermi cura
di me stessa e amo girare le città d'arte. Feste e alcool
non fanno
affatto per me, ma a quanto pare le storie di sesso si.
Non
giudicatemi, non so bene come ci sono finita in questo casino, sta di
fatto che sono alla prese con una tesina d'esame e un compagno di
classe che mi spoglia appena può.
Arrossisco
al solo pensiero, eppure quando sono lì non ci sono freni.
Un
bacio rubato al cambio dell'ora nascosti dietro la colonna, uno
stupido messaggio per un appuntamento di studio approfondito
o un incontro inaspettato
di fronte a casa mia.
Ma
lui non è il principe azzurro.
Non
riceverò un regalo per qualche
“mesiversario” o un abbraccio
immotivato. Tutto ciò che fa ha lo stesso fine.
Eppure,
ripeto, non so proprio smettere. Sono un'Alessandro addicted.
Alessandro
Guardo fuori dalla finestra e
sbadiglio. Impossibile ascoltare questa lagna senza fine. Mi ci
vorrebbe una distrazione bella e buona.
Giro lo sguardo e la vedo lì,
mentre scrive i suoi appunti che probabilmente oggi studierà.
Forse.
Sorrido tra me e me, pensando a
quanto sia facile avere quello che si vuole, in alcuni casi.
Ma è lei quello che voglio? Certo,
lei non è Alice, ma comunque non è affatto male.
Adoro pensare ai
suoi gemiti o alle sue richieste assurde quando è nuda,
sotto di me.
“Perché ridi come uno scemo?”
mi chiede Walter, il mio vicino di banco.
Merda.
Quando vengo colto in flagrante
arrossisco e mi sento un idiota. Tossicchio e mi tiro su.
“Ma no, niente. Pensavo ad una
tipa” dico, salvandomi in corner.
“È figa?” mi chiede, contento
di aver trovato un argomento di conversazione.
Si,
come no, è Ilaria penso,
senza dirlo davvero. Farei la figura dello sfigato e del cazzone se
scoprisse che vado a letto con lei.
Il fatto è che Ilaria non è
brutta, ma è troppo una secchia. Ti annoia appena apre
bocca, sa
troppe cose, ed è impossibile non prenderla per il culo con
Walter.
“Diciamo che non è da buttare”
dico, tenendo a freno l'imbarazzo.
“Te la scopi?” mi chiede,
appoggiandosi contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia
al petto.
“Si, non vivo di mano destra come
te” gli dico, appoggiandomi contro il muro.
Lui ride, io parlo sul serio.
“Amico, non sai cosa tengo dentro
il mio armadio” mi dice, facendo il bullo.
Per una volta è lui a sembrarmi il
vero sfigato.
“I giochini che usi con i tuoi
amichetti froci” gli rispondo, beffardo. Lui mi tira un pugno
e la
prof. ci richiama.
“Si può sapere di cosa state
parlando voi due?” ci chiede la Bertone, avvicinandosi.
“Di tipe prof. Mica parliamo di
giochi della playstation” dice Walter, credendosi anche
simpatico.
“Perché non andate a parlare di
tipe con il preside?” ci chiede,
guardandoci da sopra gli
occhiali.
La Bertone è la solita
professoressa di economia. In tailleur, con i tacchi che si usavano
20 anni fa e gli occhialini che starebbero bene solo ad una porno
prof.
L'immagine della Bertone seminuda mi
fa rabbrividire e mi metto a sedere, chiudendo un attimo gli occhi
per togliermi dalla mente quell'immagine raccapricciante.
“Ma no, prof. Il preside non ha i
nostri gusti in fatto di tipe” continua Walter.
“Mi dispiace non siate sulla
stessa lunghezza d'onda con il preside, ma allora perché non
andate
a raccontargli qualche bella storia? Così magari si
intenerisce e vi
lascia a casa per una breve vacanza. Che ne pensi? Fuori. Tutti e
due, ora”
Walter sei un grande. Mi hai
risparmiato questa santa messa che non ha niente di utile.
Esco dalla classe e Ilaria mi
guarda. La fisso per un momento prima di chiudere la porta e sento
che quella stronza della Bertone le dice di non farsi abbindolare da
uno come me.
