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Autore: Lhea    19/03/2010    8 recensioni
[Seguito de “Il gioco dello Scorpione”]
Sono passati due anni da quando lo Scorpione è finito dietro le sbarre, due anni da quando Irina è tornata a essere una ragazza normale e due anni da quando tutto nella sua vita ha iniziato a prendere la giusta piega… Ma si sa che il passato è sempre difficile da dimenticare, e lei lo sa meglio di tutti.
Il passato si può nascondere, si può rinnegare, si può anche cercare di dimenticarlo, ma non si può cancellare. Perché rimane lì, a ricordarti ciò che sei stata e ciò che sei diventata; rimane lì a farti capire cosa hai perso e cosa hai guadagnato… Il passato torna. E quando torna, un motivo c’è sempre.
E se all’improvviso Fenice tornasse? E se all’improvviso se le venisse offerta la possibilità di correre ancora per una giusta causa, di passare dalla parte “giusta” e coniugare due cose che non aveva mai pensato di poter riunire? E se all’improvviso si rendesse conto che alla fine il suo passato non lo hai mai dimenticato, che ha sempre vissuto all’ombra di ciò che era stata?
Questa volta Irina deve fare una scelta che può cambiare definitivamente il suo mondo, il suo modo di vedere e di vivere… Una scelta che la dividerà da tutto e da tutti, e che sarà la sua unica possibilità per lasciarsi veramente il suo passato alle spalle. Per poi scoprire che in due anni molte cose cambiano, comprese le persone che hanno fatto parte della sua vita.
Questa volta, il passato torna per sconvolgere tutti, per dimostrare che si cade e ci si rialza; per dimostrare che si perde e si vince; per dimostrare che il bene e il male sono solo due visioni relative… Per dimostrare che alle volte le parti si invertono, e ti mostrano quello che veramente c’è da vedere.
[Nota dell’autrice: lasciatemelo dire: questo non sarà il solito seguito. Se torno, torno per stupirvi… E’ una promessa]
POSTATO ULTIMO CAP + EPILOGO
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Gioco dello Scorpione'
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Capitolo IV

Capitolo IV

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Easy for a good girl to go bad
And once we gone (gone)
Best believe we've gone forever
Don't be the reason
Don't be the reason
You better learn how to treat us right
'Cause onces a good girl goes bad
We gone forever*

 

[ Good Girl Gone Bad – Rihanna ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 10.00 – Casa di Xander

 

<< Xander, ci sei? >> chiese Irina, infilando le scarpe bianco perla con il tacco e dandosi una rapida occhiata allo specchio in entrata, << Mi serve il bagno… >>.

 

<< Un momento, ho finito >>.

 

Mentre aspettava che Xander lasciasse libero il bagno, sapendo quanto fosse vanitoso quando era ora di andare a qualche evento importante, continuò a guardarsi nello specchio del corridoio e a studiare il suo riflesso, perplessa.

 

Ricordava benissimo la prima e l’unica volta che aveva indossato quel vestito: più di due anni prima, a Las Vegas, il giorno in cui aveva capito di amare davvero Xander, e di essere veramente prigioniera di William. Quel giorno in cui aveva desiderato ardentemente ricevere il bacio che non aveva avuto, cosa le aveva lasciato l’amaro in bocca per giorni.

 

Blu oceano, attillato, dalla gonna non troppo corta e con piccoli cristalli sullo scollo, era stato un regalo dello Scorpione, uno degli ennesimi doni che le aveva fatto per cercare di comprarla. Per tutto quel tempo era rimasto chiuso nel suo armadio, in mezzo a tutti i suoi normali vestiti, l’unica cosa che aveva voluto tenere in ricordo della sua vecchia vita, senza nemmeno sapere bene perché.

 

Non poté fare a meno di voltarsi di spalle e scostare i capelli, riuscendo a scorgere il tatuaggio che portava tra le spalle, sotto il collo: una fenice tribale, nera, ad ali spiegate e dalla lunga coda piumata. Il segno che si era inferta quando era entrata nel mondo delle corse clandestine, e anche il simbolo che l’aveva sempre rappresentata.

 

Si chiese perché avesse deciso di indossare quell’abito. Perché mettere qualcosa che le ricordava così tanto Fenice? Che le facesse rivivere tanti momenti bui e dolorosi?

 

Fece una smorfia quando si rese conto che era stata la richiesta di McDonall a farla agire così: era una prova che inconsciamente si proponeva per vedere cosa le sarebbe preso, al ricordo della sua vecchia vita. Una sorta di test per essere in grado di capire se fosse in grado di sopportarne ancora alcuni lati…

 

<< Vieni, ho finito >>.

 

Xander uscì dal bagno, ma si bloccò sulla porta, lo sguardo puntato su di lei. Rimase zitto, forse senza sapere cosa dire; e per lei fu la stessa cosa. La squadrò da capo a piedi, ancora stringendo la maniglia, e Irina fece altrettanto con lui.

 

Vestito nel suo completo nero, camicia grigio ghiaccio e cravatta coordinata, era davvero… Bello. E con quegli occhi azzurri che si ritrovava, non poteva far altro che sembrarle perfetto.

 

<< Che c’è? >> fece lui, serio.

 

Irina sorrise divertita. << Non sono abituata a vederti vestito in questo modo… Però… Lo sai che stai proprio bene? >> disse, avvicinandosi.

 

Xander ghignò. << E io mi ricordo di quel vestito >> disse, << Finalmente hai trovato il coraggio di metterlo? >>.

 

Irina arrossì. << Non va bene, vero? >> chiese, domandandosi se forse era troppo, per andare a un matrimonio, oppure se fosse eccessivamente scollato per entrare in chiesa. Come tutte le volte, ci aveva impiegato un’ora a decidere se voleva o non voleva indossarlo… E sono lei sapeva perché. 

 

Xander scoppiò a ridere. << No, no >> disse, avvicinandosi e prendendola per i fianchi, << Sei bellissima, così… Nemmeno io sono abituato a vederti vestita in Dior, no? >>.

 

Sfiorò le labbra con le sue e sorrise. Non sapeva che era stato un regalo di William, perché lei non aveva mai voluto dirglielo, visto che aveva deciso di tenerlo… Molto probabilmente non sarebbe stato altrettanto contento, se fosse venuto a sapere che quello che aveva addosso era un dono dello Scorpione.

 

<< Stai attenta, perché potrei pensare di far celebrare un altro matrimonio, oggi >> sussurrò lui, a un centimetro dal suo viso.

 

Stava chiaramente scherzando, ma Irina si sentì in colpa. Come poteva nascondergli cosa gli aveva chiesto McDonall, quando lui era sempre così dolce con lei?

 

Si scostò dalle sue labbra e fissò il pavimento, sempre più a disagio.

 

<< Cos’hai? >> chiese Xander, le dita sotto il suo mento.

 

<< Niente… >> mormorò Irina, << Solo che… >>.

 

Doveva dirglielo, doveva dirglielo… Ma se glielo diceva, si sarebbe arrabbiato, lo sapeva…

 

<< Che c’è? >> disse Xander, tirandole su il volto, << C’è qualcosa che non va? >>. Era preoccupato, come ogni volta che lei dava segno di non voler parlare: aveva imparato che significava che non stava bene. Era sempre stata un libro aperto, per lui, e sapeva che non avrebbe resistito ancora a lungo…

 

<< No… E’ solo che… >> Irina lo abbracciò, dandosi della codarda, << Non voglio che te ne vada di nuovo… Non ce la faccio a vederti andare via… Voglio che rimani qui ancora per un po’… >>.

 

Stava quasi per mettersi a piangere. Era vero anche quello, non voleva che se ne andasse ancora, a rischiare la vita in Russia. Soprattutto adesso che sapeva precisamente di cosa si trattava…

 

Xander la strinse, appoggiando il mento sui suoi capelli. << Lo so, piccola… Ma non mi posso tirare indietro >> disse, << La Russia è lontana, ma andrà tutto bene… Il mio lavoro mi impone questo genere di scelte, lo sai >>.

 

Certo che lo sapeva, lo sapeva bene anche lei ora. Era lo stesso discorso che le aveva fatto McDonall: alle volte le cose non si devono fare per piacere, ma perché sono necessarie. Significava essere responsabili, essere adulti.

