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Autore: Roberta87    28/07/2010    4 recensioni
Bella è una ragazza difficile , con problemi….è una cattiva ragazza. Si droga , ha cattive compagnie, beve, fa sesso con chiunque…..insomma è una ragazza sbandata e sola al mondo. Quando , all’improvviso , nella sua vita si insinuerà la presenza di un ragazzo sconosciuto. Lo stesso ragazzo che le salverà la vita , una notte , per non lasciarla più….un Edward anche lui completamente avulso dal suo ruolo in Twilight. Bella non capirà l’intromissione di Edward nella sua squallida vita e così , tra liti , incomprensioni e confessioni…inizierà il loro rapporto unico e complicato….che li porterà verso una sconvolgente e dolorosa rivelazione.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera ragazze! Vi ringraziamo davvero tantissimo per il vostro sostegno!!!! Purtroppo sono di frettissima e la connessione è altalenante! Quindi ne approfitto al volo per postarvi la seconda parte del capitolo!!! Al prossimo aggiornamento vi risponderò tutte!!! Promesso!!!! Un bacio enorme!!!! Spero vi piaccia anche la seconda parte.....e spero ci farete sapere cosa ne pensate!


copertina


CAPITOLO 7 – “Doni– parte seconda ‘Anime affini


Durante tutto il tempo che impiegai nel lavarmi e vestirmi il mio cervello non fece altro che combattere contro se stesso, un attimo prendeva sul serio in considerazione l’ipotesi di seguire il consiglio di Carlisle e l’attimo dopo si ricordava che erano tutte soltanto belle parole, irrealizzabili e diametralmente opposte alla realtà. Quando ebbi finito di infilarmi anche il pantalone di quell’orrendo completo da malati , imprecai al vento, non ne potevo più di quella tortura mentale che mi stavo auto infliggendo! Uscii dalla stanza con la ferma intenzione di non pensare più a nulla, o almeno di non pensare più a quel discorso.
Erano appena le 7 del mattino, l’orario delle visite era ben lontano, per questo motivo il reparto di Terapia Intensiva dov’ero ricoverata era praticamente deserto. Ogni tanto si sentiva giusto il rumore dei passi attutiti delle calzature per infermieri, qualche colpo di tosse appena accennato da una stanza, ed ovviamente, immancabile, il fastidiosissimo sottofondo di bip di tutti i macchinari del piano.
Nonostante odiassi quel perfido rumore insistente, che mi dava molto ai nervi, dovetti ammettere che lo preferivo decisamente al brusio di voci, singhiozzi, o risatine dei parenti vari che aveva invaso quegli stessi corridoi appena il giorno prima. In quel momento il sottofondo di bip non creava differenze, per tutti quei macchinari era irrilevante che il malato avesse o meno qualcuno al suo capezzale, loro facevano semplicemente il loro dovere. Egoisticamente era una cosa molto confortante per chi non avesse nessuno al mondo.
Proprio nel momento in cui formulavo quel pensiero, aggirandomi in un corridoio dalle pareti azzurrine, e buttando di tanto in tanto l’occhio sul numero delle stanze, uno di questi in particolare attirò la mia attenzione : 408 . La targhetta apparteneva ad una stanza esattamente al centro del corridoio alla mia destra. Mentre mi avvicinavo fui invasa da una sensazione di déjà vu. Giunta alla parete in vetro trovai le tendine a fasce ancora una volta aperte e ricordai. Era la stessa stanza che avevo visto il giorno prima, l’unica ad essere completamente vuota in tutto quel frastuono di parenti in visita in giro per il reparto.
Ancora con il corpo davanti alla parete in vetro poggiai le mani con cautela allo stipite dell’ingresso e sporsi soltanto la testa nella stanza, con un po’ di timore. Lo scenario era esattamente uguale al giorno prima : qualcuno nel lettino, stanza deserta, macchinari attivi, una poltrona ed un comodino vuoti, le finestre chiuse , e il tutto illuminato solo da una luce al neon.
