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Autore: Ely79    18/05/2010    4 recensioni
Harry è Auror e vive a Grimmauld Place con la sua famiglia, ma il palazzo cade a pezzi e le memorie dei Black ingombrano ancora le stanze. Ginny, preoccupata per James e Albus e per la figlioletta in arrivo, decide di rivolgersi a chi può dar loro una mano.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tavola 1 - Inquadramento
«Che schifo!» mugugnò Ron scuotendo il piede.
Aveva appena calpestato qualcosa dalla consistenza imprecisata e dall’odore disgustoso. Di certo non era la plastilina che suo nipote Fred aveva sparso per mezza casa il week-end precedente.
«Dai, cioé, mica ci vorrà ancora molto, no?» bisbigliò Nigel lì accanto.
L’Auror era poco più di una sagoma indistinta contro un muro ricoperto di manifesti pubblicitari e scritte poco artistiche di writers alle prime armi. L’incantesimo di Occultamento non era uno dei suoi preferiti, e si vedeva.
«Nigel?» intervenne la voce di Harry, poco oltre.
«Mmm?»
«Ti si vedono i piedi…»
«E allora?» poi guardò a terra e ricordò di aver indosso delle scarpe d’ordinanza, il cui colore era stato fatto variare dal tabacco al verde fosforescente. «Lawson, appena ti metto le mani addosso…» ringhiò.
La squadra sghignazzò a mezza voce. Non potevano permettersi di farsi scappare ladro e ricettatore. Stavano dietro a quei due da troppo tempo.
«Avanti» disse Potter, muovendosi rasente il caseggiato.
Si affacciarono in una stradina dove i passanti camminavano frettolosi tra i lampioni e le auto in sosta. Sotto l’insegna di call center, un tizio dall’aria anonima sedeva su una panchina. Il puntolino rosso della sigaretta brillava a tratti, confondendosi nelle dense boccate di fumo.
Attesero, cercando di non spintonarsi. Mandare l’indagine a monte finendo a terra come sacchi di patate, sarebbe stato imbarazzante come minimo.
L’uomo sulla panchina si guardava intorno.
«Spostati, David, non ci vedo» sbottò Francis, troppo arretrato per allungare la testa sulla strada.
«E che cavolo vuoi vedere?» ringhiò quello, scrollando la spalla su cui stava appoggiato di peso il collega.
«Di certo non la tua faccia o il tuo culone quando ricomparirai»
«Ma senti chi parla, signor Ossicini-saltellanti-e-pancia-da-Burrobirra
«Clabbert chiappone!»
«A chi, brutto…»
«Zitti. Tutti e due!» ordinò sottovoce Harry.
Odiava la parte del capo autoritario. Imporsi non faceva per lui, passava da despota ottuso quando ci si metteva. Preferiva un sano scambio di vedute, calmo e pacato. Lo trovava più produttivo, oltre che in linea col suo carattere. Ma doveva ammettere che sentire quei due ventottenni comportarsi come bambini dell’asilo era troppo divertente e l’aiutava a non prendere troppo sul serio il lavoro.
Occorse più di un’ora perché finalmente la situazione subisse un mutamento. Erano passate le diciotto e tenta sulle lancette del vecchio orologio a bordo strada. Dal call center uscì un uomo. Difficile dire di dove, a quella distanza e nella cupa serata londinese poteva essere thailandese, cinese o di chissà quale altro paese asiatico. Andò incontro a quello seduto che si alzò, ed insieme si allontanarono parlottando.
Ancora abbarbicati sullo spigolo dell’edificio, gli Auror attendevano.
Ed ecco, nella breve pausa tra un drappello di passanti e la chiusura del negozio, un’ombra si addensò dietro la panchina deserta. Era piccola ed incurvata sotto il peso di un fagotto bitorzoluto.
«Non ci credo…» bofonchiò Ron, incerto sul tono da tenere.
