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Autore: wari    16/05/2010    7 recensioni
E mentre sua madre si sporgeva con impeto per abbracciare quell'uomo dalla voce severa e la fronte spaziosa che era appena comparso sulla soglia, Sasuke si chiese se fosse davvero possibile innamorarsi di qualcuno in meno di due settimane. Decisamente improbabile. Assurdo. Inconcepibile. Quindi, a giudicare dall'evidenza dei fatti, il mondo era semplicemente impazzito.
(seconda classificata allo "Storm in Heaven [SasuHina contest] indetto da Red Diablo e hachi92)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hanabi Hyuuga, Itachi | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Non sono abituata a scrivere cose pseudo romantiche e infatti mi sono iscritta al contest mentre ero sotto l’effetto di stupefacenti (un mix di ingenti quantitativi di caffeina ed analgesici, ma tanto il risultato è quello). E il bello (?) è che la storia dura ben cinque capitoli (perché il mio fegato ormai ci mette tempo per smaltire ^^”).  Comunque, complimenti a tutte le partecipanti e grazie alle giudici e alla bannerista^^.

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Il paesaggio correva veloce fuori dal finestrino.

Tenere la fronte premuta contro il vetro era servito unicamente ad aumentare la sua emicrania, ma decise di non curarsene: al momento, un mal di testa era l'ultima delle sue preoccupazioni.

Anzi, avrebbe persino potuto usarla come scusa per eclissarsi in un antro buio il prima possibile.

« Non ti viene mal di testa a stare così, otouto? »

Sasuke Uchiha distolse lo sguardo dal paesaggio, controvoglia.

« Può darsi. » grugnì, in mancanza di una risposta migliore.

Itachi si strinse nelle spalle, rivolgendo un gesto vago a Mikoto che, molto impegnata nella guida – attività nella quale non eccelleva – si era voltata brevemente a lanciare un'occhiata preoccupata al figlio minore.

« Lascia stare, kaa san. » la tranquillizzò, stiracchiandosi sul sedile anteriore. « Gli passerà. »

Lei annuì, non troppo convinta, ma ritenne più saggio restare in silenzio e concentrarsi nell'ardua impresa di farli arrivare vivi a destinazione. Anche se, considerando che procedevano alla spaventosa andatura di novanta all'ora in autostrada, la possibilità che arrivassero prima del tramonto era praticamente utopistica.

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Le nove.

E sarebbero dovuti arrivare per le sette.

« Ma non dovevano arrivare per le sette? »

Hinata Hyuuga emise un gemito soffocato.

Possibile che Hanabi, ad undici anni suonati, non riuscisse ancora a capire quando tenere la bocca chiusa?

« Eh, tou san? Tou san! »

Se suo padre avesse rivolto a lei quell'occhiata assassina, Hinata non sarebbe rimasta a pensare neanche un secondo prima di squagliarsela nel modo più rapido possibile.

« Staranno per arrivare, Hanabi. Avranno trovato traffico. » disse, in un patetico tentativo di rassicurazione.

Hanabi non colse i segnali e prese a sbuffare, irritata.

« Ma io voglio vederli! Tu non muori dalla voglia di vederli, nee san? »

Hinata sospirò, annuendo distrattamente e facendole segno di tornare a sedersi sul divano, possibilmente prima che a suo padre saltassero in aria le coronarie.

Morire dalla voglia di vederli?

Proprio no.

Sapeva bene che il suo era un atteggiamento sbagliato.

Sbagliato ed egoista.

Ma chi era più egoista?

Lei, che non riusciva a provare entusiasmo per il loro arrivo o su padre che, solo due settimane prima era tornato a casa annunciando di avere conosciuto una donna e di aver deciso di sposarla?

Una donna mai vista, incontrata per caso durante un viaggio di lavoro a Nagano.

Una donna che aveva accettato la proposta su due piedi – e questo la diceva lunga su che tipo di donna dovesse essere – decidendo di traslocare e trasferirsi da loro, portandosi appresso i figli.

Famiglie tagliuzzate e ricucite a piacimento da genitori impulsivi.

Hanabi aveva accettato la cosa con entusiasmo e naturalezza, come in ogni occasione.

Ma Hinata no. Non c' era riuscita.

Perché le persone non sono pezzi di stoffa da tagliare e cucire e non si può pretendere che restino unite, se troppo diverse.

Per questo ne era certa: non avrebbe funzionato. Decisamente no.

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Ci avevano messo sei ore. Sette, contando anche le numerose soste vomito.