Troppo tardi, prof!
Usciamo fuori e ci facciamo una
canna. Ilaria odia l'odore e il gusto che la canna mi lascia, ma
proprio non riesco a rinunciare a qualcosa per lei.
“State insieme?” mi chiede
Walter, dopo qualche tiro.
“Chi?” chiedo, guardandolo.
“Tu e la tipa. State insieme?”
mi ripete, con una nuvola di fumo.
“No. Non fa per me” rispondo,
guardando a terra.
“Allora sei proprio un grande. Ci
sta ogni volta?” mi chiede, manco fosse un terzo grado.
“Quando non mi faccio le canne”
gli rispondo, ridendo.
Ride anche lui e ci sediamo sul
muretto.
Alzo la testa verso il cielo e una
nuvola di fumo esce dalla mia bocca, appannandomi la vista. E penso a
lei, ai suoi capelli biondi e quel suo atteggiarsi da donna. Alice.
È
lei quella che voglio.
Magliette scollate, minigonne,
capelli raccolti in una coda alta, orecchini a cerchio.
È fottutamente provocante ogni
volta.
“Pensi a lei?” mi chiede Walter,
interrompendo i miei pensieri.
“No. Lei non è quasi mai nei miei
pensieri” gli rispondo, tenendo gli occhi chiusi.
E un po' mento. Lei fa capolino
nella mia mente qualche volta. E ogni volta, il pensiero a lei
è
subito seguito da un messaggio.
“Perché te la fai?” mi chiede,
tirando per l'ultima volta quella fonte di finto piacere.
“Non lo so. Forse perché so che
ogni volta lei c'è. Sai, come quando vai a fare benzina.
Difficilmente troverai un benzinaio senza benzina. È una
certezza. E
poi è brava, non c'è che dire”
rispondo, buttandomi alle spalle
il mozzicone.
Lui ride e io scuoto la testa.
Suona la campanella e inizia
l'intervallo.
“Ho fame” dice Walter, scendendo
dal muretto.
“Chissà perché” gli dico,
seguendolo. Ovviamente ho fame anche io.
Vado verso il bar e Ilaria ci ferma,
probabilmente è stata mandata per riferirci qualcosa.
“Non siete andati dal preside,
vero?” dice, arricciando il naso.
Ma come fa? Che cos'è, un segugio?
“No” le risponde Walter,
scazzato. Anche lui sa già che ci farà una
predica.
“Ma siete davvero furbi. La prof.
vi manda dal preside e voi vi fumate una canna?” dice quasi
urlando.
Il mio “shh!” viene soppresso
dalla voce di Walter che si altera.
“Brava cogliona, perché non vai a
fare la spia dalla Bertone? Levati dalle palle e per una volta fatti
i cazzi tuoi” le dice, spintonandola da una spalla.
Mi viene quasi voglia di difenderla,
ma non posso permettermelo.
“Fottiti Walter” risponde lei,
doppiamente offesa.
E vorrei chiederle scusa, ma so che
in fondo non mi abbasserei a tanto.
Mi guarda e poi se ne torna in
classe, probabilmente a mangiare il suo yoghurt e a leggere qualche
romanzo di Oscar Wilde o che so io.
Dopo neanche due passi la Bertone ci
ferma e so già di esser fottuto.
“In presidenza, sbrigatevi” ci
dice, muovendo la testa per indicarci la strada. Manco ce la fossimo
dimenticata.
In fondo la presidenza è la mia
terza casa. La prima è la mia, la seconda è il
letto di Ilaria e la
terza è lei. Sono i posti in cui passo più tempo
in assoluto.
Lo vedo. Ugo, il nostro amatissimo
preside.
“Ragazzi, che avete combinato?”
ci chiede, con quel suo accento napoletano. Dio se lo odio.
“Prof., ci vietano anche di
parlare di ragazze! Ma le sembra possibile? Dovremmo diventare tutti
froci?” chiede Walter, con quel suo fare amichevole.
Sghignazzo.
