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Autore: Writer96    28/06/2011    12 recensioni
"Potter e l’essere interrotta mentre scriveva e la sua pergamena sbaffata..ma soprattutto (e questa era la cosa che la faceva imbestialire di più) il fatto che avesse riconosciuto la mano di Potter nell’esatto momento in cui l’aveva toccata. Pessima, pessima combinazione."
DALL'ULTIMO CAPITOLO:
"-Buffo, mi aspettavo un’accoglienza più in stile urla melodrammatiche...- commentò Lily, mentre il calore ormai familiare di James la calmava, rendendo tutta quella luce meno accecante. Aprire gli occhi non era stato troppo difficile, si rese conto. La parte difficile era stata capire perché voleva farlo.
Una risatina isterica le ricordò che l’essere che stava abbracciando era Potter e che effettivamente aveva fatto qualcosa di un po’ melodrammatico.
-Scusa, la parte alla Romeo e Giulietta me la riservo per la prossima volta...- commentò lui staccandosi piano da lei. La guardò negli occhi e per la prima volta si rese conto di quanto avevano rischiato. Aveva rischiato di non vederla più. Aveva rischiato di non esserci più una Lily da abbinare alla perfezione al suo cognome.
Rise anche lei, sollevata. Ci sarebbe stato un altro momento per pensare al dolore, si rese conto. La gioia di essere viva era talmente soffocante da minacciare di ucciderla. Ogni respiro era una conquista, qualcosa di imperdibile. E Potter era con lei."
Ecco qui... la prima long che pubblico, nel senso vero e proprio di storia a capitoli. Mi pare ovvio che si tratti di una James/Lily. Ma questa parte da un punto un po' più strano.. che ne direste voi se vi dicessi che Lily è già leggermente innamorata di James? Chissà come andrà a finire.. per ora.. un bacione, Writ
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Combinazioni'
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Il viaggio in treno era stato faticoso. Lily aveva solo dovuto prendere posto in uno scompartimento e lasciarsi cadere sul sedile, accanto al finestrino, provando a non pensare.

Inutile dire che non ci era riuscita.

I pensieri l’avevano invasa, sommersa, soffocata. Ogni parola sarebbe stata priva di significato in quel frangente, Lily lo sapeva. E lo sapevano anche i Malandrini e Frank e Alice e Mary.
Lo sapevano tutti.

Anche Potter.

In nome di quella loro strana amicizia, che ogni giorno rischiava di diventare qualcosa di più si era seduto lontano da lei, lasciandole il finestrino freddo come unico conforto al mal di testa terribile che la teneva nel sacco.
Alice, accanto a lei, le teneva la testa poggiata su una spalla e ogni tanto faceva una risatina involontaria a causa di una qualche smorfia di Frank che era seduto accanto a Peter.
E Peter, era noto a tutti, non era esattamente un campione nella materia “stai fermo e non scocciare i bolidi al tuo povero vicino”. Si dimenava, cercando qualcosa da fare che fosse abbastanza silenzioso da non coprire Sirius o James ma che allo stesso tempo permettesse al mondo di notare la sua esistenza.

Più o meno quello che aveva fatto Potter in quei sette lunghi anni, pensò Lily, concedendosi un breve sorriso dopo tanto tempo. Solo che Potter non aveva la decenza di arrossire ogni qualvolta le persone gli ricordavano quanto fosse effettivamente molesto anche il suo solo respirare.

Il ragazzo in questione intercettò il breve sorriso di Lily, ma non fece nulla. Rimase fermo, le gambe stese sopra quelle di Sirius ad ascoltare solo passivamente ciò che Black cercava di dire per rendere un po’ meno triste l’atmosfera.

Siano lodati lo spirito natalizio e Black, pensava Mary, seduta accanto a Remus ed esattamente davanti a Sirius.

Più precisamente Black, però.

Sentiva la sofferenza dell’amica, ma sapeva che in quel momento Lily avrebbe voluto fare un viaggio normale, in attesa di un ritorno normale con un pranzo e una famiglia normali ad attenderla.

