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Autore: Maybe Charlie Knows    22/11/2010    7 recensioni
"Perché no? In fondo, è pur sempre qualcosa che ti riguarda… - non sapeva bene come etichettare ciò che aveva scoperto leggendo un giornale che gli altri avevano ignorato. Era qualcosa che aveva preso forma nella sua mente nel momento meno appropriato per le scoperte, e su cui poi aveva rimuginato per ventiquattro ore prima di trovarsi Adrien davanti. Quelle parole sbiadite sulla carta stracciata avevano dato un senso talmente grande da lasciarlo di stucco, incapace di decidere cosa fare. Aveva la possibilità di prenderla alla sprovvista e vincerla, per una volta, eppure… - Appunto. E’, come dici tu, un mio segreto. Qualcosa che mi riguarda. Il che vuol dire che lo so già, e che quindi non ho bisogno che sia tu a farmelo sapere. – sul volto pallido coperto di minuscole efelidi si aprì uno di quei sorrisi che Duff aveva temuto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axl Rose, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Naive

 

 

 

 

Naive

 

Capitolo 1 – That’s so easy

 

 

 

 

 

 

Quell’estate la metropoli era stata avvolta in una cappa di caldo infernale quasi più potente di quelle che gli anni precedenti l’avevano assalita, innescando nei numerosi abitanti il desiderio irrealizzabile di rifugiarsi nei propri frigoriferi per sfuggire all’afa insopportabile. Quando una rara bava di vento faceva la propria comparsa, era lotta all’ultimo sangue per gli studenti della Renton High School che davano via a vere e proprie battaglie per accaparrarsi i posti vicino alle finestra. Una volta che anche quella brezza si fosse dileguata, i tanto bramati banchi sarebbero diventati oggetto di repulsione, probabilmente perché tenere le finestre aperte per tutto il resto della giornata alla ricerca di un po’ di fresco comportava anche il raggi del sole accecanti e bollenti, che durante i noiosi corsi estivi di recupero erano il colpo di grazia per qualsiasi studente lavativo che si rispetti. Eppure, mentre la voce dell’anziana professoressa di chimica, anche lei arresasi davanti all’evidenza che anche quell’anno la scuola avrebbe innalzato la media delle bocciature, c’era sempre qualche povero sfigato che restava in balia del caldo per tutta la mattina. La scuola non avrebbe certo alzato un dito per installare dei condizionatori d’aria, i soldi per quelli erano stati spesi per un nuovo ufficio per il preside. Tanti altri poveri studenti incapaci persino di rispondere ad un quesito di scuola elementare avrebbero dovuto patire un mix micidiale di afa e noia scolastica: inutile dire che, quella mattina d’Agosto, il posto vicino alla finestra era toccato a Duff.

 

Il russare di Slash divenne persino più forte della voce della vecchiaccia, che non osava alzare lo sguardo dai suoi appunti ed era probabilmente sul punto di raggiungere il suo allievo nel mondo dei sogni: Duff gettò veloce un’occhiataccia all’ignara massa di ricci neri che copriva il banco al suo fianco, prima di percorrere con lo sguardo l’intero perimetro della stanza. Era ovvio a tutti che nessuno di loro sarebbero riuscito a prendere il diploma, nemmeno con i corsi di recupero: Steven era intento nel costruire aeroplanini di carta con le pagine di un quaderno su cui non aveva mai scritto, Maxie fissava al vuoto davanti a sé aggiustandosi di tanto in tanto il reggiseno senza curarsi dei presenti. Anche Michelle dormiva nel banco vicino all’amica, probabilmente stremata da un’altra nottata di lavoro per lei, che probabilmente da una settimana non tornava a casa. Gli altri erano più o meno ridotti come loro, ragazzetti sfigati dei quali pochi erano presi in considerazione: probabilmente quegli altri stronzi dei suoi compagni, Izzy e Axl, erano a dormire della grossa dopo il casino della notte precedente nel magazzino, ad attenderli. Quanto a Duff… beh, non aveva idea di cosa parlassero le formule che la professoressa elencava con voce apatica: non aveva mai aperto il libro, e non aveva intenzione di farlo in quel momento.  Quando sarebbe arrivato l’esame, avrebbero trovato una scorciatoia giusto per avere qualcos’altro di cui lamentarsi, tanto nessuno dei loro trucchi avrebbe funzionato.