“Walter,
contieniti. Nessuno ti dice di diventare omosessuale,
quella è una scelta personale, ma non dovresti parlare delle
ragazzine durante economia, se capisci quello che intendo”
gli dice
il preside, mentre gesticola.
“Prof, ma sempre di numeri
parliamo! Ci sono regole fisse, 90 60 90, però sa anche lei
che solo
poche elette ci arrivano” continua Walter.
È proprio un coglione.
Smetto di ascoltarlo, mi volto e
vedo Ilaria nel corridoio. È appoggiata contro il muro e
mangia,
ovviamente, lo yoghurt ai frutti di bosco. È sola, come
sempre, ma
sembra quasi non accorgersene.
“Walter, su basta. Se mi
promettete che non vi fate beccare dalla professoressa di nuovo, vi
lascio liberi. Piuttosto scrivetevi dei bigliettini” ci
consiglia.
“Prof, ma stiamo all'asilo?”
chiede Walter.
“Al massimo siamo” lo correggo,
istintivamente. Walter mi guarda e il preside fa lo stesso.
Vaffanculo Ilaria. Tu e l'abitudine
che hai di correggermi.
Ugo ci lascia liberi, dopo averci
costretto a promettere, e ci prendiamo un panino al bar. Qualcosa di
buono, che non lasci l'odore e l'alito cattivo.
Walter esce, io mi avvicino a lei
che con nonchalance mi ignora.
“Sei arrabbiata?” le chiedo,
mentre mastico.
“No” mi risponde, senza
guardarmi.
“Allora oggi ci possiamo vedere”
affermo, ricevendo uno sguardo d'odio intenso.
“Ale, vai a farti fottere insieme
al tuo amico. Anzi, perché non ti scopi lui?” mi
chiede, alzando
leggermente la voce.
È una cretina e la odio quando fa
la scazzata.
“Abbassa la voce!” le dico,
guardandola male. Sbuffa e se ne torna in classe.
Rimango sulla porta e la guardo un
attimo, mentre arrotola il cucchiaino sporco in un tovagliolo.
Valentina e Beatrice mi guardano
insospettite.
“Qualche problema?” chiedo loro,
dopo cinque secondi.
“Ma che vuoi?” mi chiedono,
quasi all'unisono. Giro gli occhi, quelle sfigate mi fanno solo
ridere.
La campanella suona e sono costretto
ad andarmi a sedere. Domani taglio, non ne posso più di
stare dentro
a questa merda.
Lei si volta e mi guarda un attimo.
Probabilmente in mente ha solo pensieri omicidi nei miei confronti.
Ti addolcisco io
penso, sorridendole. Lei mi guarda malissimo e poi si gira.
E così anche matematica e storia
dell'arte passano, tra un pensiero a luci rosse e dei capelli biondi
che mi fanno svalvolare.
All'uscita scappa per non perdere il
pullman. Vorrei fermarla e chiederle se torna a casa con me, ma
rimango fermo e la guardo salire sul pullman, con il fiatone per
colpa della corsa.
Raggiungo la mia macchina, butto lo
zaino sul sedile del passeggero e metto in moto. Faccio marcia
indietro e freno di colpo, prendendomi degli insulti da tutti.
Una coda bionda oscilla seguendo il
ritmo dei suoi fianchi.
Alice.
Si volta per vedere che cosa
succede, copiando le sue amiche, e mi vede.
Vedo Walter nello specchietto
retrovisore che si sta facendo una grassa risata mentre mi prende per
il culo.
Volto di nuovo la testa e lei alza
una mano, in segno di saluto.
Contraccambio, lasciando andare il
freno.
Esco dal cortile della scuola e
corro oltre i cento per le strade della mia città. Amo la
velocità,
soprattutto se sono in fibrillazione come adesso.
Sono conscio del fatto che era solo
un saluto, ma niente mi impedisce di immaginarmela nel mio letto.
Rallento, il semaforo è rosso. Con il braccio fuori dal
finestrino
canto a squarciagola Vasco, mentre i passanti mi lanciano sguardi
furiosi.
Rido e ingrano la marcia, mi sento
leggero.
Parcheggio sotto casa mia e salgo le
scale a due a due. Mia madre non c'è, sicuramente
sarà ancora al
lavoro. Sbatto la porta e vado in camera mia ad accendere lo stereo.
