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Autore: Ireth    09/08/2005    9 recensioni
Legolas e Sarah, un elfo e una ragazza umana... La storia di un amore talmente intenso da sfidare il destino scritto dai Valar... Aspetto commenti!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Legolas, Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 17:Il solo sentiero che posso percorrere

Con gran sollievo di Legolas l’equinozio autunnale era arrivato, portandosi via la più imminente delle sue paure. Ora in nessun modo Sarah poteva essere rimandata indietro; anche nel peggiore dei casi lei sarebbe comunque rimasta in Eldamar, insieme al bambino.
Il taglio di quei magici fili di luce, che portavano al mondo degli umani, avvenne senza particolari cerimonie, quasi di nascosto. Nessuno disse nulla perché a nessuno importava nulla di quel passaggio. Elrond si recò sulla spiaggia insieme a Firnôn, Orodréth e Aurofîn… Galadriel si era rifiutata di presenziare al compimento di quell’azione che non condivideva e, d’altra parte, la sua presenza non era necessaria affinché l’incantesimo andasse a buon fine.
Poche parole pronunciate con un fil di voce e i contatti col mondo umano erano stati chiusi per sempre. Nemmeno Legolas si era recato alla spiaggia, per assistere al rito… Non gli importava di vedere con i propri occhi, gli bastava sapere che tutto era andato come doveva andare e per assicurarsi di ciò era stato sufficiente ascoltare di nascosto un’informale chiacchierata tra Elrond e la figlia, che voleva sapere dove si fosse recato il padre in piena notte.
La chiusura di quel passaggio, che per l’elfo era stato tanto prezioso, fu una semplice formalità, conclusa e archiviata in modo rapido e superficiale e questo fu un bene, perché, riflette Legolas, significava che nessuno sospettava nulla. Senza saperlo i sovrani gli avevano fatto un favore, bloccando per sempre Sarah in quella terra. In quella sera di fine erano tutti a casa di Gimli in ossequiosa adorazione della sua ultima opera di falegnameria: la culla per il bimbo.
Il nano gonfiava il petto come un pavone, vantandosi della sua abilità, mentre Gandalf saggiava la solidità del dono con la punta del suo bastone.
“E’ bellissima, Gimli… Grazie.” Mormorò Sarah passando la mano sul bordo della culla, totalmente lisciato e levigato, di un bella qualità di legno chiaro, percorso da sottili venature rossastre.
“Perché è così grossa?” borbottò Gandalf che rimestava una grossa tazza di cioccolata, misera sostituta della sua pipa, che Legolas gli aveva tassativamente vietato in presenza di Sarah, date le condizioni della ragazza.
“Il bambino sarà più comodo così!” abbaiò Gimli accigliato.
“Spero solo che non nasca così grosso!” lo punzecchiò Legolas “Altrimenti ci sarebbe seriamente da preoccuparsi…”
In effetti Gimli aveva esagerato come suo solito, costruendo una culla in cui sarebbero stati comodamente almeno tre bambini… Ma d’altra parte il nano era ormai in uno stato di perenne eccitazione e non vedeva l’ora che il piccolo nascesse. Lo dimostrava la velocità con cui produceva giocattoli in legno e tutta una serie di piccoli mobili e accessori che sarebbero serviti al bambino… Ormai la camera di Legolas e Sarah ne era totalmente stipata.
L’elfo era contento di come le cose erano andate finora… Nessuno sospettava della presenza di Sarah e lui aveva smesso di bighellonare, passando tutto il suo tempo al castello. Questo aveva sedato tutti i sospetti di Arwen, che vedendo l’amico sereno e molto presente aveva attribuito i suoi malumori dei mesi precedenti semplicemente ad un brutto periodo, reso tale da Thranduil e da Milúviél. Certo, era strano che Legolas ora fosse così allegro e che avesse improvvisamente smesso di sparire per giorni interi… ma in fin dei conti l’elfo aveva sempre posseduto tutta una serie di stranezze che agli altri risultavano inspiegabili.
“Non c’è il rischio che arrivi Aragorn, vero?” s’informò Gandalf accennando con il capo a Sarah, che sedeva impacciata nella poltrona di Gimli, che a stento conteneva il suo pancione.
“No…” rispose tranquillo Legolas. “Serata danzante al castello di Aurofîn…” proseguì con sommo disgusto “E questo significa mio padre, Firnôn e la sua malefica figlia, tutti nello stesso salone e contemporaneamente… questo va oltre la mia più strenua resistenza” concluse poi ammiccando e sedendosi su un bracciolo della poltrona, accanto a Sarah, cingendole le spalle con un braccio.
Anche la ragazza sorrise; Legolas le aveva raccontato della faccenda riguardante Milúviél e Gimli si era prodigato in una serie di descrizioni poco lusinghiere della figlia di Firnôn, così che lei aveva potuto farsi un’idea della situazione e della persona.
Si assestò sulla poltrona, tenendosi la pancia un po’ dolorane, a causa dei continui scalpitii del bambino. “Non vedo l’ora che nasca…” brontolò poi “Mi sembra di portare a spasso un macigno con braccia e gambe in perenne agitazione.”
Gandalf sorrise bonariamente. Sarah era li da due mesi appena eppure già sentiva di volerle un gran bene. C’era qualcosa nei modi, nella voce, nel carattere di quella ragazza che la rendeva molto poco umana e vicina all’eterea perfezione elfica. Vederle lei e Legolas insieme avrebbe scaldato il cuore di chiunque, pensava lo Stregone… L’elfo non era mai apparso più luminoso, come se la felicità avesse dipinto nuovi tratti sul suo volto. Paradossalmente l’anima gemella di colui che Gandalf aveva sempre considerato il più perfetto tra gli elfi era un’ umana. D’altra parte tutto ha un perché, e sicuramente anche quella situazione si sarebbe presto dipanata chiaramente.
“Dovrai portartelo a spasso ancora per un pochino cara…” l’ammonì poi scherzosamente mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo.
“Comunque la pancia di Arwen quando attendeva Eldarion, sulla terra, non era così grande…” osservò Gimli con la scarsa delicatezza tipica della sua razza.
Legolas lo fulminò con lo sguardo ma Sarah non era il tipo da offendersi, ben consapevole delle dimensioni del suo pancione.
“Ti credo sulla parola…” cinguettò poi rivolta a Gimli “E’ stata piuttosto voluminosa fin dall’inizio… anche per i canoni umani… Forse Martina aveva ragione, sarà un bambino robusto, ma sicuramente non avrà problemi di spazio con la tua culla.”
Gimli gongolò senza accorgersi che Gandalf nascondeva a stento una risata dietro alla floscia manica della sua tunica, mentre Legolas si era alzato per controllare fuori dalla finestra che tutto fosse tranquillo, meglio non essere imprudenti.
“Ho assolutamente bisogno di una fumatina…” biascicò lo stregone frugando nella sua bisaccia senza fondo, alla ricerca della pipa.
“E io ho assolutamente bisogno che tu non lo faccia in presenza di Sarah!” lo rimbeccò l’elfo severamente. “Al bambino fa male… Avrà tempo tutta la vita per aspirare i tuoi fumi puzzolenti! Gradisco che non venga intossicato prima ancora di nascere!”
Lo Stregone si avviava già mestamente verso la porta, ma Sarah lo richiamò.
“Non disturbarti ad uscire, ora io e Legolas ce ne torniamo a palazzo. Scusatemi, so che è ancora presto ma io non mi reggo più in piedi e ho bisogno di distendermi.”
Così dicendo si alzò a fatica, aiutata da un traballante Gimli, che ricevette come premio per la sua cortesia un bacio sul tozzo naso, che ebbe lo straordinario effetto di renderlo immediatamente di un bel rosso peperone.
“Buonanotte a tutti!” augurò Legolas che nel frattempo le aveva cinto la vita per sostenerla e si avviava con lei verso la porta.