Passarono i minuti e con essi anche parte della preoccupazione di Lily. Stava tornando a casa per Natale dopo tanti anni di reclusione, dopo tanti anni di paura e di sofferenza. Avrebbe riabbracciato sua madre e acceso il forno per fare i biscotti, quelli che tutti le chiedevano sempre. Quando ancora c’era un sempre legato alla sua famiglia.

Lo schermo del vetro rifletteva i suoi occhi verdi che pian piano andavano chiudendosi. James non sapeva se esserne felice o meno. Vedeva le occhiaie di Lily, la camicia spiegazzata e i capelli legati con semplicità, ma allo stesso tempo guardava i suoi occhi e non poteva fare a meno di chiedersi che cosa nascondessero.

-Miao!-

Tutti si girarono verso Sirius, colpevole di aver emesso quel verso, così poco canino.

-Sirius, potresti spiegarmi come mai hai deciso che i gatti hanno una lingua che preferisci rispetto alla.... nostra?- gli chiese Remus, bloccandosi appena in tempo prima di dire  “che preferisci rispetto a quella canina”. Sirius alzò le spalle, facendo ghignare James.

Tra cervi affamati di costolette e cani che emettevano versi felini c’era da contattare lo zoo più vicino. Poco ma sicuro.

-Avevo voglia di dirlo, sai quando vuoi dire una cosa che magari non c’entra niente, ma sei sicuro di doverla dire? Ecco, più o meno il concetto è questo!- esclamò, sorridente e poco ci mancava che tirasse fuori la lingua in versione Felpato.

Peter annuì e si mise a raccontare qualcosa di assurdo, che non ricordava nemmeno lui con precisione ma che servì a catturare l’attenzione dei presenti. In una qualche strana maniera si arrivò a parlare dei ricordi dei Malandrini e delle loro imprese.

Lily tacque, evitando di dire che c’erano due Caposcuola lì dentro e che quindi potevano cacciarsi in grossi guai.

Diciamo pure un Caposcuola e mezzo. Diciamo uno. Diciamo mezzo.

James Potter aveva la capacità inquietante di farle dimenticare di essere Caposcuola. Il fatto che lui avesse fatto in modo che sulla propria spilla si leggesse solo Capo non aiutava di certo.

-E tu, Frank? Come fai a vivere con loro?- domandò ad un certo punto Mary, facendo in modo che tutti si girassero a guardare il ragazzo, diventato spiacevolmente rosso.

-Io... oh, ehm, credo che dopo un po’ ti ci abitui. A... a tutto, voglio dire. Nel senso, dopo che per sette anni ti svegli ogni mattina con uno di loro che sicuramente non è dove si era addormentato la sera precedente, ad esempio steso sotto al letto oppure attorcigliato attorno alle tende oppure dentro all’armadio smetti di chiederti come ci sei arrivato. È un po’ più difficile abituarsi all’idea delle loro lotte per il bagno. Nel senso che...- e qui lanciò un’occhiata a James, indeciso tra il ridere o lo strozzare Frank – che insomma, si chiudono in bagno e si rifiutano di uscire.... e poi escono e sembrano un’altra persona. Tranne che James. Anzi, i suoi capelli...-

Concluso il suo discorso tra le risate generali, Frank chiuse la bocca e non parlò per tutto il viaggio, anche perché sarebbe stato difficile visto che Alice aveva cominciato a parlare dei loro progetti sugli sci.

Lily ne era contenta. Tutto era, in un certo senso, normale. E lei voleva solo questo.

E poi, forse troppo presto, il treno si fermò.

Un’ansia la prese, costringendola a respirare un po’ più forte. All’improvviso non voleva scendere, non voleva vedere i suoi genitori o sua sorella. Voleva rimanere chiusa l e continuare a viaggiare, avanti e indietro, da Londra fino a Hogwarts e poi il contrario.

