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Autore: y3llowsoul    01/06/2010    7 recensioni
Don e Charlie litigano, ma il loro argomento diventa piuttosto marginale quando un folle omicida entra nel CalSci. Corta storia, solo quattro capitoli.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caos 6

Grazie, grazie, grazie! A quelli che hanno letto la storia, a quelli che l'hanno recensita e a Alchimista per l'aver corretta!
Spero che quest'ultimo capitolo vi piacerà!

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«No» avrebbe voluto gridare Don, ma dalla sua bocca non uscì più che un bisbiglio fioco. «No, per favore. Charlie…»

Non riusciva più vedere suo fratello. Charlie si era improvvisamente abbassato assieme a Phelps. Prima di potersi rendere davvero conto di cosa stava facendo, Don era già corso nell’edificio e scattava su le scale, verso aula. Non si accorse nemmeno che il suo team lo stava seguendo.

Le scale e il corridoi sembravano non finire più, eppure era solo il secondo piano. Don non aveva che un solo pensiero nella mente ora sgombera da altro: Come sta?

Finalmente giunse nel corridoio in questione, lo percorse veloce e aprì violentemente tutte le porte alla sua destra.

Niente, niente, di nuovo niente… Eccolo! Una finestra aperta, studenti sconvolti. Alcuni di loro stavano ancora tenendo un uomo sdraiato per terra. E un po’ distante da lui, c’era una mitragliatrice nera, accanto al braccio del secondo uomo di cui Don, per gli studenti che lo circondavano, non poteva vedere più che proprio questo braccio.

Per un attimo non si mosse, troppo scioccato dell’orrore che probabilmente lo attendeva. Finalmente, però, le gambe parvero muoversi, come da sole, verso l’accozzaglia di persone. Le grida di Phelps gli giungevano come da lontano, ma non gli importava. Continuò a spianarsi la strada con difficoltà finché vide la figura di suo fratello sdraiato davanti a lui. Non era possibile che qualcuno cosi pallido fosse ancora vivente.

Era morto.

L’anima di Don sembrava volersi dividere in due. Una parte voleva andare via, fuori, voleva correre in modo che l’immagine davanti ai suoi occhi potesse infine diventare irreale, voleva correre nell’altro mondo, quello nel quale viveva suo fratello; l’altra parte, invece, si sentiva attratta da Charlie con una forza insormontabile. Quest’ultima ottenne il potere sul corpo.

«Charlie?»

La voce di Don tremava, come tremava la sua mano. Le sue dita bianche avevano paura di toccare Charlie, paura che la pelle di suo fratello potesse essere fredda e in tal modo trasformare il suo cuore in ghiaccio. Tuttavia non riuscì a fermarsi.

I suoi polpastrelli erano appena entrati in contatto con la guancia di Charlie che subito indietreggiarono spaventati. In realtà il contatto era stato così breve da non poter determinare se la pelle di Charlie fosse freddo o caldo, ma la domanda parve allo stesso modo ricevere risposta perché le palpebre di Charlie si erano aperte, almeno a metà. Non era morto. Almeno non lo era se tutto questo stava succedendo veramente.

Don non osò parlare: se questa parte dell’incubo – così terribilmente reale – era realmente solo un’immagine nella sua testa, un’allucinazione, non avrebbe voluto mai svegliarsi. E così fu Charlie a prendere la parola per primo, appena la nebbia attorno a lui si dilatò abbastanza da poter distinguere la figura davanti ai suoi occhi ardenti.

«Don…»

Allora non era un’allucinazione.

«Sono qui, fratellino» lo rassicurò con voce soffocata, e prese la mano di Charlie stringendola saldamente. Non lo avrebbe lasciato andare. Non lo avrebbe lasciato partire in un mondo in cui non poteva seguirlo.

Dovette avvicinarsi ancora di più a Charlie per sentire le successive parole.

«...mi…’spiace» lo sentì respirare. «Non volevo… litigare…»

«Shhh» lo calmò mentre doveva lottare contro le lacrime che volevano uscire fuori dalle code degli occhi.

Non sapeva più cosa dire. Sta’ calmo? Quel consiglio avrebbe dovuto applicarlo lui per primo. L’ambulanza sarà qui in un attimo? Ogni attimo poteva essere l’ultimo per Charlie. Non dire niente? Da un punto di vista medico sarebbe stata la cosa più giusta, ma quella poteva essere l’ultima opportunità per Charlie di parlare, l’ultima opportunità per lui di sentire parlare suo fratello…

«Io resto con te» forzò infine le parole ad uscire dalla sua gola. Sfiorò amorevolmente i capelli mantidi di sudore sulla fronte fredda ed umida di suo fratello e tentò di regolare la sua propria respirazione e di reprimere i gemiti.

