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Autore: Delilah Marsowe    13/03/2011    3 recensioni
Basta una frase di Platone per far cambiare la tua vita? E' proprio quello che accade alla diciassettenne Diana quando, durante una lezione di filosofia, legge una frase sull'amore del filosofo e le basta alzare lo sguardo per capire che da quel momento in poi si sarebbe ritrovata tra due "fuochi", perchè il suo compagno di classe, Danilo, smette di ignorarla e Aaron, un ragazzo tanto enigmatico quanto affascinante, inizia a guardarla.
Se prima aveva desiderato tanto l'amore, ora non sa che fare: si ritrova ad un bivio, dove dovrà cercare di capire quello che sente e quello di cui ha davvero bisogno!
Forse Platone aveva ragione? Davvero quando ci si innamora si perde letteralmente la testa e si fanno le cose più impensate?
Dal capitolo:
«Sei bella!». Solo due parole e otto lettere, mischiate al blu scuro dei suoi occhi, che mi fissavano intensamente, come aveva fatto poco prima.
Non avevo la capacità di parlare, ero completamente in balia del suo sguardo e della consapevolezza che lui mi avesse detto che ero bella, così senza alcun motivo o preavviso, e questo mi aveva lasciato così spiazzata da non sapere cosa rispondere.
Stavo tentando di articolare qualche frase di senso compiuto, che non contenesse solo risposte a monosillabi, quando la porta della classe si aprì e rivelò le figure di Aaron Palmieri e Michele Graziani, che consegnarono qualcosa alla professoressa, ma non riuscii a capire cosa. In quel momento, ero troppo confusa per poter pensare qualcosa di concreto, ma non perché non avessi mai ricevuto un complimento, bensì perché, ricevuto da lui, che mi aveva ignorata per tantissimo tempo, mi sembrò la cosa più strana che mi fosse mai capitata.
Cercai di scuotermi dal mio stato di torpore e ci riuscii appena in tempo per vedere i due ragazzi che uscivano dalla classe, ma non prima di aver notato lo sguardo di Aaron puntato su di me.
Uno sguardo intenso, nient’altro e nulla più, ma intenso era dire poco considerato l’azzurro ghiaccio dei suoi occhi, che in quel momento mi sembrarono così vicini. Uno sguardo che sembrava dirmi tutto e niente allo stesso tempo, enigmatico, come io avevo sempre immaginato fosse il suo carattere.
Fece solo questo prima di andarsene e segnare il suono della campanella che avrebbe fatto tornare la classe nella sua totale anormalità.
Ma niente e nessuno avrebbe mai potuto farmi dimenticare lo sguardo che Aaron mi aveva lanciato.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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C a p i t o l o  2.
Incontro ravvicinato?

!Quando si ci innamora si perde
letteralmente la testa.
L'amore è pazzia,
ma la pazzia non sempre è un male!
!Platone

 

<< Cosa? Ti ha detto proprio così? >>. L’espressione di Paola rasentava lo stupore per quello che avevo appena finito di raccontare. Annuii con il capo alla sua domanda e la sua espressione si tramutò in pura felicità, che prese vita attraverso un grande sorriso.
Fuori la classe, appoggiate alla finestra, che dava sul cortile della scuola, avevo raccontato tutto quello che era successo il giorno precedente, comprese le ultime parole di Danilo e lo strano sguardo di Aaron, e avevo potuto notare quanto le mie amiche fossero rimaste piacevolmente sconvolte.
<< Aaah, e non sei contenta? Tu, che gli hai risposto? >>, mi chiese felicissima, con un’espressione talmente esitante nel voler conoscere la risposta che mi fece quasi ridere. In realtà, ridevo perché non avevo il coraggio di rivelare quello che avevo avuto il coraggio di rispondergli. Nel momento in cui avevo detto quella semplice parola, avrei voluto sprofondare dieci miglia sotto terra, tanta era la figura che mi sembrava di aver fatto.
<< Già! >>
<< Eh? >>. Dovevo ammetterlo: forse non mi ero espressa bene.
<< Gli ho risposto: “già” >>, confessai la mia infelice risposta, diventando completamente rossa per la vergogna, tanto che mi coprii il volto con le mani.