James sembrò intuirlo, perché rimase nello scompartimento, quasi imponendole la sua presenza come ai vecchi tempi. Solo che adesso era una specie di boccata d’aria per Lily. Gli passò davanti, cercando di raccogliere abbastanza coraggio da non sembrare spaventata, ma si ritrovò ad abbracciarlo, senza sapere come ci fosse finita. Sapeva solo che aveva bisogno di farlo, aveva bisogno di quel calore che solo chi ci vuole bene ci può dare.

Staccandosi non lo guardò. Non c’era bisogno. Camminò con più forza verso l’uscita del treno, sentendosi un soldato al fronte.
Ripensò a quella volta in cui Alice le aveva detto che sembrava un militare quando lasciava Potter basito dopo una rispostaccia, tutta impettita e con lo sguardo feroce.

Le scappò una risatina, perché era esattamente così che si sentiva.

E in quel momento vide sua madre.

Le corse in contro, abbracciandola e lasciandosi abbracciare a sua volta come quando era una bambina piccola. Sua madre le baciò la fronte e la testa, passandole una mano sui capelli che ormai erano parecchio lunghi. La allontanò qualche secondo da sé per osservarla meglio, pronta a dire come ogni altra madre che sua figlia stava benissimo e oh, quant’era cresciuta, ma che era anche troppo magra.

Di norma Lily avrebbe sbuffato, ma si sarebbe sentita meglio in quel piccolo momento di atroce normalità. Quella volta, invece, si limitò a guardare sua madre come non faceva da tempo.

Sarah Goldson in Evans era ancora una bella donna, nonostante avesse qualche ruga di troppo sulla fronte, evidente segno che la preoccupazione non lasciava mai nemmeno lei. I capelli erano di un rosso più scuro di quelli della figlia, ma il volto aveva la stessa forma così come il naso e la bocca. I suoi occhi azzurri erano ricolmi di apprensione ma anche di gioia tranquilla, come quella che la prendeva nei momenti di felicità.

Vestita come al solito con semplice eleganza era più magra dell’ultima volta in cui lei e Lily si erano viste, ma non era questo il cambiamento maggiore nel suo fisico, piuttosto le spalle leggermente incurvate, che sembravano sostenere il peso di molto dolore.

Dopo tanto tempo, Lily si sentiva di nuovo uguale a sua madre.

Nel tornare a casa Sarah fece a Lily le domande di rito, ovvero “Come va la scuola”, “Le amiche cosa fanno”, saltando però quella sui ragazzi. Aveva già trovato una risposta nel bel viso di un ragazzo della stessa età di Lily che era sceso subito dopo di lei e che l’aveva guardata con la dolcezza e la preoccupazione di un innamorato.

Si chiese se si trattasse del fantomatico e, a detta di Lily, irritante James Potter...

Ma ci sarebbe stato del tempo, si diceva, osservando la figlia poggiare la testa contro il finestrino dell’auto. Avevano tante cose da raccontarsi.
 
                                                                                ****
 
-Mamma! Sono a casa!- urlò James, subito dopo essersi materializzato in giardino, appena fuori l’area di protezione. Lo seguivano Remus e Peter. Sirius era già corso in avanti, allettato dal profumo che proveniva da Villa Potter.

Dorea Potter uscì in giardino, trascinandosi dietro Sirius e scompigliandogli i capelli. Era una donna leggermente in carne, il viso a forma di cuore e i capelli corti e lisci, neri come quelli del figlio. La guerra si faceva sentire anche su di lei, potandole ogni giorno una ruga in più di preoccupazione.

Abbracciò il figlio e poi, a turno, i suoi amici che si guardavano intorno progettando già un’epica battaglia di neve. L’ennesima.
Con un  gesto deciso della bacchetta ignorò le lamentele del figlio e degli amici e portò tutto, loro compresi, dentro, dove li aspettava una tavola ricolma di ogni cosa.

I ragazzi, affamati, si gettarono sul cibo. Tutti tranne James.