Sotto le sue palpebre, Charlie gli lanciò uno sguardo pieno di gratitudine prima che queste chiudessero.

Con il dorso di una mano Don gli accarezzò la guancia pallida. Dove era andato tutto il sangue? Solo dopo averlo pensato si rese conto che in realtà conosceva la risposta, e fissò con lo sguardo le fattezze di suo fratello, segnate dalla pena, per resistere all’impulso di guardare il lago di sangue accanto a lui.

«Oh Charlie…» bisbigliò, soffocato, e strinse forte la mano di suo fratello. No, non lo avrebbe lasciato. Sarebbe rimasto con lui.

Materialmente parlando, Don mantenne quella promessa fino alla sala operatoria.

 

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Don era seduto immobile su una delle dure sedie di plastica nell’area d’aspetto. Il suo sguardo vuoto, fissava le piastrelle fredde, vedendo sempre le stesse immagini: Charlie, sdraiato come morto sul pavimento; Charlie, che litigava con lui; Charlie, che spiegava una formula matematica a lui e al team; Charlie, che semplicemente rideva; Charlie…

Don deglutì e sentì come di nuovo le sue lacrime tentassero di sopraffarlo. Questa volta non fece nulla per impedirlo. Non poteva più farlo. Non ne aveva più la forza. Era allo stremo.

Come era potuto succedere tutto questo? Perché non era riuscito a proteggere suo fratello?

È facile, perché tu sei un fratello cattivo disse una voce maliziosa nella sua mente. Hai litigato con lui. Ben fatto, complimenti! Le ultime parole scambiate con tuo fratello saranno un litigio perché tu hai voluto che lui lasciasse perdere tutto per te.

Il singhiozzo solitario e disperato di Don si espanse tra le mura del corridoio. Le ultime parole… No! Non sarebbero state le ultime! Charlie non doveva morire! Non poteva morire! Era ancora… talmente giovane, aveva ancora così tanti progetti, col suo lavoro, con Amita, non doveva morire! Era il suo fratellino…

Senza rendersene conto, Don aveva preso le mani l’una nell’altra, pregando in silenzio, mentre il suo singhiozzo si estingueva lentamente, senza essere sentito da nessuno.

Ti prego, Dio, non farlo morire, ti prego. Lui… io non potrei sopportarlo. Prima la mamma e poi lui… non lo potrei sopportare! Per favore, ti prego, non portarlo via da me. Sarò più gentile con lui in futuro, lo giuro, ma per favore, non portarlo via da me. Io ho bisogna di lui!

La parte di Don che era ancora troppo scioccata per fare qualcosa ascoltò le parole nella sua testa che venivano dal profondo del suo cuore. Era sorpresa, eppure nello stesso tempo sapeva che era la verità: Don aveva bisogna di Charlie. E non sapeva che cosa avrebbe fatto se fosse successo qualcosa a suo fratello, qualcosa di irreparabile.

«Donnie!»

Don riconobbe immediatamente la voce, nonostante questa non fosse che un flebile sussurro che andava scemando. Mentre si alzò e si voltò verso suo padre, cancellò frettolosamente le lacrime della sua faccia e dagli occhi arrossiti con la manica.

«Papà!» disse a bassa voce così che la sua fragilità potesse passare inosservata. Prima che Don potesse ordinare alle sue gambe di andare da suo padre, quello era già arrivato da lui, e gli Eppes si abbracciarono forte, l’unico appoggio che potessero darsi. Don sentì come il dorso di Alan sussultasse e lui stesso sentiva che stava per andare di nuovo in briciole, ma adesso doveva essere forte. Doveva aiutare suo padre.

Durante l’abbraccio Don aveva lasciato chiusi i suoi occhi, e solo quando li aprì di nuovo si accorse di Megan, Larry e Amita. Lasciò suo padre e i due si separarono.

«Grazie per averlo portato qui» disse Don con quanta più calma possibile.

«Di niente» rispose Megan a voce bassa.

Il suo sguardo volò alla porta della sala operatoria prima che fissasse Don.

«Si sa già qualcosa?»

Don scosse il capo e fece entrare febbrilmente un po’ d’aria sterile nel suo naso.

«Due ferite da arma da fuoco, una nella spalla, l’altra nell’addome. E… e ha perso molto sangue. Non mi hanno detto di più».

