Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
Segui la storia  |       
Autore: Arashinoharuka    15/03/2011    5 recensioni
Raccolta di oneshot sui pairing più svariati degli Avenged Sevenfold. Nothing great.
Enjoy 8D
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
{Genere: drammatico, erotico, thriller
Rating: arancione
Avvertimenti: AU, slash, what if?, song-fic,  non per stomaci delicati
Personaggi: Matt Shadows, Synyster Gates}
 
 
~You should’ve killed me when you had the chance.
 
 
So I say goodbye to a town that has ears and eyes.
I can hear you whispering as I walk by,
Familiar faces smiling back at me, and I knew
This would make them change.
Brian si guardò intorno ancora una volta, passando in rassegna le cinque paia di occhi che lo guardavano in attesa che mandasse avanti la conversazione. Ma per quanto lo riguardava,la conversazione era più che terminata. Guardò ancora una volta i suoi amici che dicevano qualcosa tra loro, i suoi genitori che lo fissavano apprensivi e addolorati. Poi, senza riuscire a sopportare oltre quella situazione, si alzò e intraprese la camminata apparentemente lunghissima fino alla salvezza della porta bianca coi vetri opacizzati e rinforzati con una rete metallica per non si sa quale scopo. Uno, due, tre passi, e doveva ancora superare i suoi genitori, doveva ancora passargli accanto e sopportare il bruciore dei loro sguardi così da vicino, oh chi cazzo aveva progettato quella sala visite.

Quattro, cinque, ora era a un passo dal lato del tavolo dove sedevano sua madre, suo padre, Zachary, James e Johnathan. Sei, sette, cinque facce che si voltavano chiedendosi perché?, otto nove la strada si faceva più semplice da percorrere dieci undici dodici tredici ed era arrivato alla porta.
Salvo.
Appena entrato nello stanzino che separava la sala visite dal corridoio d’ingresso della clinica, aspettò che la porta si chiudesse e la donna in camice bianco dall’altra parte della seconda porta dicesse ai tecnici di far scattare la serratura.
Clack.
Aprì la porta e con una faccia il più neutra possibile mentre sentiva la rabbia montare dentro il petto per le voci che arrivavano smorzate dalla sala, volevamo stare con lui, è possibile avere un’altra visita? Mi dispiace, signora, non siamo stati noi a decidere di interrompere la visita, se il paziente, poi la seconda porta si richiuse e le voci diventarono un’altro borbottio smorzato dentro le sue orecchie.
“Non ti fa piacere stare con loro?”, gli chiese dolcemente la donna in camice, che voleva che lui la chiamasse Ally e non ‘dottoressa Severson’ come diceva il cartellino appeso alla tasca del suo camice.
“Non ne avevo voglia”, rispose apatico.
Ally sorrise con uno di quei sorrisi condiscendenti che si fanno ai vecchi o ai bambini molto piccoli e gli appoggiò una mano sulla schiena, per rassicurarlo. “Non ti preoccupare, sono sicura che la prossima volta ti sentirai meglio. Vuoi tornare nella tua stanza?”
Brian annuì, distogliendo lo sguardo e stringendo i pugni fino a sentire le unghie lasciargli segni rossi nel palmo per soffocare il tremito di rabbia che, ogni volta che apriva bocca, Ally gli provocava.
Camminò a passi regolari con quelli di Ally lungo l’altro corridoio, più stretto, dentro l’ascensore, lungo un’altro corridoio ancora fino a una stanza anonima con il numero 419 scritto a caratteri neri sul vetro, anche quello opaco e rinforzato, come tutti i vetri delle porte della clinica.
Ally lo fece entrare e sorrise di nuovo. “Tra un’ora c’è il tuo appuntamento con il dottor Halloran. Torno a chiamarti, va bene?”, e senza aspettarsi una risposta richiuse la porta e sparì nel corridoio bianco.
Il problema maggiore di quel posto era che era tutto fottutamente troppo bianco. Le tute troppo arancioni, certo. Le coperte troppo blu, certo. Ma le pareti, le porte, i tavoli, le sedie, i camici dei dottori e degli inservienti erano decisamente troppo bianchi.
Anche le pareti di quella stanza, quel giorno erano bianche.
Bianche, con le striature rosse degli schizzi di sangue che colavano.
Come l’avevano guardato diversamente tutti, dopo.. Sapeva che li avrebbe fatti cambiare tutti. Infatti erano cambiati.
Ora lo guardavano come un malato mentale psicolabile schizofrenico chiuso in una clinica di salute mentale e riabilitazione.
E avevano perfettamente ragione.
The only thing that's going to bother me
Is that you'll all call yourselves my friends.
Se solo non si fossero presentati puntualmente ogni due settimane a pretendere di vederlo. Se solo non avessero fatto così finta di continuare ad amarlo dopo quello che era successo.
Why can't you look me in the eyes one last time?
Prima del processo non l’avevano voluto. Prima del processo che l’aveva dichiarato non colpevole e affetto da disturbi mentali gravi, nessuno di quelli che ora erano venuti a visitarlo avevano voluto, neanche per un momento guardarlo un’ultima volta negli occhi.