Quando alzai lo sguardo, le trovai che mi fissavano allibite: il loro viso non aveva nessuna espressione se non quella di incredulità, perché sapevo che non volevano credere a quello che avevo appena detto, mista a delusione.
<< E ti sembra normale quello che gli hai risposto? >>
<< In effetti… no! Ma non sapevo cosa dire >>, dissi, tentando di discolparmi, ma sfortunatamente anche io sapevo che non era assolutamente possibile.
<< Oh, ci sono tantissime cose che avresti potuto dire, come “Grazie!” oppure “Danilo, sei bellissimo e ti salterei addosso!” >>. Come sempre, Viola non riusciva a non scherzare in ogni momento che le capitava, cosa che mi fece sorridere non poco. Erano quotidiane queste sue battutine, a volte non sempre inerenti al contesto, ma che riuscivano sempre a strappare un sorriso, persino nei momenti più difficili o noiosi, in cui non si sapeva cosa fare o cosa dire.
Viola era sempre stata così, sempre dolce con tutti, sempre una buona parola per tutti, un’immagine che tuttavia la faceva apparire quasi timida, impacciata e silenziosa, cosa per niente vera. Con noi, o con le persone di cui si fidava, era sempre diversa e solo pochi avevano potuto conoscere la vera Viola, sempre scherzosa e in movimento, come se stesse ballando in continuazione… e con la battuta pronta.
<< Viola, serietà per favore! >>, disse Paola, facendo un cenno della testa che voleva dire ammonimento, ma senza trattenere un sorrisino. Poi, si rivolse a me: << Tu, invece, non ridere che qui la faccenda è seria! Avresti potuto dirgli qualsiasi cosa, anche un semplice grazie o un sorriso o avresti potuto mandare avanti la conversazione >>. Paola, al contrario, era il perfetto opposto di Viola, come l’olio e l’aceto. Era sempre stata la più saggia tra noi. Aveva sempre la parola giusta al momento giusto e sapeva confortarci continuamente nei momenti tristi o di difficoltà, non nascondendo, tuttavia, il suo animo romantico, che aveva trovato fine nel suo amore per Jacopo. Si erano fidanzati il primo anno di liceo e da allora non si erano più lasciati: sempre insieme e senza mai separarsi. A detta di tutte noi, erano una bellissima coppia: dolci e follemente innamorati l'uno dell'altra, accomunati da tantissime passioni, ma soprattutto dalla musica, tanto che la "loro" canzone era diventata "All you need is love", consigliata da noi, ovviamente, che credevamo che li rappresentasse perfettamente. Si completavano a vicenda ed ero sicura che il giorno in cui mi sarei fidanzata avrei voluto vivere una storia come la loro.
Sospirai. << Pà, tu hai ragione, ma mettiti nei miei panni, non avrei potuto fare altrimenti. C’era anche… >>
<< Oh, ti prego! Se stai per parlare di quell’idiota di Palmieri, risparmiami! >>. Era stata Viola ad interrompermi e in quel momento ricordai che, fin dal momento in cui lo avevamo giudicato di più “bello” e io le avevo raccontato di una delle mie fantasticherie su di lui, aveva incominciato a non nutrire una grande simpatia per quel ragazzo. Probabilmente era perché lo vedeva troppo sicuro di sé e inavvicinabile, come se lui, conoscendo la sua situazione, se ne vantasse in qualche modo, o forse perché…
<< Sinceramente, ti vedo meglio con Danilo! >> Ecco, appunto. Avevo dimenticato la sua fervida fantasia e tutti i film che si era fatta su me e il nostro compagno di classe.
<< Lascia stare Viola, qua non ne esce niente, proprio come Monica, che ora ha inventato un nuovo modo di flirtare >>, mi zittì Paola, prima che potessi controbattere, indicando la nostra amica dai capelli “sfortunati”, che in quel momento stava cantando “Con un brivido felino”, interrompendosi immediatamente non appena si sentì chiamata in causa.
<< Si, certo un… cosa? No, dico, ma sei impazzita? Cosa avrei inventato io? >>. Occhi sgranati e sopracciglia corrugate a caratterizzarla, ovviamente.
