Occhi
di giada
- Che
dici? -
-
Assolutamente no –
Il silenziò calò, avvolgendo la stanza, regnando sovrano per qualche
secondo.
- E tu
che dici? -
- Non
se ne parla neanche –
E quel
re, spodestato per un attimo, salì nuovamente al trono.
I tre uomini fissavano il giornale, scambiandosi di tanto
in tanto un’occhiata incerta. Seduti attorno ad una scrivania mal
illuminata, la giornata ormai finita. Quello che era al centro non si arrese e
dopo aver fatto fare un giro alla sedia tornò alla carica:
- Siete sicuri? –
Gli altri due sorrisero, aprendo la bocca per rispondere
come era dovuto.
Non ci riuscirono, però, le parole che venivano interrotte
sul nascere dai passi che risuonarono chiari lungo il corridoio. Saltarono in
piedi in contemporanea, affaccendandosi per chiudere il giornale ed assumere
l’espressione più innocente possibile.
Chiunque, tuttavia, entrando in quella stanza avrebbe
sospettato qualcosa.
Chiunque, vedendoli tesi e tanto impegnati a coprire la
scrivania, avrebbe capito che qualcosa non andava. O che, più probabilmente,
erano loro ad aver fatto qualcosa che non andava fatto.
Chiunque, quindi, lo avrebbe capito. Figurarsi lei.
- Che facevate? -
- Niente – risposero i tre, in contemporanea,
mostrando sorrisi palesemente falsi.
Lei annuì, fintamente condiscendente, cercando di girare
attorno alla scrivania. Si muoveva piano, osservando attenta le mosse degli
uomini che a loro volta studiavano i movimenti di lei.
Si era spostata appena di qualche centimetro quando,
inaspettato, il telefono suonò:
- Beckett -
Ryan sospirò, guardando con sollievo le spalle che la
donna aveva rivolto loro: afferrò il giornale e lo passò ad Esposito che, tanto
abilmente quanto furtivamente, lo fece sparire all’interno di un
cassetto. Lì sarebbe stato al sicuro: sepolto fra verbali che di interessante
avevano ben poco.
- C’è mancato poco – sussurrò Castle,
sorridendo di sbieco e lasciandosi cadere su una sedia – Spero solo che
non sia un… -
- Un omicidio – disse Beckett, girandosi e chiudendo
lo slide del cellulare – Sulla Quinta avenue –
Castle fece una smorfia, borbottando qualcosa:
- Ma non c’è un orario di chiusura? – si
lamentò, guardando malevolo l’orologio che segnava un quarto d’ora
alle due di notte. O di mattina, a seconda dei punti di vista.
- Il crimine non dorme mai – affermò Ryan,
stringendosi nelle spalle e indossando il cappotto.
- Non sei costretto a venire, Castle – disse
Beckett, sistemando la fondina attorno alla vita – Ce la facciamo anche
senza di te –
- No, grazie, vengo – sorrise lui – Non ho
niente di meglio da fare –
Afferrò la giacca e si avviò verso l’ascensore.
Beckett, dietro di lui, sospirò: lanciò un’occhiata
alla scrivania, trovandola completamente vuota e scosse la testa. Entrando
nell’ascensore sorrise sorniona: una volta tornata in centrale avrebbe
controllato il cassetto dei verbali di Esposito.
*