E dire che, con un volo nazionale, ci avrebbero impiegato neanche cinquanta minuti per raggiungere Osaka.

Non che avesse mai avuto fretta di arrivare, ma trovava ingiusto che il suo mal d'auto passasse in secondo piano rispetto alla fobia di sua madre per gli aerei. Dopotutto era più sensato che fosse lei a resistere per cinquanta minuti in volo, piuttosto che lui per sette ore di curve e frenate.

« Sasuke, suona il campanello, su! »

La pazza – sì, oramai non c'era altro modo per definire quella malvagia entità che da due settimane si era impossessata del corpo di sua madre – era decisamente su di giri. Sasuke esitò, decidendosi solo dopo un'occhiata incalzante di Itachi; suo fratello pareva l' unico rilassato, in quella situazione.

« Era ora! » fu l' esordio, scocciato, della bambina che venne ad aprire la porta.

Itachi alzò impercettibilmente le sopracciglia e Sasuke decise di imitarlo, restando accostato al suo fianco in religioso silenzio.

« Ciao! » sorrise invece Mikoto. « Tu devi essere Hanabi. »

La presunta Hanabi la scrutò in volto per una manciata di secondi. Poi si concesse una lunga contemplazione da capo a piedi di Itachi e Sasuke.

I suoi occhi, chiarissimi, davano la sgradevole sensazione di essere esaminati ai raggi x.

« Mikoto. Siete in ritardo. »

« Hiashi! Che bello vederti! »

E mentre sua madre si sporgeva con impeto per abbracciare quell'uomo dalla voce severa e la fronte spaziosa che era appena comparso sulla soglia, Sasuke si chiese se fosse davvero possibile innamorarsi di qualcuno in meno di due settimane.

Decisamente improbabile.

Assurdo.

Inconcepibile.

Quindi, a giudicare dall'evidenza dei fatti, il mondo era semplicemente impazzito.

Lanciò un'occhiata ad Itachi. Ma lui, invece di dargli man forte, alzò le spalle come ad invitarlo per l'ennesima volta ad accettare la faccenda così com'era, e lo precedette all'interno.

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Timida per natura, Hinata non aveva avuto il coraggio necessario per andare ad accogliere gli ospiti – anzi, i futuri coinquilini – alla porta, preferendo di gran lunga attendere in soggiorno.

Aveva poi salutato educatamente la donna.

Una bella donna, sì. Ma, da quel che ricordava di sua madre, una giovane inglese dagli occhi chiarissimi, Mikoto Uchiha non arrivava certamente a reggere il confronto.

E poi, i figli.

Itachi Uchiha, diciannove anni e Sasuke Uchiha, quindici.

Itachi, i capelli scuri raccolti in una coda, faceva un po' hyppie. Aveva salutato con cortesia suo padre e rivolto un occhiolino a sua sorella. A lei aveva stretto la mano, sorridendo impercettibilmente davanti alle sue guance di fuoco.

Sasuke, infagottato in una felpa che, a giudicare dalle dimensioni, doveva essere appartenuta al fratello, aveva invece l'espressione di qualcuno che avrebbe preferito masticare frammenti di vetro piuttosto che essere lì in quel momento; più o meno come lei, del resto.

Hanabi non perse tempo, iniziando a tempestare di domande i nuovi arrivati, mentre Hiashi li guidava tutti in cucina.

Saggia decisione, considerando che il gyudon* preparato da Hinata all'incirca due ore prima – ovvero quando sarebbero dovuti arrivare se fossero stati a conoscenza del significato della parola “puntualità” - doveva avere ormai raggiunto all'incirca la consistenza del marmo grezzo.

Si sedettero a tavola ed iniziarono una ridicola conversazione sul pasto.

La carne era immangiabile ed il riso si era solidificato in curiosi aggregati mollicci, eppure Mikoto Uchiha riuscì a profondersi in coloriti complimenti sull'ottima cena, riuscendo persino a zittire suo padre quando questi tentò di farla ragionare razionalmente sulle assurdità che stava dicendo.

Hinata si fece piccola, sperando che l'orologio iniziasse a muoversi più velocemente.

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La cena, a detta di sua madre, era ottima.

Sasuke, comunque, non fu in grado di appurare direttamente la cosa: al momento, dopo sei ore di auto, il solo trattenersi dal vomitare richiedeva già un notevole sforzo; mangiare quello che aveva davanti era assolutamente fuori discussione.