 

Per un istante sperò di perdere il controllo della lingua, di iniziare a raccontargli tutto senza riuscire a fermarsi, ma non accadde. Rimase zitta, perché non aveva preso ancora una decisione, e soprattutto perché non voleva rovinare quel momento. Era un problema suo, questa volta. Per quanto amasse Xander, doveva tenerlo fuori.

 

Sospirò. << E’ meglio che mi prepari… >> sussurrò staccandosi e avviandosi verso il bagno, << Altrimenti facciamo tardi >>.

 

Xander la seguì con lo sguardo, e lei colse nei suoi occhi una strana luce che non riuscì a decifrare. Forse sospettava qualcosa, perché era sempre stata un libro aperto per lui.

 

Quando mezz’ora dopo Irina uscì dal bagno, truccata e pettinata, era riuscita a riguadagnare un po’ della sua serenità, convincendosi che almeno per quel giorno poteva dimenticare tutto e godersi una giornata all’insegna della tranquillità. C’era un matrimonio, da festeggiare, e tutti i problemi dovevano passare in secondo piano.

 

Xander la guardò prendere la borsa e sorrise. << Sei davvero bellissima, piccola >> disse, porgendole la mano, << Quel vestito ti sta benissimo. Vorrei che te lo mettessi un po’ più spesso, solo per me, però >>.

 

Irina gli diede una pacca affettuosa sulla spalla. << Dai, che dobbiamo andare… Prendiamo la BMW, che se no agli amici di Sally viene un infarto, se ci vedono arrivare in Ferrari… Oltretutto ci servono quattro posti: dobbiamo portare Tommy >>.

 

Xander alzò gli occhi al cielo. << Va bene… >>. Forse stava già pregustando una delle sue entrate eccessivamente vistose

 

Parcheggiarono davanti alla chiesa, vicino a un paio di utilitarie scure che dovevano essere degli amici di Sally e dei suoi parenti; Todd, in piedi davanti all’entrata, stranissimo nel completo giacca e cravatta, aspettava con Tommy per mano, controllando l’orologio.

 

Il luogo scelto per celebrare il matrimonio era una di quelle chiese piccole e molto sobrie, senza troppe vetrate e dalle forme semplici, in linea con il gusto di Sally. Le porte, ora aperte, erano però state decorate con mazzi di fiori azzurri e bianchi, e una scatola bianca era adagiata per terra, contenente una sorpresa per gli sposi. Per di più, la bella giornata di sole, rendeva tutto molto allegro e familiare, come sarebbe sicuramente piaciuto a Sally.

 

Irina si affrettò a scendere dall’auto, attenta a non inciampare nei tacchi, e raggiunse il suo per il momento unico nipote.

 

<< Zia!!! >> gridò il bambino, appena la vide, e le corse incontro, impacciato dall’abbigliamento elegante.

 

Ormai Tommy aveva quasi cinque anni, e cominciava a essere pensantuccio per essere preso in braccio, ma Irina non resistette alla tentazione e lo sollevò cercando di non perdere l’equilibrio. Era legatissima a quel bambino, e vederlo ogni volta era una fonte di gioia, per lei.

 

Per l’occasione Tommy era stato vestito con una giacca e un paio di pantaloni azzurri, ma al posto della cravatta portava un simpaticissimo papillon. I capelli chiari erano stati accuratamente pettinati, e sembrava davvero un ometto.

 

<< Come sei bello, oggi >> disse Irina, schioccandogli un bacio sulla fronte, << Papà è già arrivato? >>.

 

<< Sì >> rispose Tommy, ridendo, << Mi porti nella tua macchina? >>.

 

<< Certo che ti porto con me >> disse Irina, guardando poi suo padre, << Dominic è dentro? >>.

 

<< Sì. E’ un po’ nervoso… >> rispose Todd, divertito, facendo cenno verso l’interno della chiesa.

 

Xander arrivò dopo aver parcheggiato l’auto, e rivolse un cenno di saluto abbastanza freddo a Todd, per poi voltarsi verso Irina.

 

<< Quanta gente manca? >> domandò.

 

<< Quasi tutti >> rispose lei, << Anche Jenny. Ma credo arriveranno a momenti… Tieni un attimo Tommy, per favore >>.

 

Gli passò il bambino ed entrò nella chiesa, cercando con lo sguardo suo fratello Dominic. All’interno regnava un silenzio ovattato, e dalla vetrata in fondo filtrava la luce del sole, che illuminava le prime panche di legno.

 

Vide suo fratello in piedi davanti all’altare, in completo nero, lo sguardo rivolto verso il grande crocifisso appeso al soffitto. Non c’era ancora nemmeno il prete, che forse aspettava l’arrivo di tutti gli invitati alla cerimonia.

 

Dominic si voltò di scatto quando la sentì entrare, e le rivolse uno sguardo carico di sollievo. Era teso, la fronte solcata da una ruga che non gli aveva mai visto e gli occhi scuri stranamente lucidi. Oltretutto, vestito con lo smoking gessato e i capelli neri perfettamente pettinati, era quasi irriconoscibile. Irina gli andò incontro, divertita dal suo nervosismo, e si fermò a pochi metri da lui.

 

<< Agitato? >> chiese. La sua voce rimbombò sinistramente nella chiesa deserta.

 

Dominic si strinse nelle spalle. << Penso sia la stessa cosa per tutti >> rispose, atono. I gemelli attaccati alle maniche della camicia risplendettero per un istante.

 

<< Ce ne hai messo di tempo, a fare questo passo >> disse Irina, ma non c’era nota d’accusa nella sua voce: era solo una constatazione molto divertita, nient’altro. Dopo tutto ciò che era successo in passato, vederlo tornare una persona rispettabile era strano e a tratti buffo, soprattutto per lei che era stata coinvolta più di tutti in quella vicenda che aveva radicalmente cambiato le loro vite.

 

<< Ho smesso di fare cavolate >> ribatté Dominic, sorridendo.

 

<< Allora complimenti per aver messo la testa a posto >> disse Irina, e lo abbracciò, << Vi auguro davvero tanta felicità >>.

 

<< E noi a te… Se siamo ancora qui, lo dobbiamo alla nostra sorellina pilota clandestina >> disse lui, cingendola con le braccia.

 

Allora era davvero il destino, a rivolerla di nuovo Fenice. Anche Dominic riportava a galla il suo passato.

 

Lo lasciò andare, turbata, e disse a bassa voce: << Rimani qui, vado fuori ad aspettare gli altri. Hai ancora qualche minuto per stare da solo. Cerca di non scappare, eh? >>.

 

Uscì dalla chiesa, per scoprire che era arrivata un sacco di gente. Parenti, amici e colleghi di Sally e di Dominic, che iniziavano a occupare lo spiazzo che fino a poco prima era vuoto. Jenny aspettava stranamente tranquilla insieme a Jess dall’altra parte dello spiazzo davanti alla chiesa. Ritrovò Xander, con Tommy ancora in braccio, e lo raggiunse, notando divertita la sua espressione poco contenta per dover tenere il bambino a stretto contatto con sé tutto quel tempo.

 

<< Eccomi… Mettilo giù >> disse, prendendo Tommy per mano, << Visto quanta gente? Tra un po’ arriva la tua mamma… Vedrai com’è bella >>.

 

Aspettarono circa venti minuti, durante i quali gli ultimi arrivati fecero in tempo a salutare tutti e a essere presentati a chi non conoscevano, per poi disporsi davanti alla chiesa in attesa dell’ultima arrivata.

 

La sposa non si fece aspettare troppo: a bordo di una Porsche Panamera blu metallizzato, opera di Irina, fece il suo ingresso sullo spiazzo, accolta da una serie di mormorii estasiati. Agli specchietti erano stati attaccati piccoli mazzi di fiori azzurri, insieme con i classici fiocchi bianchi.

 

Alla vista dell’auto, Xander si abbassò su Irina e sussurrò: << E’ stata un’idea tua, quella della macchina, vero? >>.

 

<< Non l’ho mica comprata, l’ho solo affittata >> ribatté Irina, mentre Tommy saltellava di fianco a lei, trepidante d’attesa. << Sai che ho un debole per queste cose… >>.

