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Autore: rita cullen    02/05/2010    1 recensioni
[...]Provavo ribrezzo e rabbia, le lacrime cominciarono a sgorgare copiose agli angoli dei miei occhi…non volevo baciarlo! Volevo sbatterlo a terra e riempirlo di calci, ma pur satura di rabbia fino a scoppiare, sapevo che non ci sarei mai riuscita e il perchè era semplice: era troppo forte[...]
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho scritto questa one-shot in estate, avendola sotto mano ho così deciso di revisionarla e adesso la sto postando sperando che vi piaccia e sperando d poter leggere qualche recensione!
E' una one-shot un pò particolare perchè tratta una tematica molto delicata. 
Detto questo vi invito a leggere le mie FF (a tema twilight)
 
- Quando meno te lo aspetti (FF in corso)

-  
Happyness (one-shot)
Lunch time (one-shot)


~ No one can save me now

Mi sentivo come un pesce fuor d’acqua. Io e Andrea eravamo alla festa di George,suo amico e compagno di classe, e già, dopo i primi cinque minuti non sapevo cosa fare, come comportarmi, cosa dire e facevo la parte del manichino accanto al mio ragazzo che parlava con i suoi amici.
  I suoi amici non erano granché, anzi a dirla tutta li trovavo superficiali e stupidi e a volte mi domandavo come poteva stare ancora con loro e mi dicevo che Andrea doveva essere proprio disperato per poterli sopportare! Comunque non volevo fare la figura di quella che non sapeva ambientarsi, quindi decisi di parlare con loro. Riuscire nella mia impresa non fu difficile, bastava ridere alle loro battute senza senso e fare finta di ascoltare con interesse per essere calcolata da loro. Qualcuno era un po’ diffidente e nonostante cercassi di risultare interessata alla conversazione, restava sempre timido.
bah, che strani pensai tra me e me. Non mi avevano mai ispirato fiducia, per qualche motivo a me sconosciuto, era una sensazione a pelle. La cosa strana che continuava a rimbombarmi in mente era che uno o al massimo due persone potevano fare antipatia a pelle, ma di certo non un’intera classe di 24 alunni! Ero forse gelosa di condividere il mio ragazzo con altra gente? Forse la risposta più sensata che riuscii a darmi, ma nonostante fossi venuta a conoscenza di quel pensiero non mi sentivo per niente rassicurata anzi, se possibile, ancora più preoccupata e infastidita...Perchè diamine avevo accettato di venire alla festa? Mentre cercavo una risposta valida alla domanda che mi ero posta, sentii Andrea prendermi per i fianchi, e baciarmi la guancia da dietro mentre mi sussurrava dolcemente “amore, vado con Marco a prendere il cibo e tutto l’occorrente…tu resta qui non tarderò a lungo” così dicendo mi diede un lieve bacio sulle labbra e andò via. Si voltò a guardarmi per rasserenarmi con lo sguardo e in risposta gli feci un sorriso per rassicurarlo.
  Non volevo restare da sola, ma ormai quella era la situazione, lui doveva andare e stando alle sue parole non sarebbe mancato a lungo…
per fortuna pensai sospirando per il sollievo. Mi imbarazzava il solo pensiero di stare con i suoi amici, anche se lui era accanto a me, figuriamoci ora che se n’era andato…che avrei fatto per occupare il tempo senza di lui? Alla festa conoscevo solo qualche suo compagno di classe che non apprezzavo particolarmente a causa dei modi da snob e infatti neanche a loro piaceva la mia compagnia tanto da non degnarmi nemmeno di un saluto. Sedetti su una panchina situata accanto un pino nel giardino della grande villa in cui si teneva la festa. Estrassi il cellulare ed incominciai a giocare con uno stupido gioco, a cui non avevo mai giocato, compreso nel telefonino e sperai che chiunque passasse pensasse che fossi assorta a scrivere qualche sms o a fare qualcosa di importante. Avevo trovato il modo per aspettare il mio Andrea.