« E' davvero ottimo, Hinata. Complimenti, sei una cuoca eccellente! » e sette. Mikoto ci stava dando dentro con i complimenti. In realtà il cibo aveva un aspetto a dir poco pessimo ma, considerato che Mikoto era abile ai fornelli se possibile meno che alla guida – e le numerose intossicazioni alimentari che figuravano sulle anamnesi sue e di suo fratello ne erano la prova schiacciante – Sasuke non si stupì di tutta quell’espansività nei commenti alla cena.  La cuoca abbassò lo sguardo ad arrossì, borbottando qualcosa di simile a « veramente è un po' freddo » e poi il silenzio ricadde sulla tavola.

« E così, Itachi, tua madre mi diceva che ti sei inscritto all'università. »

Per iniziare una conversazione tanto banale, evidentemente persino Hiashi Hyuuga doveva essere stato contagiato dall'imbarazzo generale.

Sasuke osservò suo fratello annuire con compostezza e spiegare che, sì, effettivamente aveva deciso di frequentare la facoltà di giurisprudenza.

« Deciso? » borbottò Sasuke, sarcastico.

Itachi avrebbe frequentato l'università, si sarebbe laureato col massimo dei voti e sarebbe finito a lavorare nello studio legale di suo padre. Era stato programmato più o meno al momento della sua nascita. Se non al suo concepimento.

Tutti si voltarono verso di lui, ma Sasuke, visto che il commento era rivolto solo a suo fratello ed era certo che questi l'avesse recepito perfettamente, si strinse nelle spalle, concentrando la sua attenzione sul bicchiere che aveva in mano.

« Tu Sasuke, vai a scuola, invece. Hai un buon rendimento? »

Il signor Hyuuga era estremamente tenace. Sasuke si soffocò con l'acqua quando fu Itachi a rispondere al suo posto. Ora avrebbe pagato lo scotto della precedente frecciatina.

« Oh, il mio otouto è un piccolo genio. » fece, ghignando.

« Itachi. »

« Non essere timido, Sasuke. Eri il più bravo della tua classe, no? Il piccolo cocco dei professori... »

« Può darsi. Ma mai quanto te, aniki. » l'avrebbe strangolato. Oh sì. L'avrebbe fatto.

« E tu, Hinata? » chiese Mikoto, interrompendo il litigio con un'occhiata fiammeggiante.

« I... io... Ecco... »

Ma Hiashi non le diede il tempo di dire qualcosa di più sensato.

« Se si impegnasse di più i suoi voti orali migliorerebbero notevolmente, non è così Hinata? » sentenziò, severo.

« La mia nee san è troppo fifona per sopportare un'intera interrogazione senza svenire! » intervenne Hanabi, che aveva appena finito di adoperarsi per versare il contenuto della sua ciotola nel vaso alle sue spalle, senza farsi notare.

« Comunque, sei ancora in attesa per quella borsa di studio, non è così, Hinata? »

Lei sussultò, come colta in fallo, ed annuì pianissimo, sprofondando il mento così in basso che tutto il viso fu adombrato dalla massa scurissima dei capelli.

« Una borsa di studio? Davvero, Hinata? » fece invece Mikoto, gioiosa. « Allora devi essere molto brava! Come sempre esageri in senso negativo, Hiashi. »

Lui emise un mezzo verso burbero e si portò dignitosamente le bacchette alla bocca, ricomponendosi in un atteggiamento fiero ed austero.

E mentre Hinata arrossiva fino alla punta dei capelli e Mikoto si lanciava in una fiera dissertazione sulle virtù della timidezza, Sasuke non poté fare a meno, in un angolo imprecisato della sua mente, di provare qualcosa di simile all'empatia per quella ragazzina che pareva sciogliersi sotto lo sguardo severo del padre.

E non riuscì neanche ad evitare di chiedersi perché sua madre finisse sempre con lo scegliere uomini dal carattere detestabilmente simile a quello del suo primo marito.

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Terminata quella cena disgustosa – sia per via del cibo che per le conversazioni orrendamente banali - Hiashi li aveva scarrozzati tutti in giro, per mostrare la casa.

La villa, di dimensioni perfette per la loro famiglia, aveva dovuto subire dei drastici “ammodernamenti”.

« Perché gli Hyuuga si adattano ad ogni situazione. » aveva detto orgoglioso suo padre, subito dopo aver terminato le modifiche.

Certo. Per lui era assolutamente irrilevante che lei ora dovesse dormire con Hanabi.

Hanabi: disordinata, rumorosa ed irrequieta.

