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Autore: Tury    02/02/2011    3 recensioni
Un fischio, il silenzio e dopo l’esplosione. Se dovessi dare un suono alla mia vita, darei quello prodotto da una bomba. Da quel che ricordo la guerra è sempre stata la mia realtà. Correre, nascondersi, uccidere. Uccidere, uccidere, uccidere. Perché questa è la politica che vige sul campo di battaglia, perché è sempre il più forte a sopravvivere, perché…
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La donna di prima esce.
“Signorina Le Preau l’avverto, non tollererò oltre questi suoi comportamenti.”
“Mi scusi. Non si ripeterà più…”
“Lo voglio sperare. Ora ritorni in classe e presti attenzione alle prossime lezioni.”
“Certamente.”

Appena la donna si allontana, Sophie mi dice di andarmene, di lasciarla in pace.
“E dove dovrei andare?”
“In qualsiasi posto, basta che sia lontano da me. Mi stai solo causando danni, i miei amici mi credono pazza. E tutto per colpa tua!”
“Non l’ho mica deciso io. E poi devi aiutarmi, devo tornare dai miei compagni!”
“Tornaci da sola dai tuoi compagni, sai quanto me ne importa?”
“Sophie…”
“Ho lezione.”
Entra nella stanza. Non la seguo. Sono fuori dall’edificio, mi giro verso quelle mura di vetro e la vedo. Appena si accorge che la sto osservando volta il suo sguardo. Ha detto che non vuole altri problemi a causa mia, ma io adesso che faccio? Non so dove andare e qui nessuno mi vede.
Cammino tra le persone. Non mi preoccupo nemmeno di scansarli, tanto tutti mi passano attraverso. Tutti tranne Sophie…che sia lei la ragazza? Se fosse realmente così sarebbe una gran seccatura. Ragazza più capricciosa e superba non poteva capitarmi. Qualcosa mi spinge a fermarmi. Questo… è il suo profumo? Mi fermo di fronte ad un ammasso di cemento. Decido di entrare, guidata dalla scia di quell’odore, ma qualcosa sul portone mi impedisce di attraversarlo. Dopo vari tentativi decido di passare attraverso il muro. Ma perché prima non sono riuscita ad attraversare il portone? Tutto questo è troppo strano. Salgo le scale, seguendo ancora quell’odore. Un attimo… sto salendo delle scale? Io non dovrei riuscirci, dovrei passarvi attraverso, non salirle. Non ci capisco nulla. All’improvviso il profumo si fa più intenso e mi ritrovo di fronte ad un’altra porta. Provo ad attraversarla ma, come successo prima, non ci riesco. Passo di nuovo attraverso il muro. Mi ritrovo in una stanza. Due occhi attirano la mia attenzione. Sulla parente che mi fronteggia c’è il suo viso: Sophie. Sorride, che sorpresa, non la credevo mica capace di tanto. Sorrido appena al pensiero. Questa deve essere la sua base, anche se è più colorata di quelle a cui ero abituata. Molto più colorata… Al centro della stanza c’è un letto ma, diversamente a quelli a cui ero abituata, di legno, questo sembra morbido. Mi avvicino e mi siedo sopra. È proprio morbido. Presa dall’euforia inizio a fare capriole e tra una risata e l’altra non mi accorgo del tempo passato.
“Che ci fai in camera mia?” eccola, la sua dolce e melodiosa voce. Scoppio a ridere a questo pensiero, ovviamente sarcastico.
“Che cavolo hai da ridere?” mi volto verso di lei, so che la farò innervosire ancora di più ma non riesco a trattenere un’altra risata.
“FUORI DA CASA MIA!”
“Scusa.” Ho ancora voglia di ridere ma mi trattengo. Penso che sia la prima volta che rido così tanto.
“Cosa?”
“Ti ho chiesto scusa. Immagino non sia piacevole tornare a casa, trovare un’estranea sul tuo letto che ti ride in faccia e non ti degna della minima attenzione.”
“Già, non è piacevole, anzi alquanto irritante.”
“Scusa, è che non avevo mai riso così tanto. Sai, in guerra non puoi permetterti distrazioni, figurati se puoi ridere. Devi essere concentrata sul nemico, mirarlo, ucciderlo e nello stesso tempo devi assicurarti di non essere nel mirino di qualcuno.”
“Mi fai quasi paura quando parli della guerra, il tuo sguardo diventa di ghiaccio. Non ci posso credere che l’hai vissuta davvero. Guardati! Quanti anni avrai? Diciannove, venti massimo?”
“Non lo so. Sul campo di battaglia l’età non conta molto. Siamo tutti umani, tutti capaci di uccidere ed essere uccisi.”
La vedo tremare appena. Forse sono stata troppo dura con lei. Per chi non la conosce, la guerra appare orribile, terrificante. Pensandoci bene, lo è anche per chi la combatte. E allora perché gli uomini si uccidono se la morte fa così paura? Rivolgo di nuovo la mia attenzione alla ragazza. È ancora in piedi e non ha aperto bocca. Provo a farle dimenticare quanto le ho detto.
