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Autore: Hi Ban    14/11/2010    2 recensioni
“Mi hai sul serio posto questa domanda?” Chiese Lyn, tralasciando la parte della strega, della stronza e della strega stronza.
“Tu mi conosci dalla bellezza di…” Iniziò, facendo finta di contare sulle dita “ tredici anni, anche se gli anni dell’asilo non li conto, visto che li abbiamo passati tirandoci i capelli e basta. Cosa ti fa anche solo lontanamente domandare se possa succedere una cosa del genere?”
“Anche adesso ci tiriamo i capelli, Lyn, solo che ora tu hai imparato dove si trova la parte più importante per un uomo e miri sempre a quella!” Le fece presente Nate, facendo sorridere colpevole l’amica.

To Cla! Auguroni!*O*
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2




Voleva bene a Nate, tanto, avrebbe fatto qualsiasi cosa per il suo amico, ma mai come in quel momento avrebbe voluto buttarlo personalmente giù da una finestra, un balcone, un ponte, l’importante che fosse alto. Molto alto.
Conosceva fin troppo bene i suoi punti deboli, farla cedere se si conoscevano i tasti da toccare era facile come far cadere una tessera del domino.
Quel doppiogiochista ignobile e senza scrupoli era riuscito a convincerla a farla andare, quella sera, con lui in quel parco, in visita al nulla. Che ci fosse riuscito o no, non era quello il punto che aveva fatto indispettire maggiormente Lyn. Era il ‘come’.
L’influenza psicologica che aveva suo fratello Dominic su di lei era inimitabile da parte di chiunque altro membro della famiglia e non. Una sua decisione, ferma e convinta, poteva essere capovolta da poche parole di Dominic. L’influenza che lui aveva su di lei non era assolutamente voluta, il primogenito dei Price non lo faceva di proposito, anche se alcune volte approfittava di quel suo ‘potere’ che aveva su di lei, ma senza danneggiarla in alcun modo.
Nate, a conoscenza di ciò, non si era lasciato scappare la possibilità di usarla a suo favore: mentre lei dormiva beatamente, aveva chiamato Dominic, facendogli presente che sua sorella ultimamente sembrava un tantino smorta, per metterla in termini spicci, non si divertiva adeguatamente, aveva bisogno di svagarsi; conoscendola, però, lei non avrebbe provveduto a questo suo bisogno, non considerandolo quasi tale.
Dominic, volendole bene, quando era rincasata aveva provveduto a spronarla ad uscire, magari con Nate, che quella sera gli aveva accennato ad un’ipotetica spedizione al parchetto. La fiacca e scialba protesta di Lyn, che non aveva minimamente voglia di andare, era composta da alcune argomentazioni degne di nota, come la pericolosità di quella sottospecie di passeggiata.
Peccato per lei che Dominic agisse in base alla stessa mentalità razionale e allo stesso istinto logico che caratterizzavano anche lei. Le aveva risposto che lui stesso in passato aveva fatto qualcosa del genere in quel parco e che ne erano usciti tutti sani e salvi.
Non aveva avuto modo di ribattere e alla fine era stata convinta da Dominic, che, dalla sua ottica e in base a ciò che sapeva, aveva agito per una buona causa.
Ed ora era lì, alle dieci di sera, con un broncio che arrivava fin sotto la suola dei suoi stivali, che camminava al fianco di un Nate particolarmente solare.
In fondo uscire non le costava nulla, essere arrabbiata con Nate per ciò che aveva fatto era inutile, solo uno spreco di energie, ma lo era lo stesso.
Erano ancora dentro il paese e per arrivare a quel parco ci volevano almeno venti minuti di cammino; effettivamente era un tantino fuori mano per essere un luogo di ritrovo, ma tant’era.
Sulla loro strada incontrarono un gruppetto di ragazzini urlanti che avevano, sì e no, dodici anni; come gli altri tre o quattro che avevano incrociato da quando si erano avviati, stavano andando alla ricerca di una casa a cui fare visita, per la gioia di chi vi abitava.