“Buonanotte a voi…” fece eco Gandalf, “Ah… “ aggiunse poi “Stanotte mi aspetta una raccolta di erbe nel bosco e non credo di far ritorno fino a giorno inoltrato. Perciò domani mattina non verrò a controllarti come al solito, Sarah. Ma mi farò vivo appena torno, sicuramente prima di sera. Sei in ottima forma, per cui non ti preoccupare di nulla.”
Detto ciò lasciò che i due uscissero, al buio, senza nemmeno portarsi dietro una candela… loro conoscevano bene la strada e in quel modo non c’era il rischio di dare nell’occhio.
Dopodiché estrasse la pipa e la accese famelico. Aspirate un paio di ingorde boccate di fumo si rivolse a Gimli con voce suadente.
“Hai ancora una fetta di quel dolce di castagne e miele?”
Il nano sogghignò, evidentemente Gandalf non aveva affatto intenzione di levare le tende troppo presto. Sarah si lasciò cadere esausta sul letto emettendo un profondo sospiro, guardando il soffitto.
“Sicura di star bene?” si informò Legolas con un tono leggermente preoccupato.
“Credo di si…” mormorò Sarah “E’ solo che in questi giorni mi sento veramente spossata, non riesco nemmeno a fare due passi ed ho subito bisogno di sedermi.”
L’elfo la guardò, appariva un po’ sconsolata… Probabilmente all’idea che mancava ancora almeno tre settimane prima che il bambino nascesse.
Non che poi i loro problemi sarebbero svaniti… Anzi, si sarebbero ulteriormente aggravati, perché avrebbero dovuto parlarne con Elrond che a sua volta avrebbe dovuto avvisare gli altri quattro sovrani. Poi il giudizio dei Valar, che in verità Legolas temeva maggiormente di tutto ciò che i cinque sovrani e suo padre avrebbero potuto rimproverargli, quando avrebbero scoperto ciò che aveva fatto.
“Stai pensando a quello che succederà, vero?” chiese la ragazza, come leggendogli nel pensiero.
“Già” ammise Legolas stringendosi a lei e poggiando la testa sul suo seno per ascoltare il battito del suo cuore. “Appena il bambino sarà nato andrò da Elrond e gli spiegherò tutto.” Continuò poi. “Gandalf dice di non angustiarmi, perché lui verrà insieme a me e mi starà vicino… ma non è Elrond che mi preoccupa.” Concluse poi sospirando.
“Lo so.” rispose Sarah accarezzandogli i capelli con una mano, mentre con l’alta, quasi inconsciamente si massaggiava il pancione. “I Valar” mormorò poi con un tono di voce ancora più basso, quasi reverenziale. “Non è mai successo niente di simile qui? Che ci possa aiutare a capire cosa decideranno?” chiese poi voltandosi leggermente verso il compagno che scosse immediatamente la testa.
“Hai il privilegio di essere il primo essere umano che mette piede su questa terra, escludendo Aragorn ovviamente…”
Ma non voleva che Sarah si angustiasse con questi pensieri. Doveva stare tranquilla e riposare, quando poi sarebbe stato il momento avrebbero affrontato anche quello e Gandalf lo aveva rassicurato in proposito: “Vedrai che supererete anche questa, Legolas.”
Forse lo Stregone aveva ragione, non era poi così solo… I suoi amici gli volevano bene e sicuramente ne avrebbero voluto anche a Sarah, lo avrebbero aiutato.
Si sollevo leggermente sui gomiti, in modo che il suo viso si trovasse di fronte a quello di lei, e la baciò lievemente sulle labbra.
“Non voglio che pensi a queste cose, però…” bisbigliò poi sorridendo e baciandola ancora. “Tutto a suo tempo. Ora dormi, avete bisogno di riposo tutti e due.”
Così dicendo l’abbracciò, posandole una mano sulla pancia, dove il bambino sembrava finalmente essersi addormentato e aver smesso di scalciare.
Sarah si appoggiò a lui e chiuse gli occhi, rilassandosi contro il suo corpo e ascoltando il silenzio che li avvolgeva. Dalle tende tirate filtrava un sottile raggio di luce argentea, disegnando sulla coperta curiosi motivi tremolanti, diffondendo quella poca luce sufficiente a non rendere il buio totale.
Legolas rimase per qualche minuto ad osservare Sarah addormentata, poi affondò il viso nei suoi capelli e chiuse gli occhi. Il sonno arrivò subito. L’elfo si rigirò nel letto, non era ancora completamente sveglio, ma amava rimanere così, come in bilico tra due mondi… Gli bastava allungare un poco la mano e avrebbe incontrato il suo corpo, si sarebbe svegliato e l’avrebbe abbracciata.
Il letto era freddo accanto a lui e prima ancora che potesse realizzare a pieno la cosa fu svegliato dal rumore tintinnante di qualcosa di vetro che andava in pezzi.
Si rizzò a sedere perfettamente sveglio e si guardò intorno. Sarah non c’era e il rumore veniva dalla stanza da bagno accanto.
In un attimo fu davanti alla porta ed entrò rapidamente e ciò che vide lo spaventò.
Per terra giacevano i frammenti di un bicchiere che doveva essere stato pieno d’acqua.
Sarah era accasciata su una sedia,piegata in due, con il viso contratto in una smorfia, mentre con entrambe le mani si teneva il pancione. Respirava male e appariva terrorizzata.
Legolas si fiondò ai suoi piedi e cercò di rialzarla.
“Cos’hai? Sarah, stai male?”
“E’ il bambino…” una lunga pausa che all’elfo parve non terminare mai. “…sta nascendo.” Mormorò Sarah prima che una nuova contrazione la facesse quasi urlare di dolore.
“E’ troppo presto…” ribattè Legolas sempre più agitato. “Mancano ancora tre settimane… non può nascere ora.”
“Ti dico che deve nascere ora…” singhiozzò Sarah. “Ti prego aiutami, mi sento male, devo sdraiarmi.”
“Stai tranquilla, respira…”
Così dicendo l’aiutò ad alzarsi e si accorse che le gambe le si piegavano e lei non riusciva a stare in piedi. Cercò di farla camminare ma la ragazza vacillò e stava per ricadere sulla sedia.
In un attimo la prese in braccio e dopo pochi secondi la depositò sul letto; lei gemette, forse aveva sentito dolore, ma almeno non aveva dovuto farla camminare.
Legolas si passò le mani sul viso e tra i capelli, era preoccupato. Lui non sapeva far nascere i bambini, lui non sapeva assolutamente cosa doveva fare e Sarah stava per partorire. Non voleva andare a cercare qualcuno lasciandola sola, per cui poteva contare solo su se stesso.
Se solo avesse potuto chiamare Gimli…
In quel momento, come se qualcuno tra i Valar volesse realmente aiutarlo, sentì picchiettare leggermente alla finestra, scostò leggermente le tende e vide il faccione rubiconde del nano.
Aprì la finestra con tanta violenza che per poco non la scardinò.
“Scusa se sono venuto così presto,” bofonchiò Gimli, “ma Gandalf mi ha chiesto di controllare che andasse tutto bene dato che lui stamattina non è potuto venire…”
Legolas non lo lasciò terminare e lo trascinò nella stanza.
“Siano ringraziati i Valar! Il bambino deve nascere.”
“Ora?” Il nano pareva allibito.
“Si, ora…” Legolas sospirò. “Non so che cosa devo fare…” mormorò sottovoce, in modo che Sarah non lo sentisse.
Gimli scosse il testone irsuto.
“Nemmeno io…” sussurrò poi.
Si riscossero al debole grido di Sarah che fece precipitare Legolas accanto a lei.
“Sta arrivando un’altra contrazione… Devi respirare Sarah.”
Gimli scosse nuovamente la testa.
“Bisogna chiamare qualcuno, Legolas.” Appariva realmente preoccupato, lui era coraggioso, ma far nascere un bambino esulava da tutte le sue esperienze.
“No!” ribatté l’elfo “Aspettiamo Gandalf…”
“Gandalf potrebbe non tornare prima di sera e il bambino non può aspettare. Devo andare a chiamare qualcuno che ci aiuti.” Insistette Gimli.
