Sospiro e scosto le lenzuola. Fa un caldo allucinante dentro questa stanza, ma non ho intenzione di aprire la porta per far circolare l'aria, perché, almeno di notte, voglio uno spazio solo mio. Di aprire la finestra poi, non se ne parla: fuori farà anche più caldo.
Con un movimento secco mi sposto i capelli dal collo sudato. Fortunatamente ho deciso di tagliarli l'anno scorso, almeno non mi daranno troppa noia col caldo.
Sbuffo e mi volto su un fianco seccata. Mi sfilo la maglietta con cui dormo e i pantaloncini e li lancio contro la porta. So che è chiusa a chiave, e che domani, prima di vedere mia madre e Luca, mi sarò già rivestita.
Mi rigiro a pancia in su e mi allargo, occupando tutto il letto a due piazze.
Guardo il soffitto, indugiando su ogni crepa, su ogni dettaglio della camera arredata semplicemente. Quando sono in crisi, preferisco distrarmi, o so che scoppierei a piangere, e lo faccio già fin troppo.
Non sento rumori, se non quello del mio respiro. Il mio petto si alza e s'abbassa ritmicamente, senza interruzioni. E, comunque mi senta, non si interromperà.
Ci ho pensato qualche volta, al suicidio. Mi sono chiesta cosa combinerebbero qui senza di me. Di sicuro, a scuola nemmeno lo noterebbero, se non fosse per quel nome da cancellare sul registro. A casa probabilmente sì, visto che sono io il collante silenzioso che li tiene assieme. È sempre stato così, anche quando c'era mio padre: non so perché, ma sono certa che senza di me la famiglia si sgretolerebbe in poco tempo. E già è abbastanza distrutta.
Espiro forte. Cerco di buttar fuori tutta l'aria che ho in corpo, di comprimermi su questo materasso duro, fino ad annullarmi.
Chiudo gli occhi, poi li riapro e inspiro di nuovo. Non devo piangere. So che se lo farò, poi perderò il controllo. Invece io il controllo devo mantenerlo, devo avere tutto sotto controllo, perché altrimenti potrei fare cose di cui mi potrei pentire in seguito.
Oddio, perché deve essere così difficile?
Ma perché è la vita, chiaro.
Mi ricordo che quando i miei si separarono mi venne detta la stessa cosa.
<< Non farti domande, Sara >>mi disse mia nonna, che mi tenne da lei per un po', visto che mi rifiutavo di parlare con i miei genitori. << La vita è così. Ci si trova e ci si lascia, ma bisogna solo vivere >>.
Già, vivere. Quando lei è morta, tre anni dopo, mi sono sentita come se i miei punti di riferimento stessero crollando di nuovo. E non me la sentivo proprio di vivere.
E poi, dove sono queste persone che dovrei incontrare? Io no le vedo.
E a tante domande, alle quali cercava di rispondermi solo lei, non ho ancora trovato le risposte.
E ho già 15 anni, e il tempo pare si sia annullato. Potremmo essere nel 1960 o nel 1800, sarebbe lo stesso: io starei qui da sola, a vedere gli altri che passano, l'unico punto fisso.
Mi manca, la nonna. Era l'unica che mi capisse davvero.
L'unica che comprendesse i miei silenzi, i miei isolamenti, i miei sorrisi. La sola che capisse ogni cosa di me, e che mi trattasse come una persona adulta, che capisse il mondo bene quanto gli adulti, sempre, e non solo quando le tornava utile.
Sarei rimasta a vivere da lei volentieri, ma il destino mi ha fatto tornare a casa. E ha portato via lei, in una notte d'estate come questa.
Primo tentativo di continuare la storia con lo spirito di una volta, dettato dall'umore della serata. Spero vada bene, anche perché altrimenti non so come fare xD
Ad ogni modo, scriverò tutti i pezzi mancanti (che sono molti) nei momenti di pessimismo cosmico, vuoto mentale, umore nero, viaggi con come unico scopo il raggiungimento del Nirvana. Quandi le cose andranno un po' a rilento. ;D
Lasciatemi un commento e ditemi se vi è piaciuto :)
Lucy :***