Effettivamente, se c’era una cosa che a Lyn piaceva di Halloween – oltre alle zucche intagliate –, era il suono del campanello che annunciava l’arrivo di un branco di mocciosetti urlanti: provava una sorta di malvagia felicità nell’andare ad aprire la porta sorridente, per poi, senza neanche aspettare che dicessero ‘dolcetto o scherzetto’, mandarli rozzamente a farsi un bagno a Lourdes e sbattergli la porta in faccia.
“Festeggiano come idioti e non tengono neanche conto della tradizione.”
“Perché? Ad Halloween non devi solo vestirti e andarti a procacciare caramelle?” Si informò pacatamente Nate, convinto che lo spirito di quella festa fosse quello.
“No, bisognerebbe bussare a tredici porte, per scaramanzia.”
“Ma è una leggenda, non è obbligatorio.”
“Le cose o si fanno bene o non si fanno proprio.” Ringhiò Lyn in risposta, facendo intuire a Nate che forse la rabbia non sarebbe scemata in breve e che forse avrebbe dovuto fare qualcosa per rimediare.
“Oh, accidenti, non ho neanche portato la macchinetta fotografica!” Disse poi ancora in tono fortemente sarcastico, battendosi anche una mano sulla fronte.
“E a che ti servirebbe?” Chiese confuso.
“Ad immortalare il momento più importante di questa stupenda, mirabolante e utilissima scampagnata notturna!” Disse beffarda, spostando un ramo in modo che non la colpisse in testa; lo rilasciò subito dopo, facendolo finire dritto in faccia a Nate, che protestò sonoramente.
“E dai Lyn, non ti sto portando al patibolo, solo a fare una passeggiata!”
“Sei un –”
“Stronzo?” La anticipò sorridendo.
“Bene, ora oltre ad incastrami in queste incursioni inutili non m permetti neanche di insultarti?” Chiese riottosa.
Lyn sbuffò sonoramente quando si rese conto che quella era una lite a senso unico, in cui lei era l’unica arrabbiata, visto che Nate se la stava ridendo a sue spese.
“Dai, era da tanto che non uscivamo insieme!” Disse, circondandole le spalle e attirandola a sé, rischiando quasi di farla cadere per terra, se non fosse stato che la teneva lui.
“Siamo usciti ieri pomeriggio.” Gli ricordò freddamente.
“Vero, ma non c’era questa atmosfera romantica!” Disse, facendo cenno al paesaggio con la mano.
“Oh, sì, è molto romantico un sentiero buio e sperduto di notte, dove non vedi neanche dove metti i piedi.” Assentì Lyn sarcastica.
La descrizione del sentiero che portava a quel parchetto, anche se piuttosto sintetica ed ermetica, era quella: erano usciti dal paesino da poco, voltandosi indietro si potevano ancora vedere le luci delle case. Se c’era una cosa positiva in quel tetro silenziose che caratterizzava il sentiero era che non si sentiva lo schiamazzare dei ragazzini che esagitati.
Dal momento che più nessuno vi andava, non si ci era più adoperati per mantenere pulito quel sentiero, tanto che era quasi divenuto inagibile. Non vi erano illuminazioni di sorta ed era stata una fortuna per loro che quella notte non fosse nuvoloso e ci fosse la luna ad illuminare la strada. Il rumore dei loro passi sulle foglie secche, per quanto potesse essere bello e rilassante all’inizio, diveniva lugubre passo dopo passo.
“Sì, effettivamente avrei dovuto portati alla posta o alla macelleria.” Disse lui pensieroso.
“Spero almeno tu abbia portato la farina della nonnina, o l’avrai tenuta in ostaggio per nulla!” Lo rimbeccò acida.
“Su, per quanto ancora vorrai essere arrabbiata con me? Ti ho già chiesto scusa, poi lo sai che non l’ho fatto con cattive intenzioni!” Tentò di giustificarsi Nate, anche se, a parere di Lyn, poteva giustificarsi in cento modi diversi e non sarebbe cambiato nulla di una virgola.