<< Vedi, da quando si è fissata con la canzone di Mina e di Celentano, non fa altro che cantarla sotto la doccia >>, continuò lei imperterrita, ignorando i suo tentativi di zittirla, prima che potesse rivelare qualcosa.
<< Così, Claudio lo ha saputo e ogni volta che la vede incomincia a cantarla, lanciandole molti occhiolini e ammiccamenti! >>. Riuscì a finire appena in tempo la frase che proprio in quel momento, passò Claudio, che si stava avviando verso la sua classe, fischiettando il motivetto della canzone, tanto da fare uscire un suono infastidito, che doveva assomigliare ad un grugnito, dalla mia amica, e delle forti risate da parte nostra.
<< Wow, Mò, non ti facevo così intraprendente! >>. L’affermazione, mischiata alla risata, di Viola arrivò al momento giusto… con la risposta giusta.
<< Sarà, ma non sono io quella che sbava dietro ad un ragazzo dell’ultimo anno. Un tal Sergio Grifo, se non sbaglio! >>. Era evidente l’esigenza di Monica di vendicarsi e io non potei altro che osservare con un certo divertimento il suo ghigno, che era appena apparso, e l’espressione stupefatta di Viola.
<< Ma… ma… io non gli sbavo dietro, cosa dici? La nostra è una conversazione intensa, fatta di sguardi! >>, asserì soddisfatta della propria risposta, ma questa non fece altro che alimentare una mia, o meglio nostra, convinzione: Viola era cotta di quel ragazzo come non lo era stata per nessun’altro e, probabilmente, l’espressione “sbavare dietro” era un po’ troppo avventata e inveritiera, ma era quella che in quel momento qualsiasi persona che fosse passata avrebbe usato, vista la sua faccia estremamente convinta di aver raggiunto un buon risultato con quegli sguardi.
<< Si, di sguardi inconcludenti, proprio come Diana, no? >>
<< Eh? >>. Un momento, che c’entravo io? Perché all’improvviso mi avevano tirato in causa?
<< Ma almeno io concludo qualcosa, non come lei, che non sa mai che fare e non riesce a rispondere ad un ragazzo, che è evidente che è attratto da lei! >>. STOP! Mi ero persa qualche passaggio! Da quando ero diventata l’inconcludente di turno, che non sa mai cosa fare e chissà cos’altro? Dovevo fermare quella bizzarra discussione, iniziata quasi bene e finita con lo sbattermi in faccia dei pezzi di verità.
<< Ehi, ehi, ehi, ferme un attimo! Punto uno: Monica, non negare, la vostra situazione è alquanto stramba… >>. Poi, quando lei fece per dire qualcosa, aggiunsi subito: << … e si, si nota lontano un miglio che siete attratti l’uno dall’altra. Punto due: Viola, sappiamo tutte che tra di voi c’è sempre uno scambio di sguardi, ma solo questo non porta quasi sempre a niente, e lo sai. Punto tre: smettiamola di dire che per me è adatto solo Danilo! Ci sono moltissimi ragazzi al mondo! E punto quattro… >>
<< Punto quattro, oggi devi venire a vedere la partita! >>.
Tutto accadde in un attimo: le parole appena sussurrate, ma che probabilmente tutte le presenti avevano sentito, il braccio che circondava le spalle, con fare possessivo, e il suo volto posto a pochi centimetri dal mio, con la sua bocca accanto al mio orecchio, portandomi inevitabilmente ad arrossire senza alcun motivo.
Cacchio!
Cercai di recuperare un contegno e mi voltai nella sua direzione, rispecchiandomi ancora una volta in quegli occhi blu notte.
<< Mi hai fatto prendere un colpo >>, sussurrai appena, ponendomi una mano sul petto con fare teatrale, come se fossi rimasta sconvolta, quando sul serio stavo cercando di darmi una calmata. In fondo, si era trattato di sentire solo il suo respiro quasi sul mio collo, come se nulla fosse, roba da niente!