Rimasi per più di 5 minuti ferma in quella posizione a fissare ciò che da lontano riuscivo solo a identificare come un uomo, steso immobile nel letto. Fu proprio quella sua immobilità prolungata ad insospettirmi. Una persona in genere fa dei piccoli movimenti anche quando dorme, lui invece era perfettamente immobile, non aveva spostato di un millimetro nemmeno un dito.
Non era affatto da me cercare un contatto con una persona di mia spontanea volontà, ma la sua solitudine in quel luogo così fuori dal mondo, identica alla mia, era un richiamo irresistibile. Mi schiarii la voce rumorosamente, con la speranza che si svegliasse, ma l’uomo non si mosse. Forse aveva il sonno pesante…finsi un paio di colpi di tosse davvero forti, tanto che vidi un’infermiere lanciarmi uno sguardo sospettoso mentre attraversava il corridoio, ma l’uomo ancora una volta restò immobile. Mi parve tutto così assurdo.
Eppure quel vuoto e quel silenzio non fecero altro che attirarmi ancora di più. Così decisi, feci appello a tutta la mia sfrontatezza ed entrai nella stanza. Con passi incerti e silenziosi mi diressi cautamente alla finestra più vicina, aprii il vetro e sollevai anche la tapparella blu, per permettere alla luce del giorno di entrare. Fuori il sole non era ancora altissimo, ma emanava già una luce abbastanza potente, che andò ad illuminare diretta il letto. Mi voltai con la speranza di averlo svegliato, ma ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta, e non solo perché ancora una volta lui non si era mosso. La persona nel letto non era un uomo, bensì un ragazzo.
 Anche da lontano, grazie alla luce, riuscii a vedere il tubo per la respirazione artificiale che gli era stato applicato alla trachea, e grazie a quello capii. Capii che una persona che non è in grado di respirare da sola, ovviamente, non è nemmeno cosciente. La prima reazione a quella constatazione fu come un lieve dispiacere, perché significava che non avrei potuto parlargli, ma allo stesso tempo mi sentii rincuorata….potevo avvicinarmi senza alcun timore. E lo feci.
Raggiunsi il ragazzo steso nel letto e nonostante avesse un aspetto trasandato, fu comunque una delle cose più belle che avessi visto in tutta la mia vita. Era bruno in tutto,sembrava che madre natura l’avesse dipinto con la tavolozza dei colori della terra, tutti scuri , tutti marroni, neri e bronzo…eppure il ragazzo non appariva cupo…anzi, grazie ad essi, appariva esattamente come la terra : caldo, intenso, e rassicurante.
I folti capelli gli arrivavano poco sotto le orecchie, tutti spettinati in morbide onde corvine, sembrava un mare di seta nera appena mosso. La fronte era coperta da quelle splendide onde, mentre il resto del viso era ben visibile, illuminato dalla forte luce del mattino.
 Sotto delle sopracciglia altrettanto nere spiccava il paio di occhi dal taglio più deciso che potessi immaginare, nonostante fossero chiusi la loro forma era ben chiara, era netta, il tipico taglio duro che , ne fui certa, quando teneva gli occhi aperti, dovevano catturarti in una spirale contrastante di fascino e timore, esattamente come lo sguardo di un grande predatore….come lo sguardo delle tigri, o dei lupi : magnetico per la sua bellezza e per il suo fascino, ma allo stesso tempo spiazzante per l’ancestrale timore che suscita la loro natura selvaggia ed indomabile. A quel pensiero fu inevitabile per me chiedermi di che colore fossero, e per un istante quasi sperai che li aprisse, per concedermi di essere risucchiata in quella stranissima spirale di reazioni contrastanti.
La pelle scura di quel ragazzo sembrava fosse di velluto, ed era di un colore così simile al bronzo che sembrava emanare calore anche solo alla vista. Era talmente perfetta che permetteva al viso di non avere alcun difetto.
Restai a lungo incantata dai suoi zigomi pronunciati, dal suo naso dalla linea morbida che non so per quale motivo mi ricordò molto ancora una volta quello di un lupo, ed infine, dulcis in fundo, dalla sua bocca.
