Capitolo IV
Easy for a good girl to go
bad
And once we gone (gone)
Best believe we've gone forever
Don't be the reason
Don't be the reason
You better learn how to treat us right
'Cause onces a good girl goes bad
We gone forever*
[ Good Girl Gone Bad – Rihanna
]
Ore 10.00 –
Casa di Xander
<< Xander, ci sei? >> chiese Irina, infilando le scarpe bianco perla con il tacco e dandosi una rapida occhiata allo
specchio in entrata, << Mi serve il bagno… >>.
<< Un
momento, ho finito >>.
Mentre aspettava
che Xander lasciasse libero il bagno, sapendo quanto
fosse vanitoso quando era ora di andare a qualche evento importante, continuò a
guardarsi nello specchio del corridoio e a studiare il suo riflesso, perplessa.
Ricordava benissimo
la prima e l’unica volta che aveva indossato quel vestito: più di due anni
prima, a Las Vegas, il giorno in cui aveva capito di amare davvero Xander, e di essere veramente prigioniera di William. Quel
giorno in cui aveva desiderato ardentemente ricevere il bacio che non aveva
avuto, cosa le aveva lasciato l’amaro in bocca per
giorni.
Blu oceano,
attillato, dalla gonna non troppo corta e con piccoli cristalli sullo scollo,
era stato un regalo dello Scorpione, uno degli ennesimi doni che le aveva fatto
per cercare di comprarla. Per tutto quel tempo era rimasto chiuso nel suo
armadio, in mezzo a tutti i suoi normali vestiti, l’unica cosa che aveva voluto
tenere in ricordo della sua vecchia vita, senza nemmeno sapere bene perché.
Non poté fare a
meno di voltarsi di spalle e scostare i capelli, riuscendo a scorgere il
tatuaggio che portava tra le spalle, sotto il collo: una fenice tribale, nera,
ad ali spiegate e dalla lunga coda piumata. Il segno che si era inferta quando era entrata nel mondo delle corse clandestine,
e anche il simbolo che l’aveva sempre rappresentata.
Si chiese perché
avesse deciso di indossare quell’abito. Perché mettere qualcosa che le
ricordava così tanto Fenice? Che le facesse rivivere
tanti momenti bui e dolorosi?
Fece una smorfia
quando si rese conto che era stata la richiesta di McDonall a farla agire così: era una prova che
inconsciamente si proponeva per vedere cosa le sarebbe preso, al ricordo della
sua vecchia vita. Una sorta di test per essere in grado di capire se fosse in grado di sopportarne ancora alcuni lati…
<< Vieni, ho
finito >>.
Xander uscì dal bagno, ma
si bloccò sulla porta, lo sguardo puntato su di lei. Rimase zitto, forse senza
sapere cosa dire; e per lei fu la stessa cosa. La squadrò da capo a piedi,
ancora stringendo la maniglia, e Irina fece altrettanto con lui.
Vestito nel suo
completo nero, camicia grigio ghiaccio e cravatta coordinata, era davvero…
Bello. E con quegli occhi azzurri che si ritrovava, non poteva far altro che
sembrarle perfetto.
<< Che c’è?
>> fece lui, serio.
Irina sorrise
divertita. << Non sono abituata a vederti vestito in questo modo… Però…
Lo sai che stai proprio bene? >> disse, avvicinandosi.
Xander ghignò. << E io mi ricordo di quel vestito >> disse, <<
Finalmente hai trovato il coraggio di metterlo? >>.
Irina arrossì.
<< Non va bene, vero? >> chiese, domandandosi se forse era troppo,
per andare a un matrimonio, oppure se fosse eccessivamente scollato per entrare
in chiesa. Come tutte le volte, ci aveva impiegato un’ora a decidere se voleva
o non voleva indossarlo… E sono lei sapeva
perché.
Xander scoppiò a ridere.
<< No, no >> disse, avvicinandosi e prendendola per i fianchi,
<< Sei bellissima, così… Nemmeno io sono abituato a vederti vestita in Dior, no? >>.
Sfiorò le labbra
con le sue e sorrise. Non sapeva che era stato un regalo di William, perché lei
non aveva mai voluto dirglielo, visto che aveva deciso di tenerlo… Molto
probabilmente non sarebbe stato altrettanto contento, se fosse venuto a sapere
che quello che aveva addosso era un dono dello Scorpione.
<< Stai
attenta, perché potrei pensare di far celebrare un altro matrimonio, oggi
>> sussurrò lui, a un centimetro dal suo viso.
Stava chiaramente scherzando, ma Irina si sentì in colpa. Come poteva
nascondergli cosa gli aveva chiesto McDonall, quando
lui era sempre così dolce con lei?
Si scostò dalle sue
labbra e fissò il pavimento, sempre più a disagio.
<< Cos’hai? >> chiese Xander, le
dita sotto il suo mento.
<< Niente…
>> mormorò Irina, << Solo che… >>.
Doveva dirglielo, doveva dirglielo… Ma se glielo diceva, si sarebbe
arrabbiato, lo sapeva…
<< Che c’è?
>> disse Xander, tirandole su il volto,
<< C’è qualcosa che non va? >>. Era preoccupato, come ogni volta
che lei dava segno di non voler parlare: aveva imparato che significava che non
stava bene. Era sempre stata un libro aperto, per lui, e sapeva che non avrebbe
resistito ancora a lungo…
<< No… E’
solo che… >> Irina lo abbracciò, dandosi della codarda, << Non
voglio che te ne vada di nuovo… Non ce la faccio a vederti andare via… Voglio
che rimani qui ancora per un po’… >>.
Stava quasi per
mettersi a piangere. Era vero anche quello, non voleva che se ne andasse
ancora, a rischiare la vita in Russia. Soprattutto adesso che sapeva
precisamente di cosa si trattava…
Xander la strinse, appoggiando
il mento sui suoi capelli. << Lo so, piccola… Ma non mi posso tirare
indietro >> disse, << La Russia è lontana,
ma andrà tutto bene… Il mio lavoro mi impone questo genere di scelte, lo sai
>>.
Certo che lo
sapeva, lo sapeva bene anche lei ora. Era lo stesso
discorso che le aveva fatto McDonall: alle volte le
cose non si devono fare per piacere, ma perché sono necessarie. Significava
essere responsabili, essere adulti.
Per un istante sperò
di perdere il controllo della lingua, di iniziare a raccontargli tutto senza
riuscire a fermarsi, ma non accadde. Rimase zitta, perché non aveva preso
ancora una decisione, e soprattutto perché non voleva rovinare quel momento.
Era un problema suo, questa volta. Per quanto amasse Xander,
doveva tenerlo fuori.
Sospirò. <<
E’ meglio che mi prepari… >> sussurrò staccandosi e avviandosi verso il
bagno, << Altrimenti facciamo tardi >>.
Xander la seguì con lo
sguardo, e lei colse nei suoi occhi una strana luce che non riuscì a decifrare.
Forse sospettava qualcosa, perché era sempre stata un libro aperto per lui.
Quando mezz’ora
dopo Irina uscì dal bagno, truccata e pettinata, era riuscita
a riguadagnare un po’ della sua serenità, convincendosi che almeno per quel
giorno poteva dimenticare tutto e godersi una giornata all’insegna della
tranquillità. C’era un matrimonio, da festeggiare, e tutti i problemi dovevano
passare in secondo piano.
Xander la guardò prendere
la borsa e sorrise. << Sei davvero bellissima, piccola >> disse,
porgendole la mano, << Quel vestito ti sta benissimo. Vorrei che te lo
mettessi un po’ più spesso, solo per me, però >>.
Irina gli diede una
pacca affettuosa sulla spalla. << Dai, che dobbiamo andare… Prendiamo la
BMW, che se no agli amici di Sally viene un infarto, se ci vedono arrivare in
Ferrari… Oltretutto ci servono quattro posti: dobbiamo portare Tommy >>.
