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Autore: Nejiko    15/04/2011    6 recensioni
"Non era una delle sue giornate migliori, non lo era mai stata. Nonostante il tempo passasse, non avrebbe mai dimenticato. E non lo voleva nemmeno fare. Sembrava quasi desiderasse essere tormentato da quei ricordi, come se quella sofferenza potesse lavar via le sue colpe.
Odiava quel periodo dell’anno, lo odiava con tutto se stesso perché non era ancora riuscito a perdonarsi.
E non l’avrebbe mai fatto.
"
Kakashi Hatake aveva sempre lasciato che la vita gli scivolasse addosso, incapace di perdonarsi per la morte di Obito, un caro amico. Un'esistenza priva di legami profondi, almeno fino a quell'incontro.
Dedicata alle ragazze dell'Urd Café.
(SakuraxKakashi - KakashixSakura)
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Sakura Haruno, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'KakaSaku collection '
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Dedicata alle ragazze dell'Urd Café,
perché se sono tornata a scrivere
è solo merito vostro.











Non era una delle sue giornate migliori, non lo era mai stata. Nonostante il tempo passasse, non avrebbe mai dimenticato. E non lo voleva nemmeno fare. Sembrava quasi desiderasse essere tormentato da quei ricordi, come se quella sofferenza potesse lavar via le sue colpe.
Odiava quel periodo dell’anno, lo odiava con tutto se stesso perché non era ancora riuscito a perdonarsi.
E non l’avrebbe mai fatto.
 
 
 
Stravolgimi la vita
di Nejiko
 
 
 
 
Camminava svogliatamente, immerso nel fiume di persone che popolava il centro della città in quel movimentato sabato sera. Le insegne dei locali coloravano la via principale, piena nonostante l’ora tarda. La zona pedonale aveva permesso ai gestori di sistemare alcuni tavolini e le casse degli impianti audio all’aperto durante la bella stagione. Così, nascosti da piccole siepi ornamentali e ombrelloni aperti, se ne stavano seduti gruppetti d’amici pronti a far chiasso.
Il suo passo procedeva lento ma sicuro verso il solito locale, accompagnato dalla musica che animava a tratti la strada. Un groviglio di suoni vari e completamente diversi fra loro, che si mescolavano via via lungo il tragitto, ma che gli scivolavano addosso senza che se ne rendesse conto.
La leggera brezza serale gli solleticava il viso apparentemente annoiato. Anche se non era da lui sentirsi legato a certe tradizioni, non gli era possibile evitare quella che oramai era diventata una consuetudine. In fondo quella rimpatriata annuale era nata proprio per lui ed era certo che, se non si fosse fatto vivo, qualcuno di loro si sarebbe precipitato a prenderlo, per poi trascinarlo a peso morto sino al tavolino del pub.
Sospirò, alzando leggermente il capo per osservare l’insegna; era arrivato.
In ritardo, come al solito, ma s’era presentato. D’altra parte quello contava.
 
Ad attenderlo, oltre quella soglia, una serata fra soli uomini con poche regole: nessuna fidanzata o moglie, nessun muso lungo e fiumi di birra.
Birra…
Il sol pensare a quel liquido chiaro e dorato risvegliò in lui il ricordo della sbronza dell’anno precedente. Un brivido gli percorse la schiena.
Come dimenticarsi di una serata come quella…
Era rincasato in uno stato pietoso, sorretto da Tenzo che l’aveva abbandonato sul divano e coperto a casaccio con un piccolo plaid. Si era svegliato poi nel tardo pomeriggio seguente con un mal di testa atroce, incapace d’alzarsi e, come se non bastasse, gli ci era voluta una giornata intera per rimettersi vagamente in piedi e tornare a sembrare un essere umano.
Un altro sbuffo lasciò le sue labbra; non avrebbe fatto la stessa fine, questa volta non si sarebbe lasciato fregare.
 