La bocca di quel ragazzo incredibilmente bello era stupenda : le labbra erano carnose, piene, e lisce, ed avevano una forma che sembrava disegnata da un artista di talento. Ancora una volta, incontrollata, si fece largo nella mia testa per un istante un’altra speranza, quella che potesse sorridere, perché ebbi come l’impressione che da quella bocca tanto perfetta non potesse nascere che un sorriso altrettanto perfetto e disarmante.
Distolsi lo sguardo dal suo viso quasi a malincuore, e diedi una rapida occhiata al resto del corpo. Sembrava forte e muscoloso nonostante fosse in un letto d’ospedale, con soltanto un camicione addosso e coperto da un lenzuolo bianco fino ai fianchi. Mi concedetti di ammirare ancora un altro po’ quanto tutto quel bianco del letto facesse risaltare ancora di più la perfezione della sua pelle vellutata e bronzea, quasi indiana. Cercai a tastoni la poltrona dietro di me, e quando  la trovai mi ci sedetti sopra, senza mai staccare gli occhi dal ragazzo. Per un attimo fui quasi contenta del modo in cui lo ventilavano, quel tubo che gli passava dritto dal collo, mi aveva permesso di ammirare il suo splendido viso senza nessun ostacolo.
Restai lì seduta, ferma, a guardarlo affascinata per un tempo che non avrei mai quantificato. C’era qualcosa in lui che mi affascinava profondamente, e non era solo la sua bellezza. Era qualcosa di magnetico, di profondo e che, nonostante fosse impossibile, mi pareva anche sensato. Come se quell’attrazione quasi gravitazionale fosse giusta, perfetta, come se arrivasse a completarmi, e forse completare anche lui. Come se in quel momento, le nostre solitudini si fossero unite ed annullate a vicenda, rendendoci un’unica entità…finalmente completa, finalmente piena, finalmente accolta in se stessa.
In quella nostra unione di spiriti solitari, trovai per un momento una sensazione che credevo di non aver mai provato, eppure la riconobbi immediatamente ed istintivamente quando mi pervase : mi sentivo a casa. Mi sentivo serena, protetta e completa, come solo una casa può farti sentire.
L’unione che si era creata in quella manciata di minuti tra le nostre anime spezzate e lacerate, mi invase così forte e potente che non mi accorsi nemmeno delle lacrime che scesero a rigare il mio viso. Era incredibile come un ragazzo sconosciuto e in stato d’incoscienza fosse riuscito a donarmi ciò che avevo sempre cercato : un porto sicuro, un’ancora di salvezza, un completamento della mia solitudine. E fui certa che se lui fosse stato sveglio, si sarebbe sentito esattamente come me : compreso, completato e partecipe della nostra comune solitudine.
Mi asciugai le guance umide con il dorso della mano, e realizzai che qualsiasi cosa sarebbe successa nella mia vita una volta uscita da quell’ospedale, non avrei più potuto fare a meno di tornare in quella stanza, di tornare dall’unica persona al mondo che mi facesse sentire compresa.

«Ah , sei qui!» Sobbalzai , spaventata da quell’improvvisa voce nel silenzio.
Mi voltai e trovai Edward sull’uscio, sembrava agitato, e la sua voce era stata carica d’apprensione.
Quanto era bello….indossava un paio di jeans scoloriti, una t-shirt bianca e sopra di essa una camicia a quadri nelle tonalità dell’azzurro. Si sposava perfettamente con i suoi occhi, che in quei giorni avevo notato, riuscivano ad essere ogni giorno di una sfumatura verde o azzurra diversa. Quel mattino sembravano di un azzurro carico, uguale alla camicia.
I capelli parevano ancora più spettinati del solito, e quando vide che ero rimasta a fissarlo, ci passò una mano attraverso, imbarazzato, contribuendo ancora di più a quel caos di chioma. Era incantevole, ti lasciava davvero senza parole.