 

Due signori aprirono le porte dell’auto, e quelle che dovevano essere le sue sorelle aiutarono Sally a scendere dalla macchina.

 

Come aveva previsto, Sally era bellissima nel suo abito bianco, i capelli raccolti in una retina con un fiore anch’esso bianco, gli occhi luminosi di gioia. Si guardò intorno raggiante quanto sentì l’applauso di tutti, e Todd le porse il braccio per accompagnarla dentro la chiesa.

 

Gli invitati presero posto delle panche, mentre Dominic continuava ad attendere di fronte all’altare. Irina gli fece un cenno per dirgli che era tutto pronto e si sedette di fianco a Xander e Tommy in uno dei primi posti. Il prete era arrivato, pronto a celebrare la funzione.

 

Sulle note suonate dall’organo, Sally entrò in chiesa al braccio di Todd, che sostituiva suo padre mancato tanti anni prima, emozionatissima. Il lungo strascico era sorretto dalle sue sorelle, mentre Dominic la guardava sfilare rapito.

 

Irina le rivolse un’occhiata felice, quando le passò vicino, e diede una carezza a Tommy, che salutò la mamma con la manina. Quando raggiunse l’altare, la funzione iniziò, dando inizio a quella stupenda giornata.

 

Xander, di fianco a lei, le stringeva la mano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Non credevo di essere in grado di mangiare così tanto… >> disse Irina, posando le scarpe nell’ingresso, sentendosi stranamente pesante. Aiutò Tommy a togliersi la giacchetta e guardò Xander che si sfilava la cravatta. Il bambino sbadigliò e Irina lo prese per mano, raggiungendo il soggiorno.

 

<< Credo che l’unica cosa che tu voglia in questo momento sia dormire, vero? >> disse, guardando l’orologio, << Non hai mangiato un gran che, oggi. Ti preparo qualcosa >>. Aveva passato tutto il tempo a correre tra i tavoli e a giocare con i figli delle sorelle di Sally, che erano altrettanto scalmanati.

 

Lasciò Tommy davanti ai cartoni animati sperando che non si addormentasse, e andò a togliersi il vestito, i piedi doloranti: non era abituata a portare i tacchi per tutto quel tempo. Xander era in camera a torso nudo, già in jeans, a cercare qualcosa nel cassetto. La guardò litigare con la cerniera dell’abito che si era incastrata e le venne in soccorso.

 

Un brivido passò per la schiena di Irina quando la sua mano calda le sfiorò la pelle, e un attimo dopo si ritrovò con le sue appoggiate al petto di Xander, accaldato e divertito. Si lasciò solleticare per qualche istante, poi si ricordò che c’era Tommy, di sotto.

 

<< Faccio qualcosa da mangiare a Tommy >> disse, << Tu hai ancora fame? >>.

 

<< Stai scherzando, vero? >> ribatté lui, << L’unica cosa che voglio fare è smaltire tutto il pranzo di oggi… >>.

 

Irina sorrise e si staccò, infilandosi la maglietta e i jeans. << C’è un bambino, di sotto >> disse, a mo’ di rimprovero.

 

<< Capisci adesso perché non mi piacciono? >> ribatté Xander, riacciuffandola per un istante e dandole un bacio sulla bocca.

 

<< Se è solo per quello, penso che puoi resistere ancora per un po’ >> disse Irina, dandogli un bacio a sua volta e sparendo di sotto.

 

Tommy stava ancora guardando i cartoni animati, e gli preparò la cotoletta che a lui piaceva tanto e che ormai era di routine quando veniva a stare da loro. Quando gli ebbe dato da mangiare lo portò di sopra, nella camera per gli ospiti, e cercò di metterlo a dormire: peccato che, durante l’attesa della cena, gli fosse passato tutto il sonno.

 

<< Dove è andata la mamma, zia? >> chiese il bambino, sdraiato di fianco a lei nel letto matrimoniale, il volto nascosto nella penombra.

 

<< E’ andata in vacanza con papà per qualche giorno >> rispose Irina, fissando il soffitto in attesa che Tommy si addormentasse. << Sei contento di rimanere con me per un po’? >>.

 

<< Sì… Perché siamo venuti a casa di Alezzander? >>. Irina sorrise di fronte al suo problema con le “x” che si sarebbe risolto da solo di lì a qualche anno.

 

<< Perché lui ha la casa più grande, e così possiamo stare tutti insieme >> rispose Irina, accarezzandogli la testolina. Lo trovava molto tenero quando le poneva quelle strane domande.

 

<< Ah… Ma perché non lo posso chiamare zio? >> chiese Tommy. Sembrava considerare la cosa di vitale importanza, vista la sua espressione corrucciata.

 

<< Perché… Bé, perché non siamo sposati >> rispose Irina, questa volta un po’ a disagio, << Dormi, adesso, altrimenti domani sei troppo stanco per andare all’asilo >>. In tutta sincerità, voleva sorvolare su quell’argomento: non voleva mettergli strane idee in testa…

 

<< Va bene, zia >> disse Tommy, rigirandosi sotto le lenzuola, << Me la racconti una storia, per favore? >>.

 

<< D’accordo, piccolo >>.

 

Irina gli rimboccò la coperta e si mise a raccontare la prima storia che le passò per la testa: un coniglio che aveva problemi con i suoi dentoni e che nessuno voleva fare amico. Ad un certo punto si accorse che Xander era appoggiato allo stipite della porta e li guardava nel buio, le braccia incrociate e l’espressione imperscrutabile. Non si capiva se era divertito o infastidito da quella situazione.

 

Irina avrebbe tanto voluto che li raggiungesse e condividesse con lei quel momento, anche solo stando seduto sul bordo del letto in silenzio, ma non gli chiese nemmeno di avvicinarsi: sapeva che Xander non sarebbe venuto, perché lui non era abituato ad avere a che fare con i bambini, e non si sforzava nemmeno di provarci. Non era proprio il tipo da mettersi a raccontare favole.

 

Continuò a raccontare la sua storia, lanciandogli ogni tanto un’occhiata per capire cosa stesse pensando, e chiedendosi perché a volte si comportasse in quel modo quasi possessivo con lei… Era un bambino, mica un ragazzo che le faceva la corte.

 

Ad un certo punto, Xander sparì silenzioso com’era arrivato, forse diretto in cucina o in soggiorno. Irina accarezzò Tommy, che iniziava a chiudere gli occhi, e attese che si addormentasse.

 

Anche quella giornata era finita, ed era riuscita a passarla senza pensare al suo problema. Ora però doveva veramente trovare una soluzione, perché non poteva continuare a essere così irrequieta senza destare i sospetti di qualcuno…

 

“Che cosa vuoi veramente, Irina? Perché il problema è questo: non sai che cosa vuoi tu… O forse lo sai, ma non lo vuoi ammettere”.

 

McDonall con una frase le aveva fatto capire tutto quello che c’era da capire: alle volte si devono fare scelte che non ci piacciono, per il bene di tutti quanti. Era quello che faceva Xander quando partiva e la lasciava sola: il dovere era una cosa, il piacere un’altra.

 

Perché avere paura, allora? Xander lo faceva sempre, andava in missione senza troppe storie e poi tornava… Perché aveva paura in quel modo?

 

William era in carcere, chiuso nella sua cella di sicurezza e guardato a vista, e tutta la sua banda aveva fatto la stessa identica fine. Non si doveva preoccupare di loro, né del fatto che potessero farle qualcosa. Sarebbe stata al sicuro, in stretto contatto con i membri dell’F.B.I., avrebbe seguito un piano ben congegnato…

 

“La verità è che hai paura di essere contenta di trovarti di nuovo lì. Hai paura di scoprire che rimani comunque Fenice. E questo vorrebbe dire che tutti gli sforzi che hai fatto fino ad adesso per cambiare, per dimenticare, sono stati vani… Sia i tuoi, sia quelli di Xander. Tornerai ad avere tutte le tue paure, tutti i tuoi incubi… E’ questo che ti ha impedito di dire di sì subito”.

 

Sbuffò, frustrata. Dovere, volontà, paura, desiderio… Si mescolava tutto nella sua testa, in quel momento.

 

McDonall l’aveva detto: certe scelte si fanno per dovere.

 

Jenny era stata chiara: le paure vanno affrontate.