Harry scosse il capo, emettendo un sospiro rassegnato. Era assurdo. Per mesi erano stati sulle sue tracce senza individuarlo ed ora scoprivano che il manigoldo che aveva abilmente saccheggiato l’attico del fratello del Ministro della Magia era una loro vecchia conoscenza: Mundungus Fletcher.
«Ma quanti anni ha?» chiese al cognato.
«Che ne so? Ottanta? Novanta?» ridacchiò Weasley, più per esasperazione che altro. «Lo fermiamo?»
«Aspettate» fece Marvin. «C’è qualcun altro»
In effetti, dal fianco di Mundungus si era staccata un’altra figuretta.
«Oh, bene… adesso ha pure gli aiutanti!»
«Dai, Ron, ha un’età. L’hai detto anche tu» sghignazzò Harry allungando a tentoni una mano nel vuoto, cercando inutilmente di dargli una pacca sulle spalle.
Naso lungo, orecchie puntute quanto il mento, braccia nodose. Indossava un abito che una volta doveva essere stato elegante. Guardando bene capirono che non si trattava di una persona, bensì di un folletto. Un ex-dipendente della Gringott per essere esatti: Unci-Unci. Strano che quella canaglia si fosse data ai furti, lo facevano più tipo da truffe. Quello che stupì la polizia magica non fu tanto la bizzarra coppia che avevano adocchiato, quanto chi apparve poco dopo. Non era il ricettatore, bensì il vero ladro. Per una volta, Mundungus era l’acquirente, anche se questo non sminuiva la sua posizione. Ed il malvivente era una vecchia conoscenza degli Auror: Dimitri Miles, ex-attendente di Kingsley Shacklebolt. Era stato licenziato in tronco due anni prima, proprio perché scoperto a sottrarre manufatti magici proibiti dal magazzino dei sequestri. Da allora si era vendicato sottraendo i manufatti magici dalle case dei maghi più in vista.
«E così non perde il vizio, eh?» borbottò Marvin, facendo scrocchiare le nocche.
Quando avevano cercato di catturarlo mesi prima, Miles gli aveva rotto il setto nasale e lui se l’era legata alla bacchetta. Il nuovo profilo da pugile non gli piaceva per niente e sarebbero occorse settimane per rimetterlo in sesto.
«Aspettiamo il passaggio» suggerì Harry, auspicando che si dessero una mossa al più presto. «Ron, Francis, David, andate dall’altro lato della strada e per l’amor del cielo, non litigate! Nigel, Marvin, con me»

***

Harry si Materializzò come d’abitudine nel parchetto davanti al numero dodici di Grimmauld Place. Era l’unico posto abbastanza anonimo perché eventuali passanti scegliessero di tirar dritto senza dare un’occhiata.  Di tanto in tanto, qualche giovane mago bazzicava da quelle parti con occhi sognanti, in cerca della casa del Salvatore del mondo. La vecchia dimora era visibile in pianta stabile e pareva che i vicini non avessero dato peso al fatto che questa fosse cresciuta fra una proprietà e l’altra, gonfiandosi come un palloncino.
I mattoni bruni della facciata lo fissavano di rimando, severi e corrucciati intorno alle finestre riquadrate di bianco.
Attraversò la strada deserta e superò i due gradini che lo dividevano dall’ingresso. Entrò ed appese giacca e sciarpa all’appendiabiti, stiracchiandosi. Il freddo di quel pomeriggio d’inizio anno gli aveva indolenzito tutte le ossa, comprese quelle che non ricordava di avere. Persino la spolverata di peli che definiva barba, non senza una punta d’imbarazzo, sembrava fatta di tanti spilli ghiacciati.
«Papà-papà-papà-papà-papà-papà!» trillò allegramente una vocina, un po’ troppo fragorosa.
Subito l’Auror si volse alla sua sinistra. Le tende si aprirono rivelando l’enorme ritratto di Walburga Black, i cui strepiti superavano quelli del bimbo che gli correva incontro.