 

Il ragazzo spostò pigramente gli occhi sulle aiuole che circondavano la decadente scuola pubblica, i fiori e l’erba rinsecchiti dal caldo che le ricoprivano incartapecoriti. Il cancello arrugginito in fondo al viale di cemento armato gli regalava la vista di una strada grigia ed assolata percorsa da macchine scassate ed erosa dallo smog, di certo non uno dei migliori panorami. Il sole cominciava a farsi sentire sulla sua testa già provata dagli eccessi di quelle ultime sere, mentre una fastidiosa emicrania iniziava a martellare sulle sue tempie. Spostò un ciuffo biondo, rigorosamente cotonato, da davanti i begli occhi verdi, infastidito da ciò che lo circondava, prima fra tutti la sedia sul quale era seduto: troppo bassa per la sua statura, come al solito. Nei pensieri si confondevano le note dell’ultima canzone sfornata dal buon Izzy Stradlin, gli accordi che doveva ripassare, le parole dei cori, le parti del ritornello che assolutamente dovevano riprovare. Tutto si mischiava in un groviglio di fantasie che lo portavano lentamente lontano da quel posto che lui considerava inutile, su un palco di qualche locale o stadio famoso, circondato da fan urlanti che acclamavano loro e la loro meravigliosa musica. Era inutile cercare di salvare ancora la sua carriera accademica, tanto valeva fantasticare: tanto, non gli serviva un diploma, un pezzo di carta stampata dove un paio di bacucchi avrebbero scritto di lui come di un “membro civile della società”, quando lui sapeva benissimo di essere poco più che un criminale. Non che gli desse fastidio, anzi, era probabilmente la vita che sognava da quando, ragazzino, appendeva i poster di Sid Vicious alle pareti della cameretta di Seattle. Poi Duff sbadigliò sonoramente, senza essere minimamente preoccupato della maleducazione di quel gesto, e tornò alla realtà: quanto mancava ancora prima che potessero andare a casa?

 

Non s’accorse subito del veicolo che faceva il suo ingresso nel viale della scuola, forse proprio perché perso nel suo vaneggiamento personale su quante chitarre basso avrebbe potuto comprare una volta famoso. Del resto, nella classe nessuno si mosse al rombo basso del motore che faceva le fusa e pian piano si avvicinava. La moto nera attirò il suo sguardo soltanto quando quello che era diventato un piacevole rumore di sottofondo si fermò, uscendo così dal perfetto insieme di elementi che consentivano il suo viaggio mentale. La prima impressione, quando ancora il conducente era a bordo della moto, fu di perplessità, dovuta più al fatto di trovarsi ancora nel mondo dei sogni che altri: aguzzando la vista, Duff iniziò a notare particolari che lo lasciarono piuttosto stupefatto. La moto, da corsa come si vedono nei film di agenti segreti, era stata evidentemente tirata a lucido di fresco, la vernice nera che la ricopriva quasi brillava al sole: quel veicolo trasudava fior di quattrini, quelli che erano probabilmente stati spesi per comprare un gioiellino del genere. Ma fu il motociclista a lasciarlo piuttosto basito: dopo una manovra abile con cui infilò la moto sotto un grande albero, l’unico posto all’ombra, proprio nel parcheggio riservato ai docenti, si guardò attorno attraverso il casco dello stesso colore del mezzo, slacciandoselo lentamente. Ma c’era qualcosa che non andava: non era certo il corpo che ci si sarebbe aspettato di vedere a cavallo di una moto. Era forse un po’ troppo lontano perché Duff captasse ogni singolo dettaglio della ragazza, ma bastarono pochi secondi perché il suo cervello trasmettesse a tutto il corpo una singolare sensazione di energia.

 

Smontata dalla moto, la sconosciuta si sfilò il casco con movimenti studiati, vanesi, sfoderando una lucente chioma di lunghi capelli rossi che agitò, portando il casco fra le braccia. Duff si sporse verso la finestra, attirato dalla curiosità che l’apparizione della rossa aveva destato in lui: la guardò osservare l’ambiente attorno a sé, il parco deserto ed ingiallito, mettendo a fuoco la sua figura ogni secondo più nitida. Era evidente che il caldo era stata un scusa soddisfacente per lasciare scoperte le lunghe gambe pallide, fasciate soltanto d’un paio di stivali da motociclista e da dei pantaloncini di jeans sfilacciati, mentre i capelli rossi ancora più lunghi di come se li era immaginati contornavano oltre che un bel visetto anche un top nero che si modellava sulle sue forme gentili. La ragazza, dopo aver evidentemente appurato d’essere sola nel parcheggio, si chinò a sfilarsi con elegante noncuranza gli stivali di pelle prima di aprire la sella della moto che celava il piccolo bagagliaio. Duff poté vederla estrarre un paio di scarpe nere dal tacco pericolosamente alto, riponendo gli stivali che aveva usato per andare in moto prima d’infilarle in fretta, riparando i piedi dall’asfalto bollente. Recuperata una borsa sempre scura, la sconosciuta uscì dal posto dove aveva parcheggiato il suo gioiellino, cosicché i raggi del sole potessero illuminare la sua figura irta sui tacchi a spillo.