“Resta il fatto che io questa sera volevo restarmene a casa mia, magari a guardare un film con te o ascoltarmi l’mp3 sotto le coperte o–”
“O giocare a domino, hai reso l’idea.” Nate si era fermato e le si era parato davanti, prendendola per le spalle. Continuò poi dicendo: ”Ma dato che ora sei qui con me – e lo so che l’idea ti rende felice – perché non pensiamo a divertirci e ci mettiamo una pietra sopra?” Quando se ne usciva con quel tono calmo, dolce e tentatore, quello sguardo disarmante, per quanto qualcuno potesse avercela a morte con lui, era impossibile continuare ad ostentare rabbia o indifferenza.
“Uffa, Nate, sei insopportabile.” Sbuffò frustrata Lyn, cosciente che la sua rabbia non corrisposta poteva anche andare a farsi un giro a Disneyland.
“Era un ‘ok, Nate, ora siamo amici come prima e, anzi, ti voglio ancora più bene, tanto che ti giurerò per sempre fedeltà’?” Disse sorridendo.
“Sì, ora non esagerare o potrei decidere che la chiesa ha bisogno di un supporto nel coro delle voci bianche.”
“Amici come prima, decisamente!” Disse, riprendendo a camminare.
Camminarono per un’altra decina di minuti, in cui il loro unico compagno era un gufo che di tanto in tanto palesava la sua presenza.
Già, l’aggettivo per descriverlo perfettamente era proprio lugubre.
“Sai che si dice anche su questo parco?” Le chiese Nate d’un tratto.
“L’ennesima storpiatura a questa leggenda che è già di per sé campata in aria? Ne ho sentite tante, quale di preciso?”
Effettivamente a quella storiella erano stati aggiunti, nel corso del tempo, tanti di quei particolari che era divenuto difficile tenerli tutti a mente, benché la maggior parte di essi fossero decisamente assurdi e insensati.
“Si dice che gli spiriti che avevano attaccato quella notte quei ragazzi prendano possesso del corpo di chi si inoltra sul loro territorio, ed è uno dei motivi per cui nessuno ci mette più piede.”
“A me sembra soltanto una stupidaggine che si racconta ai bambini per non farli venire qui, qualcosa di simile all’uomo nero, solo che qui sfruttano ciò che dicono sia successo.”
Nate rise piano alla sua breve filippica, che in fin dei conti era più vera di qualsiasi altra spiegazione che avrebbe potuto dare qualcun altro.
“Secondo te è vera?” Chiese con una punta di astio nella voce; si conoscevano da tantissimo tempo, risposte come quella doveva saperle anche da solo.
“Razionale come sempre, vero?” Le chiese sorridendo.
“Ovviamente!”
La risata che si perse nell’aria era l’unico rumore che si poteva sentire; non vi era neanche un alito di vento, era tutto statico e immobile.
“Perciò non ci credi.”
Inoltre era molto che camminavano e, se non avevano sbagliato strada, avrebbero dovuto arrivare ad un grande spiazzale entro non molto.
“Dal momento che non rientrava nemmeno nei miei piani una scarpinata serale, inizio a sperare che ci sia davvero qualcosa in quel benedetto parchetto.” Disse in tono monocorde Lyn, palesando il fatto che non aveva affatto voglia di trovarsi lì. Almeno quella lunga e sofferta passeggiata non voluta non sarebbe stata per nulla.
“Su, tanto ormai siamo arrivati! Mettila così, è stato un buon esercizio per mantenere la linea.”
“Ti sono mai sembrata una di quelle galline a cui interessa la linea? Davvero? Quale comportamento te lo ha fatto sembrare? No, così lo debello subito dalle mie abitudini, onde evitare altri tuoi interventi idioti.” Proferì lentamente e con garbo, mandando tutto il suo pathos a farsi benedire nel momento in cui rischiò di volare per terra, inciampando accidentalmente in una radice.
Per fortuna che Nate aveva i riflessi pronti, o non sarebbe tornata a casa completamente indenne. Anche lo Shaw stesso ringraziò il cielo che non fosse caduta, o, ne era certo come non mai, lei glielo avrebbe rinfacciato fino alla fine dei suoi giorni.