Era di una bellezza eterea. Una bellezza diversa da quella del ragazzo nel letto. Edward era di una bellezza irreale, ultraterrena, quasi miracolosa. Lo sconosciuto invece era bello al suo pari, ti lasciava ugualmente senza parole, ma aveva un fascino molto più terreno, più concreto, più materiale. Non avrei mai saputo spiegare a pieno quella differenza d’intensità soltanto con le parole, nonostante fosse così evidente. Quando Edward arrossì vistosamente sotto il mio sguardo pensai che forse era meglio smettere di fissarlo e dire qualcosa

«No…in realtà sono il fantasma di me stessa»
«Ah-ha , molto simpatica, davvero» mi fece una smorfia e si avvicinò ai piedi del letto.
«Dove volevi che fossi? Infondo non è tanto grande questo posto» in realtà non ne avevo la minima idea, avevo visto solo il mio reparto e quello di maternità. Infatti di tutta risposta, Edward sollevò un sopracciglio
«Ma se occupa un intero isolato!»
Distolsi lo sguardo e mi mordicchiai il labbro inferiore, come ogni volta che ero in difficoltà.
«Vorresti dirmi….che non l’hai girato? E cos’hai fatto in tutto questo tempo?» non capivo quelle domande
«Non capisco, Edward, perché avrei dovuto?»
«Perché??» spalancò la bocca incredulo prima di continuare « Ho incontrato Carlisle circa alle 9, che mi aveva detto di averti visitato un paio d’ore prima, così ho girato l’ospedale per 3 ore, prima di incrociarlo ancora. Gli ho chiesto se ti avesse vista, e mi ha risposto di no….se poi ci aggiungi che, da quel momento, ti ho cercata per 2 ore come un pazzo …. Beh, in 7 ore da sola o avresti potuto imparare a memoria ogni corridoio di questo ospedale, o …..» lasciò cadere la frase, quasi imbarazzato
« O .. ??» lo incitai a proseguire, ero curiosa di sentire l’alternativa.
«Oppure….avresti potuto essere scappata…» stavolta fu lui ad abbassare lo sguardo.
In effetti non aveva ipotizzato male, era una cosa che avrei fatto, e di sicuro ci avrei pensato, se non fossi entrata in quella stanza. Poi realizzai meglio quello che aveva appena detto
«Hai….hai detto 7 ore???» solo in quel momento mi resi conto, non poteva essere vero.
«Si, Bella…7 ore. E se non hai imparato a memoria ogni corridoio dell’ospedale, e non sei scappata, mi dici cos’hai fatto in tutto questo tempo?» ridacchiò di gusto.
A quanto pare la sua apprensione era svanita, e mi pareva anche piuttosto divertito dalla mia stravaganza. Dal canto mio ero letteralmente sconcertata. Mi sembrava di essere in quella stanza da non più di mezz’ora.
«S-sono…soltanto stata qui seduta» abbassai lo sguardo imbarazzata.
«Ah….capisco» sussurrò, ma in realtà era palese che gli sembrassi ancora più pazza.
Iniziai a torturare l’orlo della casacca con le mani, non sapevo cosa fare. Per la prima volta mi sentivo in imbarazzo, perché qualcuno mi aveva scoperta in un momento intimo, e davvero avrei voluto sprofondare in un buco nero. Sentii un rumore metallico e mi voltai verso Edward. Aveva sfilato l’enorme cartella clinica del ragazzo dal bordo del letto ed aveva iniziato a sfogliarla.
«Fermo! Cosa fai ?» gli chiesi spiazzata
«Recupero informazioni» mi rispose divertito, come se per lui fosse un gioco.
«Ma non puoi! Non c’è una specie di legge che vieta queste cose?!» io che parlavo di rispetto delle leggi ?? l’incontro con questo sconosciuto doveva avermi fatto saltare qualche altra rotella.
«E da quando ti interessi di legalità?» ridacchiava beffardo, mentre ancora sfogliava la cartella.
Gli lanciai un’occhiata bruciante, della quale si accorse anche se non mi stava guardando. Sollevò gli occhi su di me e sorrise, sospirando.
«Non preoccuparti, posso farlo. Di tanto in tanto faccio volontariato qui dentro e mi è concesso di avere libero accesso a queste informazioni.» mi regalò uno dei suoi sorrisi luminosi prima di tornare a sfogliare la cartella.