<< Era quello che speravo >>, disse allora, mostrando uno dei suoi sorrisi che facevano perdere un battito. Cavolo, dovevo darmi una calmata. Il problema era che il modo in cui era arrivato ed aveva interrotto la discussione mi aveva colto così di sorpresa, da lasciarmi senza fiato e completamente impreparata, soprattutto perché temevo avesse ascoltato una parte della conversazione, proprio quella che non avrebbe dovuto sentire.
Sorrisi anche io di rimando, sentendo quasi un piccolo sospiro alle mie spalle, che capii proveniva dalle mie simpatiche amiche.
<< Non voglio farti perdere troppo tempo, ma volevo chiederti se avevi ricevuto il mio messaggio su Facebook >>. Porca miseria, QUEL messaggio!
<< Messaggio? >>. La curiosità eccessiva di Paola lo costrinse a voltarsi verso di lei e a spiegare meglio proprio quello che avevo tentato di nascondere.
<< Si, quello in cui la invitavo alla partita di calcio di oggi perché… >>. Un momento di sospensione, in cui mi rivolse uno sguardo indecifrabile, come se volesse dirmi in quel momento tutto quello che sapevo avrebbe voluto dirmi quel giorno. <<… perché devo parlarle >>… di una cosa che non posso più tenere per me. Questo era quello che aveva scritto affianco al “ti devo parlare” del messaggio e già in quel momento avevo provato una scarica di adrenalina enorme, che mi aveva fatto battere il cuore a mille per un bel po’, ma le parole che, invece, aveva appena sussurrato, erano diverse, con una nota nuova, quasi dolce e esitante.
Sentivo dietro di me i bisbigli delle altre: chissà cosa stavano pensando in quel momento, ma non me ne curai. Dovevo risolvere quella situazione alla svelta.
<< Si, l’ho letto, ma non posso venire purtroppo >>
<< Ma come? Sarà durante la nostra ora di educazione fisica, devi esserci >>
<< Si, Diana, devi andarci >>, aggiunse Monica, calcando molto sulla parola “devi”. Loro avevano perfettamente paura, ma in me c’era qualcosa che mi impediva di comportarmi come avrei dovuto, qualcosa che aveva il nome di paura… paura di innamorarmi. Sebbene cercassi così tanto l’amore e lo volessi con tutta me stessa, e non per dare finalmente il primo bacio, che era una questione per niente urgente e del tutto irrilevante per me, ma perché volevo finalmente capire cosa si provasse ad essere innamorati, a fidarsi completamente di qualcuno e ad abbandonarsi a qualcuno, avevo il timore di provare questo sentimento, e non perché fosse troppo presto, o non fossi pronta, o cose simili, ma perché avevo paura di sbagliarmi sulla persona che mi piaceva e che ora stavo guardando.
<< Lo so, ma il professore vuole che oggi mi metta a “lavorare” e non a perdere tempo >>. Era una scusa pessima, ma in quel momento non sapevo dire di meglio.
Poi, vedendo la sua espressione leggermente delusa, e vedendo il blu scuro dei suoi occhi quasi spegnersi, non seppi resistere: << Magari, però, dopo che ho finito, posso passare a vedervi giocare, che dici? >>
E in un lampo, vidi il suo volto animarsi, come se quello che gli avevo detto gli avesse illuminato la giornata e lo avesse reso il ragazzo più felice del mondo.
<< Allora, ci conto! >>, affermò, indossando le sue Ray-Ban nere, che lo caratterizzavano, e si avvicinò piano piano, fino a  darmi un piccolo bacio sulla guancia, rivolgendomi un occhiolino, prima di voltare le spalle e raggiungere Jacopo.
Rimasi per circa cinque minuti imbambolata, guardando il vuoto, soddisfatta come non mai di avergli detto di si, almeno in parte.
Ma dovevo ancora affrontare loro!
Quando le voltai, le trovai con un espressione contenta, mista a dubbio, dovuto sicuramente alla mia prima risposta.
<< Prometto che poi vi spiegherò >>, affermai, congiungendo le mani a mò di preghiera come a esortarle a non aggiungere nient’altro.
Monica mi si avvicinò, mettendomi una mano sulla spalla e sorridendomi. << Tranquilla, tutto il tempo che vuoi. E ora pensa a cose belle che potresti dare finalmente il tuo primo bacio! >>. Ecco, questa era l’unica parte che sapeva mi avrebbe portata a rincorrerla per tutta la scuola.