Decido che Vasco è il mio compagno
per oggi.
Vado in cucina e sorrido vedendo il
pranzo già pronto. Si, sono viziato.
Mangio e me ne torno in camera.
Dovrei studiare per la verifica di geografia, ma non mi importa, ho
solamente voglia di cantare.
“Io no, io no, io no, non ti
dimenticherò. Io no, io no vedrai, che.... Io non ti aspetto
più!”
grido, con la musica ad alto volume, fregandomene dei vicini di casa.
Vasco è poesia, inutile negarlo.
E poi ripenso alle parole di Ilaria
dopo questa mia affermazione.
Ma leggiti un libro, così
capisci che non è poesia quella.
Sempre ad infilare il dito nella
piaga quella ragazza. Prendo il cellulare e le mando un messaggio.
Voglio farmi perdonare per oggi.
Ci vediamo?
E qualcosa mi dice che non sarà
facile convincerla, oggi sono stato proprio uno stronzo, tanto per
cambiare. Ma non ho voglia di stare da solo e ho voglia di stare un
po' con lei, per litigare un po'. Quando facciamo pace è
ancora più
brava.
Mi arriva un messaggio e quasi
inciampo per prendere il cellulare.
Stai scherzando? Devo studiare e
non ho più voglia di perdere tempo con te. E poi
c'è mia madre a
casa, quindi lascia stare.
Sorrido
e rimando a più tardi il problema. Mi sdraio nel letto e
continuo a
cantare, perdendomi nei miei pensieri. E ci metto anche lei, che in
fondo è la persona più vicina a me. Penso anche a
mio padre, che
sarà da qualche parte nelle Baleari, ad Alice che mi ricorda
tanto
una pantera e che mi “accende” ogni volta, a mia
madre che è
tanto dedita a me e al suo lavoro e poi penso a lei. La mia
lei che mi odia e mi ama ogni giorno di più, esattamente
come faccio
io.
A volte mi amo, quando le provoco
quel piacere che la stravolge, a volte mi odio, quando vedo la sua
faccia delusa, come oggi.
Ma
non riesco ad amare lei. Sarà per quella superficiale
vergogna che
mi costringe a tenere tutto segreto, oppure quel suo atteggiamento
troppo saccente. Oppure perché è qualcosa che mi
spaventa troppo.
Guardo il soffitto e cerco di
immaginarmi come il suo ragazzo.
Uscire al parco mano nella mano,
andare un pomeriggio al mare, passare una notte insonne a parlare di
qualsiasi cosa.
So che è quello che desidererebbe,
ma non riuscirei mai a fare una cosa del genere. Perché lei
non è
quello che voglio, non è come mi immagino la mia ragazza
tipo. E poi
è tanto adulta.
Mi alzo per abbassare un po' la
musica e torno nel letto. Il cellulare squilla: mi è
arrivato un
messaggio.
Volevi uccidere qualcuno
oggi a
scuola? :-)
Il messaggio è di Alice e mi si
stringe lo stomaco. Clicco su “rispondi” e scrivo.
Ma no :-) sono un cattivo
ragazzo, ma non così cattivo.
Invio il messaggio e tengo il
cellulare sulla pancia. Ammetto di aver pensato fosse Ilaria per
chiedermi di andarla a trovare.
Aspettando la risposta di Alice mi
addormento, come un bambino all'asilo. E quando mi sveglio sono
già
le cinque.
Mi risveglio spaventato dalla porta
che sbatte. Scendo dal letto e vedo mia madre che appende la borsa.
“Ti sei appena svegliato?” mi
chiede, togliendosi la sciarpa.
“Si. Ora esco però” le dico,
stropicciandomi l'occhio.
“Devi farti la doccia?” mi
chiede, forse consapevole della mia meta.
“Si, almeno mi sveglio”
rispondo, tornando in camera.
Opto per la camicia bianca, i
pantaloni neri e le converse blu. Prendo il cellulare e le mando un
messaggio.
Posso venire a trovarti? Rispondi si o si.
Sorrido tra me e me e vado in bagno.