 

Duff non la perse di vista un secondo mentre con una camminata aggraziata si avviava verso l’entrata della scuola, sempre più vicina: i tratti del suo volto si delineavano sempre di più, giungendo alla mente del ragazzo armonici. Non riuscì comunque a rifletterci su più di tanto, mentre l’adrenalina per la comparsa di una nuova preda all’orizzonte prendeva il suo cervello molto più d’una noiosa lezione di matematica. Non si diede la pena di svegliare Slash, che al suo fianco ancora dormiva beato, né di chiedere il permesso all’insegnante di uscire, limitandosi a mormorare un distratto “Vado in bagno”. La vecchia non si sarebbe nemmeno accorta della sua assenza, senza degnarlo di uno sguardo quando le passò proprio davanti diretto verso la porta: il torpore dell’afa che aveva preso il resto della classe gli garantì la strada spianata verso l’uscita. Probabilmente la ragazza sconosciuta doveva essere appena entrata a scuola: Duff non perse tempo a domandarsi il motivo della sua presenza, chi fosse o cosa le avrebbe detto, agendo d’impulso e dirigendosi verso lo scale che lo avrebbero portato all’ingresso. Di una cosa era sicuro al cento per cento: era una delle ragazze più carine che avesse mai visto… e non era tipo da lasciarsi scappare un’occasione del genere.

 

L’atrio era vuoto, quasi triste alla vista di chi ci entrava la prima volta, spoglio se non per qualche sedia lungo la parete: probabilmente la sala gremita di studenti confusionari e ridenti avrebbe fatto un altro effetto, eppure la ragazza fu contenta lo stesso dell’eco dei suoi passi che rimbalzava sulle pareti bianco sporco. Gli spazi erano ampi, secondo i canoni architettonici di qualsiasi scuola finanziata dallo Stato, ovvero il genere di edificio che lei non aveva mai frequentato: abituata all’ostentazione opulenta di ricchezza da parte delle scuola s’in dagli arredamenti, il cambiamento non riscontrò contrasto in Adrien che, ferma per pochi secondi all’ingresso, osservava annoiata ciò che la circondava. Le labbra sottili erano piegate nel broncio regale che aveva assunto in Inghilterra, così simile a quello della sua amica Met ed ormai quotidiano sul suo volto spruzzato di efelidi. Nulla, nemmeno un semplice bidello che si fosse accorto dell’arrivo della sua moto rombante: alla Kennedy o al King Edward l’accoglienza sarebbe stata immediata e sicuramente calorosa, tutto sarebbe stato sbrigato alla minima sillaba del suo cognome importante e famoso, e lei avrebbe regalato uno dei suoi sorrisi abbaglianti al fortunato di turno perché tutto avesse termine presto, molto presto. Certo, non era una circostanza normale: non si sarebbe mai iscritta ad una scuola pubblica se non ci fosse stato un motivo preciso, e quello che lei serbava nel suo cuore era bello grosso.

 

Alla fine, non erano state tante le cose di cui aveva sentito nostalgia della California: i suoi familiari, no di certo, la scuola nemmeno, quelle sanguisughe di cui s’era attorniata a scuola neppure. Forse solo lo sferzare l’aria del casco che copriva la sua testa mentre con la moto accelerava nella partenza era stato motivo di tristezza: per il resto, aveva saputo adattarsi anche a Londra, agli snob che la popolavano tanto quanto Los Angeles e che soccombevano al suo fascino e alle sue parole studiate come tutti gli altri. Era stato tutto così facile, anche quando era sembrato che il mondo stesse per crollarle addosso: persino convincere Alan e Lisette a lasciarla iscriversi alla “scuola dei plebei”, come la chiamavano loro usando termini medievali, era stato un gioco da ragazzi. Ma in fondo, per lei era sempre tutto fin troppo facile, quando con uno schiocco di dita ed uno sbattere di ciglia otteneva ciò che voleva senza chiedere per favore. Era così facile. Afferrò un paio di opuscoli su droga ed alcol abbandonati su un misero tavolino nei pressi dell’enorme porta d’ingresso, mischiandoli con indifferenza prima di passare oltre, senza il benché minimo motivo, senza interesse nei loro confronti. Aggirarsi per una stanza così grande e allo stesso tempo così vuota era insolitamente attraente, forse per l’abitudine di Adrien allo sfarzo onnipresente: lei era lì, da qualche parte in quel miscuglio di stanze tutte uguali, incastrata in uno corso di recupero. Non appena era tornata a Los Angeles qualche giorno prima, Adrien le aveva telefonato per mettersi d’accordo di trovarsi quel giorno a scuola, per la firma degli ultimi moduli d’iscrizione. Ma nessuno sembrava farsi vivo fra quelle mura malamente dipinte.

