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Autore: Sintesi    26/04/2011    1 recensioni
Tornò verso il lettino e pigiò con forza il petto del robot. Esso si aprì come una specie di vortice, rivelando un grosso agglomerato di cavi e fili raggruppati fino a formare un cuore luminoso, di un blu abbacinante. Il dottor Mcgrant inserì la memoria nell'apposito spazio e richiuse tutto.
Iron aveva un cuore, si. Glielo aveva creato così per dargli la possibilità di assomigliare ancora di più ad un uomo.
Rimase immobile per alcuni secondi, ascoltando i battiti del suo, più vecchio, più stanco, ma incredibilmente eccitato in quel momento.
Si schiarì la voce, febbricitante: "Svegliati Iron" disse con tono fermo.
Genere: Fantasy, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Torno con il terzo capitolo, finalmente! (:
Questo già mi piace di più, e spero che piacerà anche a voi.
Scusate il ritardo, buona lettura, pipols!


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Capitolo 3; Mani gelide.

Gary sembrò soddisfatto di quell'appellativo. Padrone … gustò quella parola strofinando la lingua contro il palato, come per assaporare appieno un sorso di vodka gelato. Sì, decisamente gli piaceva venir chiamato in quel modo, me ne resi conto.
"Come prima cosa, dovrai riuscire a smaterializzarti nel passato, e per farlo ti serviranno alcune informazioni che credo il dottor Mcgrant ti abbia già impiantato nella memoria. Ma come dico sempre io, prevenire è meglio che curare, quindi ascolta bene …"
Si voltò a guardare lo schermo del computer e fece una rapida ricerca su internet: "Lo scienziato che ha inventato quella macchina infernale che ci ha sterminati si chiama Clement Deon Morgan, laureato in ingegneria nucleare, nonché psicologo di fama mondiale, scienziato i cui esperimenti e creazioni erano conosciuti in tutti il mondo. Dopo gli studi, ha subito messo in pratica le sue conoscenze, mettendosi d'impegno per creare il robot più intelligente del mondo. Il NCB, New Clever Bios, venne portato a termine molti anni dopo la sua programmazione, in quanto, almeno così si dice, i fondi per lanciarlo sul mercato scarseggiavano"
I suoi occhi vagavano in cerca di informazioni utili, ma evidentemente non riuscì a trovare quel che sperava di sapere, perché aggrottò le sopracciglia in una cipiglio infastidito, mentre con una mano tamburellava il piano di lavoro, in ansia.
"Non abbiamo informazioni sulla sua vita privata, in quanto non si è mai fatto fare un'intervista degna di questo nome. Della sua famiglia si sa soltanto che è morta dopo la creazione del primo robot, assassinata da Morgan stesso, impazzito per aver messo al mondo una creatura tanto spregevole" sorrise, ripescando nelle tasche dei pantaloni l'accendino e una sigaretta: "Me la ricordo quella frase, quella che rinvennero scritta su un piccolo foglio sul tavolo del suo studio, quando lo trovarono morto dopo che si era avvelenato per non essere costretto a dover distruggere quello che aveva creato: 'Non è l'uomo che comanda,  non è la macchina che subisce. O almeno, non più'"
Si accese la sigaretta e aspirò per un lungo istante. pinzò il filtro tra l'indice e il medio della mano destra e si girò a guardarmi, con un'espressione impassibile: "Mi dispiace, ma è tutto quello che si sa su quella sottospecie di scienziato pazzo. Di Morgan si sanno tante cose in campo lavorativo, ma poche cose in quello familiare. Non so se ha mai avuto figli, il nome di sua moglie, non so nemmeno dove viveva, si sa solo che il NCB fu terminato a Kroywen City, quella che una volta, tempo fa, veniva chiamata New York"
Mi guardai attorno con curiosità, osservando ora una ragnatela sul soffitto, ora i mocassini neri di uno dei due scagnozzi di Gary. Tutto quello che quest'ultimo mi diceva mi era completamente indifferente. Immagazzinavo informazioni solo per poter compiere il mio compito, nient'altro. A me interessava solo scoprire come poter raggiungere questo fantomatico dottor Morgan, tutto quello che non era tangibile, come i suoi sentimenti, la sua pazzia e le sue paure non erano un mio problema.