Xander alzò gli occhi al
cielo. << Va bene… >>. Forse stava già pregustando una delle sue
entrate eccessivamente vistose…
Parcheggiarono
davanti alla chiesa, vicino a un paio di utilitarie scure che dovevano essere
degli amici di Sally e dei suoi parenti; Todd, in piedi davanti all’entrata,
stranissimo nel completo giacca e cravatta, aspettava
con Tommy per mano, controllando l’orologio.
Il luogo scelto per
celebrare il matrimonio era una di quelle chiese piccole e molto sobrie, senza
troppe vetrate e dalle forme semplici, in linea con il gusto di Sally. Le
porte, ora aperte, erano però state decorate con mazzi di fiori azzurri e
bianchi, e una scatola bianca era adagiata per terra,
contenente una sorpresa per gli sposi. Per di più, la bella giornata di sole,
rendeva tutto molto allegro e familiare, come sarebbe sicuramente piaciuto a
Sally.
Irina si affrettò a
scendere dall’auto, attenta a non inciampare nei tacchi, e raggiunse il suo per
il momento unico nipote.
<< Zia!!! >> gridò il bambino, appena la vide, e le corse
incontro, impacciato dall’abbigliamento elegante.
Ormai Tommy aveva
quasi cinque anni, e cominciava a essere pensantuccio
per essere preso in braccio, ma Irina non resistette
alla tentazione e lo sollevò cercando di non perdere l’equilibrio. Era
legatissima a quel bambino, e vederlo ogni volta era una fonte di gioia, per
lei.
Per l’occasione
Tommy era stato vestito con una giacca e un paio di pantaloni azzurri, ma al
posto della cravatta portava un simpaticissimo papillon. I capelli chiari erano
stati accuratamente pettinati, e sembrava davvero un ometto.
<< Come sei
bello, oggi >> disse Irina, schioccandogli un bacio sulla fronte,
<< Papà è già arrivato? >>.
<< Sì
>> rispose Tommy, ridendo, << Mi porti nella tua macchina?
>>.
<< Certo che
ti porto con me >> disse Irina, guardando poi suo padre, << Dominic è dentro? >>.
<< Sì. E’ un
po’ nervoso… >> rispose Todd, divertito, facendo cenno verso l’interno
della chiesa.
Xander arrivò dopo aver
parcheggiato l’auto, e rivolse un cenno di saluto abbastanza freddo a Todd, per
poi voltarsi verso Irina.
<< Quanta
gente manca? >> domandò.
<< Quasi
tutti >> rispose lei, << Anche Jenny. Ma credo arriveranno
a momenti… Tieni un attimo Tommy, per favore >>.
Gli passò il
bambino ed entrò nella chiesa, cercando con lo sguardo suo fratello Dominic. All’interno regnava un silenzio ovattato, e dalla
vetrata in fondo filtrava la luce del sole, che illuminava le prime panche di
legno.
Vide suo fratello
in piedi davanti all’altare, in completo nero, lo sguardo rivolto verso il
grande crocifisso appeso al soffitto. Non c’era ancora
nemmeno il prete, che forse aspettava l’arrivo di tutti gli invitati alla
cerimonia.
Dominic si voltò di scatto
quando la sentì entrare, e le rivolse uno sguardo carico di sollievo. Era teso,
la fronte solcata da una ruga che non gli aveva mai visto e gli occhi scuri
stranamente lucidi. Oltretutto, vestito con lo smoking gessato e i capelli neri
perfettamente pettinati, era quasi irriconoscibile. Irina gli andò incontro,
divertita dal suo nervosismo, e si fermò a pochi metri da lui.
<< Agitato?
>> chiese. La sua voce rimbombò sinistramente nella chiesa deserta.
Dominic si strinse nelle
spalle. << Penso sia la stessa cosa per tutti >> rispose, atono. I
gemelli attaccati alle maniche della camicia risplendettero per un istante.
<< Ce ne hai
messo di tempo, a fare questo passo >> disse Irina, ma non c’era nota d’accusa
nella sua voce: era solo una constatazione molto divertita, nient’altro. Dopo tutto ciò che era successo in passato, vederlo tornare una
persona rispettabile era strano e a tratti buffo, soprattutto per lei che era
stata coinvolta più di tutti in quella vicenda che aveva radicalmente cambiato
le loro vite.
<< Ho smesso
di fare cavolate >> ribatté Dominic,
sorridendo.
<< Allora
complimenti per aver messo la testa a posto >> disse Irina, e lo
abbracciò, << Vi auguro davvero tanta felicità >>.
<< E noi a
te… Se siamo ancora qui, lo dobbiamo alla nostra sorellina pilota clandestina
>> disse lui, cingendola con le braccia.
Allora era davvero
il destino, a rivolerla di nuovo Fenice. Anche Dominic
riportava a galla il suo passato.
Lo lasciò andare,
turbata, e disse a bassa voce: << Rimani qui, vado
fuori ad aspettare gli altri. Hai ancora qualche minuto per stare da solo.
Cerca di non scappare, eh? >>.
Uscì dalla chiesa,
per scoprire che era arrivata un sacco di gente.
Parenti, amici e colleghi di Sally e di Dominic, che
iniziavano a occupare lo spiazzo che fino a poco prima era vuoto. Jenny
aspettava stranamente tranquilla insieme a Jess dall’altra parte dello spiazzo davanti alla chiesa.
Ritrovò Xander, con Tommy ancora in braccio, e lo
raggiunse, notando divertita la sua espressione poco contenta per dover tenere
il bambino a stretto contatto con sé tutto quel tempo.
<< Eccomi…
Mettilo giù >> disse, prendendo Tommy per mano, << Visto quanta
gente? Tra un po’ arriva la tua mamma… Vedrai com’è bella >>.
Aspettarono circa
venti minuti, durante i quali gli ultimi arrivati fecero in tempo a salutare
tutti e a essere presentati a chi non conoscevano, per
poi disporsi davanti alla chiesa in attesa dell’ultima arrivata.
La sposa non si
fece aspettare troppo: a bordo di una Porsche Panamera blu metallizzato, opera di Irina, fece il
suo ingresso sullo spiazzo, accolta da una serie di mormorii estasiati. Agli
specchietti erano stati attaccati piccoli mazzi di fiori azzurri, insieme con i
classici fiocchi bianchi.
Alla vista
dell’auto, Xander si abbassò su Irina e sussurrò:
<< E’ stata un’idea tua, quella della macchina, vero? >>.
<< Non l’ho
mica comprata, l’ho solo affittata >> ribatté Irina, mentre Tommy
saltellava di fianco a lei, trepidante d’attesa. << Sai che ho un debole
per queste cose… >>.
Due signori
aprirono le porte dell’auto, e quelle che dovevano essere le sue sorelle
aiutarono Sally a scendere dalla macchina.
Come aveva
previsto, Sally era bellissima nel suo abito bianco, i capelli raccolti in una
retina con un fiore anch’esso bianco, gli occhi luminosi di gioia. Si guardò
intorno raggiante quanto sentì l’applauso di tutti, e Todd le porse il braccio
per accompagnarla dentro la chiesa.
Gli invitati presero posto delle panche, mentre Dominic
continuava ad attendere di fronte all’altare. Irina gli fece un cenno per
dirgli che era tutto pronto e si sedette di fianco a Xander
e Tommy in uno dei primi posti. Il prete era arrivato, pronto a celebrare la
funzione.
Sulle note suonate
dall’organo, Sally entrò in chiesa al braccio di Todd, che sostituiva suo padre
mancato tanti anni prima, emozionatissima. Il lungo strascico era sorretto
dalle sue sorelle, mentre Dominic la guardava sfilare
rapito.
Irina le rivolse
un’occhiata felice, quando le passò vicino, e diede una carezza a Tommy, che
salutò la mamma con la manina. Quando raggiunse l’altare, la funzione iniziò,
dando inizio a quella stupenda giornata.
Xander, di fianco a lei,
le stringeva la mano.
<< Non
credevo di essere in grado di mangiare così tanto…
>> disse Irina, posando le scarpe nell’ingresso, sentendosi stranamente
pesante. Aiutò Tommy a togliersi la giacchetta e guardò Xander
che si sfilava la cravatta. Il bambino sbadigliò e Irina lo prese
per mano, raggiungendo il soggiorno.