 

- Ehi – aveva sentito dei passi avvicinarsi e aveva voltato le spalle alla fonte di quel rumore, fingendosi interessata dagli opuscoli che lei stessa aveva mischiato per amor di teatralità. Erano passi svelti che coprirono la distanza da quelle che aveva intravisto come scale e il punto in cui si trovava. – Serve una mano? – la scusa più antica del mondo: Adrien era vagamente divertita dalla voce maschile che le aveva posto quella domanda, senza essere sorpresa di non riconoscere il timbro della persona che stava aspettando. Sfoderando la sua adorabile espressione annoiata, curvò appena le labbra in un ghigno enigmatico, volgendosi finalmente a guardare il suo interlocutore. Squadrandolo con attenzione, solo una cosa le parve non combaciate nello schema perfetto che già s’era prefissata, ovvero la sicurezza con il quale il ragazzo la fissava in attesa di risposta. Carino, biondo, una pertica nonostante i suoi tacchi indossati con facilità le donassero un’altezza più che discreta, a prima vista il solito ragazzino che giocava a fare la rockstar: ne aveva visti tanti come lui in giro, e li aveva mangiati tutti per colazione. – Sì, sto cercando la segreteria. – mormorò in risposta con voce melliflua, lenta e misurata, senza togliere dal faccino minuto quell’espressione di inesorabile mistero che da iniziale maschera aveva fatto sua nel corso degli anni. La mattina si prospettava divertente.

 

- Se vuoi ti posso accompagnare – vista da vicino era tutto un altro effetto: dopo la scatto improvviso che quasi l’aveva fatto cadere dalle scale ampie e ripide, ritrovarsi davanti quella figura alta sottile l’aveva reso soddisfatto. Ecco un’altra preda, un altro corpo da possedere come un trofeo davanti ai suoi amici in preparazione ad una notte di sballo, in barba allo studio e alle responsabilità. Era stato il momento in cui si era voltata a rendere tutto più difficile: nulla apparentemente era cambiato nel suo corpo armonioso come quello di tante altre. Ma quegli occhi lo stavano letteralmente incollando al pavimento, gli impedivano di muoversi nel pendere dalle labbra rosee della sconosciuta finché quella non avesse smesso di parlare. Ficcando le mani nelle tasche degli aderenti pantaloni in pelle, riuscì ad opporsi al desiderio assurdo di balbettare, ammiccando coraggiosamente dopo la proposta in apparenza altruista: un’analisi più dettagliata non aveva rivelato nient’altro che una delle solite fighette misteriose. Dopo essersi soffermato palesemente sul suo corpo latteo con gli occhi verdi, si concentro sui dettagli del viso: circondato da una cascata di capelli rossi vagamente stinti, era composto di tratti particolari, caratteristici dell’Europa nordica. Gli zigomi erano alti, dal taglio proprio sotto l’occhio che li rendeva graziosi, al centro un naso lievemente all’insù decorato di poche lentiggini. La bocca era piena, sottolineata da uno strato di matita chiara che si confondeva nell’insieme. – Piacere, sono Duff – non tese la mano per presentarsi come persona educata, limitandosi ad assumere un cipiglio sfrontato degno di un cantante di sua conoscenza. Era bella come l’aveva vista fuori dalla finestra… ma l’effetto era un altro, indescrivibilmente differente.

 

- Piacere, Duff – la voce della ragazza era affabile, il suo corpo immobile senza segno dei normali approcci tipici di una presentazione fra due conosciuti. Conservava quell’aria quasi impassibile, come se sapesse cose di cui il ragazzo non poteva avere la più pallida idea, che rendeva impossibili da comprendere i pensieri che le passavano di testa in quel momento. Eppure, con quel il tono disponibile con cui gli aveva risposto, sembrava aperta alle, emh, nuove conoscenze. – Spiacente, ma non credo che tu sia la persona da cui cerco un aiuto – beh, almeno la fregatura l’aveva individuata al primo istante: erano quegli occhi a confonderlo, proprio come la sua prima impressione gli aveva confermato. Circondati da uno spesso intreccio di matite nera e blu, erano di un’indefinibile colore tra il grigio e l’azzurro che ricordava i cieli grigi del Nord… e ti confondevano: era calamite che attiravano magnetiche la tua attenzione, distraendoti. Quasi era stato impercettibile il cambio della voce, nonostante da un tono chiaramente mieloso fosse passata ad un rifiuto della sua compagnia. – Ma questo non vuol mica dire che non posso darti una mano – l’importante era non lasciar vedere quanto quello strano gioco potesse prenderlo in contropiede. Il ragazzo sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi sghembi, senza distogliere lo sguardo da quello della ragazza, o per lo meno dal suo corpo. Era come se fosse appena sbocciata una guerra nascosta nelle loro menti, qualcosa che attraeva entrambi spingendoli a sfruttare il massimo di sé stessi per vincere la battaglia.