«Come osate disturbare la mia quiete! Voi, luridi Sanguesporco! Abominio! Orrore! Sozzura! Chi credete d’essere per dimorare nelle mia illustre magione! Malerba infetta!» tuonò.
Due rapidi incantesimi si abbatterono sul tessuto pesante e consunto, richiudendolo quasi all’istante. La voce sguaiata filtrava a malapena, comunque fastidiosa. Kreacher, apparso all’istante, diede una lunga occhiata al padrone e al quadro, borbottando un malinconico “Il signorino chiassoso non capisce che la padrona ha le orecchie delicate”.
«Merlino, troverò il modo di farla tacere una volta per tutte!» sibilò irata Ginny, scendendo le scale con Albus in braccio.
Si teneva stretta alla balaustra, cercando di non incespicare rovinosamente nei gradini, alcuni dei quali avevano preso la pessima abitudine di aprirsi sotto il suo piede nei momenti meno opportuni.
Intanto Harry aveva sollevato da terra il piccolo James che faceva pernacchie alla nobildonna e sfoggiava un nuovo, ennesimo bozzo sulla fronte.
«E questo?» domandò al piccolo che rispose orgogliosamente:
«Bennottoto!»
«Bernoccolo» lo corresse.
«Bettottolo!» sghignazzò.
«Bernoccolo, Jamie» insisté.
«Bettattolo!» rise, prima di spalancare le braccine verso di lui, facendosi improvvisamente triste. «Abacio!» mugolò abbattuto.
Era il suo modo per chiedere attenzione e comprensione, specie dopo aver combinato un guaio.
«Sì, sì, ci vuole un abbraccio per quest’ometto che ha già troppe ferite di guerra» rispose accontentandolo.
«Il solito ruffiano. Vorrei tanto sapere da chi ha preso» fece la madre, aggiustando il bavaglino del secondogenito.
Il marito sorrise, una mezza idea l’aveva. Suo padre. Da quanto aveva potuto apprendere, James Potter era stato un’autentica peste, un vulcano di guai, che però aveva saputo farsi perdonare ed amare da chi aveva intorno. Evidentemente certe eredità saltavano un generazione, perché lui non era affatto così.
In punta di piedi scesero in cucina, dove la tavola era apparecchiata da un po’.
«Com’è andata la giornata?»
«Umida, noiosa e molto, molto fredda. Tipico inverno londinese» concluse, aiutandola a sistemare i pargoli nei rispettivi seggioloni.
«Non vuoi fare una doccia prima di mangiare?» chiese, preparandosi ad una nuova battaglia col neonato in fase di svezzamento.
La crema di mais che aveva preparato avrebbe avuto un aspetto poco appetitoso anche per un mannaro digiuno da settimane ed Albus era dello stesso avviso.
«No, Gin, sto bene. Ho troppa fame e l’arrosto di Kreacher lo preferisco ben caldo. La doccia la farò dopo, quando avrò preso la temperatura che c’è qui dentro. Diamine, si muore di freddo…» fece, tirando gli occhiali sulla fronte prima di stropicciarsi gli occhi.
Il passaggio tra l’esterno e l’interno doveva essere stato troppo rapido, non provava alcun miglioramento. Quella sera il consueto tepore domestico sembrava essersi trasformato nel freddo appiccicoso di un freezer. Oppure il gelo era penetrato fin dentro le ossa, molto più di quanto immaginasse.
«Padrone, Kreacher ha cucinato anche la Minestra Scozzese*, che piace tanto a Padron Harry!» lo informò l’elfo, indicando la pentola sul fornello.
Il mestolo si librò nell’aria, mostrando il contenuto denso e fumante.
«Splendida idea, grazie. Ci voleva proprio»
L’elfo rispose con un gran sorriso sdentato, dirigendosi ai fuochi. Le larghe orecchie sbattevano da un lato all’altro, sempre più cadenti. Il tempo passava anche per lui.
