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Autore: Nightmare    08/12/2005    4 recensioni
“Piango perché non riesco a fare altro. Salato che si aggiunge ad amaro, perle di luce sbiadite su un volto consunto e consumato da odio e rancore. Piango. Perché non servirebbe a nulla porre freno alle lacrime, arginandole, trattenendole… non servirebbe farsi ancora più male.” Il mondo è nel caos. Le vittime del regime oscuro non si contano più. La luce della speranza si è spenta, la resa è avvenuta. Potranno il ricordo e un sentimento potente e passato ricucire nella realtà quello che ormai esiste solo nella memoria? Ron e Hermione saranno sottoposti ad una dura prova, in un mondo nel quale non esiste più giustizia, ma solo ovvietà. Potranno uscirvi solo con rabbia, con orgoglio. Con l’orgoglio che alberga dentro la loro anima forse riusciranno a trovare la verità.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Una porta sbatte in lontananza

*** *** ***

 

I personaggi di questa one-shot appartengono tutti a J. K. Rowling. Io li ho utilizzati solo per divertirmi e dilettare tutti quelli che leggeranno questo breve racconto. I fatti narrati di seguito non sono mai accaduti nella saga di Harry Potter. Questa storia è stata scritta senza nessuna intenzione di lucro, si ritiene, quindi, che nessun diritto di copyright sia stato violato.

 

*** *** ***

 

Privo di orgoglio

 

You better swallow your pride

Or you're gonna choke on it

You better digest your values

Because they turn to shit

Honor's gonna knock you down

Before your chance to stand up and fight

I know I'm not the one

I got no pride

 

E' meglio che tu inghiotta il tuo orgoglio

O ti soffocherà

E' meglio che tu digerisca i tuoi valori

Perché stanno diventando merda

L'onore ti stenderà

Prima della tua occasione di alzarti e combattere

So di non essere la persona giusta

Non ho orgoglio

 

(Green Day – No Pride)

 

Orgoglio e verità

 

Capitolo Uno

 

Una colonna di pietra.

Attorno il freddo del tempo che passa e non lascia traccia, le foglie cadute e appassite sulla terra, una condizione che per giorni sembra insostenibile, incancellabile, ma che poi con i mesi che scorrono non sembra addirittura possibile da affrontare.

La differenza fra un uomo vivo e un uomo morto.

Piccola. Miserabile. Cosa importa se il sangue scende?

Le ferite si alimentano le une con le altre, e il dolore – perché questo è il nome proprio della sofferenza – si concatena nella mente come nelle ossa, non da spazio a ragionamenti logici, porta con sè in un mondo lontano il senso di una vita che sembra non esistere più.

Un ragazzo dai capelli rossi, il viso appassito e intriso di mal celata agonia e di pianto represso, è legato con una sottile rete di filo spinato alla colonna di pietra. Si è svegliato così, istintivamente, drogato per giorni e giorni da sostanze imbevibili eppure bevute, soggiogato e addormentato da effluvi mortali ingeriti con sciocca noncuranza, argomentando la propria resa personale con luoghi comuni di scarso interesse.

Ha avuto fame. E ha mangiato quello che gli è stato dato.

Ha avuto sete. E bere quelle insulse brodaglie non è stato un problema.

Ma adesso si trova nella posizione scomoda – non solo metaforicamente – di dover convivere in un ambiente sconosciuto, quando per mesi l’unico spazio da lui inquadrato è stato quello della sua angusta cella, senza sapere per quale motivo, e soprattutto chiedendosi perché semplicemente non l’hanno ancora ucciso.

Naturalmente avrebbe avuto presto la risposta a queste domande.

Lo spazio che si dirama da quel luogo di morte e orrore annunciato, è un cortile piccolo, stretto, da impiccagione. Il soffitto è alto, arioso di stantio, è nel buio si può distinguere qualche piccola figura ammantata, uccelli scuri come la pece, corvi asserragliati e pronti per ricevere il loro pasto.

Il pavimento è sporco di sangue miscelato.

Sostanze che non combaciano ma che comunque fanno parte della stessa natura, anche di quelli che nel loro gioco subdolo hanno spezzato la natura stessa. Alle pareti, muri scrostati di fresco, attrezzi non propriamente rassicuranti. Reminescenze lontane di scure e martello, quando questi venivano usati come mezzi di lavoro convenzionali.

La differenza fra un uomo vivo e un uomo morto.