 

Max lo aveva predetto: tornare al passato sarebbe stato traumatico.

 

“Se vuoi smettere di avere paura, di rimanere nel dubbio di ciò che sei veramente, l’unica possibilità che hai è quella di provare. Non puoi tirarti indietro: non lo fai solo per te, lo fai anche per chi stava come te… Se è necessario, fai come Xander: non tirarti indietro, anche se hai paura. E’ ora di crescere, Irina”.

 

Crescere… Era cresciuta, in quei due anni? Era cambiata, certo, ma poteva dire di essere maturata, di aver imparato a essere adulta?

 

“Guarda in faccia la realtà, Irina. Sei sempre una bambina: continui a vivere spensierata e lasci che siano gli altri a decidere per te. Continui a fare la vittima, a crogiolarti in quello che sei stata… Non c’è giorno in cui almeno uno dei tuoi pensieri non torna a quella vita… Se vuoi davvero crescere, e dimenticare, allora affronta le tue paure e dimostra a te stessa che sei in grado di guardarti anche da sola”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Xander si fermò di nuovo sullo stipite della porta della camera degli ospiti, lo sguardo puntato sul letto, la lampada accesa sul comodino che rischiarava appena l’ambiente. Irina si era addormentata, con Tommy di fianco a lei, appoggiato alla sua spalla, il respiro leggero leggero. Sapeva che con quel bambino in giro sarebbe finita così, ma non se la prese troppo: in fondo, sarebbe stato solo per un paio di giorni. Poteva sopportarlo.

 

Si avvicinò e rimboccò le coperte a Irina, soffermandosi a guardare il suo volto.

 

Erano stati giorni difficili, per lui. La proposta di McDonall lo aveva lasciato nervoso e arrabbiato, oltre che perplesso. Aveva fatto di tutto per non far capire a Irina che c’era qualcosa che non andava, perché non voleva coinvolgerla, ma sapeva che da quel punto di vista era molto furba, e doveva aver per forza capito che era preoccupato. Forse per non apparirgli troppo apprensiva non aveva voluto chiedergli nulla.

 

Ora che la vedeva dormire tranquilla come una bambina, si rese conto di quanto fosse assurdo prenderla in considerazione per una cosa del genere. Era troppo giovane per essere mandata a rischiare la vita, non l’avrebbe mai permesso. A lui spettava il compito di proteggerla, di prendersi cura di lei. Era uno degli impegni che si era preso quando aveva deciso che sarebbe entrata a far parte della sua vita.

 

“Come posso pensare di lasciarti andare laggiù? Chi ci penserà a te? Ho fatto di tutto per averti, non ti lascerò andare… Non ti farò rischiare la vita. Sei troppo piccola per fare una cosa del genere… Hai già perso troppo, amore mio”.

 

Le sfiorò una guancia e per un momento fu tentato di svegliarla. Aveva voglia di sentirla di nuovo sua, di stringere quel corpo fragile tra le sue braccia… Era un bisogno di cui non si stancava mai, con cui faticava a convivere mentre era via. Ogni giorno che passava, si rendeva sempre più conto di quanto avesse bisogno di lei, di quanto l’amasse veramente.

 

“Il tuo posto è qui, Irina, al sicuro. Non ho combattuto contro i tuoi demoni fino a ora per poi lasciarti di nuovo in loro balìa… Ti voglio così come sei adesso, piccola, fragile, innocente… Non voglio vedere di nuovo quell’espressione nei tuoi occhi, quel dolore che avevi dentro. Non ti deluderò chiedendoti di tornare a essere ciò che non vuoi…”.

 

Le sfiorò di nuovo una guancia, e poi posò lo sguardo su Tommy, che dormiva beato, la manina stretta stretta al lenzuolo. Sapeva di doverlo trovare tenero, ma Irina concentrava tutta la sua attenzione, in quel momento.

 

La ragazza si mosse impercettibilmente, poi aprì gli occhi e lo guardò, chino su di lei, l’espressione per un istante confusa.

 

<< Xander… >> sussurrò, << Scusa, mi sono addormentata… >>.

 

Fece per alzarsi, ma lui la fermò.

 

<< Non importa, piccola >> disse sorridendo, << Sei stanca, dormi… E poi rischi di svegliarlo >>.

 

Indicò Tommy con un cenno del capo e Irina guardò il bambino, un dolce sorriso che le si apriva sul volto, forse ancora più intenerito di quelli che rivolgeva a lui.

 

<< No, non c’è questo pericolo… >> mormorò, << Credo che domani svegliarlo sarà un’impresa >>.

 

Si mise a sedere, i capelli lunghi che le ricadevano sulle spalle, cercando con lo sguardo forse le ciabatte. Xander la guardò alzarsi con un misto di divertimento e tenerezza: era sempre pronta a prendersi cura di chiunque fuorché di se stessa. La prese per mano e la portò in camera.

 

Irina si sedette sul letto, e si lasciò cadere con aria soddisfatta e felice sui cuscini. Mise le braccia dietro la testa e lo guardò abbassare le serrande.

 

<< Oggi è andato tutto bene, per fortuna >> sospirò, << Sono contenta per Sally. Si meritava una giornata così… >>.

 

Xander sorrise e si sdraiò di fianco a lei. << E tu cosa pensi di meritare, per averla aiutata? >> chiese.

 

<< Niente… Ho già tutto quello che voglio >> rispose lei, fissando il soffitto.

 

Anche io, amore mio… Quando ho te, cos’altro posso chiedere?”.

 

Fece per tirarla verso di sé, ma si accorse che aveva chiuso di nuovo gli occhi e che probabilmente si stava riaddormentando. Rimase con la mano bloccata a mezz’aria, quasi contrariato, poi sorrise. Irina era unica anche perché era in grado di accenderlo con un solo sguardo e di spegnerlo altrettanto velocemente.

 

<<Notte, piccola >> sussurrò, e spense la luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 11.30 – Los Angeles, Ocean Cafè

 

<< La mia risposta è sì. Accetto la missione >>.

 

Irina guardò McDonall, seduto davanti a lei, l’espressione puntata sul suo volto. Teneva una valigetta ventiquattrore appoggiata sul tavolino dell’Ocean Cafè, la mano sull’apertura. Nel bar deserto non c’era nessuno a parte loro, e il solito barista stava sistemando le sedie qualche tavolino più in là.

 

Quella frase, pronunciata tutta d’un fiato, per un momento le sembrò uscire dalla bocca di qualcun altro, non dalla sua. Fece fatica persino a riconoscere la sua stessa voce.

 

<< Accetto, anche se ho paura >> ripeté.

 

Il Vicepresidente abbassò il capo, serio, ma riuscì comunque a cogliere sul suo volto un sorriso quasi soddisfatto. << Sono contento che abbia preso questa decisione >> disse, << E le sono assolutamente grato… Capisco quanto sia difficile per lei, ma è la soluzione migliore che potevamo prendere >>.

 

Irina si strinse le mani e guardò il pavimento per un istante, preoccupata. Ancora non sapeva se aveva preso la decisione giusta oppure no.

 

Accettare era l’unico modo per sentirsi in pace con stessa, e per affrontare le sue paure… Però non poteva negare di non essere pienamente sicura di quello che stava facendo, soprattutto quando si sarebbe ritrovata faccia a faccia con Xander. Cosa avrebbe detto?

 

<< Posso sapere qual è il vostro piano, ora? >> chiese, per distogliere i suoi pensieri da quell’incontro.

 

<< Le illustrerò il nostro piano quando verrà a San Francisco >> rispose McDonall, << Per il momento mi limiterò a darle le indicazioni di base… >>. Mescolò il suo caffè e la guardò. << Per prima cosa, dobbiamo pensare alla sua preparazione. Le forniremo armi, soldi e auto: tutto ciò di cui avrà bisogno. E ci occuperemo di insegnarle come muoversi. Non ci vorrà molto, anche perché abbiamo solo due settimane a disposizione… Dovremo farci bastare il tempo >>.

 

<< E Xander? >>.

 

McDonall sembrò rabbuiarsi, a quel punto. << Glielo diremo insieme >> rispose, << Non posso nascondergli che ha preso parte alla missione, e in ogni caso la sua reazione sarebbe ancora peggiore. Saprà tutto, e dovrà accettare le cose come stanno >>.