Perché aveva ucciso il loro migliore amico. Il migliore amico di Brian, per giunta.
Qualcuno direbbe che è naturale.
Qualcuno non riuscirebbe a guardarlo negli occhi nemmeno dopo. E questo l’avrebbe accettato. Quello che non accettava era la loro ipocrisia di credere fin troppo fermamente nelle cure psichiatriche che stava ricevendo, altrimenti dette ‘lavaggio del cervello’ o ‘lobotomia’.
The writings on the wall, you've read that I'll be gone, but if you call my name
Just know that I'll come running, for one more night to spare with you.
This is where I'm meant to be, please don't leave me.
Perché, andiamo. Sapevano che lui stava con Matt. Sapevano che Matt era uno stronzo. Sapevano che Brian lo amava, forse in un modo un po’ troppo possessivo, poteva concederglielo. Ma lo amava. 

Dopo quella sera invece, loro erano scomparsi e ogni due settimane tornavano alla clinica a fare finta di volergli bene.
Non era colpa sua. Era malato. Non era stato lui. Aveva avuto uno degli attacchi. Però se lo ricordava. Ma non era stato lui. Era stata la sua malattia. Era stata la voce dentro la sua testa.
I've read these stories a thousand times, and now I'll rewrite them all.
You're meddling in an anger you can't control.
He meant the world to me, so hold your serpent tongue.
Is a whore’s lies worth dying for?
I'll just take my time.
Se l’era ripetuto centinaia di volte ma non mancava mai di ripeterselo.

Avrebbe potuto fracassare la testa di Ally contro il muro in un paio di colpi.
Avrebbe potuto strangolarla nel giro di pochi minuti premendo con le dita sulla sua gola.
Avrebbe potuto prenderla a pugni finché non le avesse maciullato tutti gli organi interni fino a spappolarli.
Avrebbe potuto, ma gli stavano insegnando a non farlo. A trattenere la sua rabbia. A calmare la voce.
Se pensavano di farla sparire si sbagliavano di grosso.
Quella volta non aveva saputo come trattenerla. L’aveva lasciata guidarlo. La rabbia che montava spaventosamente.
Ma gli urli.
Non lo facevano dormire.
Gli urli di piacere di Matt.
Che chiamavano il nome di qualcun altro.
The only thing that's going to bother me
Is that you'll all call yourselves my friends.
Quando vieni tradito dal tuo amante ti aspetti dolore. Ti aspetti che la nausea ti sopraffaccia al solo pensiero. Ti aspetti lacrime, scenate, separazioni, scuse banali, baci non voluti o almeno non più, ti aspetti di voler rimanere da solo a leccarti le ferite e di non voler rivedere l’oggetto del desiderio.

Nessuna di queste cose aveva minimamente sfiorato il cuore di Brian.
Oh, come ricordava quando il nome che le labbra di Matt pronunciavano tra un ansito e l’altro era il suo.
Quando il corpo violato era il suo.
Quando la lingua che si intrecciava con quella di Matt era la sua.
Quando l’organo che le mani di Matt soddisfacevano a tempo con le proprie spinte era il suo.
Oh, si, quando l’orgasmo raggiunto in contemporanea univa le grida di loro due.
E, si, poi di nuovo le loro lingue che si cercavano e i polmoni alla ricerca di un po’ di ossigeno e l’avrebbero fatto di nuovo.
I walked into your house this morning,
I brought the gun from our end table,