Basta colpire in un punto che non sia quello stabilito, mancare di un centimetro quel minuscolo pezzo di carne necessario per vivere, spostarsi di lato al momento dell’impatto e schivare il colpo.

La differenza fra un uomo vivo e un uomo morto.

Non c’è.

Non per loro. Non per coloro che si voltano dopo una strage; non per quelli che in vita non hanno fatto altro che disseminare morte senza rimpianti; non per quelli che in definitiva godono di un certo strano sadismo nel vedere corpi e anime discendere negli inferi della sofferenza.

Loro non piangeranno mai di fronte al tuo dolore. Ne rideranno, schernendoti.

Loro non si commuoveranno per pietà di fronte alle tue preghiere. Ti sputeranno in faccia, umiliandoti.

E se sarai abbastanza forte da resistere a tutto questo… bè, forse neanche ti basterà.

Perché sono sempre e comunque loro a decidere del tuo destino, con la loro ideologia folle, con il loro gretto materialismo, con lo sporco desiderio di distruggere tutto, sono sempre loro che hanno il potere, il controllo, di quel filo sottilissimo che ti tiene legato ad una vita piuttosto che ad un'altra, di quel piccolo frammento di speranza e di pietà che cerchi di scorgere nei loro occhi.

La differenza fra un uomo vivo e un uomo morto, la fanno le circostanze. Tutto il resto, francamente, ha poca importanza.

L’uomo con i capelli rossi chiude gli occhi. Sente il sapore metallico di quel liquido rosso impastargli sgradevolmente il palato, le piccole spine di ferro conficcarsi ad ogni minimo movimento ancora di più, entrare nel pallida carne di un corpo indebolito, sfinito, chiedendo il loro tributo lentamente ma con costanza, allungando l’agonia… come se fosse ancora possibile.

Strano come tutto quanto sembra prendersi gioco di lui. Prima il buio, dei sensi come del cuore, incastonato da rari momenti di scarsa vitalità, cercando un modo di uscirne, di fuggire, un piano per evadere; il viaggio della mente che continua su binari ormai irriconoscibili, il freddo che ti gela quando la speranza si dirada, la fame per gli stenti, il compatimento per se stessi; l’insofferenza per una situazione che non vuole cambiare, la lenta resa ad un nemico invisibile che agisce con calma disarmante, con freddezza melliflua, il lento assopimento della ragione, il mondo dei sogni, il mondo degli incubi. E poi trovarsi fuori, spogliati di tutto e di niente, legati senza possibilità di muoversi, di girarsi, quasi di respirare, l’agonia dell’attesa incolmabile che presto verrà esaurita.

Infine… passi.

Passi che non avrebbe mai voluto sentire, mai immaginare. Passi pesanti da calcare il terreno, possenti nella loro sonorità incontrastata. Piccoli rintocchi di morte che si propagano piano, con lentezza estenuante, entrano dentro, scolpiti dentro la pelle, terribilmente vividi.

“ Ti sei svegliato, Weasley. Mi chiedevo quanto tempo avrei dovuto ancora aspettare… “

Una voce dolce. Drammaticamente dolce.

Un suono quasi androgino, un soffio di vento gelato, portatore di brividi, di paure.

Il volto incappucciato, una maschera d’argento sugli occhi.

Un Mangiamorte.

Si fa avanti con passo deciso, fermo, senza staccare gli occhi da terra, senza mostrare di più di quel che è realmente concesso. Un sorriso gli increspa febbrilmente le labbra, le contorna di qualcosa di sinistro e di misterioso, lasciando al caso il compito di interpretare. Negli occhi una smania ben visibile, un desiderio che va oltre il bisogno fisico, ma che completa il quadro dalle tinte grigie che si sta componendo nell’aria.

L’uomo dai capelli rossi si muove appena, subito mille aghi gli si conficcano nella pelle, ma non ci fa caso. Rivolge la testa direttamente al suo interlocutore, e con un briciolo di vivacità ritrovata chissà dove, domanda con sdegno: “Chi sei?

Una voce che avrebbe spesso contornato le sue notti.

“ Il tuo incubo peggiore… “

 

*** *** ***

 

Non ho mai capito se sono le cose a diventare simili a chi le possiede, o se sono gli uomini che inevitabilmente finiscono per assomigliare ad esse.

Il portone che mi si para davanti, in tutta la sua tetra natura, è abbastanza distrutto, reso a pezzi dal tempo poco caritatevole, e da movimenti non certo pietosi nell’atto di chiudere o aprire, quale sia stata l’occorrenza del momento. La maniglia è sporca di qualcosa di non ben identificabile, e il vetro che dovrebbe conferire un minimo di decenza al tutto, naturalmente, è fracassato in mille punti diversi, diramazioni di vetro su vetro, di colpi su colpi.