<< Credo che
l’unica cosa che tu voglia in questo momento sia dormire, vero? >> disse,
guardando l’orologio, << Non hai mangiato un
gran che, oggi. Ti preparo qualcosa >>. Aveva passato tutto il tempo a
correre tra i tavoli e a giocare con i figli delle sorelle di Sally, che erano
altrettanto scalmanati.
Lasciò Tommy
davanti ai cartoni animati sperando che non si addormentasse, e andò a
togliersi il vestito, i piedi doloranti: non era abituata a portare i tacchi
per tutto quel tempo. Xander era in camera a torso
nudo, già in jeans, a cercare qualcosa nel cassetto. La guardò litigare con la
cerniera dell’abito che si era incastrata e le venne in soccorso.
Un brivido passò
per la schiena di Irina quando la sua mano calda le sfiorò la pelle, e un
attimo dopo si ritrovò con le sue appoggiate al petto di Xander,
accaldato e divertito. Si lasciò solleticare per qualche istante, poi si
ricordò che c’era Tommy, di sotto.
<< Faccio
qualcosa da mangiare a Tommy >> disse, << Tu hai ancora fame?
>>.
<< Stai
scherzando, vero? >> ribatté lui, << L’unica cosa che voglio fare è
smaltire tutto il pranzo di oggi… >>.
Irina sorrise e si
staccò, infilandosi la maglietta e i jeans. << C’è un bambino, di sotto
>> disse, a mo’ di rimprovero.
<< Capisci
adesso perché non mi piacciono? >> ribatté Xander,
riacciuffandola per un istante e dandole un bacio sulla bocca.
<< Se è solo
per quello, penso che puoi resistere ancora per un po’
>> disse Irina, dandogli un bacio a sua volta e sparendo di sotto.
Tommy stava ancora
guardando i cartoni animati, e gli preparò la cotoletta che a lui piaceva tanto
e che ormai era di routine quando veniva a stare da loro. Quando gli ebbe dato
da mangiare lo portò di sopra, nella camera per gli
ospiti, e cercò di metterlo a dormire: peccato che, durante l’attesa della
cena, gli fosse passato tutto il sonno.
<< Dove è
andata la mamma, zia? >> chiese il bambino, sdraiato di fianco a lei nel
letto matrimoniale, il volto nascosto nella penombra.
<< E’ andata
in vacanza con papà per qualche giorno >> rispose Irina, fissando il
soffitto in attesa che Tommy si addormentasse. << Sei
contento di rimanere con me per un po’? >>.
<< Sì… Perché
siamo venuti a casa di Alezzander? >>. Irina
sorrise di fronte al suo problema con le “x” che si sarebbe risolto da solo di
lì a qualche anno.
<< Perché lui
ha la casa più grande, e così possiamo stare tutti
insieme >> rispose Irina, accarezzandogli la testolina. Lo trovava molto
tenero quando le poneva quelle strane domande.
<< Ah… Ma
perché non lo posso chiamare zio? >> chiese Tommy. Sembrava considerare
la cosa di vitale importanza, vista la sua espressione corrucciata.
<< Perché…
Bé, perché non siamo sposati >> rispose Irina, questa volta un po’ a
disagio, << Dormi, adesso, altrimenti domani sei
troppo stanco per andare all’asilo >>. In tutta sincerità, voleva
sorvolare su quell’argomento: non voleva mettergli
strane idee in testa…
<< Va bene,
zia >> disse Tommy, rigirandosi sotto le lenzuola, << Me la
racconti una storia, per favore? >>.
<< D’accordo,
piccolo >>.
Irina gli rimboccò
la coperta e si mise a raccontare la prima storia che le passò per la testa: un
coniglio che aveva problemi con i suoi dentoni e che nessuno voleva fare amico.
Ad un certo punto si accorse che Xander
era appoggiato allo stipite della porta e li guardava nel buio, le braccia
incrociate e l’espressione imperscrutabile. Non si capiva se era divertito o
infastidito da quella situazione.
Irina avrebbe tanto
voluto che li raggiungesse e condividesse con lei quel momento, anche solo
stando seduto sul bordo del letto in silenzio, ma non gli chiese nemmeno di
avvicinarsi: sapeva che Xander non sarebbe venuto,
perché lui non era abituato ad avere a che fare con i bambini, e non si
sforzava nemmeno di provarci. Non era proprio il tipo da mettersi a raccontare
favole.
Continuò a
raccontare la sua storia, lanciandogli ogni tanto un’occhiata per capire cosa
stesse pensando, e chiedendosi perché a volte si comportasse in quel modo quasi
possessivo con lei… Era un bambino, mica un ragazzo
che le faceva la corte.
Ad un certo punto, Xander sparì silenzioso com’era arrivato, forse diretto in
cucina o in soggiorno. Irina accarezzò Tommy, che iniziava a chiudere gli
occhi, e attese che si addormentasse.
Anche quella
giornata era finita, ed era riuscita a passarla senza pensare al suo problema.
Ora però doveva veramente trovare una soluzione, perché non poteva continuare a essere così irrequieta senza destare i sospetti
di qualcuno…
“Che cosa vuoi veramente,
Irina? Perché il problema è questo: non sai che cosa vuoi tu…
O forse lo sai, ma non lo vuoi ammettere”.
McDonall con una frase le
aveva fatto capire tutto quello che c’era da capire: alle volte si devono fare
scelte che non ci piacciono, per il bene di tutti quanti. Era quello che faceva
Xander quando partiva e la lasciava sola: il dovere
era una cosa, il piacere un’altra.
Perché avere paura,
allora? Xander lo faceva sempre, andava in missione
senza troppe storie e poi tornava… Perché aveva paura in quel modo?
William era in carcere,
chiuso nella sua cella di sicurezza e guardato a vista, e tutta la sua banda
aveva fatto la stessa identica fine. Non si doveva preoccupare di loro, né del
fatto che potessero farle qualcosa. Sarebbe stata al sicuro, in stretto
contatto con i membri dell’F.B.I., avrebbe seguito un
piano ben congegnato…
“La verità è che hai paura di essere contenta di
trovarti di nuovo lì. Hai paura di scoprire che rimani
comunque Fenice. E questo vorrebbe dire che tutti gli sforzi che hai fatto fino
ad adesso per cambiare, per dimenticare, sono stati vani… Sia i tuoi, sia
quelli di Xander. Tornerai ad avere
tutte le tue paure, tutti i tuoi incubi… E’ questo che ti ha impedito di dire
di sì subito”.
Sbuffò, frustrata. Dovere,
volontà, paura, desiderio… Si mescolava tutto nella sua testa, in quel momento.
McDonall l’aveva detto:
certe scelte si fanno per dovere.
Jenny era stata
chiara: le paure vanno affrontate.
Max lo aveva
predetto: tornare al passato sarebbe stato traumatico.
“Se vuoi smettere di avere paura, di rimanere nel
dubbio di ciò che sei veramente, l’unica possibilità che hai è quella di
provare. Non puoi tirarti indietro: non lo fai solo per te,
lo fai anche per chi stava come te… Se è necessario, fai come Xander: non tirarti indietro, anche se hai paura. E’
ora di crescere, Irina”.
Crescere… Era
cresciuta, in quei due anni? Era cambiata, certo, ma poteva dire di essere
maturata, di aver imparato a essere adulta?
“Guarda in faccia la realtà, Irina. Sei sempre una
bambina: continui a vivere spensierata e lasci che siano gli altri a decidere
per te. Continui a fare la vittima, a crogiolarti in quello
che sei stata… Non c’è giorno in cui almeno uno dei tuoi pensieri non torna a
quella vita… Se vuoi davvero crescere, e dimenticare, allora affronta le tue
paure e dimostra a te stessa che sei in grado di guardarti anche da sola”.
Xander si fermò di nuovo
sullo stipite della porta della camera degli ospiti,
lo sguardo puntato sul letto, la lampada accesa sul comodino che rischiarava
appena l’ambiente. Irina si era addormentata, con Tommy di fianco a lei,
appoggiato alla sua spalla, il respiro leggero leggero. Sapeva che con quel bambino in giro sarebbe
finita così, ma non se la prese troppo: in fondo, sarebbe stato solo per un
paio di giorni. Poteva sopportarlo.