 

- Allora potevi indicarla subito, invece di perdere tempo a pavoneggiarti – i suoi atteggiamenti delicati formavano un ossimoro con l’attacco celato dalla sua frase, mentre con un gesto rapido spostava i lunghi capelli su una spalla scoprendo il collo da cigno. Duff la guardava perplesso, in attesa della prossima mossa di quell’enigma di ragazza, senza nemmeno accorgersi di come l’avesse gabbato non rivelandogli il suo nome: contemporaneamente, era quasi ammaliato dalle movenze di quello strano personaggio, senza riuscire a prevederne le mosse. – Fatti perdonare e risparmiami una noiosa ricerca… - miagolò tornando all’affabilità con cui s’era rivolta a lui inizialmente, confondendolo sempre di più. Quale fosse l’obbiettivo della sconosciuta, Duff non riusciva a capirlo: passava da un estremo all’altro, da un apparente rifiuto ad un tentativo di corteggiamento camuffato, senza dargli tempo di scegliere in cosa credere. La osservò torvo per lo stato in cui l’aveva fatto piombare per interminabili secondi, mentre lei rispondeva a quegli occhi verdi con lo stesso sorriso che aveva mantenuto da quanto, spavaldo, l’aveva chiamata. Sembrava innocua, rifugiata in quel faccino adorabile che si ritrovava… sembrava, insomma, quell’espressione improvvisamente calma e disponibile era così carina. – Beh, magari possiamo trovare un compromesso – sul volto di Duff si aprì un nuovo sorriso, sicuro di sé come quando quella conversazione era nata: le sue spalle erano di nuovo rilassate, quella ragazza sempre più attraente nel mistero di cui era vestita.

 

- Del tipo? – aveva abboccato: era tutto bastato su poche semplici regole che i maschi non erano mai stati in grado di leggere nelle smaliziate donne come lei, troppo furbe per scoprire così le proprie carte. Lascia che annusi l’osso, poi toglilo di scatto quando tenta di morderlo, e vedrai che ogni povero cagnetto bramerà il suo pasto sempre di più. Assunto un nuovo atteggiamento, da docile a diffidente a suadente come una gatta selvatica, Adrien lo guardò sbattendo accuratamente le lunghe ciglia: in fondo, erano tutti uguali, così schiavi dei loro ormoni. – Sai… suono in una band, siamo molto bravi… Stasera diamo una festa, facciamo un paio di prove e poi viene su un sacco di gente, sono pieni di roba… ti va di venire? Sarebbe… divertente – certo, era uno schiavo dei propri ormoni molto carino: alto, snello, una folta chioma di capelli biondi dall’aria ossigenata quanto quelli di una Barbie, un’andatura da musicista inconfondibile e dei lineamenti felini quasi femminei, affascinanti. Le sopracciglia erano inarcate, il cipiglio sul suo viso inconfondibile: i doppi sensi in quell’invito apparentemente normale andavano colti con furbizia, cercati nell’espressione che aveva assunto. Adrien non accennò ad un cambiamento della maschera del suo volto, limitandosi a fissarlo intensamente come se fosse stata un’adolescente qualsiasi ardente per un colpo di fulmine. Era così facile: certo che sarebbe stato divertente. – Dove sarebbero queste… prove? – più che prove, era il preludio di un rave party coi fiocchi.

 

Afferrando un volantino qualsiasi, senza nemmeno degnare di uno sguardo le avvertenze sull’uso di droghe pesanti in giovane età, Duff si fece passare una penna che la sconosciuta estrasse dalla propria borsa. Impossibile confondere l’espressione soddisfatta di chi riesce sempre a fare un centro perfetto – Se poi non ci trovi, questo è il numero di telefono… non so come potrà esserti utile, visto che la connessione l’ha messa su un nostro amico della centrale elettrica e spesso salta, però vale la pena tentare -. Era quasi incredibile come, ebbro del furore di una nuova conquista, non si fosse nemmeno accorto di come non sapesse assolutamente nulla, nemmeno il nome della bella ragazza che aveva di fronte. Lei gli sorrise intascando l’opuscolo che il ragazzo le porse, dopo averci scribacchiato sopra un paio di parole in calligrafia disordinata. Se aveva per un momento pensato che quella sconosciuta avesse potuto dargli picche su due piedi, s’era evidentemente sbagliato: tutti loro, nessuno escluso, godevano di un fascino che attirava le ragazze come calamite. Altro che fusione di nomi, Guns N’Roses celava ben altre motivazioni: erano armi letale che spaccavano cuori, infrangevano sogni, vivevano in mondo che permetteva loro il divertimento sfrenato in barba ai sentimenti delle donne che avevano la sfortuna d’incappare nella loro strada. Lasciandosi dietro il profumo del fiore spinoso che meglio li rappresentava.