L’interno se possibile è anche peggio. Appena entrata, un odore nauseabondo di sporco e di peccato, al quale purtroppo ormai dovrei essere abituata, mi si ferma nelle narici, stordendomi. Ampie poltrone di velluto rosso e mobili ingialliti in vecchie fotografie di tempi trascorsi, contornano il resto.

Su una sedia circolare di legno massello, siede un uomo grasso, dalle guance flaccide, il corpo disteso.

Sembra controllare il mondo da lì, con la sua posa burbera e patetica allo stesso tempo, con i suoi baffi da generale decaduto, con quello sguardo privo d’espressione che ha la durezza di un macigno su cui è stata incisa la parola odio a caratteri cubitali.

Non mi ha sentito arrivare.

Cammino con leggerezza, cercando di evitare un contatto con lui, prendendo la via delle scale, senza farmi notare. Senza motivi validi per cercare uno scontro diretto di primo mattino.

“ Sei in ritardo “

La sua voce giunge a me come una pugnalata. Il mio corpo s’irrigidisce al suono che quell’essere riesce ad emettere dalla bocca, e il mio pugno, disteso saggiamente contro un fianco, si chiude in una morsa stizzosa e incattivita. Mi volto lentamente verso la sua direzione, cercando di dominare istinti primordiali poco congeniali alla situazione.

Lui non c’è più. La sedia a dondolo di legno massello oscilla appena verso di me, come sfiorata da qualcosa di delicato, come mossa semplicemente dal vento.

Ma quando mi accorgo dell’errore, dell’inganno, è ormai troppo tardi.

Lui è ormai dietro di me, e con forza inspiegabile per la sua mole decadente, mi stringe le braccia intorno al collo, con violenza, senza quella pietà che mia madre disse di vedere un giorno nei suoi occhi, senza un briciolo di compassione alcuna per il mio corpo, stupido mezzo di divertimento per uomini senza cuore.

Sento l’aria iniziare a mancare, il viso fatto di un unico colore, ed inizio ad annaspare, a divincolarmi come posso, stremata, priva di volontà, priva di orgoglio. Le mani callose di quell’uomo orribile sembrano moltiplicarsi con i secondi. Scendono rapide, si annidano, prendono vita in ogni centimetro di carne disponibile, seviziano con tocchi irriverenti, rudi, le gambe smagrite e pallide che mi sono rimaste; percorrono il seno con malagrazia scomposta, in morse cattive, violente, senza perdono, senza remora; scivolano là dove è custodito il mio segreto più grande, e più volte violato, in quel luogo troppe volte concesso senza appello, senza ragione, quando in vita – quella vera – non sarebbe mai stato pensabile per una come me.

Sento la presa allentarsi. Le mani frenarsi di fronte alla voglia. Lo sguardo passare in rassegna tutto quanto con bramosia. Mi stacco velocemente, le lacrime che scendono senza neanche accorgersene, figlie anch’esse di un nuovo giorno, e cerco di ritrovare il respiro, non riuscendoci, non potendo riuscirci.

Chiudo gli occhi.

“ La prossima volta non sarò così tenero “

E quando li riapro lui non c’è più. Un incubo che ogni giorno non vuole smettere di esistere, un incubo che non è più un incubo bensì una rappresentazione concreta di una realtà esistente, insormontabile, un gioco di sadismo mortificante, sfiancante, che non è mai iniziato come non è mai finito, che mi resterà impresso per sempre, finché avrò vita e fiato da esalare.

Mi passo una mano sul petto. Il cuore batte all’impazzata, terrorizzato. Impaurito.

Facendomi forza, quella forza che temo di non possedere più, raccolgo le ultime energie e mi dirigo verso le scale, in quel regno dove l’incubo continua, in quel luogo dove la tortura perdura… in modo più ovattato, forse.

I miei passi risuonano quasi inopportuni in quel silenzio inoppugnabile. I gradini sembrano montagne secolari da scalare, il peso sulle gambe è eccessivo, la stanchezza troppa. Mi trascino come posso nella mia stanza, la famosissima camera n°4, un cuore gigante e provocante impresso nella porta, un cuore distrutto dentro, raggrinzito dagli abusi e dalle oscenità a cui ha dovuto assistere.