Se non mi fossi addormentato, avrei potuto portarla a casa mia, prima
che arrivasse mia madre, ora invece devo sperare che sua madre se ne
vada.
Mi faccio la doccia velocemente,
giusto per riprendere il contatto con il mondo. Esco e mi lavo
direttamente i denti: non c'è niente di peggio che sentirsi
dire che
il tuo alito fa schifo.
Torno in camera e prendo il
cellulare, con un suo messaggio:
Allora facciamo che non ti
rispondo proprio. Non venire Ale, non ho voglia di vederti.
Butto il cellulare sul letto e
inizio a vestirmi. Andrò comunque da lei, non voglio che sia
arrabbiata con me, altrimenti rischio di mandare all'aria tutto.
Lego le scarpe e prendo le chiavi
della macchina.
“Mà! Esco, ci vediamo stasera”
urlo dal corridoio.
“Non fare tardi che domani hai
scuola!” mi urla di rimando.
“No, tranquilla” rispondo,
chiudendo la porta.
Salgo sulla mia Alfa Romeo, la Mito
per essere precisi, metto in moto e accendo l'autoradio.
Casa sua è a venti minuti dalla
mia, ma ogni volta non mi dispiace percorrere quella strada. Mi
dà
sempre troppa soddisfazione.
Arrivo sotto casa sua e le faccio
uno squillo. Tempo un minuto esatto e la vedo alla finestra che mi
guarda esasperata.
Me la immagino mentre dice a sua
madre che scende un attimo e prende la giacca. Poi me la ritrovo
davanti, arrabbiata.
“Ti avevo detto di non venire”
mi dice, incrociando le braccia al petto.
Sorrido e la guardo. Ha la tuta:
pantaloni a vita bassa e maglietta corta.
“Lo so, ma sono voluto venire lo
stesso” le dico, avvicinandomi.
“Tanto c'è mia madre, te ne devi
andare” mi risponde, tenendo il mio sguardo. Non si
può dire che
non sia coraggiosa.
“Andiamo a farci un giro?” le
chiedo, indicando la macchina.
“Sono le cinque passate, tua madre
è già tornata dal lavoro. Non ci sono scuse,
vattene Alessandro”
mi risponde, sospirando e chiudendo gli occhi.
Mi avvicino e l'abbraccio. Sono
goffo nei movimenti, me ne rendo conto, ma lei si aggrappa,
letteralmente, a me. Sposto il viso e la guardo, è tanto
carina
quando non deve tenere testa agli altri.
Mi bacia e capisco che in fondo non
ce l'ha con me. È consapevole del fatto che non
sarò mai come mi
vorrebbe lei.
“Quindi ci vediamo domani a
scuola?” le chiedo, guardandole le labbra.
“Si. Hai studiato geografia?” mi
chiede, tornando ad essere quella di sempre.
“No. Tanto ci sei tu che mi
suggerisci, no?” le chiedo sorridendole. Mi sento tanto
meschino.
“Non ci contare” mi risponde,
diventando leggermente seria. E un po' mi dispiace per le mie parole,
in fondo le ho appena fatto capire che la voglio usare. Ma non stanno
così le cose, non faccio sesso con lei perché mi
aiuti con la
scuola.
Scioglie il nostro abbraccio e mi
guarda.
“Ci vediamo domani Ale” mi dice,
quasi triste.
Annuisco e le sorrido. Anche se in
realtà sono un po' infastidito.
Mi da un bacio sulla guancia e va
verso il cancello.
“Ah, Ila. Scusa per oggi. Sai,
Walter” le dico, un po' imbarazzato.
Lei alza le spalle.
“Sono superiore a queste cose. E
poi non è compito tuo difendermi” mi dice, aprendo
il cancello. Mi
saluta da dietro le sbarre e scompare dietro il grande portone.
Salgo nuovamente sulla mia Mito e,
un po' deluso, mi chiedo dove potrei andare. Rimango lì in
macchina,
fermo davanti a casa sua, pensando a cosa potrei fare ora che i miei
programmi non sono più gli stessi.
Ecco una nuova storia^^ mi dite che ne pensate? Un bacione
Erika <3