"Mi duole non poterti dare più informazioni, Iron, ma purtroppo non c'è nessun'altra notizia a riguardo ma … " sorrise, avvicinandosi a me e prendendomi il mento con due dita: "Non credo tu ne abbia bisogno, non è così, mio piccolo amico?"
Sorrisi anch'io, questa volta con delle labbra vere, di carne, che si incurvarono fino a diventare identiche alle sue: "Certo che no, Gary"
"Bene" asserì, per poi alzarsi e aggirare la mia sedia, mettendomi poi le mani sulle spalle. Alle narici mi arrivò l'odore penetrante della sua sigaretta e non mi sembrò quasi vero di provare una simile sensazione.
"È giunto il momento che tu compia quello per cui sei stato progettato, Iron. Pensi di potercela fare?" mi chiese con tono beffardo e canzonatorio. Per tutta risposta mi alzai in piedi, sovrastandolo di alcuni centimetri e barcollando sulle mie nuove gambe mi avviai al computer e fissai per lunghi istanti il volto della mia vittima:"Com' è il mondo al di fuori da qui, padrone?"
A Gary scappò una risata leggera:"Mio caro amico, il mondo al di fuori da qui è immenso. Pieno di insidie, di inganni, di creature crudeli che vogliono solo farti del male e che non esitano a porre fine alla tua vita appena se ne presenta loro l'occasione"
"E non esistono cose piacevoli? Mcgrant mi ha insegnato a cogliere solo i lati positivi ma dai tuoi discorsi non riesco a captarne nemmeno uno"
"Mcgrant era solo un ciarlatano" disse con il suo solito gesto di non curanza con la mano destra, spandendo nell'aria cerchi irregolari di fumo, "molti anni or sono un famoso profeta disse ai suoi discepoli che era cosa buona e giusta fidarsi del nostro prossimo ma a giudicare dalla fine che ha fatto mi viene da pensare che il suo consiglio non fosse, per così dire … esatto. Io ancora adesso mi chiedo perché un uomo debba sacrificare se stesso per portare una croce carica dei peccati degli altri. E il tuo caro paparino, se pur in un modo più lieve, ha subito lo stesso calvario"
Continuai a guardare l'immagine del dottor Morgan e senza pensarci indietreggiai e mi risedetti alla mia postazione. E sia, avrei fatto quello che mi era stato ordinato, avrei ucciso quell'uomo prima che avesse terminato la costruzione dell'NCB.
"Allora, procediamo Iron?"
Annuii serrando le mani attorno ai braccioli della sedia, quindi chiusi gli occhi e mi preparai al mio viaggio attraverso il tempo.
Non mi era più possibile trarre il mio potere dal mio sogno, in quanto, ora me ne rendevo conto, esso era solo frutto di un caso, di un malfunzionamento dei miei circuiti. Io non avevo la capacità di usare la fantasia; ma nonostante questo quando chiusi gli occhi mi tornò alla memoria i colori vividi di quella distesa di fiori e mi chiesi perché mai quelle visioni continuavano a tormentarmi. Decisi che dovevo oppormi, decisi che avrei dovuto trovare un'altra soluzione per smaterializzare il mio nuovo corpo.
"Ehi, voi due! Portami un bicchiere d'acqua per favore" urlò Gary ai suoi due scagnozzi, "ho la gola secca dopo tutte queste emozioni"
Buttò la cicca della sigaretta a terra, senza curarsi troppo di cercare un posacenere. Il pavimento della sala era pieno dei suoi mozziconi, segno dell'ansia e della febbrile tensione che doveva avere subito in tutti quegli anni di volontario esilio.
Uno dei due uomini arrivò poco dopo con una brocca ed un bicchiere sbrecciato. Glielo riempì e glielo porse, defilandosi subito dopo essersi inchinato al suo cospetto.
Il riccio bevve un lungo sorso e sospirò soddisfatto, schioccando la lingua contro il palato. Io guardai quel liquido a me ignoto con curiosità.