 
 
 
<< Noi incominciamo ad andare nello spogliatoio, tu vieni? >>. Sapevo a cosa si riferisse Paola: credevo che potessi cambiare idea sulla partita, ma nessuna era più decisa di me in quel momento.
<< Si, vengo tra poco, il tempo di posare la borsa >>.
Dopodiché, mimò un OK con la mano e si avviarono verso la porta che portava allo spogliatoio femminile, mentre io rimanevo nel piccolo corridoio, angolo dove venivano posate gli zaini e che portava alle due porte: spogliatoio maschile a destra e spogliatoio femminile a sinistra.
Una volta posata la borsa e preso il quaderno dove tenevo quel disegno, iniziato quella mattina e non finito, stavo per voltarmi, quando un “uragano”, che aveva il nome di Flaminia e Raffaele, mi travolse, facendomi scontrare contro tutti gli zaini, facendoli cadere e quasi aprire.
<< Ahi! >>, esclamai per la botta e osservando con orrore il disastro, che avevano creato quei due, correndo come dei batti in palestra. E, naturalmente, se ne erano già andati e mi avevano lasciata lì, con l’ingrato compito di raccogliere tutto, con una pazienza che nemmeno sapevo di avere.
Stavo cercando di fare il più in fretta possibile, tentando di recuperare tutti i quaderni e disporli in modo che i loro proprietari li avrebbero riconosciuti e presi, senza sapere che l’artefice ero stata io, o meglio “l’uragano”, quando…
<< Oh, vieni qua! >>. Una voce maschile molto forte, quasi minacciosa, con un tono alquanto irritato, mischiato, tuttavia, a quello che mi sembrò un tono scherzoso, tipico di uno che sta al gioco.
Poi, vidi un ragazzo uscire di corsa dallo spogliatoio maschile con qualcosa di nero in mano, qualcosa che identificai come una maglietta. E poi un suono frastornato di piedi che correvano veloci, un pugno leggero allo stipite della porta e Aaron Palmieri, quasi fuori da essa, a torso nudo, solo con jeans addosso, senza alcun senso di pudore. Se ne stava lì, fissando un punto imprecisato della porta d’ingresso, con quella che era l’ombra di un sorriso.
Dovevo ammetterlo: tutto quello che si diceva su di lui, che fosse bello senza alcun rivale, perfetto nei punti giusti, era assolutamente vero. Non avevo mai creduto che potesse esser possibile perché per me la perfezione era solo un dato soggettivo e avevo sempre creduto che le ragazzine innamorate esagerassero e che tutto ciò che dicevano fosse solo frutto di una mente innamorata, con ormoni in subbuglio, ma evidentemente mi ero sbagliata.
Piano piano, voltò la testa e solo allora si accorse della mia presenza e di nuovo i suoi occhi azzurro ghiaccio si fermarono su di me, percorrendo tutta la mia figura, pigro come la carezza di un gatto. Non rimasi a fissarlo, non riuscivo a guardare quegli occhi per più di un secondo, tanto erano magnetici; così, distolsi lo sguardo e tornai al mio “lavoro”.
<< Vuoi una mano? >>, mi chiese, vedendo all’improvviso la sua figura avvicinarsi sempre di più. Sembrava che non avesse alcuna intenzione di rivestirsi.
<< No, non ti preoccupare >>, lo liquidai con un sorriso, finendo di raccogliere l’ultimo zaino, ma la sfortuna volle che questo fosse troppo in bilico e che allora cadesse di nuovo, portandosi dietro una parte degli altri.
Sospirai esasperata al massimo per quella situazione e poi vidi delle mani iniziare a raccogliere tutto quello che c’era a terra e non ci volle molto perché capissi che Aaron non era di certo uno che lasciava perdere in fretta.
<< E’ la seconda volta che ti succede? >>, disse, riferendosi chiaramente al quel “lavoro”, con un piccolo sorriso, che riuscii a intravedere a malapena, essendo coperto dal viso abbassato e dai capelli.