“Ah, ragazza, sei uno spasso!” Disse sinceramente il ragazzo, lasciandole il braccio da cui l’aveva presa.
“Ed è forse per questo che mi porti a spasso?” Chiese in tono scettico Lyn.
“Non faceva ridere, lo sai, vero?”
“Non era mia intenzione.”
“Ovviamente.”
“Cerchi rogne Shaw?” Gli chiese in maniera scherzosa Lyn, assestandogli una gomitata forse non troppo gentile tra le costole, che lo fece piegare di lato.
“Io no, ma forse tu sei in cerca della mia morte!” La rimbeccò lui.
“Sei virile come una carota, non sai sopportare neanche una gomitata!”
“Ehi, le carote sono il segno della virilità, un po’ di rispetto!” Disse in tone falsamente indignato, guardandola stralunato.
Benché le carote fossero un ottimo oggetto di discussione, oltre che un ottimo ortaggio da mettere nella minestra, la discussione cessò nel momento in cui entrambi si resero conto che, effettivamente, erano arrivati al parco.
“Siamo arrivati.” Disse Nate, suscitando un mezzo sorriso in Lyn.
“Che intuito Nerlock Sholmes!” Disse poi sarcastica, ricevendo un mezzo inchino in risposta.
“Mille grazie, Lytson!”
Il parco era, a grandi linee, esattamente come lo ricordavano, nonostante i loro ricordi risalissero a molti anni prima. Quando erano piccoli ci avevano passato molto tempo, a giocare tutto il giorno fino a che non era ora di tornare a casa e si poteva dire che la maggior parte dei ricordi infantili di Nate e Lyn fossero proprio ambientati in quel parco.
Non che fosse una cosa strana, dal momento che era l’unico posto in cui i bambini potevano riunirsi. Quando era nel massimo del suo splendore, quel parco poteva vantare solo poche giostre, tra cui uno scivolo, un’altalena a due posti e uno di quelle giostre che giravano – quelle che per Lyn e Nate, sin da quando erano piccoli, erano note come ‘girolini’.
Quel posto, però, non esercitava attrazione verso un bambino per le giostre, bensì per l’ampio spazio che era, appunto, ciò che lo caratterizzava.
Un immensa distesa verde, in cui correre senza limitazione; è il sogno di ogni bambino che si rispetti avere un luogo dove muoversi liberamente.
Dal momento che nessuno vi aveva più messo piede, non era stato più preso in considerazione, il tutto era stato lasciato in balia del tempo. La luce della luna permetteva di vedere uno scenario che era ben diverso da ciò che ricordavano i due ragazzi. Nulla era più come prima, le giostre erano arrugginite, l’edera le aveva trasformate in un supporto su cui basare la sua scalata verso l’alto. Ormai ne erano ricoperte e si vedevano a stento. L’erba alta impediva quasi di camminare, arrivava ormai fino al ginocchio; un campo incolto che non rendeva per niente giustizia al bel parco che era stato un tempo.
A delimitare il terreno che formava il parco da quelli altrui, vi erano due profondi affossamenti, in cui spesso vi scorreva l’acqua.
Ora, però, era impossibile anche riconoscerli, tanta era l’erba che vi era cresciuta all’interno e ai lati.
“È cambiato tantissimo dall’ultima volta…” Disse in tono vago Nate, facendo qualche passo avanti.
“Beh, sono passati dieci anni.”
“Lo so, ma fa un certo effetto vederlo così.”
“Già.”
Senza dire nulla, superarono il piccolo cancelletto di legno e si avviarono in quella immensa distesa erbosa, che ad ogni passo sembrava volerti intrappolare. In un certo senso ti faceva quasi sentire prigioniero. Continuarono a restare in silenzio, camminando per quel parco che all’improvviso non aveva più nulla a che fare con il passato, con il luogo di ritrovo che era stato, lo scenario di ricordi infantili.