“Non voglio che tutta questa faccenda venga svelata prima che il bambino sia nato!” Legolas non cedeva. “Noi non siamo in grado di farlo nascere questo bambino!” questa volta il nano gridò, strattonando il braccio dell’amico che distolse gli occhi da lui, guardando Sarah.
Aveva il viso imperlato di piccole goccioline di sudore, le labbra leggermente socchiuse e cercava di fare dei respiri profondi, nell’attesa che arrivasse un’altra contrazione.
“Lascialo andare, Legolas…” mormorò con un filo di voce. “ Voi non sapete che fare…”
Legolas chiuse gli occhi per un secondo poi si rivolse al nano mestamente.
”Vai.”
“Chi vuoi che chiami?” domandò il nano che già si era avvicinato alla porta.
Legolas preferiva contenere la situazione per quanto ciò fosse ancora possibile.
“Cerca Aragorn.”
In un attimo il nano era fuori dalla porta e macinava il corridoio a passi tanto grandi quanto le sue piccole gambe glielo permettevano.
Doveva trovare l’amico più in fretta che poteva, anche se probabilmente a quell’ora del mattino Arwen sarebbe sicuramente stata con lui.
Inghiottì amaro. Doveva mettere da parte le sue ire; in quel momento doveva pensare a Sarah. Bussò alla porta della loro camera, rispose la voce di Arwen.
“Sono Gimli, ho bisogno di parlare con Aragorn.”
“Non puoi aspettare più tardi?” Lo rimbeccò Arwen da dietro la porta. “Non è ancora pronto.”
“Tu sei vestita?”
“Si…” la voce da dietro la porta aveva un’intonazione perplessa. “Ma che t’importa?”
“Perfetto!”
Gimli pigiò sulla maniglia e spinse con violenza la porta che, come sperava, non era chiusa a chiave. Si ritrovò nel piccolo anticamera, osservando cupidamente la porta aperta che portava nella camera vera e propria.
“Sei impazzito Gimli?! Fuori di qui… Subito!”
Il nano cercava di entrare in camera, mentre Arwen, assai più alta di lui gli sbarrava la strada con le braccia spalancate. Con una rapida finta lui le passò sotto il braccio teso e sgattaiolò all’interno chiamando a gran voce l’amico.
“Ti ho detto di andartene!” la voce di Arwen era stridula e molto alta.
Aragorn apparve sulla porta della stanza da bagno, indossava solo i pantaloni, mentre il petto era nudo e percorso da alcune goccioline lasciate cadere dai capelli ancora bagnati.
“Che vuoi a quest’ora, Gimli?” non riusciva ad arrabbiarsi col nano, anche quando si comportava in modo tanto irruente.
“Ho bisogno che tu venga con me.”
“Va bene…” Aragorn chiaramente non capiva, ma avrebbe comunque seguito Gimli, sembrava trattarsi di qualcosa di importante.
“Va bene… dammi una mezz’oretta… Finisco di prepararmi, mangio qualcosa e sono subito da te.”
“No!” ruggì Gimli “Ho bisogno di te subito! C’è un problema con Legolas, dobbiamo aiutarlo… Ora!”
Così dicendo afferrò la mano di Aragorn e se lo trascinò dietro lungo i corridoi, incurante del fatto che anche Arwen li stava seguendo.
“Dove andiamo?” chiese Aragorn sorprendendosi dell’andatura del nano, che quasi correva.
“Alla sua camera…”
“Legolas sta male?” s’intromise Arwen che mostrava un’espressione sinceramente preoccupata.
“Beh…” come faceva a spiegarlo in due parole? “Più o meno… ora muovetevi!”
Giunti alla porta la aprì con malgarbo, li spinse dentro e si chiuse l’uscio alle spalle. Dall’anticamera dove si trovavano non si vedeva il letto, ma attraverso la tenda di velluto che nascondeva l’ingresso alla stanza vera e propria si poté chiaramente sentire un grido soffocato… e non era la voce di Legolas.
Aragorn scostò rapidamente la tenda e quello che lui e la moglie videro li lasciò allibiti.
C’era una ragazza con Legolas… Era incinta e il letto era macchiato di sangue. L’elfo la sosteneva per le spalle e le asciugava il sudore e le lacrime. Anche lui era sul punto di piangere.
“Ma che cosa…?” l’uomo si interruppe a metà frase, perché era tutto troppo assurdo per riuscire a porre una qualsiasi domanda.
“Abbiamo bisogno di aiuto!” affermò Legolas deciso. “Per favore…” aggiunse poi con tono più incerto.
“Ovvio che ne avete bisogno!” era stata Arwen a parlare. Si avvicinò rapidamente a Legolas, si rimboccò le maniche fin sopra i gomiti e prese il suo posto a sostenere Sarah.
“Come ti chiami?” chiese poi rivolta alla ragazza, senza degnare di uno sguardo l’amico.
“Sarah…” rispose lei con voce flebile.
“Ciao Sarah… io sono Arwen. Ora non ti preoccupare di nulla e sta tranquilla. Andrà tutto nel migliore dei modi.”
La ragazza la guardò intensamente e Arwen si stupì della profondità di quello sguardo, nonostante si trattasse decisamente di un’umana… lesse un grazie in quegli occhi.
Fu distratta dalla voce molto irritata del marito che si stava rivolgendo a Legolas e Gimli in malo modo. “Che cos’è questa storia? Siete impazziti?! Come avete potuto portare un’umana nella nostra terra? Lo sapete bene che è contrario alla nostra legge…”
“Lascia Gimli fuori da questa storia, lui non c’entra, la responsabilità è mia soltanto.” Legolas sembrava molto alterato dall’atteggiamento dell’amico.
“Io mi fidavo di te!” la voce di Aragorn era piena d’amarezza.
“Non era una questione di fiducia!”
Stavano per mettersi a litigare e quello non era ne il luogo ne il momento adatto.
“Voi tre non state li impalati senza far nulla e smettete di essere così sciocchi!” sbraitò rivolta ai tre amici, che rimasero immobili e allibiti, pieni di stupore per l’atteggiamento amichevole che proprio lei, sempre così ligia e severa, stava mostrando verso quell’estranea.
“Portate più asciugamani che potete e dell’acqua calda, muovetevi!”
Gimli e Aragorn scattarono veloci, mentre Legolas rimase accanto al letto, avvicinandosi a Sarah e stringendole la mano, proprio mentre arrivava un’altra contrazione.
Le asciugò il sudore dalla fronte e poi si voltò verso Arwen.
“Perdonami…” mormorò “… per tutto quanto.” Aveva gli occhi bassi, pieni di dolore per aver dovuto mentire alle persone a lui così care… e nonostante la rabbia che provava, Arwen non poteva fare a meno di sentirsi profondamente vicina a Legolas.
“Non parliamone ora, Legolas. E’ figlio tuo, vero?” chiese con tono apparentemente distaccato.
“Si…” era stata Sarah a parlare, tra un respiro affannoso e l’altro.
“Ecco dove sparivi di continuo…” mormorò non riuscendo a nascondere una certa amarezza, perché anche lei si rendeva conto a cosa sarebbe andato incontro Legolas… e sarebbe accaduto molto presto.
“Eccoci!” Gimli scaricò sul letto una pila di asciugamani puliti, mentre Aragorn fece ritorno tenendo tra le mani un grosso mastello pieno di acqua calda.
“Il bambino deve nascere tra tre settimane…” ansimò Sarah “E’ troppo presto.”
“Non preoccuparti.” La rassicurò Arwen. “A volte i bambini hanno una certa fretta di uscire, ma sono più di otto mesi ed è sufficiente, non è in pericolo.”
Fece segno a Legolas di avvicinarsi e di riprendere il suo posto accanto a Sarah, per sostenerle le spalle. Lei si legò i capelli con un nastro, in modo che non le finissero davanti agli occhi e poi si posizionò ai piedi del letto, tra le gambe della ragazza.