«Harry, stai sudando. Non ti sarai preso qualche accidente, vero?» lo sgridò Ginevra, quasi stesse parlando con un figlio capriccioso.
Rimproveri preventivi, metodo ereditato dalla madre. Eredità che comprendeva il fatto che restassero inascoltati.
Lui rispose prendendo posto accanto a James, che giocava con un cucchiaio.
«Sto bene, fidati. Ho solo bisogno di mettere qualcosa nello stomaco» la rassicurò, soffiando tra le dita per scaldarle. «Marvin è messo sicuramente peggio di me: è stato annaffiato da un furgone di passaggio mentre inseguivamo i sospettati»
«Non m’interessa se Marvin ha la febbre a quaranta o la Spruzzolosi acuta, non devi averla tu! Dopodomani c’è il compleanno di Jamie e non ho intenzione di gestire una nidiata di bimbetti e di ospiti da sola, mentre tu te ne stai beato sotto le coperte!» disse, ripulendo Albus che aveva preso a sputacchiare ovunque la sua cena.
«Tatti guii a meee! Tatti guii a meee!» canticchiò soddisfatto il bimbo, accompagnandosi fuori tempo con la posata che minacciava di sfuggirgli di mano in direzione del fratellino.
«Tranquilla, Ginny. Sarò della partita» disse, sfilando l’arma impropria al festeggiato. «E poi, che festa sarebbe senza qualcuno dei nostri nipoti che mi scoccia alla nausea perché racconti della guerra?» scherzò, prendendo il piatto di zuppa che Kreacher gli porgeva.
Le labbra della donna si curvarono leggermente verso l’alto, mascherando una risata.
«Che bugiardo! Tu e Ron vi divertite come matti a fare tutte quelle scenette!»
«Beh, però non potrei mai permettere a tuo fratello di prendersi tutti i meriti…» obbiettò.
In quasi nove anni non c’era stata una sola occasione in cui quei racconti fossero stati omessi: anniversari di matrimonio, promozioni al lavoro, feste comandate, nascite. Soprattutto durante i compleanni dei più piccoli. Prima con Teddy, poi Victoire, Molly, Fred, Roxanne, Dominique, Lucy, Louis. Infine, James, Albus e Rose. A cui andavano ancora aggiunti i due nasciuturi: il loro terzo figlio ed il secondo di Ron, entrambi in arrivo nel tardo mese di maggio. Ogni volta qualche piccolo ospite attaccava con “zio mi racconti” e nel tempo di un Accio, la brigata era già riunita intorno per ascoltare attenta. Per rendere tutto più divertente e meno tetro, lui e Ron mettevano in piedi delle rievocazioni con travestimenti improvvisati, che terminavano quasi sempre con la cucciolata che saltava addosso al Voldemort di turno.
«Cos’è successo a James?» domandò più tardi, quando gli occhi dei figli erano spalancati sul mondo dei sogni.
La moglie scosse il capo, raccogliendo a colpi di bacchetta i balocchi sparsi ovunque.
«Giocava a rincorrere quel modellino di Firebolt che gli ha regalato Neville a Natale»
«Quel coso orrendo?» domandò perplesso.
Definire a quel modo un regalo di un caro amico era poco gentile, ma dopo che quell’affare gli si era piantato in un ginocchio, tra le costole e Merlino solo sapeva in quanti altri posti, c’erano poche altre parole per descriverlo. Senza contare che, a completarlo, c’era una figurina altrettanto orripilante. Un omino gracile vestito di rosso e oro, con capelli arruffati e grandi occhiali tenuti insieme con lo scotch. La sua immagine da ragazzo.
Allungò la mano, accarezzando i pochi capelli già ribelli di Albus. Aveva la strana sensazione che si sarebbero somigliati moltissimo quando sarebbe cresciuto. Spesso si domandava se anche suo padre aveva pensato quelle stesse cose guardandolo dormire nella loro casa di Gordic’s Hollow.