Si avvicinò e
rimboccò le coperte a Irina, soffermandosi a guardare il suo volto.
Erano stati giorni
difficili, per lui. La proposta di McDonall lo aveva
lasciato nervoso e arrabbiato, oltre che perplesso. Aveva fatto di tutto per
non far capire a Irina che c’era qualcosa che non
andava, perché non voleva coinvolgerla, ma sapeva che da quel punto di vista
era molto furba, e doveva aver per forza capito che era preoccupato. Forse per
non apparirgli troppo apprensiva non aveva voluto chiedergli nulla.
Ora che la vedeva
dormire tranquilla come una bambina, si rese conto di quanto fosse assurdo
prenderla in considerazione per una cosa del genere. Era troppo giovane per essere mandata a rischiare la vita, non l’avrebbe mai
permesso. A lui spettava il compito di proteggerla, di prendersi cura di lei.
Era uno degli impegni che si era preso quando aveva deciso che sarebbe entrata
a far parte della sua vita.
“Come posso pensare di lasciarti andare laggiù? Chi ci
penserà a te? Ho fatto di tutto per averti, non ti lascerò andare… Non ti farò
rischiare la vita. Sei troppo piccola per fare una
cosa del genere… Hai già perso troppo, amore mio”.
Le sfiorò una
guancia e per un momento fu tentato di svegliarla. Aveva voglia di sentirla di
nuovo sua, di stringere quel corpo fragile tra le sue braccia… Era un bisogno
di cui non si stancava mai, con cui faticava a convivere mentre era via. Ogni
giorno che passava, si rendeva sempre più conto di quanto avesse bisogno di
lei, di quanto l’amasse veramente.
“Il tuo posto è qui, Irina, al sicuro. Non ho
combattuto contro i tuoi demoni fino a ora per poi lasciarti di nuovo in loro
balìa… Ti voglio così come sei adesso, piccola, fragile, innocente… Non voglio
vedere di nuovo quell’espressione nei tuoi occhi, quel dolore che avevi dentro.
Non ti deluderò chiedendoti di tornare a essere ciò che non
vuoi…”.
Le sfiorò di nuovo
una guancia, e poi posò lo sguardo su Tommy, che dormiva beato, la manina stretta stretta al lenzuolo.
Sapeva di doverlo trovare tenero, ma Irina concentrava tutta la sua attenzione,
in quel momento.
La ragazza si mosse
impercettibilmente, poi aprì gli occhi e lo guardò, chino su di lei,
l’espressione per un istante confusa.
<< Xander… >> sussurrò, << Scusa, mi sono addormentata…
>>.
Fece per alzarsi,
ma lui la fermò.
<< Non
importa, piccola >> disse sorridendo, << Sei stanca, dormi… E poi
rischi di svegliarlo >>.
Indicò Tommy con un
cenno del capo e Irina guardò il bambino, un dolce sorriso che le si apriva sul volto, forse ancora più intenerito di
quelli che rivolgeva a lui.
<< No, non
c’è questo pericolo… >> mormorò, << Credo che domani svegliarlo
sarà un’impresa >>.
Si mise a sedere, i
capelli lunghi che le ricadevano sulle spalle, cercando con lo sguardo forse le
ciabatte. Xander la guardò alzarsi con un misto di
divertimento e tenerezza: era sempre pronta a prendersi cura di chiunque
fuorché di se stessa. La prese per mano e la portò in
camera.
Irina si sedette
sul letto, e si lasciò cadere con aria soddisfatta e felice sui cuscini. Mise
le braccia dietro la testa e lo guardò abbassare le serrande.
<< Oggi è
andato tutto bene, per fortuna >> sospirò, << Sono contenta per
Sally. Si meritava una giornata così… >>.
Xander sorrise e si
sdraiò di fianco a lei. << E tu cosa pensi di meritare, per averla
aiutata? >> chiese.
<< Niente… Ho
già tutto quello che voglio >> rispose lei, fissando il soffitto.
“Anche io, amore mio… Quando
ho te, cos’altro posso chiedere?”.
Fece per tirarla
verso di sé, ma si accorse che aveva chiuso di nuovo gli occhi e che
probabilmente si stava riaddormentando. Rimase con la mano bloccata a
mezz’aria, quasi contrariato, poi sorrise. Irina era unica anche perché era in
grado di accenderlo con un solo sguardo e di spegnerlo altrettanto velocemente.
<< ‘Notte, piccola >> sussurrò, e spense la luce.
Ore 11.30 –
Los Angeles, Ocean Cafè
<< La mia
risposta è sì. Accetto la missione >>.
Irina guardò McDonall, seduto davanti a lei, l’espressione puntata sul suo
volto. Teneva una valigetta ventiquattrore appoggiata sul tavolino dell’Ocean Cafè, la mano
sull’apertura. Nel bar deserto non c’era nessuno a parte loro, e il solito
barista stava sistemando le sedie qualche tavolino più
in là.
Quella frase,
pronunciata tutta d’un fiato, per un momento le sembrò
uscire dalla bocca di qualcun altro, non dalla sua. Fece fatica persino a
riconoscere la sua stessa voce.
<< Accetto,
anche se ho paura >> ripeté.
Il Vicepresidente
abbassò il capo, serio, ma riuscì comunque a cogliere sul suo volto un sorriso
quasi soddisfatto. << Sono contento che abbia preso questa decisione
>> disse, << E le sono assolutamente grato… Capisco quanto sia
difficile per lei, ma è la soluzione migliore che potevamo prendere >>.
Irina si strinse le
mani e guardò il pavimento per un istante, preoccupata. Ancora non sapeva se
aveva preso la decisione giusta oppure no.
Accettare era
l’unico modo per sentirsi in pace con sé stessa, e per
affrontare le sue paure… Però non poteva negare di non essere pienamente sicura
di quello che stava facendo, soprattutto quando si sarebbe ritrovata faccia a
faccia con Xander. Cosa avrebbe
detto?
<< Posso
sapere qual è il vostro piano, ora? >> chiese, per distogliere i suoi
pensieri da quell’incontro.
<< Le
illustrerò il nostro piano quando verrà a San Francisco >> rispose McDonall, << Per il momento mi limiterò a darle le
indicazioni di base… >>. Mescolò il suo caffè e la guardò. << Per
prima cosa, dobbiamo pensare alla sua preparazione. Le forniremo armi, soldi e
auto: tutto ciò di cui avrà bisogno. E ci occuperemo di insegnarle come
muoversi. Non ci vorrà molto, anche perché abbiamo solo due settimane a
disposizione… Dovremo farci bastare il tempo >>.
<< E Xander? >>.
McDonall sembrò rabbuiarsi,
a quel punto. << Glielo diremo insieme >> rispose, << Non posso nascondergli che ha preso parte alla missione, e in
ogni caso la sua reazione sarebbe ancora peggiore. Saprà tutto, e dovrà
accettare le cose come stanno >>.
“Dubito che accetterà così facilmente… Forse è il caso
che nella stanza non ci sia nessuno”.
<< Quando
devo presentarmi a San Francisco? >> chiese Irina.
<< Alle
undici di domani mattina >> rispose il Vicepresidente, aprendo la
ventiquattrore, << Sistemeremo con calma tutta la faccenda, e avremo modo
di parlare con il suo fidanzato… >>. Le porse un navigatore satellitare,
che lei prese titubante. << Segua le indicazioni di questo. Arrivata lì troverà qualcuno che si occuperà di accompagnarla da me…
Ah, vorrei solo parlare della sua carriera universitaria, se non le dispiace
>>.
Irina annuì.
<< Sì… Ci sono problemi? >>. A dir la
verità era l’ultima cosa a cui aveva pensato, in quei giorni.