Il letto al centro di quello spazio di vergogna e peccato lo vedo quasi come un miraggio. I cuscini rossi a forma di cuore e la federa vellutata – anch’essa dello stesso colore – mi chiamano intonando una nenia immaginaria, attirandomi nella loro profumata fragranza, nel loro falso candore.

Mi stendo con delicatezza. Apro le braccia ad angelo e fissò il soffitto.

Un grosso lampadario arrugginito penzola sopra la mia testa. Volteggia sopra di me come un rapace, pronto a colpire al momento più opportuno, oscillando brevemente sospinto per inerzia. Sembra un boia pronto a sferrare il suo colpo finale, pronto a far saltare la testa del prigioniero.

Da un quadro vecchissimo una donna con il naso appuntito ricambia il mio sguardo.

In quel momento trovo la risposta al mio quesito.

Sono le cose a diventare simili a chi le possiede, e anche quella donna in quel quadro, improvvisamente sembra più triste, più sola.

Proprio come me.

 

*** *** ***

 

Cosa importa se il sangue scende?

Il Mangiamorte che da qualche ora mi sta tenendo compagnia ha deciso di prendersi una pausa. Lo posso vedere appena, torcendo innaturalmente il collo, accendersi una sigaretta tra le mani, inghiottire il vapore cancerogeno di quella sostanza, sbuffare in piccole bocche di fumo grigio.

Sembra tranquillo.

Non sembra dare troppo peso alla ferita al fianco che continua a sanguinare; non sembra accorgersi delle ossa rotte, delle vertebre incrinate; non sembra dare un quantitativo ragionevole di importanza a tutto quello che mi è stato fatto.

Il suo martello ha colpito inesorabile, le carni si sono lacerate, e il suo sguardo, quello sguardo leggermente imperfetto dietro la piccola mascherina d’argento, mi ha osservato come se fossi già cadavere, condensando nei propri occhi il preludio di qualcosa di terrificante.

Ho perso i sensi, miracolo voluto da qualcuno che forse si è sentito in colpa, e per un periodo che non saprei quantificare ho vagato in quella dimensione magnifica, terribilmente falsa, dove tutto si spegne, i dolori svaniscono, e il tempo si ferma concedendo riposo.

Ma poi, svegliatomi dall’incubo dolce in cui mi ero venuto a trovare, ho dovuto riaffrontare di nuovo l’amara realtà.

Il Mangiamorte, l’uomo prima del mostro, il carnefice prima della vittima, ha finito la sua breve pausa ristoratrice. La sigaretta, ormai un minuscolo mozzicone nero, cade a terra, apparentemente senza peso, e si mischia in una miscela di sangue e catrame, catrame e sangue, sporcando se possibile ancor di più quel luogo di abominio incontrastato.

Si volta verso di me. Sorride.

Con un gesto fluido estrae la scure dal suo posto di origine.

“ Il gioco ha di nuovo inizio… “

Un gioco che purtroppo avrebbe visto un solo vincitore.

Il gioco. E qualcuno lo avrebbe perso.

 

*** *** ***

 

Piove.

Piccole gocce di pioggia cadono. Si depositano sul terreno, formando pozze naturali e fangose, cuciono nell’aria una fitta rete di fresco e si alimentano, le une con le altre, dando origine al circolo propiziatorio della vita.

Guardo dalla finestra, il mio respiro che si condensa sul vetro, le poche persone ancora fuori affaccendarsi per rientrare in casa, portare pacchi fino alla porta, correre sotto la pioggia battente riparandosi alla bene e meglio con i cappotti. Le loro vite mi passano davanti per poi sparire.

Vedo le loro facce, i loro volti, ma sempre senza riconoscerli appieno, senza la possibilità di capire chi sono realmente, e realmente distinguerli.

Piove forte, fuori. La pioggia si abbatte.

Alcuni, nel profondo della loro anima, la aspettano per non piangere più da soli. La attendono, come si attende una persona cara, e la pregano di venire in loro soccorso, ripulendo così la loro coscienza sporca, il peccato che l’uomo commette solo vivendo, lo sciocco materialismo che si prende gioco di tutte le cose.

Io ho atteso tanto la pioggia. Ho pregato quelle nuvole nere, minacciose ma inconsistenti, di gettare in questi luoghi un po’ di purezza, quando essa non esiste più, da molto tempo ormai; ho pregato con le mani congiunte al cielo quella volta celeste, unica custode di verità inoppugnabili, verità che si condensano in ogni cuore, in ogni anima, cercando di guarire. Ho pregato. Tanto.