 

- Signorina Miller – una voce profonda risuonò nel corridoio qualche secondo dopo che la ragazza ebbe infilato l’indirizzo nella borsa nera, interrompendo quello strano gioco di sguardo che fra loro generava energia. Una donna dai vaporosi capelli color del rame, vestita di un impeccabile completo grigio, era appena comparsa da chissà quale corridoio, avanzando verso di loro reggendo fra le braccia una pila di cartelline dall’aria minacciosa. Trasudava la severità con il quale molto probabilmente insegnava, invecchiando quelli che non potevano essere più di quarant’anni nonostante la bellezza del suo volto austero. – La stavo aspettando. McKagan, non dovresti essere a recupero di chimica? – domandò con voce secca, il tono che non ammetteva repliche. Ci si sarebbe aspettato di vedere quella donna in qualche famosa scuola privata a bacchettare futuri manager e dirigenti, di certo non in una mediocre scuola pubblica come quella. Robin Keenan, la donna dall’oscuro passato, ecco come la chiamavano i suoi studenti dopo ogni dura lezione sugli innumerevoli poeti che la professoressa conosceva a menadito. Era arrivata alla Renton circa un anno prima iniziando a dettar legge a studenti ed insegnanti, che la temevano per via delle sue tante lauree e del timore che incuteva a tutti, nessuno escluso. Giravano voci sul motivo della sua assunzione in un istituto così scadente, una meno vera dell’altro. – Emh, sì, signora… Beh, ciao – Duff non si fece pregare, girò sui tacchi concedendosi un’ultima occhiata alla bella sconosciuta, soddisfatto e desideroso di andare il più lontano possibile dalla professoressa. Peccato, sarebbe stata un gran pezzo di donna… beh, ormai non importava più di tanto. Non sarebbe andato in bianco, quella notte.

 

- Si sieda, signor McKagan – la classe era quasi esattamente come l’aveva lasciata, immersa in quella noia mortale di calore da cui era scappato. Solo, Slash sembrava essersi destato dal torpore di cui era rimasto vittima, limitandosi a fissare un punto indeterminato nel muro, sopra la spalla della vecchia professoressa che abbozzò un tentativo di farsi rispettare verso il ragazzo in piedi, che riprese il proprio posto senza badarle. Non riusciva a togliersi dalla faccia un sorrisetto ebete di vittoria, lo sapeva: qualcuno dei suoi amici aveva già notato quel suo strano atteggiamento. – Beh…? – Steven, che sedava nel banco davanti al loro, s’era già voltato in attesa di novità elettrizzanti, senza ovviamente curarsi del tono della voce troppo alto. Nessuno avrebbe avuto la forza di riprenderlo. – Ah, ma è successo qualcosa? – Duff sbuffò davanti allo stato confusionale del suo compagno di banco, che non era in grado di guardare negli occhi a causa della folta chioma di ricci che copriva una buona porzione di viso. Maxie, accortasi dell’improvvisa riunione dei tre ragazzi, fissava insistentemente dalla loro parte, scostando regolarmente il ciuffo biondo platino dagli occhi: inutile, Duff non avrebbe parlato della bella sconosciuta all’amica. Non intendeva farsi fregare la ragazza da una lesbica. – Ho rimorchiato una rossa da paura, stronzo! – annunciò beffardo, prendendo indirettamente in giro Slash rimarcando come l’amico avrebbe potuto far conquiste allo stesso modo se fosse stato un po’ più sveglio.