Non sapeva come ci era finita, non sapeva nulla fino a quella sera, ma c’era una pistola nascosta sotto il sedile della sua auto e improvvisamente lo sapeva. La voce, diceva che era lì e lo aspettava.
Prima che la prendesse era passata qualche ora. E ormai era quasi mattina. Aveva controllato il caricatore della pistola ed era pieno.
Stringendosi il pollice dentro il pugno fino a sentire i legamenti che cedevano dolorosamente, era uscito dalla macchina, era entrato il più rumorosamente possibile a casa di Matt con la sua copia di chiavi.
“Matt.”, l’aveva chiamato.
Non aveva nascosto la pistola. A differenza sua, non aveva intenzione di nascondergli nulla.
Era comparso dalla sua camera e aveva avuto paura. E aveva detto qualcosa che Brian non aveva voglia di ascoltare, e non ci riusciva, perché tutto quello che sentiva era la voce nella sua testa che gli diceva, uccidilo, uccidilo, uccidilo.
L’aveva inseguito. Matt non era tipo da scappare come una ragazzina, indietreggiava e cercava di calmarlo, gli occhi che si riempivano sempre di più di terrore.
Brian vedeva la propria espressione riflessa nelle sue pupille. La propria maschera di odio e ira che stonava fin troppo con i suoi lineamenti marcati.
“Non scappare, Matt.”, gli disse a voce alta per farsi sentire sopra le parole intrise di terrore che balbettava lui.
Gli corse dietro, lo inseguì, e intanto la voce dentro la sua testa continuava, uccidilo, uccidilo, uccidilo.
Uccidilo, uccidilo, sparagli.
Uccidilo, uccidilo, uccidilo.
E il rumore dello sparo era stato più forte di quanto si aspettasse.
Your blood was strewn across the walls.
They'll find you on your bathroom floor, when I’m done.
E aveva guardato negli occhi color nocciola che guardavano lui come ultima cosa e aveva pensato avresti dovuto farmi fuori tu quando ne avevi la possibilità.

Poi aveva puntato la pistola sulla sua fronte, in mezzo agli occhi terrorizzati, sulla pelle bagnata da goccioline di sudore gelido, inginocchiandosi accanto al suo corpo che aveva disperati spasmi dei muscoli ormai fuori controllo.
La pozza di sangue si allargava troppo lentamente sul pavimento, non aveva colpito nessuna arteria importante, ci avrebbe messo giorni a morire dissanguato.
No, non voleva vederlo agonizzare.
Non voleva rischiare che si salvasse.
Gli fece una carezza leggera sulla guancia, sentendo il sadismo che gli faceva allargare le labbra in un sorriso.
Voleva ucciderlo.
Sorrideva mentre premeva la canna della pistola sulla fronte del suo amante e i suoi occhi lo guardavano con quello sguardo di disperazione di chi sta per morire.
Aggiustò la presa sulla postola.
Poi premette il grilletto, di nuovo.
Poi le fottute pareti bianche del bagno erano puntinate di rosso che subito cominciava a colare verso il basso formando graffiti incomprensibili sulla vernice.
E, oh, la seconda pozza di sangue fu molto più veloce a spargersi sul pavimento.
Non ti aspetti mai la quantità di sangue che un’arteria cerebrale può perdere. Quando la materia grigia è completamente spappolata, l’emorragia ti fa colare sangue denso di neuroni morti dagli occhi e dal naso. E i muscoli si rilassano. Gli occhi coperti da un velo di globuli rossi annacquati si riversano verso l’alto e le palpebre, quelle non si chiudono mai. Rimangono aperte e mostrano lo scempio che hai fatto della persona che amavi di più al mondo.
E tu ti dici che non ti sei mai sentito così bene.
E avvicini il viso alla testa fracassata, all’orecchio coperto dai capelli zuppi di sangue e frammenti di ossa bruciate e distrutte, e, ripeti,
But should I write it all off?
But should I write it all off?
(You should have killed me when you had the chance.)

“Avresti dovuto farmi fuori tu quando ne avevi la possibilità”.
 
 
 
 
 
 
 
Spero che abbiate letto gli avvertimenti prima di ritrovarvi catapultati in questa storia allucinante.D:
Scusate, non è nemmeno basata prettamente sul pairing in realtà, ma ripeto che l’ispirazione fa quello che vuole lei. Ieri sera ho avuto tipo lampo di genio con questa canzone e puff, è uscita questa oneshot qui.
La canzone è You Should’ve Killed Me When You Had The Chance degli A Day To Remember, è carinissima e spero la conosciate ^-^” il testo in alcuni punti è leggermente modificato dal femminile al maschile, capitemi, Matt non è una donna.
Ho messo gli avvertimenti in alto che non era per stomaci delicati perché so che quando scrivo cose del genere non mi rendo conto di quanto vado oltre. La descrizione del cadavere forse era un po’ troppo spinta. Scusatemi.>.>”
Detto ciò: grazie per le recensioni allo schifoso capitolo precedente °D° Moodswing Whiskey *datemi la forza per scrivere giusto il suo nome*, two_dollar_bill, Josie 182, mana___A7X, friem e Vibeke Vengeance_Sevenfold sono delle sante! YAY! Se c’è chi legge in silenzio e non recensisce che esca dall’ombra ù_ù
Quindi, spero di aver fatto un buon lavoro e di non aver infangato gli ADTR ç__________ç
So long now goodbye!
 
*Frankie
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold / Vai alla pagina dell'autore: Arashinoharuka