Lyn si voltò verso Nate, alla ricerca di segni dell’inquietudine che aveva assalito anche lei, ma l’amico sembrava semplicemente assente.
“Senti, Nate, non c’è niente, perché non ce ne andiamo?” Chiese tutto d’un fiato.
Non le andava di stare lì voleva tornarsene a casa; mai come in vita sua si era sentita in quel modo, insicura e spaesata.
Nate non rispose, facendo preoccupare Lyn, che si fermò, tirandolo per la manica e fermandolo a sua volta. Non era voltato verso di lei, ma aveva lo sguardo perso verso un punto impreciso del bosco che si estendeva oltre i confini del parco.
Lyn ingoiò a vuoto, in attesa che lui dicesse qualcosa, ma così non fu.
“Nate, non fare lo stronzo.” Disse fredda. “Se è uno dei tuoi scherzi stupidi per farmi ammettere che ho paura vedi di darci subito un taglio, non è divertente.” Continuò ancora, ma lui non diede segno di averla sentita.
Basta, era ora di darci un taglio. Diede un potente strattone alla manica del giubbotto che ancora teneva stretta in mano, costringendolo a voltarsi verso di lei.
“Nate, dannazione, rispondimi e non fare l’i–”
La voce le morì letteralmente in gola, lasciando la frase a metà; spalancò gli occhi sconvolta e lasciò cadere il braccio di Nate, arretrando di un passo.
Lo Shaw si era voltato verso di lei, ma gli occhi che Lyn si trovò davanti non erano decisamente quelli di Nate. Erano spenti, vuoti… morti.
Il suo incarnato era pallido, illuminato solo dai tenui raggi della luna e la cosa lo rendeva ancora più inquietante.
Ok, se quello era uno scherzo era troppo anche per lei…
“Non hai paura, Lynda?” La voce atona – come mai l’aveva sentita usare a Nate – le porse quella domanda, che la colse decisamente contropiede.
“Senti, Nate, non è divertente…”
“Hai paura oppure no, Lynda?” Insisté, privo di una qualsivoglia intonazione nella voce.
Nate non la chiamava mai con il suo nome completo, tanto che lei spesso era arrivata a chiedersi se lo conoscesse. Perché ora lo faceva?
Aveva come l’impressione che, dal un momento all’altro, sarebbe potuto succedere qualcosa, ma neanche lei sapeva cosa.
“Basta, non sei divertente, smettila!” Gridò, chiudendo gli occhi spaventata, sperando con tutta se stessa che d’un tratto la risata allegra e divertita di Nate avrebbe riempito l’aria, improvvisamente tesa e carica d’ansia.
In cuor suo, però, sapeva che quello non era uno scherzo, quello non era Nate e che c’era decisamente qualcosa che non andava.
Poi le venne in mente quel che Nate le aveva detto prima e che non aveva minimamente preso in considerazione.
Possibile che fosse vera la leggenda che le aveva raccontato l’amico mentre venivano? Uno spirito si era davvero impossessato di lui?
Non era possibile, era solo una leggenda, nulla di più; in che altro modo, però, poteva dare una spiegazione a ciò che stava accadendo?
“T-tu non sei Nate!” Pigolò piano, non aspettandosi realmente una risposta, perché era ovvio che non era lui. Era quasi un lamento, quello di Lyn, un’ammissione che le era costata cara, perché nella sua logica non poteva accadere qualcosa del genere, non poteva essere reale.
Continuò a tenere gli occhi chiusi, le mani strette a pugno, in attesa; ad un tratto sentì qualcosa di freddo e ruvido toccarle la guancia e descrivere in una scia leggera tutto l’arco della mandibola.
Spalancò gli occhi di colpo, allontanandosi di scatto e trattenendo a stento un grido: la mano di Nate che l’aveva accarezzata era tutta rugosa e avvizzita, così come anche il resto del corpo del ragazzo. La pelle era cadente, gli occhi infossati e il corpo scheletrico; non sapeva come facesse ad esserne sicura, ma quello per Lyn era un ritratto della morte. Più i secondi passavano, più quella visione la faceva stare male, era opprimente, spaventosa, tanto che non poté trattenersi dall’urlare sconvolta.