 

- E dove? Alla macchinetta del caffè? – domandò sarcastico il biondo, per poi scoppiare in una risata sguainata insieme a Slash, guadagnando contemporaneamente un’occhiata assassina da parte del loro amico ed una infastidita dalla professoressa, che imperterrita spiegava. Sì, sarebbero stati bocciati tutti. – Ma va, deficiente! Non rideresti tanto se… Ma vedrai, stasera, che sventola che ho rimorchiato! – mugugnò Duff, senza lasciarsi abbattere dalle battute più che normali di quei due amici, alle quali si sarebbero aggiunti i commenti di Izzy ed Axl una volta fatto ritorno a quel buco dove convivevano tutti insieme. I due ragazzi vicino a lui continuarono a prenderlo in giro sempre più debolmente, vista la sicurezza che l’amico ostentava in volto: Maxie continuava ad osservarli cercando di carpire pezzi di conversazione, ottenendo solo un paio di sorrisi beffardi da parte di Duff. La ragazza aveva svegliato in qualche modo Michelle, forse alle ricerca di un aiuto in quella missione di spionaggio: la bruna dai tratti messicani che le era seduta accanto non sembrava dar segno di voler collaborare, sbadigliando ad intervalli regolari. Per un momento, fra le risatine di Steven e Slash, il ragazzo si chiese dove avesse passato la notte precedente: forse incastrata in qualche ostello di periferia, forse a casa di qualche amico spacciatore… di sicuro non era tornata a casa da suo padre. Quella settimana, aveva già fatto la sua comparsa abituale nel buco di appartamento di quel pivello.

 

- No, ma sul serio… dove l’hai trovata sta rossa da paura? – dall’espressione seria e soddisfatta di Duff, Steven doveva aver capito che l’amico non stava giocando loro qualche scherzo di pessimo gusto: improvvisamente, dopo il primo scoppio di l’ilarità, sia lui che il bell’addormentato si fecero attenti alle parole del ragazzo, che continuava a sorridere soddisfatto. Se c’era una cosa che li mandava in fibrillazione più della musica spacca timpani che smerciavano fra piccoli locali e il loro magazzino, era l’apertura della caccia alla nuova bellezza di turno… ed era sottointeso che il fortunato scelto dalla preda in questione avrebbe poi passato il divertimento agli amici. – Hai presente la moto di prima? – non appena i due annuirono, Duff disegnò a mezz’aria il contorno di curve mozzafiato con le lunghe dita, il genere di corpo che apprezzavano di più. – Te lo dico io, da star male… in ogni caso, ah detto che passa dalle nostre parti stasera… sai che intendo – ammiccando in maniera da lasciar poco spazio all’immaginazione degli amici, le poche parole di Duff vennero accolti da esclamazioni entusiaste, mentre tutto ciò che avrebbero dovuto sapere sulla composizione degli elementi andava disperso nell’afa dell’aula. Ormai le ragazze, come tutti i presenti che s’erano accorti della conversazione fra i tre nell’angolo della stanza, venendo a conoscenza dell’ennesima conquista di quei ragazzini gasati: solo il rombo di una moto vicina li distrasse dal celebrare il proprio successo. Fecero in tempo solo a scorgere un lampo di capelli rossi prima che la sconosciuta sfrecciasse verso il cancello e si addentrasse nella giungla di macchine: dopo un iniziale momento dedicato ai tentativi di avvistare ancora la moto nera che si dileguava nel traffico, Duff sorrise, indicando il punto in cui la sua conquista era scomparsa.

 

- Beh, come cazzo hai detto che si chiamava? – probabilmente anche se non avesse aggiunto la tipica parolaccia rafforzativa, l’effetto devastante sarebbe stato lo stesso: Duff spalancò gli occhi stupefatto dall’assenza di quell’informazione nella sua mente. Si era presentati sì, lui aveva detto il suo nome… ma lei aveva esordito con uno suadente “piacere”, con quel suo comportamento da gatta morta. E ovviamente, la priorità del ragazzo non era certo stata venire a conoscenza di qualcosa di scontato, banale come il nome, totalmente inutile per la missione con la quale aveva abbandonato i corsi di recupero. – Ba… be… te… - iniziò a balbettare le prime sillabe che gli balenarono in mente, tenendo gli occhi fissi sul cancello. – Che cazzo…? – incominciò Slash, sporgendosi verso l’amico come per sentire meglio una ripetizione del nome della fantomatica ragazza, desideroso almeno di fingere che ciò gli interessasse. Qualche secondo dopo, la mano di Steven calò sul capo ricciuto del ragazzo, assestandogli una poderosa manata che lasciò che qualche bestemmia scappasse dalla bocca del povero chitarrista. – Babette, ignorante! Sarà straniera… è così? – il tono della voce del batterista era esattamente quello di chi la sapeva lunga su molti fatti: ignorava le proteste scurrili di Slash, che ancora massaggiava il punto in cui l’aveva colpito, in attesa della conferma di Duff sulle origini della ragazza misteriosa. Ma il ragazzo non lo stava più ascoltando, la mente lontana sui progetti della sera, su una vittoria che già pregustava come di fronte ad un lauto banchetto: il volto della sconosciuta, di Babette, non accennava a levare le tende dai suoi pensieri.