<< So che
frequenta regolarmente, e che si trova in pari con gli esami >> disse McDonall, << Mi dispiace che per colpa nostra debba
perdere lezioni ed esami… Se non le dispiace, avevo pensato di permettermi di
farle un piccolo, per così dire, sconto… >>. Sorrise, le dita che
giocavano con la serratura della ventiquattrore.
Irina inarcò le
sopracciglia, perplessa.
<< Supererà tutti
gli esami di questo semestre d’ufficio, tutti con un voto che non alteri la sua
media >> spiegò McDonall, << Non sappiamo quanto tempo prenderà questa missione, perciò credo
che almeno questo le sia dovuto >>.
Irina lo fissò
stupefatta. << Sta dicendo veramente? >> boccheggiò.
<< Certo…
Crede che non lo possa fare? >> ribatté il Vicepresidente, divertito,
<< A quello non dovrà pensare… Sempre che sia d’accordo >>.
<< Oh…
>>, Irina si strinse le mani, << Ehm, si va bene… Non è proprio corretta,
come cosa, ma se posso togliermi almeno questo pensiero… >>.
<< Perfetto
>> disse McDonall, alzandosi, << La
aspetto domani mattina, nel mio ufficio. La prego di non parlare con nessuno di
questa missione, anche con i suoi familiari. Venga con la sua vecchia auto, per
favore. Le faremo dare una guardata >>.
Le strinse la mano
e sorrise. << Passi una buona giornata… Domani sarà tutt’altra cosa
>>.
La salutò e uscì
dal bar, lasciandola di nuovo sola. Irina deglutì e guardò il navigatore
satellitare che aveva poggiato sul tavolino, senza in realtà vederlo.
“E’ fatta, Irina. Ora non si torna
più indietro… Adesso sei di nuovo in gioco”.
Con stupore, si
accorse che ciò che stava provando non era paura, ora… Era… Era eccitazione.
Era felicità… Sì, aveva fatto la scelta giusta, questa volta… Tornava a
correre.
Si alzò di scatto e
lasciò il locale, raggiungendo la TT parcheggiata vicino alla spiaggia,
sentendosi stranamente leggera.
Sorrise, mentre
saliva sull’auto, impugnando il volante come non aveva mai smesso di fare,
saggiando il pomello del cambio, gli occhi puntati sulle lancette del
contagiri. Tutti gesti che aveva imparato tanto tempo
prima e che aveva cercato di dimenticare, ma che facevano parte di lei… Ora
poteva ripeterli senza vergognarsi di sé stessa… Tornava a essere Fenice…
Accese il motore e
partì con una sgommata.
No, non aveva
paura. Non aveva paura di essere di nuovo Fenice, anzi. Stava facendo la cosa
giusta: stava tornando a essere una pilota
clandestina, ma aveva uno scopo, ora. Salvare delle vite, salvare qualcuno che
magari si trovava nella sua stessa situazione… Non lo faceva solo per sé stessa.
“Mi assumerò i miei doveri… E’ ora di crescere, e io crescerò”.
Ore 9.00 –
Carcere si San Francisco
<< Challagher, è ora della doccia >>.
Con un rumore
metallico, qualcosa venne sbattuto sulle inferriate
della cella, e William digrignò i denti per il fastidio. Sfruttò lo specchio
che aveva davanti per guardare alle sue spalle, la porta del bagno lasciata
aperta, asciugandosi il collo sudato con l’unico asciugamano che aveva.
La guardia
carceraria fissava le sue spalle tatuate, il manganello in mano e il volto
barbuto quasi strafottente. Il cartellino sulla sua camicia verde bottiglia
diceva “Jason McCarteer”.
William lo aveva
visto solo un paio di volte, durante una delle ore d’aria, e normalmente non
era lui ad accompagnarlo alle docce. Di solito c’era Reed,
a occuparsi di lui. Si chiese come mai quel cambiamento, ma non gli diede
troppo peso, visto che alla fine non gliene fregava
gran che.
Gettò l’asciugamano
sul letto e si voltò, guardando McCarteer infilare le
chiavi nella serratura e aprire le inferriate, gli occhi puntati su di lui. A
William venne da sorridere malignamente: in quel momento sapeva bene che la guardia
carceraria temeva qualche sua azione avventata. Challagher
era uno da tenere costantemente d’occhio, era un’opinione comune all’interno
del carcere.
McCarteer lo afferrò per i
polsi e lo spinse fuori dalla cella, tenendogli saldamente le mani per evitare
per si azzardasse a fare qualcosa.
<< Un passo
falso e ti ritrovi con un manganello nello stomaco >> lo minacciò,
conducendolo lungo il corridoio dalle pareti scrostate e sudice, sotto lo
sguardo degli altri detenuti all’interno delle celle. Qualcuno addirittura lo
salutò con un grugnito, più per paura che per piacere.
William ridacchiò.
<< Non ti hanno detto che sono buono come un agnellino? >> apostrofò la
guardia, cercando di vedere la sua espressione con la coda dell’occhio.
C’era un motivo ben
preciso del perché di solito fosse Reed a occuparsi
di lui in quella situazione: Reed era un nero alto all’incirca due metri, con due mani grosse come badili e
muscoloso quanto un toro. In tutto il carcere era di sicuro quello che avrebbe
avuto meno problemi a tenere a bada Challagher, se
avesse tentato di attaccar briga, come di solito faceva. Ecco perché McCarteer era decisamente
sull’attenti.
In ogni caso,
William non voleva tentare la fuga. Sapeva che anche se avesse steso la guardia
con un colpo in testa ben assestato, non poteva sperare di poter
uscire dal carcere senza che nessuno lo fermasse. C’erano diversi corridoi,
cinque porte e due inferriate a separarlo dall’esterno, più un numero
indefinito di agenti di polizia. Se davvero avesse potuto organizzarsi la fuga
da solo, a quell’ora sarebbe stato da tutt’altra
parte.
Raggiunse le docce
nel piano interrato, e sentì una vampa di umidità e calore avvolgerlo. Percorse con lo sguardo la stanza fumosa e illuminata dalle
lampadine, lo scrosciare dell’acqua sul pavimento scivoloso. Un
poliziotto ciccione stava seduto su una sedia nell’angolo, tenendo d’occhio gli
ultimi due detenuti che si stavano ancora lavando, nascosti da un muro
piastrellato di beige, basso abbastanza da rendere ben visibili le loro facce e
i loro piedi.
Uno di loro era
Daniel Grey, quello a cui
aveva rotto il naso quando lo aveva trovato in possesso della foto di Irina, e
l’altro era uno che doveva essere arrivato da poco perché non lo ricordava.
<< Datevi una
mossa, voi due >> disse il poliziotto grasso in direzione di Daniel.
William attese che McCarteer gli procurasse un grosso asciugamano ruvido, poi
si andò a sedere dalla parte riservata a spogliatoio e si tolse
i vestiti.
Le docce comuni
erano state l’ultimo dei suoi problemi, in quel posto. Non aveva il minimo
senso di vergogna a condividere quel momento con gli altri detenuti, perché
l’esibizionismo era sempre stato una delle sue caratteristiche. Tuttavia,
trovarsi a fare la doccia con qualche detenuto era un fatto abbastanza raro,
per lo Scoprione: dopo qualche episodio piuttosto
spiacevole, le guardie del carcere avevano deciso di mandarlo sempre per
ultimo, in modo da lasciargli qualche minuto in più ed evitare discussioni.
<< Hai
finito, oppure devo sbatterti fuori io? >> chiese William rivolto a
Daniel, che stava ancora tranquillamente sotto la doccia, mentre l’altro
detenuto aveva provveduto a squagliarsela il prima
possibile. C’erano altre undici docce libere, ma stava usando la “sua”, e lo
sapeva bene.
Daniel, un ragazzo più o meno suo coetaneo, capelli scurissimi e occhi castani,
era un paio di centimetri più basso di lui e quasi altrettanto muscoloso, e
viveva nella ferma convinzione di potergli tenere testa. Si sbagliava, e la
gobba che portava sul naso avrebbe dovuto servigli a ricordare che lo Scorpione
non amava essere provocato, ne tantomeno sfidato.