<< Già, che seccatura! >>
<< Quando si va di fretta, accadono sempre degli imprevisti >>, asserì, alzando di poco il viso, quel tanto che bastava per permettermi di constatare che non mi ero sbagliata, perché il suo volto era davvero illuminato da un sorriso divertito.
Annuii. << Ma è una seccatura comunque, perché… ho già così tanti pensieri per la testa, con il fatto della partita e… >>. Mi bloccai appena in tempo! Che cavolo stavo facendo? Perché tutt’a un tratto avevo iniziato a dire quella cosa?
Dopo questa mia affermazione, bloccata appena in tempo per fortuna, calò un silenzio incredibile su di noi. Non sapevo cosa fare, se riprendere il discorso o lasciare che mi aiutasse e basta. Non avrei dovuto iniziare a parlare di pensieri e stupidaggini simili: in fondo, perché avrebbe dovuto interessargli? Incredibile come riuscissi sempre a rovinare i momenti perfetti: avrei dovuto mordermi la lingua.
E poi il silenzio fu smorzato dal suono della sua risata, mal trattenuta. Una risata che fece sorridere anche me, senza nemmeno sapere il perché.
<< Credi che sia stata la mia presenza? >>, chiese, alzando il volto, a pochi centimetri dal mio, e sfoderando un sorriso che era tutto dire.
<< Non credo che gli zaini possano provare emozioni >>, risposi, sorridendo anche io, piuttosto divertita, e alzandomi in piedi, come fece anche lui.
In risposta, arrivò una risata cristallina e molto piacevole. Ora avevo capito come faceva Aaron a far cadere tutti ai suoi piedi: il suo carisma! Il fatto di aver pronunciato una battuta simile solo per affievolire quel silenzio, dandomi la possibilità di non sentirmi in imbarazzo, aveva ricreato quel gioco di risate e sorrisi, che si era venuto a creare prima, segno che forse nemmeno lui aveva desiderato che quella conversazione finisse.
Rimanemmo per un po’ a guardarci in quel modo, con i residui di quei sorrisi, come se attorno a noi si fosse creata una sorta di bolla, che aveva approfondito un feeling che tra di noi non c’era mai stato, visto che non ci eravamo mai visti prima, o meglio conosciuti. Tuttavia, non ero molto sicura che lui sapesse il mio nome…
Poi, lo vidi mettersi una mano dietro la testa, in netto segno di imbarazzo, e tossì un po’. Era sul serio imbarazzato e mi sembrava anche il caso in quel momento di provarne un po’, vista la condizione in cui si trovava.
<< Sai, non succede sempre >>.
<< Cosa? >>, domandai confusa.
<< Questo… il… >>. Altro colpo di tosse, come per ricomporsi. << Di solito sono sempre io che porto via qualche vestito agli altri, per scherzo, quando non se ne accorgono, e loro ci ridono su, ma credo che questa volta abbiano trovato il pretesto per vendicarsi! >>. Aaah, ora si che avevo capito. Si riferiva al fatto della maglietta rubata. Avrei sfidato chiunque a volere che si coprisse in quel momento, ma probabilmente il disagio per lui era talmente forte che aveva sentito il bisogno di spiegarsi… o forse aveva provato solo il desiderio di farmi capire che di solito era lui quello che rompeva le scatole, e non viceversa.
Un attimo! Pretesto? Cosa voleva significare? In quel momento il mio povero cervello elaborò tante di quelle possibilità, che per un attimo pensai che quel “pretesto” fossi stata io.
<< Beh, doveva pur capitare anche a te, no? >>, dissi, con un sorriso, facendo spallucce. Ma da dove l’avevo cacciata tutta questa confidenza? Era ufficiale: un alieno si era impossessato del mio corpo e ora stava parlando al posto mio.
Alla mia affermazione, abbassò il braccio e assunse un’espressione completamente nuova: un sorriso malizioso prese possesso della sua bocca e gli occhi, se possibile, divennero ancora più enigmatici, e allora capii che aveva assunto la sua espressione di forza, quella che faceva cadere qualunque ragazza ai suoi piedi o che semplicemente sfoggiava quando aveva intenzione di pronunciare qualcosa, per cui quel sorriso ne fosse testimone.