Però era stato sufficiente per lui. E in fondo era tutto ugualmente chiaro: il colpo nella spalla, Charlie doveva averlo ricevuto già all’inizio dell’Odissea; il secondo lo aveva colpito quando uno dei tiratori scelti aveva sparato alla spalla di Phelps. Era tutto logico; probabilmente sarebbe stato un rapporto di facile stesura. Eppure Don non riusciva ancora realizzare cosa fosse successo. Non finché il suo fratellino stava lottando contro la morte lì dentro.

Megan gli aveva posto una mano sulla spalla, ma non disse niente. Anche Larry, le mani tenute l’una accanto all’altra in modo da coprire la bocca e il naso, e Amita, gli occhi bagnati dalle lacrime, rimanevano silenziosi.

Non ce la farà pensò Don disperato. Sanno che non ce la farà.

Si voltò dall’altro lato. Non riusciva più a guardarli. Di nuovo la disperazione minacciò di tirarlo giù, ma questa volta Don sapeva che non doveva lasciarlo succedere.

Credo in te, Charlie pensò a fatica, Mi senti? Non ti mollo. So che ce la farai. Non lasciarmi…

E da qualche parte, nel profondo della sua anima, Don sapeva che Charlie lo sentiva.

 

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Era buio. Si guardò in torno. No, non c’era niente, tutto vuoto. E dall’altra parte? Niente. Forse dietro di lui? Possibile. Se solo sapesse dove era il “dietro“.

«Charlie!»

Charlie voltò la testa nella direzione della dolce voce che lo aveva chiamato. C’era una luce. Accecato, socchiuse gli occhi. Dio, questo sì che era abbagliante! Ma, malgrado tutto, bellissima. Come la voce.

«Charlie, vieni! Ti aspettiamo».

Charlie non dovette neanche rifletterci che andò verso la voce, come se stesse camminando su velluto.

Circa a metà strada Charlie sentì uno sguardo trafiggergli la schiena e si voltò.

«C’è qualcuno?»

Non poteva vedere niente, ma sapeva che c’era qualcuno che l’osservava. Che vigilava su lui.

«Don?»

La figura fece un passo avanti e adesso era rischiarata scarsamente da quella luce abbagliante e bianca. Un corpo forte e muscoloso, fattezze nitide, spigolose, ma belle, sottili rughe attorno agli occhi. Don, senza alcun dubbio.

«Vieni, Charlie?» Di nuovo questa voce argentina cristallina.

Charlie guardò a lungo suo fratello prima di voltarsi a mezza verso di lei.

«Subito, Mamma!».

Ma lei non lo lasciava stare. «Qui non c’è più dolore, Charlie».

«Ma mamma! Don è qui!»

«No, Charlie, non è qui. E dall’altra parte, con tutti gli altri».

Charlie era confuso. Poteva vedere Don, no? Poteva anche andare da lui… almeno così credeva. Chiese ai suoi piedi di farlo, ma stranamente non si mossero dal posto dov’era fermi.

«Perché Don non è con noi? Perché noi non siamo con gli altri?»

«Questo è il corso delle cose, Charlie».

«Ma non voglio lasciarli!»

Margaret tacque misteriosamente.

«Cosa devo fare, Mamma?»

«Devi saperlo tu, piccolo mio. Sei tu a dover prendere una decisione».

Di nuovo Charlie guardò suo fratello a lungo. Don semplicemente sorrise, niente di più. È felice di vedermi pensò Charlie ad un tratto. Ma perché? si chiese e si diede subito una risposta. È venuto a prendermi. Devo esser stato via. Ma Don vuole che io torni.

Charlie ricambiò il sorriso di suo fratello e andò verso di lui. La luce bianca si distribuì e schiarì il buio sul loro cammino mentre andavano in silenzio l’uno accanto all’altro.

 

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Con un ultimo sguardo ai suoi figli, Alan sparì oltre la porta, diretto a casa. Aveva veramente meritato una pausa da quello stress.

«Puoi andartene anche tu, se vuoi. Non c’è bisogno che tu rimani qui tutto il tempo, Don. Sicuramente hai da fare cose più importanti».

Don, sorridendo, scosse il capo. «No, detto francamente, non c’è una cosa più importante, Chuckie».

Charlie arrossì. Da qualche parte, dentro di lui, aveva sempre saputo in fondo che Don si preoccupava per lui. Ma il fatto che l’affetto di Don per lui fosse talmente profondo da farlo restare nella sua stanza ogni minuto in cui non doveva essere a lavoro, era stata una nuova, scaldante esperienza. Don era stato con lui anche quando, una settimana fa, si era svegliato per la prima volta dopo l’operazione. E nonostante fosse stato abbastanza frastornato in questo momento, Charlie ricordava ancora perfettamente gli occhi lucidi che brillavano tradendo le lacrime.