«E come ha fatto a farsi quel bernoccolo? Colpo di ramazza in testa?» ipotizzò.
«Al solito: è inciampato»
Suo figlio era particolarmente soggetto a quel tipo di incidenti: probabilmente nei suoi due anni era finito a faccia in giù almeno un milione di volte. Nonostante ciò, non mostrava alcun timore verso il mondo o l’autorità dei genitori. Se esisteva un modo per divertirsi, possibilmente facendosi male e disobbedendo alle regole imposte, James riusciva sempre a trovarlo. E la dimora sembrava dargli una mano, Materializzando ostacoli davanti ai piedini troppo frettolosi.
«Su cosa?»
«Su una piastrella, che si è sollevata appena ci ha messo sopra il piede»
«Ancora?»
«Ancora?!?» sbottò spazientita. «Harry… ho perso il conto delle volte in cui ho dovuto interrompere quel che stavo facendo per medicare qualcuno, me compresa! Questa casa sta andando a pezzi! Ogni giorno qualcosa si scheggia, si muove, si stacca, si rompe, si sposta! Potremmo dire che è viva… Abbiamo due bambini piccoli ed un terzo in arrivo. Non possiamo continuare così»
Harry la seguì in camera da letto. Si sentiva esausto dopo l’appostamento, ma ripeté a sé stesso di tener duro ancora per un po’. Sapeva dove sarebbero andati a finire con quel discorso, perché non era la prima volta che l’affrontavano. Grimmauld Place, col passare dei mesi, stava diventando una trappola per ogni suo abitante.
«Ginny, io l’avevo detto che avremmo potuto comprare una casa nuova mentre questa sarebbe diventata un perfetto museo della guerra come aveva suggerito la McGranitt, ma tu hai insistito tanto… dicevi che ti piaceva vivere a Londra e che non era il caso di spendere uno zellino per acquistare un’altra casa quando l’avevamo già»
Prima del matrimonio, aveva tentato per mesi di farla desistere dall’idea, senza alcun successo. Sfortunatamente, l’essere cresciuta in ristrettezze economiche giocava un ruolo fondamentale nelle idee della sposa. Idee che non venivano minimamente smosse dal favoloso contenuto della camera di sicurezza dei Potter alla Gringott. Inoltre, Ginevra adorava la capitale, ben più del minuscolo paesino di campagna in cui era cresciuta.
Dal canto suo, Harry provava un misto di amore e odio verso quel palazzo. La commistione di ricordi che associava a quegli ambienti era troppo eterogenea per propendere da un lato o dall’altro della bilancia.
«Mi piace ancora adesso. Sirius te l’ha lasciata perché cancellassi il ricordo dei Black da queste mura. Voleva venirci a vivere con te, creare una nuova famiglia. Una vera famiglia, quella che lui non aveva mai sentito di avere e che a te era mancata troppo presto. Me l’hai detto decine di volte. Harry, ero e sono più che convinta che questa e non un’altra, sia casa nostra! Anche se ci sta cadendo in testa» puntualizzò, schivando rapida un pezzetto di intonaco che precipitava dal soffitto. «Quell’estate, nei pochi giorni che sei rimasto qui con noi, passavo le notti fissando il muro e ti immaginavo dall’altra parte, mentre dormivi»
Le sfuggì un mezzo singhiozzo mentre passava la mano sulla parete. Lui mise una mano sulla sua e l’abbracciò, posandole un bacio tra i capelli.
«Non ho dormito molto in quel periodo. E purtroppo nemmeno ti pensavo, ero troppo concentrato su me stesso e su quello che mi girava intorno per accorgermi delle tue preoccupazioni. Dovevo avere la testa davvero piena» si scusò cullandola.
«Già. Avevi un sacco di altri pensieri. Anche non tuoi» sospirò la donna, sedendo sul letto con i pantaloni del pigiama in mano. «Ma adesso tutti i nostri pensieri devono andare alla famiglia che stiamo costruendo, la nostra famiglia! I nostri bambini!»