Trattenne quindi a stento una replica quando, mentre passavano al piano superiore, suo padre prese a dire, soddisfatto.

« Hinata è stata felicissima di sapere che avrebbe diviso la stanza con sua sorella. »

Felicissima?! La smorfia costernata comparsa sul suo volto quando lui, due giorni prima, aveva finalmente avuto la decenza di comunicarle quella decisione inappellabile – come tutte le decisioni di Hiashi Hyuuga, del resto – non poteva essere classificata neanche come serena rassegnazione. Ci voleva un bel coraggio a definirla “felicissima”.

« In questo modo Itachi e Sasuke avranno una stanza tutta per loro. »

Il lungo secondo di basito silenzio che seguì questa affermazione, parve ad Hinata come la calma prima della tempesta.

Rabbrividì.

« Cosa...? » iniziò Sasuke, le ciocche scure ad adombrargli il volto. « Io non ho alcuna intenzione di dormire con questo individuo. Piuttosto la morte. »

L’individuo in questione mise su un'espressione divertita, anche se Hinata colse una vibrazione pericolosa nella sua voce.

« Questo non è affatto gentile da parte tua, otouto. » commentò avvicinando il viso a quello del fratellino. « Dopotutto quando eri un caro frugolettoadoravi intrufolarti nel mio letto di notte, o sbaglio? »

Touché, a giudicare dall'espressione ferita di Sasuke.

« Avevo quattro anni, aniki. »

« A me risulta che tu l'abbia fatto fino a ieri, otouto. »

Hinata stette in silenzio in disparte mentre suo padre, indeciso su come comportarsi, rimaneva a fissare quello scambio di battute come di fronte ad una partita di ping pong.

In compenso, prima che si arrivasse alle mani – perché se non Itachi, Hinata era certa che almeno Sasuke fosse seriamente sul punto di azzannare suo fratello alla giugulare – Mikoto li divise, squadrando prima l'uno, poi l'altro con un sorriso che le illuminava il viso di una luce inquietante.

« Ragazzi. » disse. « Vi ricordate cosa avevo detto a proposito delle vostre... Amichevoli piccole discussioni? »

Evidentemente sì, se lo ricordavano. Perché, dopo un attimo di esitazione in cui Hinata colse un'ombra di panico negli occhi di entrambi, Itachi adottò lo stesso sorriso falso di Mikoto e con un cortese  « Certo, kaa san. », si allontanò da suo fratello. Il minore, dal canto suo, si limitò ad abbassare lo sguardo e a borbottare qualche maledizione tra i denti.

Hiashi, sollevato, fece per proseguire il giro, ma Sasuke lo interruppe prima che avesse il tempo di profondersi nella minuziosa descrizione di tutti i comfort offerti da quell'unico bagno che da quel giorno avrebbero dovuto usare in sei, salvo caracollare giù per le scale in piena notte.

« Io me ne vado a dormire. » sentenziò, rivolgendosi direttamente a sua madre. Lei parve tentare una blanda resistenza, ma lo sguardo deciso del figlio la fece desistere.

« Sasuke soffre il mal d'auto, non si sente molto bene. » spiegò, conciliante.

Hiashi annuì, anche se un po' irritato: Hinata sapeva bene quanto detestasse essere interrotto; i nuovi arrivati stavano giocando col fuoco.

Ma la questione morì lì, con suo padre che, insolitamente gentile, invitava Sasuke a riposarsi e gli augurava buona notte. O almeno così pensava, prima che, dopo neanche due passi, Itachi imitasse il fratello.

« Sapete, credo che andrò a letto anche io. »  disse. « Magari al mio piccolo otouto serve assistenza... »

Sasuke stava per ribattere qualcosa, piccato, ma Itachi lo interruppe, fulminandolo con un'occhiata.

I due rivolsero un contrito, falsissimo sorriso di scuse alla madre. Lei, interdetta, emise una risatina nervosa e poi si voltò verso Hiashi.

Costernata, Hinata vide il padre borbottare il suo consenso, dicendo che in effetti era tardi e la casa avrebbero anche potuto visitarla il giorno seguente.

In anni – quindici, per l'esattezza – non l'aveva mai visto comportarsi tanto gentilmente.

Mai, se non con sua madre.

E fu questo, più d'ogni altra cosa, che la spinse a mollare tutti lì, in corridoio, ed eclissarsi in camera sua senza salutare.

Nota:

*gyudon: piatto popolare composto da riso bollito e carne di manzo.

 

  
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