Da fuori quel posto sembrava un buco. Probabilmente se non fosse stato un cliente abituale non ci sarebbe mai entrato.
Osservando l’intonaco vecchio della facciata e la porta logora non era difficile dedurre che quel bar non era certo in grado di reggere il paragone con i nuovi locali del centro, sicuramente più alla moda ed eleganti. Ma ciò che conta è il contenuto, non l’apparenza, e quel pub per lui era un posto speciale, diciamo pure che l’aveva visto crescere.
Entrò, sicuro che gli altri lo stessero aspettando imprecando contro quel suo dannato vizio. Osservò le lancette dell’orologio da polso; poco più di un’ora, non male come ritardo.
Mosse poi il suo sguardo tra i pesanti tavoli in legno, cercando fra i volti noti quelli degli amici. Non gli ci volle molto per trovarli.
I ragazzi erano seduti al solito posto, vicino a quel flipper che ormai faceva storia. Da come si agitavano era certo che non fossero alla prima pinta. Non avevano perso tempo, sorrise.
Si avvicinò, accolto poi dal più disastrato del gruppo.
“Kakashi!” esclamò una furia verde, travolgendolo in un abbraccio che lo mise a disagio.
“Era ora… Sei in ritardo di… di…” Maito Gai si sforzava di capire che ore fossero “un ora e sei minuti… Ti sembra il modo di fare?” proseguì dopo aver strizzato gli occhi diverse volte, in direzione del grande orologio di latta appeso sopra le loro teste.
“Mi spiace, sono stato trattenuto…” rispose sbrigativo mentre cercava di divincolarsi dalla stretta dell’altro.
“Immagino… Trattenuto da una bella donna come tuo solito…” Tenzo fece capolino da dietro, buttandogli un braccio al collo, lungo le spalle, per poi affiancarlo.
“Puzzi già d’alcool, lo sai?” replicò lui dopo aver notato i quattro boccali vuoti sul tavolo, proprio davanti alla sedia coperta dalla giacca dell’amico “Vedo che non avete perso tempo…” continuò poi allontanando con una mano il viso del ragazzo, decisamente troppo vicino al suo.
“Dovevamo pur far qualcosa mentre aspettavamo che sua altezza ci degnasse della sua presenza…” puntualizzò Tenzo rimettendosi a sedere con non poca difficoltà.
Non c’erano dubbi, quella birra stava già facendo effetto.
“Avanti Kakashi, siediti!” La voce di Asuma cancellò la sua voglia di ribattere e, accettando l’invito, si sedette accanto al più anziano del gruppo.
 Aveva sempre pensato che, nonostante avessero un solo anno di differenza, quella barba rendesse Sarutobi ancora più vecchio. O forse, a renderlo ai suoi occhi più vecchio era la fede che portava al dito.  Era sempre stato una persona seria, con i piedi piantati per terra e portato per un legame duraturo. Fra tutti era quello che conduceva una vita più “normale”. Diciamo pure che, come volevasi dimostrare dalla sua totale lucidità, poteva essere considerato il saggio del gruppo.
“Sei passato da lui, vero?” chiese prima di porgergli un boccale pieno.
Kakashi si limitò ad annuire con un gesto del capo, prima d’afferrare il bicchiere ed iniziare a bere.
Non aveva voglia di parlarne e non credeva nemmeno che l’alcool fosse la soluzione migliore al suo problema visti gli esiti precedenti, ma rifiutare l’invito di Gai sarebbe stato troppo sfiancante. Quando quell’uomo si fissava su qualcosa l’unica alternativa possibile allo sfinimento era accettare ed aver salva la vita.
 
“Dannata pallina!” tuonò la persona in questione alle prese con il flipper “si può sapere perché mi detesti tanto?” continuò battendo sempre più forte sui tasti laterali.
“Così lo romperai…” sentenziò rassegnato l’Hatake, poggiando il boccale quasi vuoto sul tavolo.
“Taci… batterò quel record o non mi chiamerò più Maito Gai!” esclamò perentorio, fissando i led rossi sul display “non lascerò che il tuo nome resti al primo posto ancora a lungo!”.
Kakashi sospirò, chiedendosi come potesse quell’uomo prendere seriamente ogni cavolata. Insomma, era solo il punteggio di uno stupido flipper. Possibile che tra loro ogni minima cosa dovesse tramutarsi in una sfida?
Da chi firmava prima il registro la mattina a chi raggiungeva per primo il bar della scuola per prendersi un caffè, da chi riusciva a correggere con maggior rapidità i compiti in classe al torneo interno di pallavolo, ogni scusa era buona per iniziare un nuovo confronto. E ciò che lo lasciava sgomento era che tenesse un punteggio di quelle insensate sfide.
Più che un uomo che aveva passato la trentina, a suo avviso, sembrava ancora un adolescente. La sua energia travolgeva ogni cosa; mai una volta che si perdesse d’animo o accettasse un no. Un ciclone di vitalità capace di distruggere tutto e, soprattutto, tutti.
A volte però, poche volte sia chiaro, per quanto quella competizione continua lo sfiancasse, aveva desiderato essere contagiato da quella sincera allegria. Lui, con quell’aria perennemente annoiata, aveva desiderato poter possedere anche solo un pizzico di quella spensieratezza.
 