"È così rara l'acqua di questi tempi …" mormorò rigirandosi il bicchiere tra le mani, "una volta invece era così abbondante che gli uomini ne sprecavano in quantità sproporzionate. È' proprio vero che più possiedi e meno ti curi di quello che hai"
Posò il bicchiere vicino alla fine tastiera del pc, fissandomi ostinatamente negli occhi: "E tu, che sei così unico al mondo, quanto tieni alla tua vita?"
Vedendo che non rispondevo, continuò a parlare: "Io ci tengo alla mia, di vita. Proprio per questo voglio tornare indietro e sconvolgere il passato. Non importa cosa succederà, ma pretendo che anche il mio percorso sia rimodellato all'altezza dei sogni che ho"
Annuii, come se davvero comprendessi i suoi discorsi, poi spostai lo sguardo sulle bollicine che l'acqua creava nel bicchiere. Mi persi fra di esse, mi immedesimai nel loro circolo vizioso, a contatto col vetro salivo anch'io fino in superficie fino a scoppiare nell'aria.
Erano semplici leggi della fisica. La gravità le portava in alto e loro sparivano. Non sceglievano loro dove andare, non c'era una bollicina ribelle che invece di salire scendeva in fondo. Seguivano soltanto gli ordini di una forza più potente di loro.
Richiusi gli occhi, e questa volta mi ritrovai immerso in un'immensità d'acqua frizzante. Mi sentivo leggevo e senz'anima, propria come una bolla. Alle mie orecchie arriva solo la voce ovattata di Gary, che blaterava qualcosa sul destino. Mi concentrai, sentendo le mie membra formicolare: percepivo concretamente le dita della mano che iniziavano e scomparire, i muscoli della gambe che svanivano e i miei circuiti che, sotto la pelle, erano posseduti da una potenza inimmaginabile.
La pressione dell'acqua mi spingeva in alto, ma avevo ancora abbastanza coscienza da riuscire ad oppormi. Poi però mi resi conto che era stupido farlo, che io dovevo solamente accettare la mia natura. Aprii la bocca, che venne invasa da quel liquido trasparente, provai l'immenso piacere di riempirmi lo stomaco, per poi scoprire la sensazione di annegamento, oppresso dalla forza del mio nuovo padrone. Mi rilassai, lasciando che anche il resto del mio corpo si fondesse con l'infinito.
Nel bicchiere di vetro vicino alla sua mano, Gary notò un barlume di luce risplendere tra le bolle, e in una crescente intensità, vide il mio corpo scomparire dalla sedia. Ero in un'altra dimensione, naufrago nell'etere.

L'uomo dai riccioli ribelli sogghignò soddisfatto, sfregandosi le mani: "Dopo tutto questo tempo, la mia vendetta sarà molto più gustosa di quanto me la fossi mai immaginata … John!" chiamò, e uno dei due uomini gli arrivò al fianco: "Dica, padrone …"
Gary gli accarezzò una guancia paffuta, ostentando quel sorriso: "Prepara il pranzo, da bravo. Il nostro caro robottino starà via per molto tempo e non mi sembra il caso di morire di stenti proprio ora che il gioco è iniziato"
 

Non so per quanto rimasi in quello stato di annullamento totale, cullato dal nulla e dalle tenebre, ma mi sentivo in pace con me stesso, rilassato e senza preoccupazioni. Avrei voluto rimanere così per sempre. Ma poi, di scatto, venni investito da una luce potente, che mi accecò la vista per qualche istante. Il mio corpo riprese forma, e sentii l'impatto doloroso della mia schiena con il suolo. Aprii controvoglia gli occhi, abbacinato da un bagliore che non era certo tenue come quello prodotto dai neon del laboratorio.
Mi guardai attorno per scoprire da dove provenisse tutto quel luccichio e per la prima volta nella mia vita vidi il Sole. Un immensa palla bianca, che a guardarla troppo a lungo iniziò a disegnare strani giochi di luce nei miei occhi. Serrai le palpebre e lo rividi ancora, nel buio, proprio come se fosse dentro ai miei occhi.
Scrollai le spalle e puntai i gomiti a terra, alzando la testa. Mi trovavo in un vicolo deserto, nudo vicino a dei sacchi neri. Gattonai fino al più vicino e lo aprii, scoprendo che conteneva del cibo. Dall'odore non sembrava molto commestibile, ma la mia fame prese il sopravvento e staccai lo stesso un morso ad un frutto quasi completamente nero: "Mela?" sussurrai, mentre dentro di mente le informazione saettavano da un lato all'altro del mio cervello. Ne mangiai ancora, sputando i semi che mi finivano in bocca.