 

“Dubito che accetterà così facilmente… Forse è il caso che nella stanza non ci sia nessuno”.

 

<< Quando devo presentarmi a San Francisco? >> chiese Irina.

 

<< Alle undici di domani mattina >> rispose il Vicepresidente, aprendo la ventiquattrore, << Sistemeremo con calma tutta la faccenda, e avremo modo di parlare con il suo fidanzato… >>. Le porse un navigatore satellitare, che lei prese titubante. << Segua le indicazioni di questo. Arrivata troverà qualcuno che si occuperà di accompagnarla da me… Ah, vorrei solo parlare della sua carriera universitaria, se non le dispiace >>.

 

Irina annuì. << Sì… Ci sono problemi? >>. A dir la verità era l’ultima cosa a cui aveva pensato, in quei giorni.

 

<< So che frequenta regolarmente, e che si trova in pari con gli esami >> disse McDonall, << Mi dispiace che per colpa nostra debba perdere lezioni ed esami… Se non le dispiace, avevo pensato di permettermi di farle un piccolo, per così dire, sconto… >>. Sorrise, le dita che giocavano con la serratura della ventiquattrore.

 

Irina inarcò le sopracciglia, perplessa.

 

<< Supererà tutti gli esami di questo semestre d’ufficio, tutti con un voto che non alteri la sua media >> spiegò McDonall, << Non sappiamo quanto tempo prenderà questa missione, perciò credo che almeno questo le sia dovuto >>.

 

Irina lo fissò stupefatta. << Sta dicendo veramente? >> boccheggiò.

 

<< Certo… Crede che non lo possa fare? >> ribatté il Vicepresidente, divertito, << A quello non dovrà pensare… Sempre che sia d’accordo >>.

 

<< Oh… >>, Irina si strinse le mani, << Ehm, si va bene… Non è proprio corretta, come cosa, ma se posso togliermi almeno questo pensiero… >>.

 

<< Perfetto >> disse McDonall, alzandosi, << La aspetto domani mattina, nel mio ufficio. La prego di non parlare con nessuno di questa missione, anche con i suoi familiari. Venga con la sua vecchia auto, per favore. Le faremo dare una guardata >>.

 

Le strinse la mano e sorrise. << Passi una buona giornata… Domani sarà tutt’altra cosa >>.

 

La salutò e uscì dal bar, lasciandola di nuovo sola. Irina deglutì e guardò il navigatore satellitare che aveva poggiato sul tavolino, senza in realtà vederlo.

 

“E’ fatta, Irina. Ora non si torna più indietro… Adesso sei di nuovo in gioco”.

 

Con stupore, si accorse che ciò che stava provando non era paura, ora… Era… Era eccitazione. Era felicità… Sì, aveva fatto la scelta giusta, questa volta… Tornava a correre.

 

Si alzò di scatto e lasciò il locale, raggiungendo la TT parcheggiata vicino alla spiaggia, sentendosi stranamente leggera.

 

Sorrise, mentre saliva sull’auto, impugnando il volante come non aveva mai smesso di fare, saggiando il pomello del cambio, gli occhi puntati sulle lancette del contagiri. Tutti gesti che aveva imparato tanto tempo prima e che aveva cercato di dimenticare, ma che facevano parte di lei… Ora poteva ripeterli senza vergognarsi di sé stessa… Tornava a essere Fenice…

 

Accese il motore e partì con una sgommata.

 

No, non aveva paura. Non aveva paura di essere di nuovo Fenice, anzi. Stava facendo la cosa giusta: stava tornando a essere una pilota clandestina, ma aveva uno scopo, ora. Salvare delle vite, salvare qualcuno che magari si trovava nella sua stessa situazione… Non lo faceva solo per stessa.

 

“Mi assumerò i miei doveri… E’ ora di crescere, e io crescerò”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.00 – Carcere si San Francisco

 

<< Challagher, è ora della doccia >>.

 

Con un rumore metallico, qualcosa venne sbattuto sulle inferriate della cella, e William digrignò i denti per il fastidio. Sfruttò lo specchio che aveva davanti per guardare alle sue spalle, la porta del bagno lasciata aperta, asciugandosi il collo sudato con l’unico asciugamano che aveva.

 

La guardia carceraria fissava le sue spalle tatuate, il manganello in mano e il volto barbuto quasi strafottente. Il cartellino sulla sua camicia verde bottiglia diceva “Jason McCarteer”.

 

William lo aveva visto solo un paio di volte, durante una delle ore d’aria, e normalmente non era lui ad accompagnarlo alle docce. Di solito c’era Reed, a occuparsi di lui. Si chiese come mai quel cambiamento, ma non gli diede troppo peso, visto che alla fine non gliene fregava gran che.

 

Gettò l’asciugamano sul letto e si voltò, guardando McCarteer infilare le chiavi nella serratura e aprire le inferriate, gli occhi puntati su di lui. A William venne da sorridere malignamente: in quel momento sapeva bene che la guardia carceraria temeva qualche sua azione avventata. Challagher era uno da tenere costantemente d’occhio, era un’opinione comune all’interno del carcere.

 

McCarteer lo afferrò per i polsi e lo spinse fuori dalla cella, tenendogli saldamente le mani per evitare per si azzardasse a fare qualcosa.

 

<< Un passo falso e ti ritrovi con un manganello nello stomaco >> lo minacciò, conducendolo lungo il corridoio dalle pareti scrostate e sudice, sotto lo sguardo degli altri detenuti all’interno delle celle. Qualcuno addirittura lo salutò con un grugnito, più per paura che per piacere.

 

William ridacchiò. << Non ti hanno detto che sono buono come un agnellino? >>  apostrofò la guardia, cercando di vedere la sua espressione con la coda dell’occhio.

 

C’era un motivo ben preciso del perché di solito fosse Reed a occuparsi di lui in quella situazione: Reed era un nero alto all’incirca due metri, con due mani grosse come badili e muscoloso quanto un toro. In tutto il carcere era di sicuro quello che avrebbe avuto meno problemi a tenere a bada Challagher, se avesse tentato di attaccar briga, come di solito faceva. Ecco perché McCarteer era decisamente sull’attenti.

 

In ogni caso, William non voleva tentare la fuga. Sapeva che anche se avesse steso la guardia con un colpo in testa ben assestato, non poteva sperare di poter uscire dal carcere senza che nessuno lo fermasse. C’erano diversi corridoi, cinque porte e due inferriate a separarlo dall’esterno, più un numero indefinito di agenti di polizia. Se davvero avesse potuto organizzarsi la fuga da solo, a quell’ora sarebbe stato da tutt’altra parte.

 

Raggiunse le docce nel piano interrato, e sentì una vampa di umidità e calore avvolgerlo. Percorse con lo sguardo la stanza fumosa e illuminata dalle lampadine, lo scrosciare dell’acqua sul pavimento scivoloso. Un poliziotto ciccione stava seduto su una sedia nell’angolo, tenendo d’occhio gli ultimi due detenuti che si stavano ancora lavando, nascosti da un muro piastrellato di beige, basso abbastanza da rendere ben visibili le loro facce e i loro piedi.

 

Uno di loro era Daniel Grey, quello a cui aveva rotto il naso quando lo aveva trovato in possesso della foto di Irina, e l’altro era uno che doveva essere arrivato da poco perché non lo ricordava.

 

<< Datevi una mossa, voi due >> disse il poliziotto grasso in direzione di Daniel.

 

William attese che McCarteer gli procurasse un grosso asciugamano ruvido, poi si andò a sedere dalla parte riservata a spogliatoio e si tolse i vestiti.

 

Le docce comuni erano state l’ultimo dei suoi problemi, in quel posto. Non aveva il minimo senso di vergogna a condividere quel momento con gli altri detenuti, perché l’esibizionismo era sempre stato una delle sue caratteristiche. Tuttavia, trovarsi a fare la doccia con qualche detenuto era un fatto abbastanza raro, per lo Scoprione: dopo qualche episodio piuttosto spiacevole, le guardie del carcere avevano deciso di mandarlo sempre per ultimo, in modo da lasciargli qualche minuto in più ed evitare discussioni.