“Che ne dite di un'altra birra?” la voce di Tenzo lo riportò alla realtà “magari doppio malto…” puntualizzò poi l’amico.
A guardarlo bene, stravaccato su quella sedia, a metà fra la sobrietà e la sbronza totale, l’uomo seduto alla sua destra non sembrava di certo il professore di disegno di una delle più prestigiose scuole della città. Diplomatosi a pieni voti alla facoltà di architettura, insegnava nel suo stesso liceo da un paio d’anni. Si erano ritrovati fianco a fianco dopo aver diviso per un po’ lo stesso squallido appartamento durante gli studi universitari. Tenzo aveva superato brillantemente il bando di concorso, entrando a sostituire il vecchio Sarutobi ormai in pensione. Così, oltre a vederlo praticamente tutte le sere in quel pub, se l’era trovato persino in sala professori.
“Molto volentieri!” lo sguardo di Kakashi fu attirato da Gai e dal suo smagliante sorriso, da quella bizzarra figura con il pollice alzato in segno d’assenso.
Scosse il capo, lasciandosi andare ad uno sbuffo divertito. Visto com’era iniziata, forse quella serata non sarebbe stata poi così male.
 
Erano ormai le due e mezza di notte, Kakashi aveva perso il conto di quanti bicchieri fossero passati su quel tavolo tra discorsi insensati e battute al limite dell’idiozia. L’alcool iniziava a farsi sentire per tutti.
L’Hatake se ne stava seduto malamente sulla lunga panca di legno, finemente intagliata da coltellini e penne varie, intento a capire perché il suo collega stesse esprimendo il suo profondo parere su ogni donna presente nel locale, quasi volesse affibbiargliene una. Come se non bastasse, Tenzo sembrava avere il pieno appoggio di Asuma, anch’egli caduto vittima del tasso alcolemico elevato. Era in netto svantaggio. Due contro uno. Uno che in quel momento poteva aver voglia di tutto tranne che d’attaccar bottone con il gentil sesso.
Fortunatamente almeno Gai era ancora impegnato con il flipper o, per meglio dire, ciò che ne restava, tanto da non badare minimamente ai loro discorsi.
La furia verde, soprannominata così a causa della sua proverbiale vitalità e del suo abbigliamento perennemente di quel colore, se ne stava lì, ancora intento a seguire quella dannata pallina metallica che rimbalzava da una parte all’altra, nonostante i riflessi non fossero dei migliori, e imprecando davanti al punteggio sul display dei record ancora invariato. Probabilmente se se ne fossero andati in quel preciso momento, nemmeno se ne sarebbe accorto. Anzi, sarebbe rimasto lì sino a quando il gestore non l’avesse sbattuto fuori o il flipper non fosse deceduto sotto i suoi colpi.
 
“Kakashi non fare lo spilorcio… questo giro tocca a te...” biascicò in qualche modo Asuma, indicando il bicchiere vuoto.
“Concordo” lo seguì Tenzo mentre con lo sguardo studiava una morettina appena entrata.
“Non credo che Anko sarebbe d’accordo.” Osservò l’Hatake, notando la causa della sua momentanea distrazione.
“D’accordo con che?” rispose l’interpellato senza staccare lo sguardo dalla ragazza diretta verso il bancone.
“Lascia perdere, è meglio…” terminò lui non avendo la minima voglia d’iniziare una spiegazione che l’altro non avrebbe sicuramente seguito e che, per di più, gli sarebbe costata non poca fatica mettere insieme in quello stato.
Rassegnato, fece poi un cenno con la mano chiamando la cameriera poco distante, pronto a saldare il suo debito con quello che sarebbe stato sicuramente il suo ultimo bicchiere della serata. Conosceva i suoi limiti, ed era certo che, per non fare la medesima fine dell’anno passato, fosse meglio fermarsi.
 