Era tutto strano per me, tutto nuovo, così che mi meraviglia quando il mio corpo rabbrividì ad una folata di corrente gelata.
Poco più in là c'erano alcuni vestiti abbandonati in un angolo del vicolo. Scovai una giacca e la indossai, senza badare all'odore fastidioso che aveva, poi presi dei pantaloni sgualciti e feci forza sulle braccia per mettermi a sedere.
 Mi guardai attorno senza sapere dove mi trovassi e quale fosse la mia meta … o meglio, la conoscevo, sì, ma non sapevo come arrivarci.
Alle mie spalle sentivo delle voci indistinte e qualcosa mi disse che dirigermi in quella direzione fosse la mossa più intelligente da farsi; mi alzai in piedi e mossi una decina di passi, ciondolando per riuscire a tenere su gli indumenti troppo grandi per la mia corporatura.
Davanti a me vidi centinaia di persone che sfrecciavano a pochi centimetri dal suolo a bordo di strani veicoli la cui carrozzeria mi ricordavano il colore della mia vera pelle, lucida e bianca quasi fosse un bozzolo di seta.
Un istinto a me sconosciuto mi spinse a mettere un piede sulla strada nera come la pece e subito l'altro piede lo seguì e in breve tempo mi ritrovai in mezzo a quelle macchine ma non ebbi paura perché per la prima volta mi sentivo in mezzo a dei miei, seppur meno elaborati, simili, fatti di circuiti e ingranaggi e valvole, esattamente come me. Ma ben presto scoprii che il mondo era veramente come me l'aveva descritto Gary: dietro di me udii un acuto stridio e mi girai di scatto, in tempo per rendermi conto che uno di quegli strani congegni fluttuanti mi stava venendo addosso. La mia reazione fu fulminea, mi gettai a terra e il fondo liscio di quell'insolito oggetto mi sfiorò il capo. Dall'interno del veicolo sentii una voce inveire contro di me per poi diventare sempre più flebile man mano che essa si allontanava da me, scomparendo all'orizzonte.
Nuove sensazioni crebbero in me, che non avevo ancora provato, come l'accelerare del battito cardiaco ed il movimento ritmato del mio petto che cercava disperatamente di riprendere fiato mentre, ancora madido di sudore, mi rimettevo in piedi e con maggior prudenza mi appressavo a raggiungere l'altra estremità di quella via.
Quando fui sicuro di essere in salvo, mi accorsi che davanti a me si ergeva un enorme edificio di un delicato materiale simile al vetro, ma molto più luminoso e resistente.
Posai una mano su di esso, era liscio e scaldato dal sole, e la mia immagine si rifletté distintamente tra le sue sfaccettature.
Non dimostravo più di trent'anni: il mio viso era affusolato e magro, di un colorito latteo e lievemente più arrossato attorno agli zigomi alti, con un naso che disegnava una linea dritta e sottile nel centro del mio volto, al di sotto del quale due labbra carnose e rosee spiccavano tra la leggera barba bruna che mi copriva la mascella scolpita e il mento tondeggiante. I capelli, di un biondo scuro, mi crescevano fino al collo, andando a coprire le orecchie e buona parte della fronte. Solo gli occhi erano rimasti del loro tenue lilla originale, unica pecca testimone della mia maschera apparentemente perfetta. Deglutii, abbassando lo sguardo sulle mie mani e sul mio corpo, così perfetto e così immacolato, che solo apparentemente poteva sembrare umano.
Poggiai un palmo sulla superficie liscia dell'edificio, accarezzandolo e avvertendo sotto ai polpastrelli il tocco leggero delle impercettibile sfregiature causate dal tempo e dall'usura. Quel luogo mi infondeva un rassicurante sonno, tanto che mi sdraia ai suoi piedi e chiusi gli occhi, cullato dallo sfrecciare continuo delle macchine sulla strada, piene di fretta, piene di impazienza, di smania di arrivare al più presto alla meta. E io, proprio come una macchina, attendevo impaziente che il mio primo indizio mi arrivasse tra le mani.