 

<< Hai finito, oppure devo sbatterti fuori io? >> chiese William rivolto a Daniel, che stava ancora tranquillamente sotto la doccia, mentre l’altro detenuto aveva provveduto a squagliarsela il prima possibile. C’erano altre undici docce libere, ma stava usando la “sua”, e lo sapeva bene.

 

Daniel, un ragazzo più o meno suo coetaneo, capelli scurissimi e occhi castani, era un paio di centimetri più basso di lui e quasi altrettanto muscoloso, e viveva nella ferma convinzione di potergli tenere testa. Si sbagliava, e la gobba che portava sul naso avrebbe dovuto servigli a ricordare che lo Scorpione non amava essere provocato, ne tantomeno sfidato.

 

<< Fottiti, Challagher… >> ribatté l’altro, senza nemmeno guardarlo, << Ci sono le altre docce, libere. Usa una di quelle >>.

 

William si alzò, e con la coda dell’occhio vide McCarteer e il grassone fare un passo verso di lui. Avrebbe tanto voluto saltargli addosso e rompergli un’altra volta il naso, ma quel giorno non aveva voglia di avere un’altra colluttazione con gli sbirri. Voleva solo provocarlo un po’, come faceva sempre, e animare quell’altra giornata piatta e vuota.

 

<< Challagher, Grey, finitela >> disse McCarteer. Aveva la mano appoggiata al manganello, come monito contro ogni tipo di colpo di testa.

 

<< Dimmi, Daniel, cosa ci facevi con la foto della mia ragazza? >> chiese William, apparentemente disinteressato. Le due guardie drizzarono le orecchie, pronte a dividerli.

 

Il ragazzo lo guardò e gli fece un gestaccio, per fargli capire che di sicuro non aveva usato l’immagine di Irina per pregare prima di andare a dormire. William andò su tutte le furie, pur sapendo di essersela cercata.

 

<< Toglitela dalla testa, se non vuoi che sia io a toglierti qualcos’altro >> ringhiò.

 

Daniel sorrise malignamente. << Allora sei davvero cotto di quella lì… >> disse, << Peccato che non si sia mai vista, da queste parti… Sei sicuro che lei sapesse di essere la tua ragazza? >>.

 

William fece un passo verso di lui, e per un momento gli passò per la testa che forse era disposto ad accettare una rissa con gli sbirri, quella mattina.

 

<< Usa la mia ragazza per farti qualche fantasia, e ti faccio diventare gay >> disse.

 

<< Non credo di essere l’unico a farmi qualche fantasia su di lei, Challagher >> ribatté Daniel, gettandogli un’occhiata strafottente.

 

Se c’era una cosa di cui William si ricordava, era il corpo di Irina intrecciato al suo. Non c’era niente come la sensazione di averla avuta solo per lui. Ghignò per dimostrare a Daniel che ciò che aveva detto non lo scalfiva minimamente.

 

<< Non hai nemmeno idea di quello che abbiamo fatto, io e lei >> disse soave, << Sai, un giorno forse te la farò conoscere… Sempre che tu sia ancora vivo, naturalmente >>.

 

<< Avete finito? >>. McCarteer si avvicinò e li guardò male, << Gray, esci di lì e rivestiti. Challagher, fatti questa fottuta doccia e smettila di cercare un pretesto per dare fastidio, chiaro? >>.

 

Daniel richiuse la manopola dell’acqua, gli gettò un’occhiata e poi gli lasciò campo libero. William si piazzò sotto la doccia e iniziò a lavarsi, completamente solo, finalmente.

 

Gli piaceva provocare gli altri detenuti, vederli trattenersi dal saltargli addosso perché avevano troppa paura di lui. Era uno dei suoi passatempi preferiti, insieme a quello di decidere in che modo uccidere Went e Dimitri. Ma odiava a morte quando alludevano al fatto che nessuno credeva per davvero che Irina fosse stata la sua ragazza.

 

“Chissà cosa stai facendo, bambolina mia…” pensò, un sorriso che gli affiorava sulle labbra al pensiero di Irina quel giorno sulla spiaggia, sdraiata sotto di lui, poco dopo che Went se n’era apparentemente andato, “Chissà se con lo sbirro è già finita, oppure ti sta ancora addosso…

 

All’inizio aveva creduto di impazzire, quando non era riuscito a togliersela dalla testa, ma ora si rendeva conto che il pensiero di Irina lo rendeva più vivo che mai, gli permetteva di sapere che non aveva perso completamente tutto. Era un’ossessione che almeno gli serviva a qualcosa, che gli permetteva di non perdere la ragione. E, pateticamente, non riusciva a odiarla per davvero.

 

“Quanto eri bella, bambolina… Avevi un corpo da mozzarmi il fiato. E che gambe… Avrei rinunciato a qualsiasi cosa, pur di averti veramente mia… E quando mi guardavi con quegli occhi? Avevi un’espressione così provocante che bastava uno sguardo a eccitarmi… Dove sei, adesso?”.

 

<< Challagher, non hai tutta la mattina >> ringhiò McCarteer.

 

William fece una smorfia infastidita. Preferiva nettamente Reed: anche se era un gigante, gli lasciava quasi sempre tutto il tempo che voleva, quando faceva la doccia. Gli concedeva almeno quel lusso, per tenerlo buono…

 

Chiuse la manopola dell’acqua e si avvolse nell’asciugamano striminzito. Odiava essere interrotto quando pensava a lei.

 

Si strofinò i capelli e si guardò nello specchio appannato. Aveva davvero bisogno di una tagliata di capelli, altrimenti la W tatuata in nero rischiava di rimanere coperta, di lì a poco. Si rivestì in fretta e tornò dalla sua guardia, un sorriso strafottente sul volto.

 

<< Possiamo andare >> disse.

 

McCarteer lo prese per i polsi e iniziò a condurlo indietro, verso i piani superiori, dove la sua cella lo attendeva come ogni giorno. A metà delle scale, però, incrociarono un altro sbirro.

 

<< Aspetta, Jason >> disse, << Non portarlo già in cella >>.

 

<< Perché? >> chiese McCarteer, fermandosi sui gradini. A William non piacque quel cambio di programma. Sentì la presa della guardia stringersi su i suoi polsi, quando li strattonò impercettibilmente.

 

<< Pare ci sia qualcuno per lui >> rispose l’agente.

 

William lo fissò, e lo stesso fece lo sbirro sulle scale. Lo portavano per ultimo alle docce anche perché sapevano che non c’era mai nessuno in visita, per lo Scorpione. Qualcuno per lui, dopo due anni?

 

Sorrise, e il suo sguardo corse alla finestrella chiusa dalle inferriate di metallo, da cui filtrava la luce del giorno. Finalmente aveva smesso di aspettare, forse.

 

“Era ora, che arrivassi… Ce ne hai messo, di tempo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 9.00 – Casa di Xander

 

Irina infilò gli stivali e si guardò nello specchio un’ultima volta, sentendosi stranamente lontana dal riflesso che il vetro le mandava: si riconosceva poco nell’immagine della ragazza dal viso pulito che la guardava perplessa. Qualcosa era cambiato dentro di lei, dal momento in cui aveva pronunciato il fatidico “sì” a McDonall… Si diede una sistemata ai capelli e mise a posto il colletto della maglia, dopodiché gettò un’occhiata all’orologio.

 

Tommy era all’asilo, e ci sarebbe rimasto fino alle quattro… Xander era andato a San Francisco, come faceva prima di ogni missione per studiare i vari piani e ottenere istruzioni. Era uscito di casa due ore prima, senza aspettarsi minimamente la sorpresa che McDonall aveva in serbo per lui.

 

Raccolse la borsa e le chiavi della Punto, con una stranissima sensazione addosso. Paura? Eccitazione? Non lo sapeva nemmeno lei… In quelle ventiquattro ore non era riuscita a capire ciò che stava provando, ma sapeva di non essersi ancora pentita della sua scelta, e molto probabilmente non l’avrebbe mai fatto.

 

Scese in giardino, fermandosi davanti alla porta del garage abbassata, il vialetto che portava al cancello sgombro, quasi a invitarla a passare. Rimase immobile per un istante, e tirò un profondo respiro. Tutto sembrava assurdamente tranquillo, in quel momento, come se l’attenzione dell’intero vicinato fosse catalizzata su di lei.