Lo lasciai fare, e tornai a guardare il ragazzo nel letto. Istintivamente mi sporsi un po’ dalla poltrona, allungai incerta una mano e scostai le morbide onde nere dei suoi capelli dalla fronte. Era una sensazione strana, in genere evitavo il contatto fisico con le persone, mi infastidiva. Invece quel gesto mi era appena parso così naturale, come se fosse normale volermi prendere cura di lui.
Aggrottai le sopracciglia sorpresa di quanto fossi diversa con quel ragazzo, non mi riconoscevo. Mentre ritiravo la mano e indietreggiavo per tornare con la schiena alla poltrona Edward parlò

«Si chiama Black….Jacob, Ephraim Black»
Una forza più di grande di me guidò la mia mano sulla sua, grande e scura, poggiata sul lenzuolo, la sfiorai delicatamente con la punta delle dita, e un sussurro mi nacque spontaneo e debolissimo dalle labbra
«Jacob….» ripetei.
Era perfetto, gli stava a pennello. Per non parlare del cognome poi….Black, scuro e caldo come lui.
Finalmente l’unica persona che poteva capirmi al mondo aveva un nome : Jacob. Adesso riuscivo davvero a sentirlo vivo, e non più come un’entità strana ed irreale. Da quel momento, Jacob Black sarebbe stato il mio unico e vero amico, la parte di me che avevo sempre sentito mancante. Mi ricordai di non essere più sola, e mi voltai verso Edward.
Mi stava guardando con occhi strani, intensi e dolcissimi, come se inspiegabilmente fosse riuscito a cogliere l’insensato legame che si era creato tra me e Jacob. E mi pareva quasi che ne fosse felice. Poi continuò a leggere per me

«Ha 17 anni, ne compirà 18 a Novembre. E’ qui da quasi un anno.»
«Un anno?» ripetei «cosa gli è successo?»
Sulla fronte di Edward comparve una ruga di preoccupazione, sembrava addolorato per ciò che stava per dire
«Tentato suicidio. Si è lanciato dal tetto di un palazzo di 10 piani»
E così, avevamo un’altra cosa in comune…aver tentato di toglierci la vita. Anzi, due a dire il vero: l’averci tentato, e il non esserci riusciti. Quell’informazione fece crescere ancora di più dentro me la convinzione che eravamo parte dello stesso intero, che solo lui poteva caprimi, quasi come se fosse un mio gemello siamese, incollato a me dalle stesse sventure.
«Si trova in stato di coma, per la precisione l’hanno classificato come SV : Stato Vegetativo.» vide la mia espressione confusa e continuò « Significa che non ci sono possibilità che si risvegli, in quanto non risponde a nessun tipo di stimolo. Da quanto leggo ogni tanto il suo corpo riprende a respirare da solo, ma attualmente è sottoposto a ventilazione artificiale tramite tracheostomia.» mi indicò il tubo che collegava la gola di Jacob ad un macchinario strano « Significa che lo fanno respirare grazie a quel tubo che gli entra nella trachea attraverso un foro sulla gola, anziché dalla bocca.».
Annuii alla sua spiegazione. Quindi non c’era possibilità che si risvegliasse. Ancora una volta il destino si era beffato di me, mi aveva concesso di trovare un’anima affine, ma allo stesso tempo non mi permetteva di comunicare con lui. Edward sembrò cogliere ancora una volta le mie perplessità
«Sai…alcuni sostengono che anche in questo stato loro riescano a sentirci.» ripose la cartellina al suo posto, aggirò il letto e si accomodò sul bracciolo sinistro della poltrona. Posò una mano sulla spalla di Jacob prima di continuare « I cari delle persone nello stesso stato di Jacob continuano per anni a parlargli, a toccarli, a cantare per loro perfino.» Un lieve sorriso si fece strada sulle mie labbra, un po’ rincuorata alla prospettiva che potesse sentirmi.
«E tu cosa ne pensi?»
«Ne sono convinto anch’io.» mi disse piano, con il suo sorriso sghembo, e gli occhi incatenati ai miei.