Tra i miei pensieri ricomparve quella viola, dal profumo inconfondibile. Ancora una volta sognai di raccoglierla, di portarmela al viso ed annusarne la fragranza delicata. Quando poi vi poggiai sopra le labbra, un calore potente mi invase, e fu come se mi avvolgesse fra i suoi petali in un abbraccio materno e rassicurante.
Mi risvegliai di soprassalto da quel sogno, colto da un lieve tremore. Serrai gli occhi e i pugni, scuotendo la testa. No, non dovevo farmi sopraffare da quei maledetti ingranaggi difettosi nel mio cervello. Tutto quello che dovevo fare era concentrarmi sulla mia missione e niente di più. Al diavolo i sogni e i fiori, era giunto il tempo che la mia dolce favola della buonanotte si tingesse del rosso vermiglio del sangue.
Tornai a rannicchiarmi al suolo, passando a rassegna tutte le informazioni che avevo sul dottor Morgan. Nessun altro essere umano era più importante della mia vittima e del mio destino.
 

Violet sedeva composta sulla polverosa sedia imbottita della libreria. Sfogliava assorta un libro consunto e dalla copertina di pelle nera, su cui il titolo dell'opera, non più visibile, era stato scritto a mano dalla bibliotecaria: "I viaggi di Gulliver". Leggendo qualcosa riguardante gli struldbrugs, esseri costretti alla vita eterna senza poter trovare un po' di pace dai dolori e dalla vecchiaia nella morte, provò un immensa pena per tutti i robot che giravano senza intralci per la sua città, condannati alla stessa sorte. Era un pensiero struggente, che suo padre avrebbe definito inutile, ma tant'era. Non riusciva a non provare compassione per quegli esseri, non poteva disfarsi tanto facilmente dei suoi sentimenti come invece avevano fatto tutti gli altri suoi conoscenti. Violet non era nemmeno simile alle sue coetanee. Aveva da poco compiuto vent'anni e il suo viso era ancora quello grazioso e leggermente paffuto di una bambina, su cui spiccavano due bellissimi occhi di un verde profondo, simile al colore dolce delle colline che scorgeva in lontanza dalla piccola finestrella della biblioteca.
Si aggiustò una ciocca di capelli neri dietro all'orecchio, bagnandosi con la punta della lingua due dita e pizzicando l'angolo della pagina che aveva appena finito di leggere. La voltò, ricominciando a divorare le parole con un tenero sorriso sognante in viso. Le piacevano i libri, quelli vecchi e polverosi che poteva trovare solo più in quella vecchia biblioteca che persisteva nel tempo. Era un affronto per lei leggere sullo schermo di un pc, non riusciva a cogliere il vero significato di ciò che i suoi occhi catturavano, perché i colori, le parole, le immagini erano finti, scritte da un macchina senz'anima che nemmeno sapeva quanto sudore e lacrime e sorrisi aveva potuto portare quell'opera al suo creatore.
Per quello veniva in quel posto, attorniata solo dal'odore stantio di carta consumata e ingiallita, rinchiudendosi in un mondo fatto di draghi, di damigelle in pericolo, di principi azzurri in sella a cavalli alati e neri come l'ebano o bianchi come la neve.
Si aggiustò il vestito color miele sulle ginocchia, accavallando le gambe e umettandosi le labbra lievemente colorate di rosso, appoggiò il piccolo mento ai palmi delle mani, sostenendosi sul tavolo di legno.
Trascorse così ancora alcune ore, poi il campanile immenso di Perdura Street suonò le sette. Si ricordò improvvisamente che lei tra un'ora avrebbe avuto un appuntamento col suo ragazzo, Shaun, e non poteva certo mancare: era il loro primo anniversario!
Richiuse il libro a lo mise accuratamente dentro la tracolla bianca, che riconobbe le impronte digitali della ragazza e con un sommesso tic si richiuse all'istante.
Passò dalla bibliotecaria, una signora anziana almeno quanto l'edificio in cui lavorava, che le sorrise increspando le molteplici rughe del viso. Gli occhi stanchi della donna incrociarono quelli vispi della ragazza, e le due si scambiarono un gesto d'intesa.