Si avvicinò piano piano, come un gatto predatore che aveva puntato la sua preda, fino ad arrivare con il viso vicino al mio. << Forse si, ed è capitato proprio nel momento giusto, non trovi? >>.
Arrossii di colpo, abbassando inevitabilmente il viso, sebbene non ve avessi per niente l’intenzione, ma fu più forte di me. Vederlo così vicino a me e sentire quelle parole mi mandò in completo subbuglio.
Accidenti!
Eppure mi ero ripromessa che non mi sarei più comportata in questo modo, che mi sarei controllata, ma forse dovevo ancora lavorare su me stessa per poter diventare quella che volevo essere. Avrei tanto voluto non avere la capacità di arrossire per ogni più piccola cosa, ma, purtroppo, non era così e dovevo conviverci.
Mi schiarii la voce e, nonostante il viso arrossato, alzai lo sguardo e lo puntai dritto nei suoi occhi, cercando di assumere un’espressione che fosse non curante di quello che aveva detto il più possibile.
<< Già, come se fosse tutto calcolato, no? >>. E allora, lo vidi assumere una serie di espressioni repentine. La malizia sparì per un attimo dai suoi occhi, fino a diventare vero e puro stupore, come se non si aspettasse che gli avrei risposto in questo modo. Poi, ritornò alla sua espressione di sempre: enigmatica e una maschera di pura strafottenza, senza, tuttavia, nascondere il divertimento, che si leggeva palesemente nel suo sguardo.
Scosse la testa, sorridendo contemporaneamente, ma d’un tratto di fermò e lo vidi raccogliere qualcosa per terra, qualcosa che aveva tutta l’aria di un foglio un po’ piegato con un po’ di nero sopra, qualcosa che aveva tutta l’aria di…
Oh, cribbio!
Non mi mossi, né feci altro. Rimasi solamente immobile, come una statua, aspettando che si decidesse a parlare, mentre lo vedevo osservare attentamente il mio disegno, passandoci di tanto in tanto le dita sopra, come a voler tracciare il contorno delle figure.
Quando alzò lo sguardo e mi guardò, aveva cambiato nuovamente espressione e ora il suo viso era tutto un programma, un misto di incredulità e curiosità.
<< E’ davvero bello, vero? Chissà chi lo ha fatto… >>
<< Ecco… ehm… è mio >>, incespicai addirittura con le parole. Non era mio solito mostrare agli altri i miei disegni, o come li chiamavo io, scarabocchi, specialmente se non erano completi… e questo non lo era di certo.
Non appena mi accorsi che stava per aggiungere qualcosa, lo fermai sul tempo. << Però non è ancora finito e fa davvero schifo, perciò… >>, e con queste parole, glielo strappai subito di mano, quasi bruscamente, tanto che mi pentii quasi del modo che avevo usato.
<< Spero tu stia scherzando! Si prospetta un disegno stupendo! >>. Mi sembrava quasi assurdo, o meglio impossibile, che potesse dire una cosa del genere, ma mi convinsi, almeno per una volta, ad ascoltare il parere di qualcun altro quando si trattava di queste cose.
<< Il modo in cui il ramo del fiore di ciliegio e dell’iris si intrecciano è a dir poco spettacolare, come se volesse significare una vita intrecciata o complicata >>. Rimasi stupita alle sue parole: nessuno avrebbe mai potuto capire così alla perfezione il significato di quell’intreccio continuo dei gambi dei due fiori come aveva fatto lui, ed era strano perché nessuno prima d’ora era riuscito a comprendere il significato di un mio disegno.
<< E poi… questi occhi, disegnati un po’ in grande, come se fossero un po’ il significato implicito di quello che è ritratto qui sopra >>.
<< Già, in effetti è proprio così. Avevo anche intenzione di non lasciarlo in bianco e di aggiungerci un po’ di colore >>, rivelai.
<< E hai già deciso il colore degli occhi? >>
<< Mmm… avevo pensato a due colori, in verità. Per uno il verde… >>
<< Come i tuoi occhi >>, mi interruppe lui, ritrovandolo a fissarmi intensamente, ma anche in attesa che continuassi.