Le lacrime che scendono dai miei occhi non sono altro che niente. Perché niente è rimasto dentro di me.

Qualcosa si è spezzato, rotto, qualcosa si è incrinato dentro al mio corpo, uccidendomi, schiacciando quanto rimasto. Cosa è rimasto?

Lucy si sta struccando davanti ad uno specchio consunto. Le ciglia nere, macchiate di liquido scuro, si disperdono in piccoli fili di lacrime sbiadite. La sua immagine riflessa mi raggiunge ovattata, e in quegli occhi così simili ai miei per durezza e mancanza di vita, scorgo la stessa tristezza che si concentra nel mio corpo.

La vedo in quell’antico specchio, e non posso fare a meno di pensare quanto le nostre vite si assomiglino, percorso strano che ci ha portato a conoscerci, contro la nostra volontà, contro il nostro parere.

La vedo. E non vorrei doverlo fare.

Lei, con la sua sola presenza, mi ricorda tutto lo schifo che sta attraversando la mia strada, mi ricorda cosa sono diventata, come sono diventata, e non posso guardare i suoi occhi senza vedere me stessa riflessa.

Lei, unico specchio della mia verità.

“ Credi che potremo continuare così? “

Una domanda cui, purtroppo, non trovo risposta. Una domanda posta per caso, con disperazione.

Faccio forza sulle mie gambe smagrite e mi avvicino a lei. Con un grosso sospiro, tento di esprimere in gesti quello che non riuscirei a dire con le parole.

“ Non lo so… non lo so

Lei si volta verso di me. Mi abbraccia.

Calore spento. Calore confuso. Restiamo attaccate, unite dallo stesso dolore, dalla stessa perdita, unite dal nostro essere così diverse eppure così uguali, cercando un conforto che non vediamo in nient’altro, che non riusciamo a trovare.

Mi stacco leggermente da lei, il palmo leggermente imperfetto della sua mano nel mio. Le accarezzo i capelli scuri e lucenti, sistemandoli in piccole ciocche dietro l’orecchio, e con uno sguardo comprensivo cerco di comunicargli tutta la mia gratitudine, tutta la mia riconoscenza, per esserci sempre stata da quando è accaduto tutto.

Perché tutto è successo… ed è successo troppo in fretta.

“ Devo andare… “

La mia voce è lontana, trasparente. Faccio fatica a distinguerla io stessa.

È un suono strozzato, contuso. Un suono pieno di angoscia e di speranza, un suono per chi ha troppe cose da dire e non ha la forza per farlo.

“ Ce la faremo ‘Mione, ce la faremo… “

E come in un canto mistico di innaturale bellezza, Lucy pronunciò le ultime parole del suo cammino, prima che una forza troppo prepotente e insaziabile come il destino, avesse deciso di scardinare il nostro legame.

Ce la faremo ‘Mione, ce la faremo

Non un bel modo di abbandonare la vita.

 

*** *** ***

 

Io lo faccio per mia madre. Nient’altro.

Se sono come sono, sporca più di quanto non lo sono mai stata, sudicia nelle viscere, nel cuore, se sono come sono adesso, lo faccio unicamente per lei. Per non offuscare il suo ricordo, il suo sorriso, per non disperdere in modo disdicevole il legame che ci concatenava, univa, reminescenza di qualcosa di profondo che purtroppo non esiste altro che nella mente.

Lo faccio per mia madre. Niente di più.

Ho imparato ad amare, a guardare le cose oltre alla loro falsa semplicità, perché è stata lei ad insegnarmelo, a farmelo capire; ho scoperto i valori, le ovvie conseguenze degli errori e degli sbagli, perché è stata lei ad aprirmi il cammino verso la conoscenza.

Io volevo bene a mia madre. Davvero.

Magari nell’ultimo periodo non sempre l’ho dimostrato, troppo impegnata com’ero a pensare alla mia vita, ai miei sciocchi obiettivi, alle mie effimere sensazioni, ma posso dire – in mia difesa – di avere nutrito per lei un affetto sconfinato, un amore inimmaginabile, quantificabile e quantificato, come spesso accade, solo nel momento della sua morte.

Troppo tardi ho capito i miei errori, le mie mancanze; troppo tardi ho riconosciuto cosa contava veramente, per trovarmi sola con il vuoto dentro, con la perdita incolmabile che solo il dolore riesce a conferire; troppo tardi ho lasciato stare l’orgoglio, strascicando scuse misere di diniego, protraendo la tensione accumulata su tutti e su tutto. Troppo tardi… lei non c’è più. Non con me. Non con altri.

