Film > Sherlock Holmes
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Autore: ladyElric23    25/04/2010    6 recensioni
' “Ed inoltre Watson…” aggiunse passandogli un articolo ritagliato da un giornale, “Legga! Legga qua!” Lo lesse a bassa voce, quasi tra se e se. “Donna uccide il marito per ereditare ogni suo bene materiale… Dio, Holmes!!!” lo guardò, a metà tra l’esasperato e l’indignato. Ogni volta che voleva fargli conoscere una donna con cui usciva era sempre la solita storia. “Questi sono i fatti Watson! E per questo ci dovrebbe pensare due volte prima di sposare quella Lucy!” terminò, guardandolo con sguardo eloquente, mentre dava con dei gesti, con ancora un biscotto in mano, maggiore enfasi al suo discorso. Non faceva una piega come ragionamento! “MARY!” rispose, chiudendo gli occhi per non abbandonarsi all’isteria. “Si chiama Mary!! E che le piaccia o no, è la mia fidanzata!" '. Mia prima storia su Sherlock Holmes, nonchè ovviamente Holmes/Watson. Spero che vi piaccia. ^^
Genere: Commedia, Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3.

 

Quando il mattino seguente il dottore fece il suo ingresso nel loro salotto, si sorprese di trovare Holmes già in piedi, completamente lucido, mentre leggeva uno dei suoi tanti quotidiani del mattino.

Probabilmente il suo fisico era talmente abituato ad essere sotto l’effetto di alcool o droghe che necessitava di ben poco tempo per riprendersi.

“Buongiorno” disse infine, sedendosi dall’altra parte del tavolino, prendendo a sua volta il giornale, mentre si versava una tazza di tè caldo portato da Mrs Hudson.

“Buongiorno Watson!” gli rispose l’altro sorridente, ripiegando il giornale. “Non l’ho sentita rientrare ieri sera…”

A quelle parole Watson abbassò la copia del Times che stava leggendo, fulminandolo con lo sguardo.

“Sta scherzando, spero…”, gli disse, inarcando un sopracciglio.

Ma dopo un breve, eloquente, silenzio, infine sbottò.

“HOLMES! Sono stato costretto a venirla a prendere in prigione! Lei era totalmente ubriaco!!”

Sembrava un tipico quadretto familiare; la premurosa madre che sgridava il figlio ribelle, o peggio, una giovane moglie che sbraitava contro il suo recente maritino, a causa della sua vita sregolata.

A quelle parole Holmes mise su una sorta di broncio.

Lo faceva sempre in questi casi, era una sorta di arma segreta.

“Non provi ad intenerirmi con il broncio, Holmes! E smetta di cercare di piangere, perché dopo quello che mi ha fatto ieri non riuscirà ad intenerirmi!”

Il suo tono era quasi minaccioso; pacato, tagliente, e il detective capì che questa volta era arrabbiato davvero, che non sarebbe bastato un broncietto per farsi perdonare.

Calò un pesante silenzio. Ma…

“Mi dispiace, Watson” disse infine, distogliendo lo sguardo dal suo.

E non avrebbe mai creduto di poterlo pensare, ma gli dava fastidio il suo sguardo su di se. Watson era riuscito a metterlo a disagio, forse perché vivevano insieme ormai da anni e quindi si conoscevano  in ogni lato dei loro caratteri, o forse perché il medico era riuscito ad abbattere quel muro di apatia ai sentimenti che era stato costretto ad erigere, a causa del suo lavoro.

Lo faceva sentire vulnerabile, come se la sua mente cessasse, in quegli istanti in cui i loro sguardi si incrociavano, di vagare in tutta la sua genialità, non facendolo più ragionare.

“Prego?!” gli chiese Watson, incredulo.

“Mi dispiace!” ripetè, con tono serio.

E l’amico lo guardò ancora, incredulo, tant’è che lui si innervosì.

“Oh, andiamo Watson, non faccia quell’espressione!” sbottò, mentre si alzava.

“Holmes, vi sentite bene?” gli chiese infine, ancora non credendo alle proprie orecchie.

Sherlock Holmes che gli chiedeva scusa?!!

Era come ammettere che aveva sbagliato… e tutto questo non era assolutamente da Holmes!

“Si, sto bene… o forse no… non lo so neanche io, amico mio” confessò, emettendo un sospiro, per poi riprendere. “E adesso scusatemi, ma me ne torno nella mia stanza”.