“Kakashi-sensei, mi dica. Che le porto?” la voce squillante della giovane, alta per poter superare la musica di sottofondo, infastidì i suoi sensi intorpiditi.
“Ino… quante volte devo ripeterlo? Non sono più il tuo sensei da almeno due anni” replicò guardando il volto sorridente della ragazza in piedi accanto a lui “Non puoi chiamarmi semplicemente Kakashi e darmi del tu?”
“Ok, Kakashi” esclamò prontamente la cameriera prendendo dalla tasca del grembiule il blocco delle ordinazioni “che ti porto?”
“Tre, anzi no, quattro rum scuri.” la voce di Tenzo anticipò quella dell’Hatake, che rimase leggermente spiazzato.
Non replicò, si limitò a fissare quella figura che, rapidamente, spariva tra i clienti.
Ino Yamanaka, si ricordava bene di lei. Una promettente studentessa del liceo in cui insegnava fisica, diplomatasi un paio d’anni prima. Il corpo magro, la figura sottile e slanciata, i lunghi capelli dorati e quei grandi occhi azzurri, l’avevano resa una delle ragazze più popolari della scuola. Al primo sguardo poteva sembrare un tipo superficiale ma, nei cinque anni passati fra i banchi, aveva dimostrato che l’apparenza inganna. Per quanto, proprio l’apparenza, sembrava essere tutto ciò che le importasse.
 
“Non ti sembra troppo giovane?” La domanda fuori luogo del solito seccatore lo irritò leggermente.
Troppo svogliato per strangolarlo, si limitò ad un più semplice “Tenzo, sei un idiota…”.
E detto questo si alzò, rendendosi conto di quanto fosse difficile mantenere un perfetto equilibrio in quelle condizioni.
“Ti offendi per poco, sai?” La replica dell’amico non si fece attendere seguita da un “te ne vai già?”.
“Posso andare in bagno o devo chiederti il permesso?” il tono infastidito dell’Hatake fece desistere il giovane da ogni altra pungente battuta.
Non era stata la domanda ad innervosirlo, bensì la sedia vuota davanti a lui.
 
Una volta giunto a destinazione, Kakashi si lavo il viso con acqua gelata prima di fissare la sua immagine allo specchio. Si sentiva intorpidito e iniziava ad avvertire pesanti giramenti di testa. Ma non era per quello che il suo umore era cambiato così, apparentemente senza motivo. Sebbene l’acqua fresca gli avesse donato un poco di sollievo, era consapevole che non sarebbe durato ancora per molto. Perché anche quella volta, dopo le risate, si era ritrovato a fissare il posto vuoto davanti a sé chiedendosi come sarebbe stata quella serata se ci fosse stato anche lui con loro e come sarebbe stata la sua vita se quel dannato incidente non fosse successo.
Nel pensarlo si passò inconsciamente l’indice lungo la vecchia cicatrice che segnava in verticale il suo volto. Un tratto marcato, al centro dell’occhio sinistro, che partiva poco più in alto del sopraciglio e scendeva lungo la palpebra, terminando circa tre centimetri sotto l’occhio.
Avrebbe potuto cancellarla, l’avrebbero fatto in molti al posto suo, ricorrendo alla chirurgia. Lui, invece, voleva che quel segno restasse lì dov’era, a testimoniare la sua colpa. Affinché ogni volta che si fosse guardato allo specchio potesse pensare a chi non c’era più.
Si asciugò mani e volto con i foglietti di carta presi dal distributore e uscì. L’ultimo bicchiere e poi sarebbe tornato a casa a farsi sommergere dai ricordi, sul solito divano blu.





Continua...




Disclaimers:

Naruto ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non c’è lucro.


Un ringraziamento particolare ad Aya88 per essersi presa l'impegno di betare questa fic. Sei stata davvero velocissima, grazie di cuore.
Grazie a tutti quelli che recensiranno osemplicemente spenderanno il loro tempo leggendo questa storia.


   
 
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