“Allora! Come è andata la giornata?”
“Bene, dopo la prima ora.” e detto questo mi lancia un’occhiataccia. Io le sorrido di rimando. Sì, lo so, è stata colpa mia, ma lei mica si è stata zitta quando io ho smesso di parlarle!
“La colpa non è totalmente mia. Se avessi seguito la spiegazione, come ti era stato richiesto, non avresti  fatto quella fine.” detto questo mi lascio andare sul letto.
“TI piace?” mi alzo appena per guardarla.
“Cosa?”
“Il letto.” Le rispondo con un sorriso.
“Deduco che la tua risposta sia un sì.”
“Deduci bene.”
“Se vuoi puoi dormirci.” La guardo sorpresa.
“Mi stai lasciando il tuo letto?”
“C’è un divano di là, posso dormire lì.”
“E, sentiamo, perché lo staresti facendo?”
“Tu grazie non lo sai dire?”
“No, ma se continui così mi sa che imparerò presto.”
“Domani dovrai andartene.”
“Dicevo io che era troppo bello per essere vero. Sophie Le Preau è gentile con me. No, troppo surreale. Impossibile!” la vedo abbassare la testa e sospirare. Credo di aver esagerato ancora.
“Ehi… scherzavo! E poi il letto è abbastanza grande per ospitare entrambe. A proposito, vivi da sola qui?”
“I miei genitori sono morti quando ero giovane- dicendo questo si siede al mio fianco- e mia nonna da quel momento si prese cura di me.”
“E ora lei dov’è?”
“È morta…” ho sbagliato ancora. Ho nettamente sbagliato ancora.
“Mi dispiace...” mi guarda e mi dice di non preoccuparmi, quasi come se avesse letto nel mio pensiero. L’ho ferita facendole quella domanda, inutile che provi a nasconderlo. Io non ho mai avuto una famiglia, però sul campo avevo un amico. Il mio unico vero amico. Eravamo come…fratelli? Sì, forse eravamo così. Ed è morto tra le mie braccia. Io non so cosa significhi avere una famiglia ma, forse, so cosa significa perdere qualcuno di caro. Sophie si accorge del mio strano silenzio e mi distrae dai miei pensieri invitandomi in cucina. Se solo sapessi cos’è una cucina!
“Ehm… Sophie, cos’è una cucina?” mi guarda un attimo stupita, poi mi sorride. Forse si è ricordata che nel mondo in cui ho vissuto non c’era nulla di tutto questo. Mi prende per mano e mi sussurra un semplice “ti faccio vedere”.
Mi porta in un’altra stanza. C’è un tavolo con quattro sedie e sulla nostra destra una cassa metallica rossa. Mi ricorda qualcosa… sembra il mostro che stamattina mi inseguiva, pronto a mangiarmi.
“Sembra quel mostro…” Sophie mi rivolge uno sguardo interrogativo.
“Ti ricordi? Stamattina, il mostro che mi inseguiva. Dove ci siamo incontrate.”
“Ti riferisci al camion?” la guardo perplessa e lei scoppia a ridere.
“Farah, quello che ti inseguiva stamattina era un camion. Anche se in realtà non ti inseguiva per nulla.”
“Come no! Mi correva dietro!”
“No, eri tu ad essere sulla strada quando è scattato il verde.”
“Il verde?”
“Farah-è la seconda volta che mi chiama per nome- quei mostri ci permettono di spostarci con più facilità e di impiegare minor tempo per raggiungere un determinato luogo. Se usassimo le nostre gambe come mezzo di trasporto impiegheremmo certamente più tempo. Ma, come hai notato, quei mostri sono pericolosi per noi, così per evitare incidenti e morti inutili hanno creato un semaforo. Il semaforo ti fa capire quando puoi passare senza il rischio di uccidere persone e quando devi fermarti, per permettere a chi cammina di attraversare la strada. La strada è il luogo che i mostri sono autorizzati ad usare per spostarsi.”
“Ah, capisco. Cosa sono quelli?” indico dei cerchi su una lastra grigia.
“Quello è il piano cottura. -tenendomi ancora la mano mi porta vicino a quello strano oggetto- Vedi questi fori? Da qui esce il gas, che se messo a contatto con una fiamma prende fuoco.”
“Straordinario!” ride a questa mia esclamazione.
“Scusa… “
“Sì, capisco, non sei abituata.” mi interrompe lei. “Beh, hai fame?”
Da quando mi trovo in questo strano mondo non ho mai avuto fame.
“Veramente no.”
“Allora mi fai compagnia?” le sorrido e annuisco.
La vedo cucinare, mettere la sua cena in un piatto e mangiare il frutto del suo lavoro. Dopo aver lavato tutto ed essersi cambiata, andiamo nella sua stanza e ci stendiamo sul letto. Dopo qualche risata lei si addormenta, lasciandomi sola con i miei pensieri.
  
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