“Ora lo facciamo nascere, Sarah. Alla prossima contrazione devi spingere forte e continuare a respirare come stai facendo ora… tra poco sarà tutto finito. Mentre stava incurvato e col suo piccolo falcetto tagliava lo stelo di alcune erbe Gandalf ebbe uno strano presentimento e si raddrizzò, tenendosi con una mano la vecchia schiena un po’ dolorante.
Qualcosa non andava… Forse era caso di tornare a palazzo… era come se qualcuno lo stesse chiamando. Forse Legolas e Sarah avevano bisogno di aiuto…
Rapidamente ripose le erbe e il falcetto nella sua bisaccia e si avviò a passi rapidi verso il palazzo di Elrond. “Perché non nasce?” la voce di Legolas era rotta, come se stesse per scoppiare a piangere e una goccia di sudore scorreva lentamente lungo la sua tempia.
“Non lo so…” anche Arwen pareva accaldata e molto preoccupata “C’è qualcosa che non va…” aggiunse poi a bassa voce.
Aragorn toccò leggermente la spalla della moglie.
“Sta perdendo troppo sangue, Arwen… Bisogna farlo nascere subito.”
“Lo so bene!” ribattè lei nervosa. “Ci ho provato ma non credo di farcela.”
Guardarono tutti Sarah, era bianca come un cencio e tremava, pareva sul punto di svenire da un momento all’altro.
“Sta diventando gelata…” la voce di Legolas era appena un soffio… Continuava a tenere la mano di Sarah, ma lei non riusciva più a stringerla.
“Ehi ehi…” Legolas la scosse. “Cerca di stare sveglia!”
Arwen sospirò e poi si rivolse al marito.
“Chiama mio padre.”
“Baw!” (No!) Legolas le si rivoltò contro.
“Invece si. Noi non siamo in grado di fare nulla per lei.”
“Non voglio che tuo padre si immischi in questa faccenda!”
“Abbiamo bisogno di lui!” Anche Aragorn cercava di convincerlo.
“Aspettiamo Gandalf…”
Arwen rimase per un attimo imbambolata, rendendosi conto che lo Stregone sapeva tutto di quella storia.
“Non abbiamo tutto questo tempo… Legolas!”
Silenzio.
“Sarah a i hên firithar…” (Sarah e il bambino moriranno…)
Legolas si soffermò sul viso di Sarah, era allo stremo, non potevano più rischiare…
“Va bene… “ Detto questo chinò il viso contro quello della ragazza e rimase immobile.
“Vai Aragorn e fai più in fretta che puoi! “ lo spronò Arwen, “Mio padre dovrebbe essere nel suo studio.”
Rimasero soli, in silenzio… Legolas pareva immerso in chissà quali pensieri.
Dopo pochi minuti si udì la voce di Elrond, in corridoio, che chiedeva spiegazioni all’uomo, che evidentemente lo stava trascinando.
La voce era sempre più vicina, ora era nell’anticamera.
“Ma insomma, si può sapere che..??”
Rimase allibito alla vista di Sarah e di sua figlia, sudata e scarmigliata, con le braccia sporche di sangue fino al gomito.”
“Oh Valar! Che succede qui?”
Si avvicinò rapido al letto e fissando Sarah si accorse immediatamente che era un umana.
“Chi è questa ragazza?” chiese gelido e severo, rivolto a tutti loro.
Nessuna risposta.
“Vi ho fatto una domanda?” aveva alzato la voce e i suoi occhi saettavano da una parte all’altra della stanza. Legolas corse verso di lui e lo afferrò per le braccia.
“Ti prego, aiutala… Lei e il bambino stanno morendo…”
“Voglio sapere perchè questa umana si trova qui e chi ce l’ha portata!”
Legolas sentiva il suo sangue tramutarsi in ghiaccio; Sarah stava morendo e Elrond invece di aiutarla continuava a fare domande.
“E’ mio figlio!” gridò al limite della sopportazione.
Elrond lo fissò con un espressione indecifrabile dipinta in volto, scostandosi seccamente dalla sua presa. Per un attimo regnò il silenzio, un silenzio pesante, improvvisamente interrotto dal frusciare delle tende e dall’apparizione di una figura grigia incappucciata.
“Maledizione!” imprecò Gandalf apparentemente senza accorgersi della presenza di Elrond “Cosa sta succedendo qui?”
“Il bambino non riesce ad uscire.” Rispose prontamente Gimli, avvicinandosi a lui per prendere la bisaccia, il cappello, il bastone e il mantello di cui lo Stregone si stava velocemente liberando per dare una mano.
“Gandalf!” tuonò Elrond, che si stava rendendo conto di molte cose, facendo sobbalzare il vecchio amico.
“Tu eri al corrente di tutta questa storia?” chiese poi minaccioso.
“Esattamente!” rispose Gandalf con aria di sfida “Ma se non ti dispiace ne parleremo più tardi, quando il figlio di Legolas e la sua compagna saranno fuori pericolo. Ora aiutaci per favore!”
Elrond sembrò riscuotersi dalla sua ira e guardò Sarah con una nuova dolcezza negli occhi, si mosse lentamente verso il letto e toccò leggermente la spalla alla figlia, per invitarla a spostarsi.
“Si chiama Sarah…” gli disse Arwen.
“Vai nel mio laboratorio, prendi la bottiglietta azzurra sullo scaffale più in alto… Vola!”
Poco dopo Arwen era di ritorno, ansimava… Gimli capì che aveva corso.
Elrond passò la bottiglietta a Gandalf.
“Fagliene bere metà… Servirà a farle passare un po’ il dolore e a rinvigorirla un po’, non deve perdere conoscenza.”
Lo Stregone eseguì rapidamente.
“Sarah?” chiamò poi il sovrano. “Ora dovrò toccare un po’ la tua pancia… probabilmente ti farà male, ma dobbiamo capire perché il bambino non riesce ad uscire. Va bene? Hai capito?”
La ragazza annuì, facendo sospettare a Gandalf di non avere più nemmeno la forza di parlare.
Il sovrano si sfilò rapidamente la tunica di velluto scarlatto e si rimboccò le maniche della camicia chiara. Cominciò subito a toccare la pancia di Sarah, non molto delicatamente, ma con decisione e competenza. Sarah gridò.
“Lo so che fa male, piccola…” cercò di calmarla Elrond, mentre con gli occhi fece capire a Legolas di avvicinarsi e abbracciarla.
“Tienila ferma!” ordinò poi.
Schiacciò di nuovo la pancia, palpando con insistenza in due punti diversi, con entrambe le mani, mentre Sarah gemette ancora per il dolore.
Gandalf lo vide sbiancare e mutare espressione.
“Oh Valar!” mormorò poi il sovrano.
“Cosa c’è?” incalzò lo Stregone.
Elrond lo guardò con una nuova serietà dipinta in viso.
“I bambini sono due.”
Per un attimo calò il silenzio.
“Due?” Legolas sembrava incredulo, ma si riscosse subito “Fa qualcosa, presto!”
“Non ce la faccio a farne nascere due!” era la voce di Sarah, che non riusciva a smettere di singhiozzare terrorizzata.
“Certo che ce la fai!” ribatté Elrond con una severità quasi paterna.
“Il primo bambino non si è girato,” spiegò poi “per questo non riesce ad uscire, l’altro invece è nella posizione giusta. Sarà difficile solo con il primo… tu ce la puoi fare.”
“Come puoi fare per farlo girare?” chiese Aragorn mentre passava una pezza imbevuta d’acqua fredda a Legolas, perché rinfrescasse il viso di Sarah.
“Avrei potuto farle una piccola incisione e tirare fuori entrambi i bambini, ma ha perso troppo sangue… ora morirebbe.”
Si fermò un attimo, come per riflettere.
“Devo girare il bambino e tirarlo fuori, sarà doloroso, però…”
Vide Sarah che annuì con decisione, come a dargli il suo permesso.
“Va bene!” disse Elrond con fermezza. “Aragorn! Legolas! Voi tenetela ferma… Tu Gandalf invece, resta con Gimli, dovrete occuparvi del primo bambino mentre io faccio nascere il secondo. Arwen, resta qui vicino a me per aiutarmi.