  Erano passati più o meno dieci minuti e stavo li a giocare, ci stavo prendendo gusto e cominciavo a muovere il mio serpentello con dimestichezza tra le pareti del labirinto, controllai il punteggio…1705 wow pensai mentre mi ero guadagnata altri 5 punti prendendo un’altra pallina. Erano palline? Palloncini? Chi poteva dirlo? La qualità dello schermo del vecchio Nokia prestatomi da Andrea, in attesa che avessi avuto abbastanza soldi da comprarmi il mio tanto agognato cellulare touch-screen, non era delle migliori, ma dovevo comunque ringraziarlo per il prestito, dato che il mio cellulare mi aveva abbandonato a seguito di una brusca caduta. Ero assorta nei miei pensieri tanto da non accorgermi di Michele, uno degli amiconi di Andrea, che a prima vista mi era sembrato socievole, quanto cretino, infatti non riuscivo ad immaginarmi cosa potesse farci il mio ragazzo con uno come lui. Mi ridestai dal gioco, sorpresa. Non mi aveva mai parlato in assenza di Andrea e tutto ciò che mi aveva detto erano solo cose di poco conto che confermavano la sua scarsa intelligenza. Lo misi meglio a fuoco e vidi che aveva una camicia a righe dall’aria leggera e un paio di blue jeans. Non stava male, ma non era decisamente il mio tipo! A parte la sua palese stupidaggine che non mi faceva provare simpatia, a questo si aggiungeva la sua corporatura robusta e per niente muscolosa e il suo viso che assomigliava, senza dubbio, a quello di un maiale. “Ciao” mi disse appena lo guardai meglio; aveva un’espressione indecifrabile…non capivo dove voleva andare a parare. “Oh, ciao Michele” risposi io palesemente sorpresa. “Quello non è il cellulare di Andrea?” chiese lui. Ma quanto gliene poteva importare?!? “Si proprio quello” sospirai io. Mi metteva in imbarazzo dover dire che il mio ragazzo mi avesse prestato il telefonino in attesa che le mie finanze, abbastanza scarse, avessero raggiunto il giusto numero di zeri per comprare un nuovo cellulare…non avevo la pappa pronta, IO! I miei erano stati chiari “non è colpa NOSTRA se il tuo cellulare si è rotto per la TUA sbadataggine, e poi abbiamo cose più importante a cui pensare piuttosto che comprarti un nuovo cellulare, ci dispiace ma dovrai comprarlo con i tuoi risparmi” quando dicevano così non ammettevano repliche e del resto io sapevo che la situazione della mia famiglia al momento non era rosea e mi pesava gravare ancora di più sulle loro spalle, o meglio, sulle loro tasche. Michele interruppe il mio soliloquio con una domanda che mi diede molto fastidio “Ah, come mai ce l’hai tu?” Risposi seccamente “al momento il mio cellulare è fuori uso, così mi ha prestato il suo.” E lasciai cadere il discorso facendogli capire che non mi avrebbe cavato una parola in più dalla bocca. “Ah, gentile da parte sua” osservò lui con un tono che lasciava intendere che in realtà stava prendendo in giro il mio ragazzo. Feci finta di non cogliere il senso strafottente dell’affermazione e imitai un sorriso in risposta, anche se non ero sicura che mi fosse venuto bene, l’irritazione che mi trasmetteva era troppa. Nel momento in cui feci quell’espressione incominciò una canzone orribile…troppe urla per i miei gusti, era peggio delle canzoni assordanti da discoteca. “Vuoi ballare?” mi chiese, dovevo andarmene o, oltre ad essermi scoppiata la testa, gli avrei chiaramente detto che la musica era orribile e lui era un cretino patentato. “No, ho bisogno di prendere una boccata d’aria” e mi congedai. Era possibile che Andrea non fosse ancora tornato? Mi diressi verso la porta d’uscita dove un mucchio di ragazzi squinternati stava fumando quello che all’apparenza sembrava…un spinello? Roba da matti pensai tra me e me: mi aveva lasciata qui con un branco di cretini!
