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Autore: Maximus Lupin    14/01/2011    1 recensioni
In questa prima storia Maximus Lupin, un ragazzo di quattordici anni parente del famoso licantropo Remus Lupin, scopre di essere un mago e mentre si avvia verso Hogwarts viene morso da un lupo mannaro, che lo condanna ad una esistenza simile a quella del suo parente..
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tic toc, tic toc. "Ahia che dolore la testa. Ma cos'è questo rumore? Forse la domestica dell'orfanotrofio ha messo un nuovo orologio nella mia camera" pensai. Poi aprii gli occhi. Mi trovavo in una stanza d'ospedale e l'orologio in questione era appeso alla parete di fronte a me. Però non era un orologio normale. Sul quadrante c'erano i nomi dei.. Medimaghi?! Cosa diavolo erano i medimaghi? "Ok ragiona. Sei in un ospedale perchè ieri un cane di dimensioni enormi ti ha morso il braccio e questo orologio è solo uno scherzo di cattivo gusto". Sì, doveva essere per forza così. Ad un tratto sentii bussare alla porta - Avanti!- esclamai. Nella stanza entrò un dottore che appena mi vide esclamò sorridendo - Oh ma come sta oggi il nostro lupo mannaro?-. "Lupo mannaro? Ma mi prendi in giro?" pensai e lo guardai stupito. - Secondo il calendario lunare- continuò il dottore - Dovresti trasformarti questa sera. Ti avverto, da quanto ho studiato è una cosa molto dolorosa (almeno la prima volta). Poi dalla seconda in poi dovresti essere in grado di controllare il dolore-. Continuai a guardarlo stupito. Durante tutto il suo "discorso" non aveva smesso di sorridere. Allora gli dissi - No, scusi, ma mi prende in giro? Dove mi trovo? Dov'è la direttrice del mio orfanotrofio?-. Lui mi guardò (sempre sorridendo) e rispose - No, non ti sto prendendo in giro. Alla direttrice del tuo orfanotrofio è stata cancellata la memoria, se ti vedesse ora non saprebbe assolutamente riconoscerti-. Detto questo si congedò con un inchino e se ne andò. Ero sempre più confuso. Guardai il mio orologio da polso. Segnava le sei del pomeriggio. "Dovresti trasformarti questa sera". Ma cosa avrà voluto dire? Visto che mi sentivo incredibilmente stanco risistemai le coperte e mi misi a dormire. Dopo qualche ora un'infermiera sulla trentina mi svegliò e sussurò al mio orecchio - Tra venti minuti ci sarà la trasformazione. Seguimi, in giardino riusciremo a controllarti meglio-. Decisi di non fare domande ed obbedii. Giungemmo al giardino interno dell'ospedale. C'era un piccolo gruppo di medici e tra loro riconobbi il dottore di prima. Appena mi videro sorrisero tutti in modo leggermente malinconico e mi invitarono a mettermi al centro del giardino. Guardai il cielo e vidi che la luna era coperta. Aspettai. D'un tratto una nuvola si scansò ed il disco lunare si mostrò in tutta la sua bellezza. Sentii le mie pupille stringersi sempre di più, fino a farmi male. Un dolore alla schiena mi fece piegare in avanti. Mi gettai in ginocchio mentre sentivo il mio corpo ingrandirsi sempre di più, fino a strappare i vestiti. D'un tratto, com'era iniziato, finì. Mi alzai. Credetti di essere una specie di gigante, visto che i medici ora mi sembravano degli gnomi. Cacciai la testa all'indietro ed ululai. Quando ebbi terminato abbassai lo sguardo e fissai i medici. Mi guardarono per un istante terrorizzati, ma poi iniziarono a lanciarmi carcasse di pecore. Non so cosa mi spinse a farlo, ma mi lanciai sui cadaveri di quelle bestie ed iniziai a mangiarle, strappando loro le viscere e riempendomi la bocca di sangue. Non credo sia stato un bello spettacolo da vedere, ma non potevo farne a meno. Continuai a mangiare per altri dieci minuti. Quando terminai, mi ersi in tutta la mia nuova statura e sentii la voglia di correre. Iniziai a farlo, ma i medici appena videro le mie intenzioni tirarono fuori dei minuscoli pezzi di legno, dai quali scaturirono fiotti di luce rossa. Caddi a terra stordito. Mi lasciarono lì per qualche ora e quando tornarono videro che avevo ripreso le mie sembianze umane. Così mi trasportarono dentro l'ospedale e mi adagiarono sul lettino.
  
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