Poi rapidamente infilò la mano dentro a Sarah, e afferrò il primo bambino.
Cercando di non ascoltare le urla di dolore della ragazza che non riusciva più a smettere di piangere fece girare il piccolo fino a quando non sentì la testa, poi, lentamente iniziò a tirarlo verso di se. Un attimo dopo lo passava ad Arwen e dopo pochi secondi fu estremamente sollevato nel sentire un vagito acuto che si trasformò in un pianto disperato. Il piccolo stava bene, ora poteva occuparsi dell’altro.
“Sarah! Ora devi spingere, devi far nascere il secondo bambino… Sarah!” la richiamò preoccupato vedendo che la ragazza non dava segni di reazione.
“Forza amore.” La incitò Legolas “Un ultimo sforzo, ce l’hai quasi fatta.”
“Non ci riesco!” mormorò lei con la voce ridotta ad un soffio.
“Si invece! Tu sei abbastanza forte per farlo!”
Lei lo guardò con occhi supplicanti, si sentiva come sul punto di abbandonare la vita.
“Ava firi…” (Non voglio morire…) Elrond nascose a fatica il suo stupore nel sentire la ragazza esprimersi nella loro lingua, ciò lo spinse a chiedersi come fosse possibile.
“Avo firithach, Sarah…” (Non morirai, Sarah…) le rispose fissando quegli occhi verdi.
“Un ultimo sforzo… Ora!”
Il grido che Sarah emise aveva in se qualcosa di lacerante, nonostante non fosse particolarmente acuto, ma il dolore dipinto sul suo volto si trasformò in un debole sorriso quando sentì il vagito del bambino.
Si lasciò cadere indietro, con la testa sul cuscino, ansimando come un pesce deposto sulla sabbia, mentre Legolas la guardava ancora molto preoccupato.
“Stai bene?” mormorò carezzandole i capelli madidi.
Lei sollevò impercettibilmente le spalle, cercando senza successo di rimettersi seduta, per guardare verso Elrond che stava ancora maneggiando i bambini con un certo sospetto dipinto sul volto.
“Stanno bene?” mormorò Sarah.
“Direi proprio di si…” la tranquillizzò la voce di Gandalf che troneggiava sopra di lei. “Bevi ancora un po’ di quesa.” disse poi avvicinandole alle labbra la bottiglietta di Elrond.
Arwen si avvicinò sorridendo a Legolas e prima che lui potesse rendersene conto gli mise tra le mani un fagottino urlante.
“Questo è il maschietto!” disse poi “Fra un attimo arriva anche la femminuccia…” Legolas non riusciva a staccare gli occhi da quel visetto raggrinzito e arrossato, che pur nella sua scarsa avvenenza, tipica dei neonati nei loro primi momenti, gli appariva bellissimo.
“Ehi!” si sentì strattonare per il bordo della tunica “Abbassalo un po’… Non riesco a vederlo!”
Sorridendo l’elfo si abbassò leggermente in modo che il nano potesse saziare la sua curiosità, dopodiché si riavvicinò a Sarah, alla quale, proprio in quel momento, Gandalf stava mettendo in braccio la bambina.
“Sono bellissimi…” mormorò Legolas osservando quei due scriccioli praticamente identici.
“Hanno i tuoi occhi…” aggiunse poi rivolgendosi a Sarah.
“E hanno anche una cosa molto importante…” l’interruppe Gandalf sorridendo con dolcezza e scostando delicatamente un lembo della copertina da uno dei piccoli in modo da mostra loro quello di cui, per ora, solo lui sembrava essersi accorto.
“Orecchie a punta…” affermò poi volgendosi impercettibilmente verso Elrond.
“Ma lei è umana…” sussurrò Legolas senza capire, mentre il sovrano elfico si avvicinava per vedere meglio.
“Già.” soggiunse Gandalf. “Ma i suoi figli non lo sono, per cui probabilmente il suo corpo e la sua anima non si rispecchiano a vicenda.”
Sarah sorrideva, pur senza capire, ma i suoi bambini erano vivi e stavano bene, così come lei… e questo bastava.
Probabilmente le parole dello stregone non piacquero molto ad Elrond, che si rabbuiò leggermente.
“Aiutate Sarah a sistemarsi, assicuratevi che si riposi e anche i bambini… Io vado nel mio studio e più tardi voglio parlarvi… a tutti.” Aggiunse poi con tono secco, allontanandosi rapidamente.
Per un attimo nella stanza calò il silenzio, che fu interrotto da Gimli.
“Non l’ha presa molto bene…”
“Beh… era prevedibile. “ rispose Arwen che si stava affaccendando intorno a Sarah, per aiutarla a cambiarsi e a ripulirsi.
Legolas era stupito… Per mesi aveva temuto che, quando le sue azioni fossero stata scoperte, Arwen non avrebbe mai potuto perdonarlo e ora, invece, non mostrava verso di lui il minimo segno di collera. Certo, era amareggiata, ma lui si rese conto di aver probabilmente sottovalutato la sua capacità di comprensione.
Chi invece non sembrava disposto a capire era Aragorn… per un attimo rimase imbronciato, piantato al centro della stanza con le mani sui fianchi. Dopodiché emise un borbottio seccato.
“Potete farcela anche senza di me… ci vediamo dopo.” Girò sui tacchi e uscì dalla porta, richiudendola con un tonfo e lasciando Legolas estremamente afflitto.
“Non capisco perché fa tante storie…” mugugnò Gimli mentre si affaccendava intorno alla culla da lui stesso fabbricata, preparandola con lenzuolini candidi ed una soffice copertina. “neanche fosse il sovrano di Eldamar in persona, che vede violate le leggi da lui prescritte.”
“Non credo sia questo il problema” sospirò Legolas.
“Già” continuo Arwen mentre raccoglieva da terra alcune pezze macchiate di sangue, per metterle in una cesta. “Il fatto è che si sente escluso dal segreto di Legolas, che tuttavia lui ha scelto di condividere con te, Gimli.”
“Il non poterlo condividere con Aragorn è stata una scelta obbligata. “ ribatté amaramente Legolas.
“Non potevo chiedergli di mentire a sua moglie e a tuo padre… Lo avrei messo in una posizione troppo rischiosa.”
Gandalf annuì, smettendo per un attimo di trastullarsi coi due neonati che evidentemente tendevano a risucchiare la sua completa attenzione.
“Infatti, “proseguì Arwen, “non è a me che devi delle spiegazioni in merito a questo… Io ti posso capire, pur non approvando questa scelta folle. Ma so bene cosa si prova a voler condividere la vita con qualcuno che non appartiene alla tua stessa razza. Non è facile aver a che fare con chi cerca continuamente di dissuaderti o addirittura ostacolarti.” Si riscosse dai suoi amari ricordi. “Ora vado… Ci vediamo più tardi nello studio di mio padre, aiutatela ad allattare i bambini e a farli addormentare.”
Così dicendo uscì dalla stanza a testa bassa, riflettendo su quello che sarebbe accaduto da li a poco tempo.
“Che succederà ora?” pigolò Sarah da sotto le coperte, evidentemente spaventata dalla spaccatura che la sua presenza stava creando in quella sorta di grande famiglia.
“Non più tardi di un paio di giorni e verranno informati gli altri sovrani…” le spiegò Gandalf, cercando di non allarmarla tropo.
“E mio padre…” proseguì Legolas amaramente. “Voglio che stia lontano da loro!” affermò poi rivolto a Gandalf che nel frattempo, aiutato da Gimli, stava sollevando i bambini dalla culla perché Sarah li allattasse.
“Questo non dipende da me…” borbottò poi tra se e se. “Ma vedremo evitare confronti troppo diretti e spiacevoli… Ora, “ continuò poi con un sorriso, “qualcuno ha immediatamente bisogno di essere sfamato.” Dopo un oretta circa i bambini dormivano sazi nella culla e anche Sarah cominciava a sentire le palpebre pesanti, grazie anche ad un intruglio di erbe somministratole da Gandalf.