Si portò le mani a coprire il volto, quasi potessero creare una barriera con ciò che aveva davanti; sarebbe voluta scappare, ma le sue gambe si rifiutavano di fare un solo passo, come fossero immobilizzate da una forza superiore: la paura.
Voleva solo che tutto cessasse, che riaprendo gli occhi si sarebbe trovata davanti Nate, sorridente e umano. Quando si azzardò a togliere le mani dalla faccia, davanti a lei non trovò nulla, né quel mostro che l’aveva spaventata fino a poco prima né tantomeno Nate.
“N-Nate..” Chiamò a bassa voce, non ricevendo alcuna risposta.
Si guardò intorno, alla sua ricerca, ma non lo trovò e l’ansia la assalì.
Doveva uscire di lì, assolutamente.
Si voltò di scatto, con l’intenzione di uscire dal parco, ma si ritrovò davanti Nate, che le bloccò il passaggio. Nuovamente, però, quello non era Nate.
“Ora hai paura?” Il tono non era più incolore come prima, era ansioso, mortalmente minaccioso e inquisitorio.
Lyn non rispose arretrando di qualche passo – sempre più lontano dalla sua unica via di fuga.
“I-io n-non…” Nuovamente le parole le morirono in gola.
Lui – che era tutto tranne che Nate – fece un altro passo verso di lei, facendola sussultare spaventata. Lyn era una persona razionale, Dio se lo era, la paura era un’emozione che provava solo quando ne aveva motivo, quando era qualcosa di reale. Quella volta, non aveva la più pallida idea di che diavolo avesse davanti, se uno spirito, un fantasma o altro, ma era più che autorizzata ad avere paura.
Era reale l’essere che aveva davanti, così come lo era anche la mano che l’aveva toccata e la voce che le parlava.
“Hai paura, vero?” Sempre la stessa domanda, quasi non potesse fare altro se prima non otteneva quella dannatissima risposta – come se poi non fosse evidente.
“S-sì, io ho…” Già dire quel semplice ‘sì’ le era costato tutto il fiato che aveva in corpo, non sarebbe riuscita a completare tutta un’intera frase.
Quell’essere che usufruiva del corpo di Nate sorrise in maniera tetra, muovendo una mano verso di Lyn, che arretrò emettendo un gridolino quando la vide avvicinarsi.
“Tu affermi di non credere a ciò che non vedi, che non puoi appurare tu stessa…” Iniziò, muovendo un altro passo verso di lei.
Lyn, per riflesso, arretrò.
“… dici di non avere paura, ma è una scusa, la tua… menti, piccola bugiarda…”
Non sapeva cosa stesse dicendo, perché proprio a lei per giunta. Lei non mentiva, non era una bugiarda! “Tu hai paura di me… ma sono reale oppure no, Lynda?”
Perché continuava a porle quelle domande a cui lei non sapeva dare una risposta?
Si trovava in una situazione decisamente più grande di lei, non sapeva cosa fare, come agire, come fare in modo che tutto finisse, perché era solo quello che chiedeva.
Era spaventata, dannazione, lo era! Tremava, ma non se ne era neppure accorta; piangeva, ma se ne rese conto solo quando, ghiacciate, delle lacrime rotolarono giù per le sue guance.
Non ricordava neanche più quand’era stata l’ultima volta che aveva pianto, molto probabilmente molto tempo prima.
“Sono reale?” Proruppe nuovamente la sua voce, che era alla ricerca di un’altra risposta a cui non sapeva dare risposta.
Un altro suo passo avanti e uno indietro di Lyn, che però si mosse troppo in fretta e, non potendo vedere dove mettere i piedi, rovinò a terra; l’erba fredda la copriva quasi interamente e per lei altro non costituiva che una prigione. Da lì non riusciva neanche più a vedere il cancelletto da cui prima lei e Nate erano entrati, senza sapere cosa sarebbe successo.