 

“Avanti, avanti… Una volta eri abituata a dare nell’occhio”.

 

Si abbassò, afferrò la maniglia della saracinesca e aprì il garage, inondandolo della luce del mattino. Ferma in un angolo, c’era la BMW bianca, i fari allungati spenti e senza vita, i vetri scuri che non permettevano di vedere all’interno. Al centro, c’era lo spazio vuoto lasciato dalla Ferrari 458 Italia di Xander, ma per terra erano ben visibili le impronte degli pneumatici larghi e dentellati. E in un angolo, coperta dal suo telo nero, la Grande Punto.

 

Si avvicinò con lentezza, i suoi passi che rimbombavano sul pavimento. Rallentò l’andatura, come se qualcuno potesse scoprirla sul fatto, la sensazione di star commettendo un errore sulla pelle. Per un momento la sua mano esitò, a un centimetro dal cofano dell’auto, poi con un gesto secco tirò via il telo e scoprì la macchina.

 

Un brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale, quando la vernice bianca brillò abbagliandola: era una sensazione che aveva già provato, e ricordava anche quando. La prima volta che aveva visto la sua auto, completa, pronta a correre nella sua prima gara da Fenice, più di quattro anni prima. Quando ancora non sapeva a cosa andava incontro, quando ancora non sapeva dove sarebbe arrivata, chi sarebbe diventata…

 

Bassa, la vernice perlata lucidissima, i cerchi in lega ribassati, i vetri oscurati e l’aerografia della fenice sulla fiancata… La Punto era cambiata pochissimo, da quel giorno in cui aveva adottato il nome Fenice, da quando era veramente entrata a far parte del mondo delle corse clandestine, e come la prima volta che l’aveva vista, sembrava pronta a scattare, a far vedere di ciò che era capace. Pronta a dimostrare chi era.

 

La luce che proveniva da fuori fece brillare i fari, come grandi occhi di un felino. Irina sorrise e iniziò a girare intorno alla Punto, lentamente, passando la mano sulla carrozzeria tirata a lucido, ammirandone ogni particolare.

 

“E’ così torniamo a correre, mia cara… Chi lo avrebbe mai detto? Fenice torna di nuovo…”.

 

Passò le dita sullo specchietto esterno, dando uno sguardo ai cerchi in lega bruniti, che facevano parte di uno dei pochi cambiamenti in quegli anni, e tastò le gomme per controllare che non fossero sgonfie.

 

“E se Fenice ritorna, torni anche tu, bella mia. E’ un po’ che non ti faccio fare un giretto… Vediamo se sei ancora brava come ricordo”.

 

Aprì la portiera e salì dentro, ritrovando subito la sua posizione sul sedile avvolgente. Accarezzò la corona del volante, poi il pomello del cambio, osservando le lancette del contagiri e del contachilometri ferme e spente. Infilò la chiave nel nottolino e la girò, gli occhi chiusi e il respiro bloccato in gola. Erano passati mesi dall’ultima volta che si era seduta in quell’abitacolo…

 

Senza esitazioni, il motore si accese con un rombo, inondando il garage con il suo rumore pieno e aggressivo. Le lancette schizzarono in alto, illuminandosi di bianco, e le varie spie prima si accesero tutte insieme, poi si spensero per indicare che non c’era alcun problema.

 

“Lo sapevo, che non mi avresti deluso…”.

 

Con un sorriso, Irina ingranò la prima, poi la seconda, e poi tutte le altre marce per vedere se il cambio era sempre fluido, e accese i fari. Il garage venne illuminato a giorno per un momento, il tempo di provare i led, e tornò rischiarato solo dalla luce del giorno.

 

Perfetto, funzionava tutto. Mise la prima, poi si ricordò di una cosa. Sorrise per aver quasi dimenticato una cosa così importante.

 

La benzina.

 

Guardò la lancetta del serbatoio, che indicava “full”. L’ultima volta che l’aveva usata, si era premurata di farle il pieno… Chiaro segno che desiderava guidarla ancora.

 

“E adesso si va… Come una volta, come sempre”.

 

Tirò fuori il navigatore e lo accese. Il display si illuminò, poi comparve un reticolo di strade e una freccetta rossa: il punto esatto dove si trovava lei. I chilometri che mancavano alla meta erano trecento…

 

Si rese conto con stupore che Xander faceva tre giorni a settimana tutta quella strada, e comprese perché avesse il vizio di correre a trecento all’ora sull’autostrada…

 

Controllò il tempo di percorrenza: circa quattro ore, traffico incluso.

 

Sogghignò. Quattro ore? Quattro ore per una persona normale, ma per una pilota come lei… Guardò l’orologio: le 9.00.

 

“Vediamo se mi ricordo ancora come si guida veramente…”.

 

Uscì dal cancello e si avviò verso l’autostrada, attraversando la città con una strana sensazione addosso. Ne era passato di tempo, da quando girare con un’auto così vistosa era normale, e la gente non si stupiva più di tanto: Challagher e la sua banda erano di casa, da quelle parti. Ma ora che le cose erano cambiate, Irina si rese conto degli sguardi spaventati che qualche automobilista le lanciava, e di quelli ammirati dei gruppetti di ragazzi che la guardavano passare per strada.

 

Si fermò al semaforo, e si accorse che vicino a lei c’era una Mercedes Slk nera, guidata da un ragazzo non molto più grande di lei. Aveva lo sguardo puntato sulla Punto, l’espressione di sfida, la mano appoggiata sul volante con fare provocatorio. Aveva tutta l’aria di voler apparire come un pilota clandestino, ma lei sapeva che era tutta una finta.

 

Sorrise. Sapeva che i vetri oscurati la nascondevano alla vista, e che quel ragazzo credeva di avere di fronte “uno” come lui… Non si aspettava certo che fosse una ragazza, a guidare quell’auto palesemente sportiva e truccata. 

 

“Il papino ti ha lasciato la macchina, oggi? E’ sicuro che tu la sappia guidare?”.

 

Guardò il semaforo: lo sapeva, era da folli, ma un piccolo scatto le sarebbe servito a capire se aveva i riflessi pronti come quelli di una volta… E una prova di velocità era quello che voleva quel ragazzo, lo sapeva. Se credeva di fare il furbo, lei gli avrebbe mostrato cosa significava essere piloti veri.

 

E’ cinque minuti che sei in auto, e già cerchi la sfida. Sei sempre la stessa… Fenice non l’hai mai cancellata”.

 

Diede un colpo di gas per provocarlo: lui fece altrettanto, e fu la conferma che Irina si aspettava. Tornò a guardare il semaforo, ancora rosso, e attese.

 

Un bagliore, e la luce verde si accese. Schiacciò a fondo l’acceleratore, e la Punto schizzò avanti leggera e rapida come sempre, più veloce e più reattiva della Slk. Prima, seconda e terza inserite talmente veloce da sembrare un’unica marcia… Un attimo, ed era davanti, facendo mangiare la polvere alla Mercedes nera.

 

Percorse circa quattrocento metri, poi si fermò al semaforo seguente. Dopo qualche istante, vide il muso della Slk comparire alla sua destra.

 

“Bruciato, carino…” pensò divertita.

 

Vide lo sguardo del ragazzo, ancora puntato sulla Punto. Sicuramente voleva la rivincita, ma Irina non era disposta a dargliela: non poteva dare così tanto dell’occhio già appena uscita di casa.

 

Abbassò il finestrino, per fare in modo che il ragazzo la vedesse e dare così un ultimo colpo alla sua autostima. La sua espressione stupita e confusa fu per Irina la più bella delle soddisfazioni: come aveva previsto, non credeva di trovarsi davanti una ragazza.

 

<< Sicuro di saperla guidare? >> chiese accennando alla Mercedes, un sorriso sulle labbra, senza però essere troppo strafottente.

 

Il ragazzo rimase di sasso, la bocca aperta, e non disse nulla. Irina ghignò, poi partì lentamente quando con la coda dell’occhio di accorse che era scattato il verde, lasciando il ragazzo lì, a leccarsi le ferite.