<< Fottiti, Challagher… >>
ribatté l’altro, senza nemmeno guardarlo, << Ci sono le altre docce,
libere. Usa una di quelle >>.
William si alzò, e
con la coda dell’occhio vide McCarteer e il grassone
fare un passo verso di lui. Avrebbe tanto voluto saltargli addosso e rompergli
un’altra volta il naso, ma quel giorno non aveva
voglia di avere un’altra colluttazione con gli sbirri. Voleva solo provocarlo
un po’, come faceva sempre, e animare quell’altra giornata piatta e vuota.
<< Challagher, Grey, finitela >> disse McCarteer.
Aveva la mano appoggiata al manganello, come monito contro ogni tipo di colpo
di testa.
<< Dimmi, Daniel, cosa ci facevi con la foto della mia ragazza?
>> chiese William, apparentemente disinteressato. Le due guardie
drizzarono le orecchie, pronte a dividerli.
Il ragazzo lo
guardò e gli fece un gestaccio, per fargli capire che
di sicuro non aveva usato l’immagine di Irina per pregare prima di andare a dormire.
William andò su tutte le furie, pur sapendo di essersela cercata.
<< Toglitela
dalla testa, se non vuoi che sia io a toglierti qualcos’altro >> ringhiò.
Daniel sorrise
malignamente. << Allora sei davvero cotto di quella lì… >> disse,
<< Peccato che non si sia mai vista, da queste parti… Sei sicuro che lei
sapesse di essere la tua ragazza? >>.
William fece un
passo verso di lui, e per un momento gli passò per la testa che forse era disposto ad accettare una rissa con gli sbirri, quella
mattina.
<< Usa la mia
ragazza per farti qualche fantasia, e ti faccio diventare gay
>> disse.
<< Non credo
di essere l’unico a farmi qualche fantasia su di lei, Challagher
>> ribatté Daniel, gettandogli un’occhiata strafottente.
Se c’era una cosa
di cui William si ricordava, era il corpo di Irina intrecciato al suo. Non
c’era niente come la sensazione di averla avuta solo per lui. Ghignò per
dimostrare a Daniel che ciò che aveva detto non lo scalfiva minimamente.
<< Non hai
nemmeno idea di quello che abbiamo fatto, io e lei >> disse soave,
<< Sai, un giorno forse te la farò conoscere… Sempre che tu sia ancora
vivo, naturalmente >>.
<< Avete
finito? >>. McCarteer si avvicinò e li guardò
male, << Gray, esci di
lì e rivestiti. Challagher, fatti questa fottuta
doccia e smettila di cercare un pretesto per dare fastidio, chiaro? >>.
Daniel richiuse la
manopola dell’acqua, gli gettò un’occhiata e poi gli lasciò campo libero.
William si piazzò sotto la doccia e iniziò a lavarsi, completamente solo,
finalmente.
Gli piaceva provocare
gli altri detenuti, vederli trattenersi dal saltargli addosso perché avevano
troppa paura di lui. Era uno dei suoi passatempi preferiti, insieme a quello di decidere in che modo uccidere Went e Dimitri. Ma odiava a morte
quando alludevano al fatto che nessuno credeva per davvero che Irina fosse
stata la sua ragazza.
“Chissà cosa stai facendo, bambolina mia…” pensò, un sorriso
che gli affiorava sulle labbra al pensiero di Irina quel giorno sulla spiaggia,
sdraiata sotto di lui, poco dopo che Went se n’era
apparentemente andato, “Chissà se con lo
sbirro è già finita, oppure ti sta ancora addosso…”
All’inizio aveva
creduto di impazzire, quando non era riuscito a togliersela dalla testa, ma ora si rendeva conto che il pensiero di Irina lo
rendeva più vivo che mai, gli permetteva di sapere che non aveva perso
completamente tutto. Era un’ossessione che almeno gli serviva a qualcosa, che
gli permetteva di non perdere la ragione. E, pateticamente, non riusciva a
odiarla per davvero.
“Quanto eri bella, bambolina… Avevi un corpo da
mozzarmi il fiato. E che gambe… Avrei rinunciato a qualsiasi cosa, pur di
averti veramente mia… E quando mi guardavi con quegli occhi? Avevi
un’espressione così provocante che bastava uno sguardo a eccitarmi… Dove sei,
adesso?”.
<< Challagher, non hai tutta la mattina >> ringhiò McCarteer.
William fece una
smorfia infastidita. Preferiva nettamente Reed: anche
se era un gigante, gli lasciava quasi sempre tutto il
tempo che voleva, quando faceva la doccia. Gli concedeva almeno quel lusso, per
tenerlo buono…
Chiuse la manopola
dell’acqua e si avvolse nell’asciugamano striminzito. Odiava essere interrotto
quando pensava a lei.
Si strofinò i capelli e si guardò nello specchio appannato.
Aveva davvero bisogno di una tagliata di capelli, altrimenti la W tatuata in
nero rischiava di rimanere coperta, di lì a poco. Si rivestì in fretta e tornò
dalla sua guardia, un sorriso strafottente sul volto.
<< Possiamo
andare >> disse.
McCarteer lo prese per i
polsi e iniziò a condurlo indietro, verso i piani superiori, dove la sua cella
lo attendeva come ogni giorno. A metà delle scale, però, incrociarono un altro
sbirro.
<< Aspetta,
Jason >> disse, << Non portarlo già in cella >>.
<< Perché?
>> chiese McCarteer, fermandosi sui gradini. A
William non piacque quel cambio di programma. Sentì la presa della guardia
stringersi su i suoi polsi, quando li strattonò impercettibilmente.
<< Pare ci
sia qualcuno per lui >> rispose l’agente.
William lo fissò, e
lo stesso fece lo sbirro sulle scale. Lo portavano per
ultimo alle docce anche perché sapevano che non c’era mai nessuno in visita,
per lo Scorpione. Qualcuno per lui, dopo due anni?
Sorrise, e il suo
sguardo corse alla finestrella chiusa dalle inferriate di metallo, da cui
filtrava la luce del giorno. Finalmente aveva smesso di aspettare, forse.
“Era ora, che arrivassi… Ce ne hai messo, di tempo”.
Ore 9.00 –
Casa di Xander
Irina infilò gli
stivali e si guardò nello specchio un’ultima volta, sentendosi stranamente lontana
dal riflesso che il vetro le mandava: si riconosceva poco nell’immagine della
ragazza dal viso pulito che la guardava perplessa. Qualcosa era cambiato dentro
di lei, dal momento in cui aveva pronunciato il fatidico “sì” a McDonall… Si diede una sistemata ai capelli e mise a posto
il colletto della maglia, dopodiché gettò un’occhiata all’orologio.
Tommy era
all’asilo, e ci sarebbe rimasto fino alle quattro… Xander
era andato a San Francisco, come faceva prima di ogni missione per studiare i
vari piani e ottenere istruzioni. Era uscito di casa
due ore prima, senza aspettarsi minimamente la sorpresa che McDonall
aveva in serbo per lui.
Raccolse la borsa e
le chiavi della Punto, con una stranissima sensazione addosso. Paura?
Eccitazione? Non lo sapeva nemmeno lei… In quelle ventiquattro ore non era
riuscita a capire ciò che stava provando, ma sapeva di non essersi ancora
pentita della sua scelta, e molto probabilmente non l’avrebbe mai fatto.
Scese in giardino,
fermandosi davanti alla porta del garage abbassata, il vialetto che portava al
cancello sgombro, quasi a invitarla a passare. Rimase immobile per un istante,
e tirò un profondo respiro. Tutto sembrava assurdamente tranquillo, in quel
momento, come se l’attenzione dell’intero vicinato fosse catalizzata su di lei.
“Avanti, avanti… Una volta eri abituata a dare
nell’occhio”.
Si abbassò, afferrò
la maniglia della saracinesca e aprì il garage, inondandolo della luce del
mattino. Ferma in un angolo, c’era la BMW bianca, i fari allungati spenti e
senza vita, i vetri scuri che non permettevano di vedere all’interno. Al
centro, c’era lo spazio vuoto lasciato dalla Ferrari 458 Italia di Xander, ma per terra erano ben visibili le impronte degli
pneumatici larghi e dentellati. E in un angolo, coperta dal
suo telo nero, la Grande Punto.