«Se avessimo comprato quella villetta nuova di zecca nello Shropshire, questi problemi non li avremmo avuti. Però Grimmauld Place esercitava su di te un’attrazione incontenibile!» insisté lui, tentando l’ennesima sortita.
«Va bene, va bene! È solo colpa mia se siamo a questo punto! Mia e della mia fissazione per Grimmauld Place! Contento?» rimbrottò offesa, infilandosi con un brivido sotto le coperte. «Questo non toglie che io adori questo posto»
Scrollando le spalle, Harry finì di cambiarsi e si distese accanto a lei. Mancavano giusto quei discorsi a dare una mano ai suoi ormoni impazziti per la gravidanza. Cercò di avvicinarsi cautamente a quella creatura rannicchiata sul fianco, che pareva decisa a starsene lontano dietro le spesse coltri. Quasi gli veniva da ridere: stava facendo un appostamento in casa propria, nella sua camera, nel suo letto, a sua moglie! Era assurdo. Riuscì ad avvicinarla incolume grazie al prezioso aiuto dei suoi istruttori, che durante gli anni di Accademia gli avevano inculcato l’arte della pazienza.
Profondersi in baci e coccole servì però a ben poco: nella penombra del talamo, il broncio risentito di Ginny splendeva come il sole. Non aveva intenzione di cedere. E purtroppo, il signor Potter sapeva cosa significava.
«E va bene, amore. Troveremo una soluzione per sistemare questa catapecchia…»
La gomitata che minacciò di rompergli una costola lo spinse a correggere “catapecchia” con “casa”.
Per sua fortuna, il gesto colpì nel segno. Il malumore si dissolse ed Harry si ritrovò con le braccia occupate dal corpo dalla consorte, ora raggomitolata contro di lui.
«Potrei chiedere a Annie» propose, sorprendendosi di non aver pensato prima a quella soluzione.
«Annie Corgan? La Battitrice di quando giocavi nelle Harpies?»
«No! Annie, la moglie di Kingsley! L’anno scorso hanno fatto sistemare la casa dove abitano ora da un Archimago molto famoso. Ti ricordi che sono andata a trovarli quando si sono trasferiti a Drury Lane? Accidenti, non mi ricordo più come si chiama quel tizio… È stato bravissimo, ha fatto un lavoro splendido! Non sai quant’era bella! Luminosa, accogliente, spaziosa, ordinata, elegante, si-cu-ra!» rimarcò.
«Non saprei, Ginny. Questa casa è molto vecchia, è piena zeppa di incantesimi che probabilmente non possono essere annullati, fatture pensate apposta per la sicurezza della “nobile stirpe dei Black”… senza contare quelli che sono stati aggiunti dai membri dell’Ordine. Ogni tanto quell’immagine di Silente nell’ingresso salta fuori ancora!»
«Già. James si diverte un mondo a fargli le boccacce!»
«Temo ci si impiegherebbe meno a buttarla giù e rifarla daccapo, che non a sistemarla così com’è» mormorò, suscitando uno sbuffo risentito della consorte.
«Su, Harry. Lasciami provare. Informarsi non costa nulla»
Tipica argomentazione da Weasley da non controbattere in alcun caso.
Arreso e sconfitto, Harry levò lo sguardo sul soffitto sospirando. Ginny alzò la testa, aspettandosi di vederlo rincorrere sfuggenti alternative, invece stava sorridendo.
«Ogni volta che mi chiedi di lasciarti provare a fare qualcosa mi lasci a bocca aperta. Letteralmente»
Aveva un elenco di prove a supporto della sua tesi tanto lungo da raggiungere Hogwarts.
«È un sì?»
Piegò la testa per guardarla meglio e le passò una mano fra i capelli, annuendo.
«Sì, signora Potter, è un sì. Stupiscimi ancora»

*Minestra Scozzese: zuppa di verdura con orzo, uova e panna fresca.
   
 
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