“Forza, è semplice la risposta.” La sbeffeggiò in un’ambigua cantilena.
Lei tentò di arretrare, ma rimaneva costantemente bloccata da quei fili freddi e lisci. Quando vide una sua mano muoversi nuovamente verso di lei il panico la assalì; tentò di scansarsi, di sottrarsi a quel contatto che era ormai prossimo, ma fu inutile.
Non aveva neanche più la forza di gridare, la paura e il terrore l’avevano privata anche di quello. Dalla sua bocca uscivano solo deboli lamenti.
Chiuse gli occhi, azione di per sé inutile, ma che le venne istintiva in un frangente come quello.
Sentì chiaramente la sua mano posarsi sulla sua testa e sussultò; rabbrividì, non potendo evitare di immaginarsela raggrinzita e morta, come quella di poco prima.
Strinse i pugni attorno ai fili d’erba, imprigionandoli in una morsa dolorosa e spaventata. Era reale, sentiva quella mano esercitare quella pressione che, per quanto leggera fosse in verità, a lei sembrava pesare quintali.
“Sono reale, vero?” Lyn non seppe se interpretarla come un’affermazione o una domanda.
Ma non le interessava, voleva solo far finire tutto, non avrebbe nemmeno voluto che tutto fosse cominciato.
Abbassò la testa, aprendo poi piano gli occhi; non sapeva neanche lei cosa stesse per fare, ormai non era quasi più padrona del suo corpo e delle sue azioni.
“Sì, sei reale!” Disse, strappando quei fili d’erba che aveva imprigionato e tirandoglieli addosso. Quel gesto non aveva alcun senso, non sarebbe servito a nulla, ma nulla aveva più senso in quel frangente.
Si alzò di colpo, iniziando a correre nella direzione opposta a lui, a perdifiato. Non sapeva nemmeno lei come le gambe facessero a reggerla, ma non le importava più di tanto. Ogni passo si ripercuoteva sul suo corpo, stordendola quasi.
Si voltò soltanto quando fu certa che a dividerli ci fossero un paio di metri – non che avrebbero fatto la differenza, non avrebbero potuto. Smise letteralmente di respirare, quando vide che non vi era assolutamente nessuno dietro di lei.
Freneticamente si voltò a destra e a sinistra, sopra e sotto, alla sua ricerca. Era scomparso.
Sperando in ciò, si mise a correre ancora più veloce verso quel cancello, incurante che un solo passo falso e sarebbe caduta a terra.
“Dove vai?” Chiese lentamente, comparendole dinnanzi.
Lyn gridò, con quanto più fiato aveva in corpo. Le bruciava la gola, ma non smise, non voleva smettere, anche se era conscia che nessuno l’avrebbe sentita.
Come un topo in gabbia, iniziò a correre nuovamente verso la parte opposta.
Inutilmente.
“Stai scappando?”
Le sbarrò nuovamente la strada, apparendole davanti e facendola bloccare di colpo. Barcollò all’indietro e, disperata, prese a correre verso la sua sinistra. Corse, corse senza fermarsi un attimo.
“Buon viaggio.” Sentì chiaramente la sua voce alle sue spalle, ma non si voltò.
Non fece neanche in tempo a chiedersi di cosa stesse parlando che la sua folle corsa fu interrotta; percepì distintamente il vuoto sotto il suo piede, ma non abbastanza in fretta da poterlo tirare indietro ed evitare che anche l’altro vi finisse dentro.
Non potendo vederlo poiché coperto dall’erba, era andata dritta dritta verso il fosso, che ora era pronto ad inghiottirla. Lyn gridò d’orrore quando l’erba in cui stava per cadere divenne nera, un mare d’oblio che voleva ingoiarla.
Chiuse gli occhi e portò le mani a coprire la faccia, in attesa di sentire l’impatto.
Urto che però non arrivo.
Non tolse le mani dalla faccia e il suo grido si intensificò quando due mani la presero per le spalle, iniziando a scuoterla prima più delicatamente, poi con irruenza.