Mi resi conto solo in quel momento di quanto fossimo vicini, il suo braccio destro sfiorava il mio sinistro, e anche quel contatto, seppur lievissimo, non mi infastidiva. Ora che era così vicino avvertivo più forte il profumo di zucchero filato che avevo sentito il primo giorno in ospedale, al mio risveglio. Poteva mai appartenere a lui, quel profumo tanto dolce?.
Il mare azzurro/verde dei suoi occhi mi rapiva come nient’altro al mondo era mai riuscito a fare. Adoravo annegare in quelle acque intense, era l’unica cosa che aveva allietato gli ultimi tre giorni. Il sorriso sghembo pian piano scomparve dal suo viso, che si mosse impercettibilmente verso il mio. Quell’accenno di movimento fu come una scossa per me. Mi allontanai istintivamente, rapida, verso il bracciolo opposto della poltrona e rivolsi lo sguardo altrove, mentre Edward sorrideva sornione e si raddrizzava sulla schiena. Dovevo dire qualcosa per uscire da quel momento

«Perché non c’è mai nessuno con lui ? Hai detto che è qui da quasi un anno, eppure questa stanza sembrerebbe vuota o abbandonata se non fosse per il suo corpo nel letto.»
«Si beh, questo in effetti è strano. Nei documenti c’è l’autorizzazione firmata a tenerlo in vita, ma la firma è indecifrabile.» si alzò in piedi ed andò a spalancare anche l’altra finestra che era rimasta chiusa. «Credo….si, credo che sarebbe bello se qualcuno tornasse a fargli compagnia…» tentò di fare il vago, ma avevo capito benissimo dove volesse arrivare.
Alzai gli occhi al cielo e sorrisi.
«Con me non attacca, sai ?»
«Cosa?» fece un espressione che avrebbe voluto far passare per ingenua, ma non gli riuscì per niente bene.
«Credi sul serio di potermi raggirare?» risi divertita « allora sei davvero ingenuo come pensavo!»
Rise anche lui imbarazzato, passandosi una mano tra il bronzo spettinato dei suoi capelli. Era incredibile come fosse facile leggerlo. In tre giorni avevo capito molte cose su di lui….forse perché era davvero una persona buona e limpida.
«Vuoi restare ancora?» mi chiese.
Diedi ancora uno sguardo a Jacob, e pensai che, nonostante non me ne fossi resa conto, 7 ore potevano bastare come prima “visita”. Infondo avevo già deciso, il mio istinto aveva deciso per me, Jacob non sarebbe stato mai più solo. Gli sfiorai ancora una volta la mano con le dita e feci per alzarmi
«No, credo che per oggi possa bastare»
In un attimo Edward mi fu vicino, e mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi dalla poltrona. Sorrisi divertita e gliela schiaffeggiai con la mia dal basso verso l’alto , allontanandola da me.
«Pussa via, damerino! Domani questi schizzoidi si sono decisi a dimettermi, non voglio che cambino idea!» dissi ridendo.
Era da tanto che non scherzavo con qualcuno, e la cosa fu molto molto strana. In un attimo infatti, ritornai seria come sempre, mentre vidi passare anche sul volto di Edward un’ombra di apprensione nell’apprendere che il giorno dopo sarei uscita da lì.
«Avrai fame, sono le 14. Ti va di mangiare qualcosa?» mi disse mentre ci dirigevamo alla porta della stanza.
«Hmmm….forse si, ma prima c’è un altro posto dove voglio andare» infilai le mani nelle grandi tasche della casacca e decisi che infondo, potevo anche azzardarmi a condividere con Edward quell’angolo di felicità gratuita da poco scoperto.
«Interessante. Di cosa si tratta? Hai scoperto qualche stanza delle torture qui intorno?» chiese divertito mentre mi teneva aperta la porta per farmi uscire.
«Credo che non te l’aspetteresti mai. Non da me, almeno.» attraversai la soglia, e così anche lui dietro di me, richiudendosi la porta alle spalle.
«Stupiscimi!» mi disse in un enorme e raggiante sorriso, piazzandosi davanti a me a braccia spalancate.
Risi di gusto e mi incamminai verso il reparto maternità, ero proprio curiosa di vedere come avrebbe reagito quando saremmo giunti alla mia vera meta : il nido.

   
 
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