  Cercai di dirigermi verso la porta chiusa, affollata da quei ragazzi, ma appena mi avvicinai un po’, i ragazzi mi guardarono con un’aria strana. Uno di loro si rivolse verso di me dicendomi se gradivo unirmi a loro, ma io cordialmente rifiutai. “Bene, dove altro posso andare? Voglio restare da sola!” stavo sfiorando l'isteria. Cercai, duenque, di fare mente locale…il cortile? No, avrei incontrato Michele, volevo andare fuori ma era praticamente impossibile a causa di quei ragazzi, quando improvvisamente una lampadina mi si accese in testa. Noi non eravamo entrati dalla porta principale, bensì da una piccola porta sul retro che dava su una strada poco trafficata. Perfetto pensai e mi diressi verso la cucina, passando cautamente per non farmi notare e arrivai fino alla porta sul retro nascosta dalle tendine, accanto al frigorifero. Era buffo, sembrava una finestra, il color marrone della porta si fondeva bene con il legno scuro delle pareti della cucina. Se non ci fossero state le tendine ad indicarmi dove si trovava precisamente la porta, non ci avrei fatto caso.
  L’aprii quatta quatta senza essere vista, ma quando la richiusi e mi trovai all’esterno, la visione che ebbi davanti mi snervò non poco. Michele appoggiato con le spalle al muro stava fumando una sigaretta. Che fregatura! Me lo ritrovato sempre tra i piedi! E poi fumava? Non pensavo fumasse, si dichiarava sempre un ragazzo astemio e non fumatore: un’altra delle sue cavolate! Lo salutai con un cenno del capo e niente di più. Me ne stavo li in piedi e gli voltavo le spalle in attesa che se ne andasse. Speravo avesse capito dal mio comportamento precedente che volevo solo aspettare il mio ragazzo in santa pace. Ma lui non lo capì, o forse non gli interessava granché perché, al contrario di quanto avessi sperato, si avvicinò a me dicendomi “Hey ti va di fare una passeggiata, bellezza?” A quelle parole però seguì un forte odore di alcol e allora capii. Doveva essere sbronzo. “No” risposi fredda “torna dentro sei completamente andato” e mi voltai per andarmene. Ma non previdi la sua reazione. Mi afferrò per sbattermi subito dopo contro il muro e cominciò a sbottonarmi i pantaloni aderenti.
  Ero terrorizzata, non riuscivo a rendermi conto di quello che di li a poco sarebbe successo, o semplicemente non volevo metabolizzarlo. Non poteva accadere, non a me, non qui, sotto gli occhi di tutti, ad una festa. Non l'amico del mio ragazzo! Non poteva accadere davvero. Dopo aver sbottonato i primi due bottoni, quel verme procedette ad abbassare la zip. Mi preparai a cacciare un urlo, ma appena il suono uscì, lui mi fermò tappandomi la bocca con un bacio.
  Provavo ribrezzo e rabbia, le lacrime cominciarono a sgorgare copiose agli angoli dei miei occhi…non volevo baciarlo! Volevo sbatterlo a terra e riempirlo di calci, ma pur satura di rabbia fino a scoppiare, sapevo che non ci sarei mai riuscita e il perchè era semplice: era troppo forte. Cercai, allora, di tirargli un calcio, ma chissà come riuscì a schivare la mia gamba. Mi aveva intrappolata. “Ed ora” disse con gli occhi pieni di eccitazione “chi comanda qui sono io”. Mi sentii morire. Capii che non c'era niente da fare; nessuno poteva più salvarmi. Aprii la bocca e l'unica cosa che uscì dalle mie labbra rosse e torturate dai suoi denti e dalla sua lingua,
fu un debolissimo "Andrea",
un silenzioso grido di supplica, che si spense nell'aria come il lieve battito d'ali di una farfalla.
  
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