Io lo faccio per mia madre. Perché so che lei lo avrebbe voluto.

Eseguisco gli ordini di un uomo che dovrebbe farmi da padre, quando il mio si è spento ormai da tanto tempo, e che mia madre ha amato, forse come non è mai riuscita ad amare me.

Io lo faccio per lei, perché questo è stato il suo ultimo desiderio.

Resta con lui. Resta con lui.

Ed io sono rimasta, da schiava quale sono, vicino alla sua presenza. Soffrendo miseramente, fingendo indifferenza, sottoponendomi alle sue violenze forzate, guardando la sua faccia sperando sadicamente di morire.

Io sono rimasta. L’ho fatto per lei.

E anche se non capisco come possa essere stata così cieca, così sorda, nell’apprendere la verità, nel comprendere che l’uomo che aveva davanti non era altro che feccia, io non posso far altro che pagare il mio tributo verso la mia coscienza, estinguere il dolore, giorno dopo giorno.

Molte ragazze, nella mia stessa condizione, stanno pagando per colpe che forse non sono neanche loro. Stanno decomponendo la loro anima per un uomo che non ha avuto pietà, che non ha avuto scrupolo.

Non ha importanza se veniamo sbattute in ogni momento da porci maiali che abusano di noi, se lui può avere il suo tornaconto. Non importa, e non è mai importato.

Ma un giorno tutto questo finirà… lo so.

Per il momento non ci resta che aspettare.

 

*** *** ***

 

Il sole è ormai tramontato. La notte si sta avvicinando.

Un corpo attaccato ad una colonna di pietra perde vistosamente sangue da un fianco.

Non un rumore si perde nell’aria, non un suono giunge all’esterno.

La figura di un uomo con i capelli rossi sembra l’unico motivo distorto in quel paesaggio di freddezza totale.

Che sia un’altra anima pronta a raggiungere il cielo?

 

Fine Primo Capitolo

 

 

Bene, la storia sta iniziando a prendere una sua forma, che dite?

Non so se sono stato molto chiaro, o se la lettura in generale vi è sembrata piuttosto pesante, ma credo che alcune cose debbano ancora essere omesse, restare poco chiare, in modo da seguire un filo logico più stabile con i capitoli che verranno. Non garantisco sulla velocità di pubblicazione, per ovvi motivi personali, ma con l’avvento prossimo delle feste di Natale, dovrei riuscire a scribacchiare qualcosa entro l’anno! ^^

 

Vorrei ringraziare quelle anime buone (e pie e sante e qualsiasi appellativo angelico esistente) per le recensioni da loro concesse. Vi adoro!

 

In ordine prettamente casuale:

-          Robby

-          Hermione Weasley

-          Nancy (Nox)

-          Phoebe80

-          Ciara

-          GiuliettaLestrange

-          Yelle

-          Ellie

 

Grazie mille, davvero!

Ovviamente vi sarei infinitamente grato, dall’alto della mia umile posizione, se foste così gentili da ripetere il gesto evangelico!

 

Ogni commentino è ben accetto!

 

Un saluto enorme

 

Nightmare

 

*** *** ***

 

Angolo degli annunci:

 

E’ stato aperto da un qualche mese un nuovo forum di Harry Potter molto carino. Abbiamo un gioco di ruolo, lo smistamento, e ogni settimana chi troverà la soluzione all'indovinello che l'Amministratore propone vincerà avatars, gift e animazioni riguardanti chiaramente Hp! Abbiamo bisogno di nuovi iscritti per salire nella Top 100! Quindi, perché non ci fate un salto? Ci farebbe davvero molto piacere.

 

Harry Potter Forum

 

Sento il bisogno di proporvi anche un altro forum! Non che io condivida i principi morali di questo sito, ma visto che è stato creato da 3 delle mie più care amiche, mi sembrava giusto segnalarlo!

Solo per chi odia, disprezza, ritiene indegna di ruolo di attrice… Emma Watson!

 

Anti-Emma Forum

 

Per coloro che volessero contattarmi, per parlare del forum o di qualsiasi altra cosa, accludo il mio indirizzo e-mail e il mio indirizzo MSN:

 

godhands89@yahoo.it

nightmare899@hotmail.it

 

 

 

<< Un grazie infinito al cielo, per avermi donato le stelle… >>

 

Nightmare

 

Continua!!!

 

 

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