“Ora devo andare meleth…” le sussurrò Legolas baciandola sulla bocca. “Mi dispiace lasciarti sola ma devo affrontare questa cosa. Cercherò di non metterci troppo. Tu pensa solo a riposarti. Sarò di ritorno il prima possibile.”
Sarah annuì e si tirò le coperte fin sul mento... Ora voleva solo dormire, tanto che quasi nemmeno udì i tre che uscivano dalla stanza in punta di piedi.
Legolas rimase per un attimo immobile, di fronte alla porta chiusa della sua stanza, come se non riuscisse a staccare la mano tremante dalla maniglia. Gandalf lo scosse leggermente.
“Andiamo, su…”
Si incamminarono allineati lungo il corridoio, lo stregone posava una mano sulla spalla dell’elfo. Entrarono nello studio di Elrond, dove regnava un’ atmosfera assai poco piacevole: il sovrano guardava ostinatamente fuori dalla finestra, come se in giardino vi fosse qualcosa di incredibilmente interessante, Aragorn sedeva di fronte al fuoco con espressione particolarmente torva, come se volesse gettarvisi dentro da un momento all’altro, mentre Arwen stava appoggiata al bordo della scrivania del padre, immersa in pensieri in cui, evidentemente, gli altri non erano affatto graditi.
Su uno dei divanetti sedevano anche Elladan e Elròhir, stranamente tranquilli e silenziosi. Gandalf guardando le facce dei due fratelli capì immediatamente due cose: sicuramente non erano a conoscenza del motivo di quella affrettata riunione, tuttavia avrebbero preferito non doverlo apprendere ed essere ovunque tranne che in quella stanza, continuando tranquillamente a badare ai propri affari.
Gandalf si schiarì leggermente la gola, non tanto per segnalare la loro presenza ad Elrond, quanto per invitarlo a voltarsi e venire immediatamente al dunque.
“Sedetevi.” La voce del sovrano sembrava provenire da un'altra dimensione, era metallica e a Gimli fece venir voglia di infilare la porta e scappare il più lontano possibile.
Dopo che tutti si furono accomodati ed ebbero osservato con dovizia le punte dei propri piedi per una buona manciata di secondi, Elrond si voltò squadrandoli lentamente, senza sapere esattamente da dove cominciare, cosa dire, che domande porre.
“Ebbene?” chiese poi.
Nessuno parlò, Gandalf sollevò gli occhi al cielo e Legolas iniziò a contare le venature del pavimento in legno sotto i suoi stivali. Era una domanda sciocca e inconsistente a cui nessuno era in grado di dare una risposta.
“Gradirei avere una spiegazione per quello che ho visto nella tua stanza, Legolas.” Sbottò poi asciutto rivolto all’elfo, che sentendosi interpellato sollevò gli occhi da terra.
“Non c’è molto da spiegare.” sbottò poi, irritato dalla situazione e dall’atteggiamento di Elrond, “Credo che tu possa renderti conto da solo del luogo di provenienza di Sarah e anche del nostro tipo di legame… avendo fatto nascere i nostri bambini” aggiunse poi con tono laconico.
“Grazie della precisazione!” rispose l’altro sempre più seccato. Un attimo di silenzio.
“Io voglio sapere il perché!” insistette poi alzando leggermente la voce e fulminando con lo sguardo Gimli che si agitava scompostamente su quel divano troppo alto per lui, con il risultato di farlo immobilizzare all’istante.
“Non posso spiegarti perché mi sono innamorato di lei, perché nemmeno io conosco questa risposta.”
Iniziò Legolas scegliendo con cura le parole. “L’unica cosa di cui sono certo è che per centinaia di anni io sono stato insoddisfatto e incompleto, il mio cuore non poteva smettere di provare desiderio, senza conoscerne la fonte. Non ho conosciuto la pace, mai. Poi l’ho incontrata e il mio languore si è estinto, ho smesso di cercare e per la prima volta ho pensato al futuro senza essere oppresso dalle mie angosce. Trovando lei ho anche ritrovato me stesso… E questa è l’unica spiegazione che ti posso dare.”
“Tu hai infranto le nostre leggi, ben sapendo di farlo.” Elrond sembrava non capire e questo provocò una grande rabbia nell’animo di Legolas, il cui viso si tinse di rosso.
“Pensi che io sia così sciocco da aver deciso, un bel mattino, che ero molto annoiato e che quindi infrangere le nostre leggi poteva essere un buon diversivo.” ribattè amaramente fissando il sovrano negli occhi. “ Non è stato un dispetto ne un affronto verso nessuno. Io quella pietra nella torretta l’ho trovata per caso! E sempre per caso ho scoperto del passaggio.”
“Hai visto Sarah per la prima volta nella pietra nascosta nella torretta?”
Legolas annuì, ricordando quel momento che ora gli sembrava lontano intere ere, tante erano le cose accadute da allora.
“Visitare la terra era proibito, ma tu l’hai fatto ugualmente.” Asserì secco Elrond, che non riusciva a capire come Legolas avesse potuto essere così sprovveduto.
“Ormai l’avevo vista nella pietra, volevo poterla vedere da vicino. All’inizio sono riuscito a non farmi scoprire, ma dopo alcune notti lei se n’è accorta e mi ha parlato. Io non sono più riuscita a lasciarla. Mi sono legato a lei.” Mormorò poi con voce rotta.
“Come pensavi di gestire la cosa, una volta che il passaggio sarebbe stato chiuso?” questa volta era stata Arwen a parlare, lo guardava incuriosita, senza particolare risentimento, solo sforzandosi di capire quello che era accaduto
“Non ne avevo idea… All’inizio ho pensato che sarei stato disposto a rinunciare a questo mondo e a rimanere sulla terra con lei, ma poi…” ricordò la morte che cercava di strapparlo via alla sua esistenza. “Un mattino non riuscii ad usare il passaggio e restai bloccato insieme a Sarah per tutto il giorno, fu un miracolo per me riuscire a sopravvivere… mi resi conto che non potevo nemmeno pensare di respirare per sempre quell’aria. Poi, quando ci abbiamo capito che lei aspettava un bambino, pensavamo fosse uno soltanto, ho capito qual’era l’unica possibilità che avevo.
Sarò anche egoista, Elrond, ma non volevo morire e ciò sarebbe accaduto se io fossi rimasto sulla terra, ma anche se fossi tornato qui senza di lei, perché il mio cuore si sarebbe spezzato. Non volevo abbandonarla da sola in quel mondo disgraziato, non volevo che mio figlio crescesse senza un padre, sempre se l’aria terrestre gli avesse permesso di sopravvivere. Non avevo altra scelta.”
“Infatti!” sbraitò Elrond picchiando una mano sul tavolo e facendo sobbalzare Elladan e Elròhir, che avevano capito solo parzialmente quello che stava succedendo, ma si rendevano conto perfettamente che all’orizzonte si profilavano problemi di dimensioni molto preoccupanti.
“Non è questo ciò che ti sto rimproverando!” continuò poi sempre visibilmente alterato. “Portarla qui è stata la scelta più logica nella situazione in cui eravate, sebbene tu abbia comunque infranto un divieto… Questo lo posso capire. Quello che invece non capisco è come tu abbia potuto essere così sciocco da avventurarti sulla terra da solo, quando sapevi bene che ciò era proibito! Non hai rinunciato al tuo capriccio nemmeno quando lei ti ha scoperto. Non avrei mai immaginato che un elfo intelligente come te potesse mettersi in una situazione così disastrosa!”
“Non è mai stato un capriccio e non capisco come tu possa definire due bambini, i mie figli, una situazione disastrosa!” aveva urlato, mentre faticosamente cercava di ricacciare indietro le lacrime che gli pungevano gli occhi.