E così fece, senza aspettare risposta.

Tornò nella sua camera, chiudendo la porta a chiave dietro di se, poggiandosi poi stancamente con le spalle a questa, sospirando.

Tra una settimana il medico avrebbe ufficializzato il fidanzamento con la signorina Morstant e se ne sarebbe andato per sempre dal loro appartamento in Baker Street, la ragiona per cui si erano incontrati.

In effetti non passava giorno in cui non ringraziasse mentalmente quella casa, ed il giovane Stamford, per averli fatti conoscere.

Poggiò la testa contro la porta, mentre ricordava il loro primo incontro, al laboratorio di chimica dell’università. (*)

Da quel giorno erano passati anni, ma era ancora più che vivido nella sua mente; ricordava perfettamente il suo stato d’animo, la sua felicità per aver creato un test per la rilevazione dell’emoglobina e, nello stesso giorno, per aver trovato un coinquilino.

Quel ricordo lo fece sorridere.

Un sorriso amaro però.

Quegli anni passati a Baker Street erano stati i più belli ed intensi di tutta la sua vita; era stato finalmente riconosciuto come una delle migliori menti della nazione e, nonostante non li accettasse, riceveva molti casi su cui investigare. E inoltre, cosa non meno importante, per la prima volta aveva trovato un vero amico, una persona su cui poter fare totale affidamento.

Ma tutto questo stava per finire…

Perché il solo pensiero lo faceva stare male?!

Dopotutto non poteva continuare a comportarsi da egoista, non poteva obbligare Watson a rinunciare alla sua felicità per seguirlo nelle sue imprese.

La verità era che gli sarebbe  mancato fare colazione in sua compagnia, il vederlo entrare preoccupato nella sua stanza, le sue obiezioni sul suo senso della morale, il sentirsi rimproverare ogni volta che cercava di estraniarsi dalla realtà con qualche tipo di droga, il vedere le sue espressioni quando, ogni volta, lo stupiva con una delle sue brillanti deduzioni…

La verità era che semplicemente gli sarebbe mancato Watson.

Chiuse gli occhi, quando cominciò a sentirli bruciare.

No, non voleva che se ne andasse, non voleva perderlo, non voleva rimanere nuovamente solo, come in passato. Aveva bisogno della presenza del medico accanto a se, altrimenti, ne era sicuro, avrebbe perso il controllo di se. Infatti, come aveva avuto modo di constatare pochi minuti prima, Watson era l’unica persona che si preoccupava veramente per lui, che gli stava vicino. Era quasi una sorta di coscienza, per lui. E si rese conto di non volere accanto nessun altro al di fuori di John Watson.

Aprì gli occhi di scatto, puntandoli sul camino, e finalmente vide, nel buio della sua stanza, quello che cercava. Il suo astuccio di cuoio.

Camminò fino al camino, a passo lento, la testa china, e con lentezza quasi esasperante estrasse la siringa dalla custodia, con un nuovo ago, ed una dose di cocaina da lui  diluita in precedenza.

Dopodiché, con la siringa in mano, si mise a sedere sulla sua poltrona, stringendosi il laccio emostatico intorno al braccio sinistro.

E iniettò.

Si iniettò la droga endovena, e subito dopo buttò a terra siringa e  laccio emostatico, attendendo poi gli effetti della cocaina che ormai gli era entrata in circolo.

Questa forse non era altro che un’ulteriore dimostrazione  del bisogno di qualcuno che lo  trattenesse nella realtà, di quanto avesse bisogno di una nuova coscienza, visto che la sua in quegli anni era sprofondata nell’abisso del suo genio.

 

Fine Capitolo 3.

(*): il loro primo incontro, come saprà chi ha letto Uno Studio In Rosso (del A.C. Doyle), è stato veramente così, e quindi non è frutto della mia fantasia. Sarebbe stato troppo! xD

 

 

A questo punto vorrei ringraziare tutti per aver apprezzato i due precedenti capitoli. Davvero, grazie mille! ^^

Ma soprattutto un ringraziamento speciale a: hay_chan, ginnyx, EugyChan, Meme91, Flagiu_Mustang, Raven_95 e Euterpe per aver commentato gli scorsi capitoli! Grazie mille^^, questo capitolo è dedicato a voi! ^^

 

E adesso non posso far altro che salutarvi, e darvi appuntamento, se lo vorrete, al quarto capitolo.

Un bacione a tutti!

ladyElric92

   
 
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