«Allora, com’è andata oggi?» si informò Don e Charlie sapeva che suo fratello si riferiva alla terapia di riabilitazione.

«Abbastanza bene, almeno così dice il dottore Clark. Ritiene che fra un mese dovrei essere capace di muovere il mio braccio come prima».

Per fortuna, il danno ai nervi della spalla non si era dimostrato molto grave. E con la terapia, che aveva cominciato quattro giorni dopo l’operazione, le sue prospettive di guarigione erano molto buone.

«Questo è un bene», sorrise Don.

«E…» Charlie esitò, respirò profondamente e poi continuò «E come sta Phelps?»

Ad un tratto, il sorriso di Don svanì rapidamente. «Speriamo che stia tanto male come si può stare in carcere preventivo» brontolò.

Charlie tacque. Non voleva litigare con Don.

«Cosa c’è?» tornò alla carica Don e nei suoi occhi si poteva vedere una fusione strana di preoccupazione e incomprensione.

«E’ solo…» Charlie ammutolì.

«Cosa?» insistette Don. «Dimmelo, Charlie! Non starai seriamente dicendo che ti spiace per quel pezzo di merda?!»

Charlie guardò le sue mani, che si stringevano in modo convulso l’una nell’altra sulla coperta bianca.

«Penso anch’io che sia stato un po’ estremo…» mormorò, ma non ci riuscì ad andare avanti.

«Un po’ estremo? Un po’ estremo?! Charlie, ti ha quasi ucciso!»

«Sì, è vero, ma…»

«Niente ma, Charlie! Per favore fammi il piacere e non tentare di difendere quel mostro! Non c’è niente – senti, niente – che potrebbe giustificare le sue azioni!»

«Ma non e questo il punto!»

Don si arrestò. Charlie aveva ragione. Non si trattava più dell’odio che poteva provare per l’essere che aveva quasi avuto suo fratello minore sulla coscienza; ora si trattava di Charlie. Don sentiva che qualcosa occupava i pensieri di suo fratello e – maledizione! – era suo dovere di essere lì per lui! Non solo perché l’aveva giurato.

«Allora di che cosa si tratta, Charlie?» chiese Don, calmo, sperando di apparire così come voleva essere per suo fratello.

Di nuovo Charlie respirò profondamente. «E solo… Phelps ha perso tutto, solo perché non ha superato l’esame nel mio corso. I suoi genitori non l’hanno più mantenuto, è andato in prigione e poi la sua ragazza l’ha lasciato. E tutto questo solo a causa… solo perché non ha superato il mio esame. Voglio dire… Don, quali sono le conseguenze quando faccio bocciare qualcuno?»

Don lo fissò. Non aveva ancora guardato il tutto da questo punto di vista. Fino ad adesso aveva sempre solo fatto attenzione a Charlie, non al mostro che l’aveva quasi distrutto. Don corresse l’immagine nel suo cervello: il mostro era stato distrutto anche lui stesso da qualcosa…

Ad un tratto scosse il capo. «Non puoi dire così, Charlie. Non puoi darti la colpa perché quel tipo non ce l’ha più fatta ad andare. Non lo hai di certo spinto tu a diventare un criminale. E penso che tu non l’abbia bocciato senza ragioni, no?»

«Certo che no!» rispose Charlie. «Le sue conoscenze erano semplicemente insufficienti. Ma…»

«Vedi» incalzò Don sfruttando l’esitazione del fratello. «Non hai potuto promuoverlo finché non aveva le conoscenze necessarie. Immagina se avesse avuto il suo diploma e fosse andato – non so – nell’edilizia e ci avesse aiutato colla costruzione di… di una scuola, per esempio: ma non avendo le conoscenze necessarie, l’intera struttura sarebbe crollata».

Charlie lo fissò. «Penso che tu veda troppi film» disse in modo secco.

Don trattenne un sorriso. «Ti sbagli, fratellino. E così anche nella vita. Credimi».

E Charlie gli credette. Non sapeva le ragioni, ma aveva una fiducia irremovibile in suo fratello maggiore. E questa fiducia si era dimostrata nel fatto che Don gli avendo bisbigliato cosa aveva dovuto fare. Aveva proibito che tutto succedesse senza ordine, così come ora aveva messo in ordine il caos delle emozioni di Charlie. Non c’era un dubbio, Don era il migliore fratello nel mondo. Ed il migliore eliminatore di caos di tutti i tempi.

 

FIN3

  
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