 

- Che cosa voleva? – pochi minuti prima, Adrien, a sua insaputa appena ribattezzata Babette, se la rideva sotto i baffi seguendo il ticchettio delle lucide scarpette della professoressa Robin Keenan lungo un corridoio banale, privo di qualsiasi tipo di decorazione. Quasi non sentì la voce della donna porle quella domanda sospettosa, tanto stentava a trattenere una risata cristallina per quel nuovo giochetto. Non aveva la benché minima intenzione di recarsi a casa di quattro ragazzini che fingevano di essere le nuove rockstar, e nemmeno di rivedere quell’adorabile biondino che aveva appena abbindolato. La città era piena di altri posti dove passare notti di fuoco, e il ritorno in quella discarica che chiamavano scuola sarebbe stato ancora più divertente se ad attenderla c’era già un cuoricino spezzato. – Niente… Mi aveva scambiato per un’altra – inventò in fretta una risposta con la freddezza tipica dei bugiardi professionisti, varcando la soglia della stanza che la rigida donna le aveva indicato. Lo stanzino era la lugubre sede di una vecchia fotocopiatrice ammassata insieme a pile di vecchi documenti in un angolo: una finestrella capitata lì quasi per caso lasciava che la luce penetrasse nello stanzino insieme al caldo asfissiante. Potevano essere dovunque, tranne che in una quantomeno decente segreteria. – C’è per caso qualcuno che ti spia, Robe? Hai sempre avuto tendenze estremistiche per quanto riguarda la discrezione! – la donna davanti a lei sembrava aver iniziato a respirare normalmente soltanto nell’istante in cui chiuse dietro di lei la porta della stanza, girando due volte la chiave nella serratura.

 

- Sul serio, potrebbero pensare che tu ti stia trasformando in una psicopatica e che in questo momento tu mi stia tenendo in ostaggio… specie se il tuo datore di lavoro è simile al vecchio Igor! – mentre prendeva posto proprio sulla fotocopiatrice chiusa con un elegante balzo, parlando con il tono di voce affascinante con cui l’aveva conosciuta, Robin Keenan si lasciò sfuggire una risatina nervosa alle battutine con cui la ragazza l’aveva accolta. Gettò le cartelline a terra come se fossero qualcosa di sporco, disgustoso, prima di raggiungere la rossa che ancora la fissava con quell’enigmatico sorrisetto stampato in volto, quasi a volerla sfidare. Sì, Adrien sfidava sempre tutti, senza fare distinzioni: aveva voglia di dimostrare di essere al di sopra di quegli inetti mediocri borghesi che la circondavano. Forse era stato proprio quello, il loro punto d’unione: mentre la osservava prendere un pacchetto di sigarette dall’eterna borsa nera, la donna cominciò a pensare di avere di fronte uno strano miraggio, tanto era il tempo passato dal loro ultimo incontro. Accettando la nicotina che le veniva offerta con gesti noncuranti, abituali, sorrise, finalmente sicura di un altro punto della sua vita ricongiunto con gli altri. – Sono contenta che tu sia tornata. -.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ehi, l’avevo detto che sarei tornata presto! Mantengo sempre le promesse! Bene, ecco che una nuova storia prende forma… non sono sicura della piega che potrebbe prendere, dovrebbe essere più breve della mia precedente “Love will tear us apart”, ma anche quella doveva essere una storia di quindici capitoli -.- perciò si vedrà! Intanto ringrazio ancora tutte le persone che hanno seguito le disavventure di Naz e che avranno la pazienza di leggere quelle di Adrien/Babette! Spero che questo primo capitolo non sia uno schifo xD fatemi sapere! La storia inizia nel 1984, Adrien e Linda hanno 18 anni, Duff e Maxie 20, Steven, Slash e Michelle 19, Axl ed Izzy 22, Robin 39. Alcuni dei personaggi li vedrete nei prossimi capitoli, io intanto metto le foto J Devo premettere che, per persone come Michelle e Linda, ho preso ispirazione da persone che hanno influito veramente nella vita dei Guns: comunque ciò che scrivo è puramente frutto della mia immaginazione, ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. So che non è andata esattamente così, che in realtà Duff non ha fatto le superiori a Los Angeles... diciamo che ho cambiato un pochino il normale corso degli eventi! Il nome della scuola è un omaggio al mitico Renton di "Trainspotting" ;) Enjoy

 

Adrien: One

            Two

            Three

 

Michelle: One

 

Maxie: One

 

Linda: One

 

Robin: One

 

 

See ya!

 

 

 

  
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