"A domani, Violetta" le disse la vecchia con voce roca, e lei annuì, uscendo in strada.
 
Fuori, l'atmosfera non era certo calda come dentro al suo rifugio. Era l'inizio di ottobre, le foglie cadute degli alberi cadevano e rotolavano per le strade, unica forma di natura in quella immensa metropoli. Violet si alzò il bavero della giacca e si incamminò verso la Fontana di Kroywen, gigantesca struttura costruita in marmo e cristallo, come del resto tutte le case e i grattacieli della città. Si ravviò i capelli spettinati dal vento e attraversò la strada per poter così passare per Winoa Square e raggiungere il suo fidanzato. Sopra la sua testa, milioni di passerotti cinguettavano infreddoliti, tornando a casa. Il suo sguardo si perse nel cielo tinto di rosa ed oro del tramonto, intristito da alcune placide nuvole all'orizzonte che facevano trapelare il bagliore del sole rosso che si nascondeva tra le colline.
Allargò le braccia e comminò ad occhi chiusi, immersa nei suoi mondi fantastici, tanto che non si rese conto dell'uomo in cui inciampò, e gli rovinò addosso. Il tizio si svegliò di soprassalto, guardandola di traverso. Lei si raddrizzò e si portò le mani alla bocca dispiaciuta: "Oh, Dio, scusami! Non volevo venirti addosso, davvero, non l'ho fatto apposta! Stai bene? Ti sei fatto male?"
L'uomo, che aveva due splendide iridi di un viola chiaro, la guardò per alcuni istanti, fisso sulle sue guance imporporate per la vergogna e il freddo. Le sembrò che le stesse sondando l'anima, tanto era carico il suo sguardo. Ed era bello, questo Violet lo notò fin da subito; una bellezza sconvolgente, che le mozzò il fiato. Gli osservò i lineamenti gentili ma forti, e sbatté delicatamente le ciglia mentre seguiva il suo petto alzarsi e abbassarsi a ritmo del suo respiro affannato.
"Sto bene" rispose dopo un po', annuendo impercettibilmente.
Lei si portò una mano al petto, rasserenata: "Meno male. Sai, il cielo è così bello questa sera, che non potevo non guardarlo"
" … senza finirmi addosso" obiettò lui con un punta di rimprovero.
Violet abbozzò un sorriso imbarazzato: "Già … già … scusami" ripeté.
Lui alzò la mano con un gesto di noncuranza, sostenendo il suo sguardo scuro: "Sono in Kroywen City?" chiese, cambiando discorso.
Annuì: "Si, ma ora devo proprio andare, ho un appuntamento. Mi dispiace se ti ho svegliato, ma ti converrebbe metterti al riparo, sta per piovere mi sa. Se stai lì sotto ti bagnerai tutto. Tieni, ecco, prendi questo" gli porse una moneta da due Rail, e gliela posò nel palmo che lui gli aveva proteso.
Toccando la sua pelle un brivido di freddo la percorse da capo a piedi, e lei si ritrasse spaventata a quel tocco.
"Puoi andare in una Casa di Mattoni, lì ti accoglieranno e ti daranno anche da mangiare" gli disse con un sorriso.
Lui ne abbozzò uno, che non durò molto sul suo viso: "Mi aiuti?" le chiese, inclinando un po' la testa.
Violet alzò le spalle: "Ti sono venuta addosso e ti ho svegliato: è il minimo che possa fare, non ti sembra?"
Lui annuì, serrando le dita attorno ai due Rail: "Grazie" mormorò, e le sue labbra le fecero venire improvvisamente voglia di una calda giornata d'estate.
"D-di niente, non preoccuparti. Passa una buona serata!" esclamò per poi incamminarsi di nuovo verso la fontana, senza aspettare che quello strano tipo le rispondesse.
Aveva freddo adesso, scossa da violenti tremori non dovuti solamente al vento che le correva sotto le gambe.
Quando vide il suo ragazzo gli sorrise, correndogli incontro. Ma le carezze calde di Shaun sulla sua pelle non le fecero dimenticare quelle mani gelide che, solo per un attimo, erano entrate in contatto con le sue, scombussolando ogni granello del suo animo.  
   

   
 
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