“Lyn, Lyn svegliati!” La voce allarmata di Nate la raggiunse, placando le sue urla.
Aprì gli occhi, trovandosi la faccia pallida e preoccupata dell’amico che la osservava di rimando.
Si guardò intorno, riscoprendosi ancora sul pullman, seduta rigidamente sul suo sedile, con gli sguardi di tutti i passeggeri puntati addosso. Stringeva in maniera spasmodica la tracolla che aveva appoggiata sulle ginocchia.
Lei fino a pochi minuti prima si trovava in un parco abbandonato e Nate era stato posseduto, come poteva trovarsi sul pullman?
Non capiva cosa fosse successo, ma d’istinto abbracciò Nate.
Quello vero, vivo e reale.
“Ehi, stai bene?” Le chiese apprensivo, senza staccarsi da lei.
Si strinse maggiormente a lui, facendo un breve cenno affermativo con il capo, anche se non era esattamente così. Non capiva, non ci riusciva proprio: era stato troppo reale per essere un sogno, ma se ora si trovava lì voleva dire che doveva esserlo stato per forza.
“Su, calmati…” Le sussurrò Nate all’orecchio e in parte ci riuscì.
Lyn decise di non pensarci più, per quel giorno perlomeno; anche il solo ricordo era abbastanza spaventoso da farle venire i brividi. Voleva solo che quel giorno finisse, nulla di più. Non voleva più rivedere quelle scene nella sua mente, era una tortura rievocare la paura che l’aveva assalita in quel frangente, che non sapeva se fosse realtà oppure no.
Tentò di rilassarsi, pensando che magari quella sera avrebbe chiesto a Nate di andare a dormire a casa sua, per tenerle compagnia.
Il viaggiò in pullman intanto era continuato e finalmente arrivarono a Drake Ville.
Durante tutto il tragitto nessuno aveva più detto nulla, Nate si era solo limitato a lanciarle occhiate preoccupate. Non gli aveva raccontato cosa aveva sognato – perché lo aveva sognato, vero? – e lui non glielo aveva chiesto.
Non sapeva cosa avesse combinato mentre dormiva, ma doveva averlo spaventato parecchio. Certo, mai quanto si era spaventata lei.
Nate l’aveva accompagnata a casa,assicurandosi che stesse effettivamente bene.
Magari questa sera potremmo andare al parco, così ti distrai un po’.” Buttò lì, andandosene poi verso casa sua e lasciando Lyn da sola, con il cuore letteralmente in gola.


Everybody scream, everybody scream
In our town of Halloween!*




*la canzone utilizzata è This is Halloween, del film Nightmare Before Christmas.


Ed è così che si conclude la mia prima originale! Piuttosto breve, ma è pur sempre stata la prima!xD
Non ho granché da dire, solo che per scrivere quest'ultimo capitolo ho dovuto trovare una musica ispiratrice o sarei ancora lì che mi arrovello nella speranza di riuscire a concluderla!
Ringrazio LaDamaDelLago (è di soli due capitoli perché non potevo tirarla troppo per le lunghe o non l'avrei finita mai più e non avrei potuto dedicarla!xD Sono contenta che ti abbia incuriosito e il primo capitolo ti sia piaciuto. Spero che il finale non ti deluda!xD E sì, purtroppo ho avuto il piacere di ascoltarla Marilyn Manson!xD) e Amaranth93 (sono felicissima che la storia ti piaccia Cla! Ero certa che me l'avresti tirata dietro e mi avresti andato a farmi un giro in un paese molto lontano e in culo ai lupi!xD Defecare è il miglior verbo esistente nel vocabolario italiano!U_U Oh, mi renderesti immensamente se decidessi di disegnare Lyn e Nate!*___* Mi piacerebbe tantissimo vederli disegnati - ho già avuto modo di vedere le tue opere!*-* Spero ti piaccia anche questo ultimo capitolo!^^) per aver recensito.

Ringrazio anche Amaranth93 pr averla mesa tra i preferiti e LaDamaDelLago e Alex91 per averla messa tra le seguite!
  
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