<< Si, ehm… e l’altro… mmm… >>. La verità era che ancora non avevo deciso il colore dell’altro occhio. All’inizio avevo optato per il nero, poi per il blu, ed ero rimasta ferma su questa posizione, ma ora…
L’azzurro mi attirava di più.
Lo vidi assumere un’espressione confusa e un po’ pensosa. << Sai che c’è? Ancora non ho deciso bene! >>, affermai, un po’ in imbarazzo.
<< Non importa. Sono sicuro che qualsiasi colore tu decida, sarà così perché dettato dal cuore, il luogo da cui proviene il disegno >>. Avrei voluto rispondergli e dirgli che aveva ragione, avrei voluto chiedergli come facesse a descrivere così alla perfezione i dipinti e a comprenderne i significati, avrei voluto sapere di più su di lui, avrei voluto dirgli il mio nome e, soprattutto, avrei voluto continuare a specchiarmi in quegli occhi azzurro ghiaccio, che all’apparenza sembravano freddi, ma in realtà non lo erano, ma non c’era più tempo. E forse, c’era qualcos’altro al di sotto di quella maschera di pura strafottenza e bellezza, che tutti gli attribuivano e che lui non poteva fare a meno di indossare. Aaron Palmieri, forse, era ben altro.
<< Diana Araldi! Vieni subito qui! >>. Eccola, la voce che aspettavo. L’adorata voce del prof. di educazione fisica, che prontamente mi ricordava che quella non era un’ora di svago e che avrei dovuto cambiarmi e fare ginnastica, cosa che avrei dovuto fare già da una buona mezz’ora.
<< Mi sa che devo andare! >>.
<< Già, lo credo anche io >>, disse, sorridendo un po’ e facendo spallucce.
<< Palmieri! >>. Un altro visitatore, arrivato giusto in tempo. Mi voltai per vedere chi fosse e mi accorsi che verso di noi si faceva avanti la figura di Michele Graziani, inseparabile amico di Aaron, con in mano la sua maglietta, che ora gli stava lanciando.
<< Graziani, la prossima volta me la paghi! >>, affermò lui, con fare irritato, indossando finalmente la maglietta.
<< Per così poco? Non è sempre quello che dici tu? >>. Doveva riferirsi ai suoi continui scherzi, dato lo sbuffo che provenne da Aaron, e io non potei fare a meno che ridacchiare.
Al che, Michele voltò la testa nella mia direzione. << Beh, però hai trovato una bella distrazione! >>, asserì, scherzando e muovendo il gomito nella sua direzione, ottenendo in risposta un incrocio delle braccia e uno scuotimento della testa, con tanto di sorriso.
<< Araldi! >>. Altro urlo, segno evidente che era proprio ora di andare e anche subito.
<< Devo scappare sul serio, ora! >>, dissi, prima di voltarmi in direzione dello spogliatoio femminile.
<< Ci vediamo in giro >>. Queste furono le sue ultime parole, ma non mi diede il tempo di rispondere perché, quando mi girai per ricambiare, se ne era già andato, volatilizzandosi così in fretta da farmi pensare che fosse solo un semplice sogno.
Ma, prima di aprire la porta, notai per terra un oggetto che luccicava, o che, per meglio dire, vibrava. Lo raccolsi subito e il nome del mittente era “Luana”; capii subito di chi si trattasse e anche di chi fosse il cellulare: Aaron Palmieri.



 


- L'angolo di Lady Delilah
E rieccomi qui, scusate davvero il ritardo, ma i problemi sono sempre gli stessi: studio, poco tempo a disposizione e altro, però alla fine sono sempre qui! :D
Ho risposto a tutte le recensioni e scusate se non mi dilungo molto, ma è davvero tardi e sono molto stanca! Per qualsiasi dubbio, potete chiedere direttamente, sarò felice di spiegarvi al meglio ogni cosa! :)
Vorrei ringraziare, però, tutte le persone che hanno inserito la storia tra le seguite e tra le preferite, davvero grazie di cuore, questo mi rende molto felice! *-*
Per quanto riguarda le altre due storie, vedrò di aggiornare il più in fretta possibile in questa settimana!
Spero vi piaccia e aspetto i vostri commenti!
Bacii! <3
   
 
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