 

Al casello autostradale si fermò a prendere il cartellino d’entrata, e non riuscì a trattenersi dal sorridere come un’idiota. Non ricordava che guidare la sua Punto fosse così divertente… Né così eccitante. O meglio, lo ricordava, ma si era dimenticata dell’effetto che faceva su di lei.

 

Attese che la sbarra bianca e rossa si alzasse, come un’inusuale linea di partenza, e guardò la strada dritta davanti a lei, poco trafficata, la luce del sole che illuminava la carreggiata pronta ad accoglierla, le auto troppo lente e troppo “normali” per una come lei.

 

Superò il casello, trafficando con la radio. Cercava il suo cd, quello che aveva lasciato dentro il portaoggetti l’ultima volta che aveva preso la Punto per farle fare un giro in circuito. Lo trovò, nascosto sotto il libretto di circolazione, e lo infilò nell’apertura.

 

Quando l’abitacolo venne invaso da una delle sue canzoni preferite, “Welcome to my truth”, qualcosa si accese dentro di lei. Con il volante sotto le dita, la mano appoggiata al pomello del cambio, il motore ancora al minimo della sua potenza mentre percorreva l’autostrada rispettando ancora i limiti di velocità, sembrava non fosse passato nemmeno un giorno da quando era la numero tre della Black List… Da quando quella macchina era la sua fonte di vita, da quando saliva sulla Punto e andava gareggiare a Dalton Beach… Tutto sembrava uguale. Tutto, tranne lei.

 

Cercò una delle tracce del cd che aveva aggiunto, rendendosi conto all’improvviso che forse la rispecchiava più di quanto si sarebbe mai aspettata.

 

“Hai fatto una scelta che nessuno condividerà, Irina. Una scelta che nessuno si sarebbe mai aspettato da te… Fare la brava ragazza non è mai stato qualcosa che ti viene bene. Per quanto tu ti sia sforzata, rimani sempre Fenice. E una ragazza, quando diventa cattiva, lo rimane per sempre…”.

 

Sorrise.

 

<< E adesso si corre per davvero… >> sussurrò.

 

La sentiva scorrere di nuovo. L’adrenalina, quella sensazione mista di eccitazione e paura, di incoscienza e di consapevolezza del rischio…

 

Il suo piede si fece pesante, mentre il volume della radio si alzava… La corsia di sinistra era sua, ora… La lancetta del tachimetro avanzava rapida, sempre più rapida

 

Ed eccola di nuovo sfrecciare lungo la carreggiata sgombra, il guard-rail sempre più sfocato di fianco a lei, il ruggito del motore…

 

130… 140… 150…

 

Il sole sul viso, le altre auto lente, troppo lente per lei… La striscia sull’asfalto che scorreva velocissima sotto la Grande Punto bianca, sotto gli pneumatici ribassati, sotto i suoi 255 cavalli… La “belva” tornava a correre… Fenice tornava a volare…

 

Inforcò gli occhiali da sole regalo di Xander, la radio ad alto volume, il braccio sinistro appoggiato alla portiera, lo sguardo incollato alla strada e un sogghigno sul viso. Non era niente, quello. Sapeva fare ben altro, e ricordava ancora come.

 

“Presto ti pentirai di tutto questo…”.

 

Poi schiacciò l’acceleratore fino a fine corsa, dando inizio alla seconda vita di Fenice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Traduzione:

“E’ facile per una brava ragazza diventare cattiva,
e una volta che lo siamo diventate,
c'è la speranza che lo saremo per sempre.
Non c'è bisogno di una ragione, non c'è bisogno di una ragione
è meglio che impari a trattarci nel modo giusto
perchè una volta che una brava ragazza diventa cattiva,
lo diventa per sempre per sempre”

 

 

 

 

 

 

 

Spazio Autrice

 

Ed ecco che Irina ha fatto la sua scelta: scelta obbligata, scelta prevedibile, ma pur sempre una scelta difficile. Perché se ora è convinta di quello che sta facendo, è perché non si rende ancora conto di ciò che tutto questo le porterà. La sua missione è andare in Russia e far arrestare Goryalef e la sua banda, non quella di tornare a essere Fenice. E sarà lì che capirà veramente cosa comporta.

E William finalmente sta per ricevere la visita che tanto aspettava: sarà svelato il “mistero” del suo “fedelissimo”, e spero non rimarrete delusi. Vorrei far notare ancora la sua palese confusione riguardo a Irina: sembra che la ami ancora, ma sembra anche che la sua intenzione sia quella di ucciderla. Ciò che è chiaro che è la sta usando per non impazzire, per avere uno scopo che lo tenga in piedi finché non sarà fuori. Si è ritrovato a dover vivere di ricordi, e il suo miglior ricordo è proprio lei, la stessa che lo ha fatto sbattere in carcere…

 

E grazie a tutti voi che recensite, che avete inserito la fic tra le preferite, le seguite e le ricordate. Un grazie enorme!

 

 

 

Supermimmina: purtroppo c’è un solo venerdì a settimana, e quindi devo limitarmi a usare quello. Fosse per me, la settimana sarebbe composta solo da venerdì, sabato e domenica! A parte gli scherzi, ho guardato con interesse le foto dei “personaggi” che mi hai mostrato: quella di Paul Walker potrebbe essere abbastanza somigliante a Xander, ma lui è moro. Irina… Oddio, Irina non è bionda, eh. E purtroppo non ci assomiglia per niente a quella della foto, o almeno non assomiglia a quella che ho immaginato io… Ti lascio libera di vederla come vuoi, ma non credo abbia tanto la faccia d’angelo della biondina: sarà dolce e carina, ma è pur sempre una ex pilota clandestina che ha fatto girare la testa allo Scorpione… William, sì, diciamo che Corona potrebbe essere un degno candidato: a personalità lo è di sicuro al 100%. Non ha gli occhi verdi, ma ci potrebbe stare. Dimitri io lo immaginavo un po’ diverso da quello che mi hai mostrato (capelli più chiari e corti), ma non disdegno nemmeno la tua “interpretazione”: meno freddo. Simon Cohen è abbastanza somigliante, quindi concordo. E l’ultimo, Boris: uhm, direi di no. Io lo vedo più giovane, capelli neri e barba scura, con un’aria più selvaggia e cattiva. Poi, , io ti lascio assolutamente libera di immaginare ogni personaggio come vuoi… Tranne per favore Irina bionda! Non ho niente contro le bionde, lo metto bene in chiaro, ma mi stravolgeresti tutto il mio personaggio… Naturalmente anche qui scherzo, ma la mia Fenice è una bella mora dalla carnagione chiara e dallo sguardo che vale più di mille parole. E non so se esista da qualche parte. Ti ringrazio comunque per avermi mandato la tua interpretazione: è interessante sapere come i lettori vedono i miei personaggi! Un bacione grande!

 

Sheba_94: noi carissima ci sentiamo su Msn. Troverò il modo di collegarmi, prima o poi!

 

CriCri88: Xander non si è comportato bene, ma lo fa per lei. E ti capisco anche se dici di essere filo-William: scoprirai un sacco di cose su di lui, più avanti. Ho intenzione di raccontare qualcosa del suo passato, perché potrebbe essere interessante. E ti piacerà sempre di più, il caro Scorpione. Baci!

 

Marty_odg: McDonall è pur sempre il Vicepresidente dell’F.B.I., ed era sicuro che trovasse un modo per parlare con Irina della missione. Non vedo nulla di sbagliato in quello che ha fatto lui, perché si tratta di qualcosa di molto importante e che trascende la volontà di una sola persona. E Irina ha ragionato fino a decidere qual’era la strada migliore… Forse. Non ci resta che vedere la reazione di Xander. Un bacio grande!

 

Smemo92: William impazzito? Io non credo sia impazzito: anzi, credo che sia più lucido e presente di quanto non lo sia mai stato… Due anni gli sono serviti per pensare, per capire, per scoprire chi è veramente lo Scorpione. Vorrei dire altro, ma rischio di rovinare la sorpresa. In ogni caso, posso dire che il carcere cambierà William, in bene o in male questo è da decidere. Xander sicuramente a Mosca non ci andrà, rischia la pelle, ma piuttosto che mandare Irina è disposto a rischiare. Per una volta le posizioni si invertono, e non è una cosa che gli piace molto. Vedremo la sua reazione nel prossimo capitolo. Bacioni!

 

  
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