Si avvicinò con
lentezza, i suoi passi che rimbombavano sul pavimento. Rallentò l’andatura,
come se qualcuno potesse scoprirla sul fatto, la sensazione di star commettendo
un errore sulla pelle. Per un momento la sua mano esitò, a un centimetro dal
cofano dell’auto, poi con un gesto secco tirò via il telo e scoprì la macchina.
Un brivido di
eccitazione le percorse la spina dorsale, quando la
vernice bianca brillò abbagliandola: era una sensazione che aveva già provato,
e ricordava anche quando. La prima volta che aveva visto la sua auto, completa,
pronta a correre nella sua prima gara da Fenice, più di quattro anni prima.
Quando ancora non sapeva a cosa andava incontro, quando ancora non sapeva dove
sarebbe arrivata, chi sarebbe diventata…
Bassa, la vernice
perlata lucidissima, i cerchi in lega ribassati, i vetri oscurati e
l’aerografia della fenice sulla fiancata… La Punto era cambiata pochissimo, da
quel giorno in cui aveva adottato il nome Fenice, da quando era veramente
entrata a far parte del mondo delle corse clandestine, e come la prima volta
che l’aveva vista, sembrava pronta a scattare, a far
vedere di ciò che era capace. Pronta a dimostrare chi era.
La luce che
proveniva da fuori fece brillare i fari, come grandi occhi di un felino. Irina
sorrise e iniziò a girare intorno alla Punto, lentamente, passando la mano
sulla carrozzeria tirata a lucido, ammirandone ogni particolare.
“E’ così torniamo a correre, mia cara… Chi lo avrebbe
mai detto? Fenice torna di nuovo…”.
Passò le dita sullo
specchietto esterno, dando uno sguardo ai cerchi in lega bruniti, che facevano
parte di uno dei pochi cambiamenti in quegli anni, e tastò le gomme per
controllare che non fossero sgonfie.
“E se Fenice ritorna, torni anche tu, bella mia. E’ un po’ che non ti faccio
fare un giretto… Vediamo se sei ancora brava come ricordo”.
Aprì la portiera e
salì dentro, ritrovando subito la sua posizione sul sedile avvolgente.
Accarezzò la corona del volante, poi il pomello del cambio, osservando le
lancette del contagiri e del contachilometri ferme e spente. Infilò la chiave
nel nottolino e la girò, gli occhi chiusi e il respiro bloccato in gola. Erano
passati mesi dall’ultima volta che si era seduta in quell’abitacolo…
Senza esitazioni, il
motore si accese con un rombo, inondando il garage con il suo rumore pieno e
aggressivo. Le lancette schizzarono in alto, illuminandosi di bianco, e le
varie spie prima si accesero tutte insieme, poi si
spensero per indicare che non c’era alcun problema.
“Lo sapevo, che non mi avresti deluso…”.
Con un sorriso,
Irina ingranò la prima, poi la seconda, e poi tutte le altre marce per vedere
se il cambio era sempre fluido, e accese i fari. Il garage venne
illuminato a giorno per un momento, il tempo di provare i led, e tornò
rischiarato solo dalla luce del giorno.
Perfetto,
funzionava tutto. Mise la prima, poi si ricordò di una cosa. Sorrise per aver
quasi dimenticato una cosa così importante.
La benzina.
Guardò la lancetta
del serbatoio, che indicava “full”. L’ultima volta che l’aveva usata, si era
premurata di farle il pieno… Chiaro segno che desiderava guidarla ancora.
“E adesso si va… Come una volta, come sempre”.
Tirò fuori il
navigatore e lo accese. Il display si illuminò, poi
comparve un reticolo di strade e una freccetta rossa: il punto esatto dove si
trovava lei. I chilometri che mancavano alla meta erano trecento…
Si rese conto con
stupore che Xander faceva tre giorni a settimana
tutta quella strada, e comprese perché avesse il vizio di correre a trecento
all’ora sull’autostrada…
Controllò il tempo
di percorrenza: circa quattro ore, traffico incluso.
Sogghignò. Quattro
ore? Quattro ore per una persona normale, ma per una pilota come lei… Guardò
l’orologio: le 9.00.
“Vediamo se mi ricordo ancora come si guida
veramente…”.
Uscì dal cancello e
si avviò verso l’autostrada, attraversando la città con una strana sensazione
addosso. Ne era passato di tempo, da quando girare con un’auto così vistosa era normale, e la gente non si stupiva più di tanto:
Challagher e la sua banda erano di casa, da quelle
parti. Ma ora che le cose erano cambiate, Irina si
rese conto degli sguardi spaventati che qualche automobilista le lanciava, e di
quelli ammirati dei gruppetti di ragazzi che la guardavano passare per strada.
Si fermò al
semaforo, e si accorse che vicino a lei c’era una Mercedes Slk
nera, guidata da un ragazzo non molto più grande di lei. Aveva lo sguardo
puntato sulla Punto, l’espressione di sfida, la mano appoggiata sul volante con
fare provocatorio. Aveva tutta l’aria di voler
apparire come un pilota clandestino, ma lei sapeva che era tutta una finta.
Sorrise. Sapeva che
i vetri oscurati la nascondevano alla vista, e che quel ragazzo credeva di
avere di fronte “uno” come lui… Non si aspettava certo che fosse una ragazza, a
guidare quell’auto palesemente sportiva e truccata.
“Il papino ti ha lasciato la
macchina, oggi? E’ sicuro che tu la sappia guidare?”.
Guardò il semaforo:
lo sapeva, era da folli, ma un piccolo scatto le
sarebbe servito a capire se aveva i riflessi pronti come quelli di una volta… E
una prova di velocità era quello che voleva quel ragazzo, lo sapeva. Se credeva
di fare il furbo, lei gli avrebbe mostrato cosa significava essere piloti veri.
“E’ cinque minuti che sei in auto,
e già cerchi la sfida. Sei sempre la stessa… Fenice non l’hai
mai cancellata”.
Diede
un colpo
di gas per provocarlo: lui fece altrettanto, e fu la conferma che Irina si
aspettava. Tornò a guardare il semaforo, ancora rosso,
e attese.
Un bagliore, e la
luce verde si accese. Schiacciò a fondo l’acceleratore, e la Punto schizzò
avanti leggera e rapida come sempre, più veloce e più reattiva della Slk. Prima, seconda e terza inserite talmente veloce da
sembrare un’unica marcia… Un attimo, ed era davanti, facendo
mangiare la polvere alla Mercedes nera.
Percorse circa
quattrocento metri, poi si fermò al semaforo seguente. Dopo qualche istante,
vide il muso della Slk comparire alla sua destra.
“Bruciato, carino…” pensò divertita.
Vide lo sguardo del
ragazzo, ancora puntato sulla Punto. Sicuramente voleva la rivincita,
ma Irina non era disposta a dargliela: non poteva dare così tanto
dell’occhio già appena uscita di casa.
Abbassò il
finestrino, per fare in modo che il ragazzo la vedesse e dare così un ultimo colpo
alla sua autostima. La sua espressione stupita e confusa fu per Irina la più
bella delle soddisfazioni: come aveva previsto, non credeva di trovarsi davanti
una ragazza.
<< Sicuro di
saperla guidare? >> chiese accennando alla Mercedes, un
sorriso sulle labbra, senza però essere troppo strafottente.
Il ragazzo rimase
di sasso, la bocca aperta, e non disse nulla. Irina ghignò, poi partì
lentamente quando con la coda dell’occhio di accorse che era scattato il verde,
lasciando il ragazzo lì, a leccarsi le ferite.
Al casello
autostradale si fermò a prendere il cartellino d’entrata, e non riuscì a
trattenersi dal sorridere come un’idiota. Non ricordava che guidare la sua
Punto fosse così divertente… Né così eccitante. O
meglio, lo ricordava, ma si era dimenticata dell’effetto che faceva su di lei.