“L’unica sua colpa è quella di essersi innamorato, Elrond.” Tentò di spiegare Gandalf “E tu sai bene, come tutti noi del resto,” aggiunse poi posando lo sguardo su Arwen, “ che certe cose non si possono scegliere, accadono e basta…”
“Tu dovresti farti un esame di coscienza…” lo rimproverò il sovrano. “Dovresti essere saggio e onesto, invece sapevi cosa stava facendo e l’hai lasciato proseguire con questa pazzia.”
“Quando sono arrivato qui e mi sono effettivamente reso conto della situazione ormai non si poteva più tornare indietro e ad ogni modo non è nelle mie abitudini tradire i miei amici. Se non avessi mantenuto questo segreto Sarah non avrebbe mai potuto attraversare il passaggio, e il risultato sarebbe stato la morte di Legolas e probabilmente anche quella dei bambini. Desideravi questo?” domandò poi con aria stizzita.
Elrond tacque per un attimo, poi pronunciò parole dure.
“Desideravo qualcosa di meglio per te, e tu hai scelto un umana.”
Per un attimo il gelo, poi Arwen gli si parò davanti come una furia.
“Così offendi Aragorn, mio marito, oltre ad offendere tua figlia!”
“Sai bene che Aragorn non ha nulla in comune con gli umani che popolano oggi la terra. Lui è per me come un figlio, Arwen…” cercò di calmarla addolcendo il tono, ma lei non parve soddisfatta di quelle parole.
“Come puoi non capire?” continuò ad accusarlo Arwen. “Dopo che tua figlia ha vissuto la stessa esperienza e affrontato il medesimo dolore, insieme al disprezzo di molti membri del nostro popolo? Legolas ha infranto le leggi, è vero, andrà incontro a conseguenze difficili e credo che lui se ne renda conto. Ma non penso possa esistere motivo più nobile di quello che ha mosso le sue azioni. Meleth, ada… “(E’ amore, papà…) aggiunse poi con voce flebile, prima di fare la sua scelta.
“E io non mi sento di giudicarlo, di criticarlo per una scelta che è la stessa fatta da me tanti anni fa, donarsi ad un essere umano. Se devo prendere una decisione, padre, starò con lui, perché più di chiunque altro io lo capisco. Ar ae avach anna dulu hon leithathach lîn iell.“ (E se tu non vuoi aiutarlo allora perderai tua figlia)
Tutti capirono il significato di quelle parole, persino Gimli… Bastava osservare i lineamenti contratti del volto di Elrond.
Fu Gandalf che cercò di interrompere quel momento che pareva infinito, mentre Legolas non riusciva a credere che proprio Arwen, su cui lui mai avrebbe pensato di poter contare, gli stesse offrendo il suo aiuto e la sua comprensione in modo così incondizionato. La stessa difficile scelta li avvicinava.
“In fin dei conti Legolas non ha mai chiesto niente, nemmeno dopo la guerra contro Sauron…” azzardò lo Stregone.
“Avrebbe potuto chiedere, allora… Non fare di testa propria e…” rispose prontamente Elrond, che però mostrava di essere veramente esausto di quella conversazione.
“Perché vuoi farmi credere che se io avessi chiesto di poter portare Sarah in questo mondo sarei stato accontentato?” lo interruppe Legolas. “sai bene che non sarebbe mai accaduto.”
Elrond riflettè: le parole di Legolas corrispondevano alla pura realtà. E per quanto le sue azioni fossero state contro la legge, lui aveva fatto l’unica scelta possibile, se non voleva rinunciare alla propria vita… E il suo desiderio di sopravvivenza non poteva certo essere biasimato. Che fare? Non era una questione di affetto o appoggio morale, Legolas sarebbe in ogni caso dovuto andare incontro al giudizio dei Valar… ma forse Arwen aveva ragione, loro non potevano lasciarlo andare incontro al suo destino da solo.
“Che cosa dovrei fare, allora?” chiese esausto crollando a sedere sul divano, accanto ai due figli, che non parvero molto felici di tale vicinanza.
“Non ti ho mai chiesto nulla per me, non l’ho mai fatto e non ho intenzione di farlo ora.” Mormorò Legolas con la voce rotta. “Non ti supplicherò di intercedere per me. Ho fatto un errore e andrò incontro al mio destino, da solo, senza cercare di sfuggire alle mie responsabilità. Se vi ho ferito,” aggiunse poi, rivolgendosi a tutti i presenti, “sappiate che mi dispiace, vi ho sempre amato come se foste la mia famiglia e tu, Elrond, per me sei sempre stato come un padre. Se dovessi perdere il vostro affetto e il vostro sostegno, lo accetterò e cercherò di farmene una ragione. Solo una cosa vi voglio chiedere: la mia punizione potrebbe anche essere molto severa, estrema… Potrò andarci incontro con tranquillità solo se sarò certo che Sarah e i bambini potranno contare sempre su di voi. Loro non hanno colpa per quello che è successo e non voglio che abbiano da pagare per i miei errori. Esiste anche una sola possibilità che voi possiate voler loro bene, che possiate ammetterli a far parte di questa bellissima famiglia? Perché vi giuro che in questo momento è la cosa che più mi sta a cuore.”
Rimase in silenzio, senza sapere che altro aggiungere, senza sapere che risposte attendere dai presenti, che indugiavano in un silenzio carico di pensieri.
Gandalf rumoreggiò, nel tentativo di accendere la propria pipa, dalla quale aspirò una boccata di fumo puzzolente, soffiandolo poi con dispetto verso Elladan e Elròhir, che fissavano il padre timorosi di prendere posizione.
Per loro, più che per chiunque altro, quella storia era estremamente semplice. Non avevano alcun interesse a questionare sulle scelte amorose di Legolas e l’infrangere le regole, per loro, non era mai stato un problema. Pur rendendosi conto della gravità della posizione dell’amico, per loro l’elfo restava esattamente lo steso di alcune ore prima, quando ancora non sapevano nulla. Gli volevano bene come ad un fratello e la questione per loro si chiudeva così, non avevano mai giudicato nessuno, nemmeno la loro sorella, non avrebbero certo iniziato ora.
Lo Stregone mugugnò qualcosa di inarticolato e incomprensibile, poi si schiarì la voce.
“Da parte mia non muterà nulla, Legolas… Ti ho sostenuto fin ora e ti starò vicino nelle prossime settimane, come per il resto dell’eternità, non voglio nemmeno che tu ti ponga domande di questo genere, per quanto riguarda me…” un attimo di silenzio, necessario per aspirare nuovamente dalla pipa e rivolgere lo sguardo verso il sovrano.
“Credo inoltre che il medesimo discorso possa essere fatto per Gimli, Arwen e i tuoi smidollati figli.” aggiunse poi bonariamente vedendo il sorriso dipingersi sui volti dei fratelli, ben lieti di non dover spiegare la propria posizione e di affidarsi alla perspicacia di Gandalf.
Elrond annuì, mentre si alzava per controllare qualcosa di inesistente fuori dalla finestra.
“Non è una questione di affetto, Legolas…” mormorò poi rivolto al vetro sottile.
Per qualche istante rimase in silenzio, riflettendo sulla situazione. La rabbia di poco prima stava lentamente sfumando e ora non poteva fare a meno di essere seriamente preoccupato per Legolas e per la sua sorte. Ora capiva molte cose, capiva di non essersi mai sforzato abbastanza per comprendere l’elfo, capiva ciò che Galadriel aveva cercato di dirgli in diversi modi.
“Le stelle…” riflettè a voce alta, voltandosi verso il gruppo, seduto accanto al caminetto.
“Erano i due bambini.” confermò Gandalf percependo i pensieri dell’altro.
“Tu lo sapevi?” chiese poi il Sovrano socchiudendo gli occhi fino a renderli due fessure.
“Non esattamente… ma mi ero reso conto che la loro nascita era legata a questo avvenimento. Poi quando ho visto i due bambini e le loro orecchie ho capito. Per ogni elfo al modo esiste una stella. Due nuovi elfi, due nuove stelle, è molto più semplice di quanto noi tutti pensassimo. Nemmeno Galadriel l’aveva capito… Il fatto che fossero stelle stranamente luminose forse dipende dal fatto che sono due elfi un po’ speciali.”