Attese che la
sbarra bianca e rossa si alzasse, come un’inusuale
linea di partenza, e guardò la strada dritta davanti a lei, poco trafficata, la
luce del sole che illuminava la carreggiata pronta ad accoglierla, le auto
troppo lente e troppo “normali” per una come lei.
Superò il casello,
trafficando con la radio. Cercava il suo cd, quello che aveva lasciato dentro
il portaoggetti l’ultima volta che aveva preso la Punto per farle fare un giro in circuito. Lo trovò, nascosto sotto il
libretto di circolazione, e lo infilò nell’apertura.
Quando l’abitacolo venne invaso da una delle sue canzoni preferite, “Welcome to my truth”,
qualcosa si accese dentro di lei. Con il volante sotto le dita, la mano
appoggiata al pomello del cambio, il motore ancora al minimo della sua potenza
mentre percorreva l’autostrada rispettando ancora i limiti di velocità,
sembrava non fosse passato nemmeno un giorno da quando era la
numero tre della Black List…
Da quando quella macchina era la sua fonte di vita, da quando saliva sulla
Punto e andava gareggiare a Dalton Beach… Tutto sembrava uguale. Tutto, tranne
lei.
Cercò una delle
tracce del cd che aveva aggiunto, rendendosi conto all’improvviso che forse la
rispecchiava più di quanto si sarebbe mai aspettata.
“Hai fatto una scelta che nessuno condividerà, Irina.
Una scelta che nessuno si sarebbe mai aspettato da te… Fare la brava ragazza
non è mai stato qualcosa che ti viene bene. Per quanto
tu ti sia sforzata, rimani sempre Fenice. E una ragazza, quando diventa cattiva, lo rimane per sempre…”.
Sorrise.
<< E adesso
si corre per davvero… >> sussurrò.
La sentiva scorrere
di nuovo. L’adrenalina, quella sensazione mista di eccitazione e paura, di incoscienza e di consapevolezza del rischio…
Il suo piede si
fece pesante, mentre il volume della radio si alzava… La corsia di sinistra era
sua, ora… La lancetta del tachimetro avanzava rapida, sempre più rapida…
Ed
eccola di nuovo sfrecciare lungo la carreggiata sgombra, il guard-rail sempre
più sfocato di fianco a lei, il ruggito del motore…
130… 140… 150…
Il sole sul viso,
le altre auto lente, troppo lente per lei… La striscia sull’asfalto che
scorreva velocissima sotto la Grande Punto bianca, sotto gli pneumatici ribassati,
sotto i suoi 255 cavalli… La “belva” tornava a correre… Fenice tornava a volare…
Inforcò gli
occhiali da sole regalo di Xander, la radio ad alto
volume, il braccio sinistro appoggiato alla portiera, lo sguardo incollato alla
strada e un sogghigno sul viso. Non era niente, quello. Sapeva fare ben altro,
e ricordava ancora come.
“Presto ti pentirai di tutto questo…”.
Poi schiacciò
l’acceleratore fino a fine corsa, dando inizio alla seconda vita di Fenice.
*Traduzione:
“E’ facile per
una brava ragazza diventare cattiva,
e una volta che lo siamo diventate,
c'è la speranza che lo saremo per sempre.
Non c'è bisogno di una ragione, non c'è bisogno di una ragione
è meglio che impari a trattarci nel modo giusto
perchè una volta che una brava ragazza diventa
cattiva,
lo diventa per sempre per sempre”
Spazio Autrice
Ed ecco che
Irina ha fatto la sua scelta: scelta obbligata, scelta
prevedibile, ma pur sempre una scelta difficile. Perché se ora è convinta di quello
che sta facendo, è perché non si rende ancora conto di ciò che tutto questo le
porterà. La sua missione è andare in Russia e far arrestare Goryalef
e la sua banda, non quella di tornare a essere Fenice. E sarà lì che capirà
veramente cosa comporta.
E William
finalmente sta per ricevere la visita che tanto aspettava: sarà svelato il
“mistero” del suo “fedelissimo”, e spero non rimarrete delusi. Vorrei far
notare ancora la sua palese confusione riguardo a Irina: sembra che la ami
ancora, ma sembra anche che la sua intenzione sia quella di
ucciderla. Ciò che è chiaro che è la sta usando per non impazzire, per avere
uno scopo che lo tenga in piedi finché non sarà fuori. Si è ritrovato a dover
vivere di ricordi, e il suo miglior ricordo è proprio lei, la stessa che lo ha fatto sbattere in carcere…
E grazie a tutti
voi che recensite, che avete inserito la fic tra le
preferite, le seguite e le ricordate. Un grazie enorme!
Supermimmina: purtroppo c’è un solo venerdì a
settimana, e quindi devo limitarmi a usare quello. Fosse per me, la settimana
sarebbe composta solo da venerdì, sabato e domenica! A parte gli scherzi, ho
guardato con interesse le foto dei “personaggi” che mi hai mostrato: quella di Paul
Walker potrebbe essere abbastanza somigliante a Xander, ma lui è moro. Irina… Oddio, Irina non è bionda, eh. E purtroppo non ci assomiglia per niente a quella della
foto, o almeno non assomiglia a quella che ho immaginato io… Ti lascio libera
di vederla come vuoi, ma non credo abbia tanto la faccia d’angelo della biondina:
sarà dolce e carina, ma è pur sempre una ex pilota
clandestina che ha fatto girare la testa allo Scorpione… William, sì, diciamo
che Corona potrebbe essere un degno candidato: a personalità lo è di sicuro al
100%. Non ha gli occhi verdi, ma ci potrebbe stare. Dimitri io lo immaginavo un
po’ diverso da quello che mi hai mostrato (capelli più chiari e corti), ma non
disdegno nemmeno la tua “interpretazione”: meno freddo. Simon Cohen è
abbastanza somigliante, quindi concordo. E l’ultimo, Boris: uhm, direi di no. Io
lo vedo più giovane, capelli neri e barba scura, con un’aria più selvaggia e
cattiva. Poi, bè, io ti lascio assolutamente libera
di immaginare ogni personaggio come vuoi… Tranne per
favore Irina bionda! Non ho niente contro le bionde, lo metto bene in chiaro,
ma mi stravolgeresti tutto il mio personaggio… Naturalmente anche qui scherzo,
ma la mia Fenice è una bella mora dalla carnagione chiara e dallo sguardo che
vale più di mille parole. E non so se esista da qualche parte. Ti ringrazio
comunque per avermi mandato la tua interpretazione: è interessante sapere come
i lettori vedono i miei personaggi! Un bacione grande!
Sheba_94: noi carissima ci
sentiamo su Msn. Troverò il modo di collegarmi, prima o poi!
CriCri88: Xander non si è comportato bene, ma lo fa per lei. E ti capisco anche se dici di essere filo-William:
scoprirai un sacco di cose su di lui, più avanti. Ho intenzione di raccontare
qualcosa del suo passato, perché potrebbe essere interessante. E ti piacerà
sempre di più, il caro Scorpione. Baci!
Marty_odg: McDonall è pur sempre il Vicepresidente dell’F.B.I.,
ed era sicuro che trovasse un modo per parlare con Irina della missione. Non
vedo nulla di sbagliato in quello che ha fatto lui, perché si tratta di
qualcosa di molto importante e che trascende la volontà di una sola persona. E
Irina ha ragionato fino a decidere qual’era la strada
migliore… Forse. Non ci resta che vedere la reazione di Xander.
Un bacio grande!
Smemo92: William impazzito?
Io non credo sia impazzito: anzi, credo che sia più lucido e presente di quanto
non lo sia mai stato… Due anni gli sono serviti per pensare, per capire, per
scoprire chi è veramente lo Scorpione. Vorrei dire altro, ma rischio di
rovinare la sorpresa. In ogni caso, posso dire che il carcere cambierà William,
in bene o in male questo è da decidere. Xander
sicuramente a Mosca non ci andrà, rischia la pelle, ma piuttosto che mandare Irina è disposto a rischiare. Per una volta le posizioni si invertono, e non è una cosa che gli piace molto. Vedremo
la sua reazione nel prossimo capitolo. Bacioni!