“Non capisco come possano essere elfi…” soggiunse Elrond con fare dubbioso.
“Dovremo chiedere a Galadriel, lei saprà darci una risposta, forse…”
Elrond sospirò. Sapeva cosa doveva fare, non poteva fare altro.
“Avrai il mio sostegno Legolas… e non perderai il mio affetto in ogni caso. Sei come un figlio per me; hai commesso degli errori, ma non è un buon motivo per abbandonarti a te stesso. Starti vicino è una mia scelta, ma anche un mio dovere, come amico, come sovrano, come padre anche… soprattutto perchè sono certo che Thranduil non sarà molto felice, quando la situazione gli sarà spiegata.”
“Non voglio che mio padre abbia voce in capitolo in tutto questo.” sentenziò deciso Legolas. “Non è uno dei cinque sovrani. Mi sottoporrò alla legge, ma non a lui.”
“Capisco…”mormorò Elrond. “Ma lo verrà comunque a sapere e di certo vorrà dire la sua, lo conosciamo bene, dopotutto… Questo non potremo evitarlo.”
Legolas annuì debolmente e abbassò la testa. Paradossalmente, al momento, la cosa che più lo atterriva non era il giudizio dei Valar, ma il confronto con quel padre terribile, che per anni non lo aveva capito, non lo aveva ascoltato e aveva preteso di decidere per lui. Ora avrebbe avuto di fronte il fatto compiuto, e questo non gli sarebbe affatto piaciuto.
“Aragorn!” lo apostrofò torvo Gimli. “Non dici nulla?”
Tutti si voltarono verso Aragorn, in attesa, mentre l’uomo continuava ostinatamente a non voler fissare i suoi occhi in quelli di nessuno.
Arwen sembrava non riuscire a capire cosa passasse nella mente de marito. Lo vide scuotere impercettibilmente la testa e alzare lo sguardo, per incontrare i sette paia di occhi in attesa.
“Spero che le cose possano risolversi, Legolas… Per te, per Sarah e per i tuoi figli. Più di chiunque altro, tu meriti un po’ di felicità e te la auguro con la più profonda sincerità. Anche volendo, non potrei negarti il mio sostegno, perché il nostro legame è forte e solido, ormai da molti anni. Ma…” e la sua voce si incrinò “Proprio in virtù di questo legame, che io credevo sincero, non so se sarò in grado di perdonarti per avermi mentito su questa faccenda. Mi hai guardato negli occhi, Legolas, e non mi hai detto la verità, e questo non riesco ad accettarlo. Nonostante il buonsenso e la consapevolezza che la tua scelta è stata dettata da motivi ben precisi, nonostante tutti i miei buoni propositi e la convinzione che essere i collera non mi porterà da nessuna parte, non riesco a perdonarti, mi dispiace… Scusate.”
Cos dicendo si alzò rapidamente e uscì dalla stanza in silenzio, lasciando la moglie che scuoteva la testa e Legolas allibito e raggelato da quelle parole.
Aveva dato per scontata l’amicizia con Aragorn, era profondamente convinto che, quando sarebbe giunto il momento, l’amico avrebbe capito, avrebbe perdonato le sue bugie, sarebbe stato dalla sua parte. Ora capiva di aver sbagliato a preoccuparsi così poco di lui.
Buttò indietro la testa, per impedire alle lacrime di scorrere lungo le sue guance, esposte alla vista di tutti.
Arwen gli si sedette accanto, sul bracciolo del divano, sfiorandogli la spalla con un tocco leggero.
“Se lo conosco bene, e credo di poterlo affermare con certezza, sono sicura che gli passerà… Ha solo bisogno di un po’ di tempo, per assorbire la cosa ed elaborarla. Soffre perché si sente escluso dalla vostra amicizia, tu e Gimli non lo avete messo al corrente di questo segreto e questo non è semplice da mandar giù… e su certi argomenti Aragorn tende ad essere molto permaloso. Da tempo al tempo.”
“Già…” confermò Elrond, sedendosi goffamente sul tavolino e poggiando una mano sul ginocchio dell’elfo. “Ti saremo vicini, Legolas, e ci occuperemo di Sarah e dei bambini, se sarà necessario… solo questo ti posso promettere. Vorrei poterti garantire che tutto si risolverà per il meglio e in fretta, ma purtroppo non ho questo potere, non sta a me decidere. Non posso evitarti il giudizio dei Valar, né il dover affrontare gli altri sovrani… e tuo padre, temo.”
“Lo so.” Mormorò Legolas commosso.
“Oggi stesso manderò dei messaggeri ai sovrani e a tuo padre… Probabilmente saranno qui già domani, poi bisognerà andare al tempio e chiedere udienza ai potenti. Mi spiace non poter dare a te e a Sarah nemmeno qualche giorno di pace, ma devo rispettare le prescrizioni del nostro popolo, altrimenti questo finirà per ritorcersi contro di te. Ora più che mai devi stare attento, attenerti alle leggi e dire tutta la verità a chi te la chiederà. Saranno molti a scagliarsi contro di te e non dobbiamo dar loro ulteriori ragioni a cui appigliarsi; hai commesso un errore, ma esiste il perdono e io spero che il nostro popolo si ricordi di questo, perché il giudizio dei Valar terrà conto anche del pensiero della collettività.
“Noi ci saremo…” affermò Gandalf con voce decisa. Qualunque cosa dovesse accadere ricordati sempre che non sei solo, hai degli amici che ti vogliono bene, che ti hanno capito e che non vogliono più rimproverarti.” Aggiunse poi lanciando un occhiata esplicita ad Elrond.
“Ora va da Sarah e cercate di non preoccuparvi di nulla, almeno fino a domani… date nome ai vostri figli e riposatevi”
Così dicendo lo colpì leggermente sugli stinchi col suo bastone, per invitarlo ad alzarsi e lo osservò compiaciuto, mentre prendeva tra le sue le mani di Elrond e bisbigliava piano:
“Hannon le.”
“Padatham go le erin lîn padad…” (Camminremo con e sul tuo stesso sentiero…) promise Elrond.
“I er padad im berthon aphado..” (Il solo sentiero che posso percorrere…) mormorò amaramente Legolas, col cuore pieno di angoscia.
Prima di uscire fissò negli occhi i presenti e ciascuno lesse parole di gratitudine in quello sguardo, poi dopo che la porta fu chiusa dietro di lui, per un attimo tutti rimasero in silenzio.
“Padre.” mormorò Arwen “Vado da Aragorn, spero di riuscire a farlo ragionare. Grazie per aver capito… La comprensione verso Legolas è stata anche comprensione verso di me e io so quanto ciò ti sia costato.”
Sorrise, mostrando uno sguardo limpido… poi si rivolse a Gimli, con una nuova gentilezza nella voce.
“Vieni con me, per favore… Potrei aver bisogno del tuo aiuto, se Aragorn dovesse impuntarsi.”
Elrond si perse per un attimo dietro alla figlia, rimanendo assorto anche quando i passi di lei e Gimli nel corridoio non furono più udibili. Dopodiché si voltò inviperito verso Elladan e Elròhir, che si stavano avvicinando al mobiletto dove venivano custoditi i liquori, con un’espressione da perfetti farabutti stampata in faccia.
“Fuori di qui voi due!” tuonò prima che Elròhir potesse toccare l’antina. “Immediatamente!” ruggì poi per rendere ancor più celere la loro fuga dalla stanza.
Non appena i due fratelli richiusero, molto rumorosamente, la porta dietro di loro, Elrond riempì due bicchieri con una dose piuttosto massiccia di sidro e ne porse uno a Gandalf, tenendo l’altro per se, lasciandosi cadere sul divano accanto allo Stregone.
“Povero Legolas… Che i Valar lo aiutino!” sussurrò, come se fosse assorto in preghiera.
“Che i Valar aiutino tutti noi!” sospirò Gandalf preoccupato, portandosi il bicchiere alle labbra.
  
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