La cosa non quadrava, si disse. Di solito suo figlio era sempre il primo a mangiare, dimenticandosi le regole dell’ospitalità. Invece si attardò sulla soglia e per un attimo i suoi occhi, tanto simili a quelli del padre, si scontrarono con quelli di sua madre, che vi lesse dentro la sua stessa angoscia e la stessa sofferenza.

Le sorse spontanea la domanda Per chi?

Poi James, superato quel momento di tristezza, si buttò a capofitto sul cibo, mangiando e ridendo quasi più del solito, picchiando per finta Sirius con una coscia di pollo.

Dorea si pulì le mani sul grembiule, poi tornò in cucina per finire di lavare le pentole e i piatti sporchi.

Dalla stanza accanto provenivano voci allegre, sopra le quali svettava quella di Sirius, che stava cantando una canzone natalizia molto poco natalizia.

-Tu scendi dal Platano, oh Lunasto-o-o-rta e vieni qui da noi per mangiare a casa Po-o-o-tar- urlava, mentre Remus cercava disperatamente di zittirlo a colpi di tovagliolo.

James aveva perso ormai da tempo le speranze che riguardavano un certo rinsavire del ragazzo e così si limitò a ricordargli che il suo cognome non era Pottar, ma Potter, suscitando le risatine di Peter, che cercava di ridere un po’ di tutto per non scontentare nessuno.

-James, che hai?- gli chiese a un certo punto Remus, approfittando di un momento in cui Sirius, trasformatosi in cane, correva sotto alla neve e poi la spruzzava tutta addosso a Peter, che rideva come un matto.

-Io... Remus, hai mai temuto per qualcuno in una maniera tale che ti fa smettere di pensare a te stesso?- gli domandò, guardandolo negli occhi. Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, prima di rispondere:- Stai pensando a Lily, vero?-

Nel sentire quel nome James sussultò, mentre i suoi occhi vagavano per la stanza, come se si aspettasse di trovarla lì, perfettamente sana e felice.

-Vai da lei, allora, James. E’ Natale, tu hai diritto come tutti ad essere felice e se la tua felicità ti impone di correre da Lily anche solo per vederla... beh, fallo. C’è qualcuno che te lo vieta? Sono sicuro che anche gli altri ti direbbero così. Sirius forse te lo direbbe in un’altra maniera, ma il succo sarebbe questo. Va’, forza, idiota di un cervide!- concluse, passandogli una mano tra i capelli.

James si alzò e sorriso all’amico, prima di urlare qualcosa sul fatto che usciva per un po’.

-E non mi distruggete casa mentre non ci sono!-

Mentre James spariva, Remus smise di sorridere, sentendo ogni cicatrice pesare e bruciare, come se la Luna Piena si fosse fatta più vicina tutta d’un colpo.
 
                                                                *****
 
-Sono a casa!- urlò Lily entrando e chiudendo la porta dietro di sé.

Usare quella parola, casa, le faceva sempre uno strano effetto. Era difficile, per lei, associare a quella parola quelle mura verde chiaro, il divano a strisce, il portaombrelli a fiori e le porte bianche.

Casa era Hogwarts, con i suoi corridoi freddi e il Lago Nero. Casa era il suo dormitorio, le tende, i letti a baldacchino e le sue amiche.

Casa era James e i suoi abbracci disperati.

Poggiò le chiavi sul tavolino dell’ingresso e cominciò a salire le scale, per salutare il padre. Sua madre era andata a fare un po’ di spesa, ma Lily sapeva che era una scusa per far sì che potesse salutare come si deve Mark Evans.

La ragazza aprì la porta della camera, proprio in cima alle scale. All’inizio non riconobbe suo padre in quella figura mingherlina e sommersa dalle coperte, che teneva la testa girata verso la finestra. Poi però l’uomo voltò la testa e lei si vide riflessa in quegli occhi tanto simili ai suoi, che le fecero venire da piangere.

Suo padre abbozzò un sorriso e lei gli corse in contro, stringendolo piano tra le braccia. I capelli ispidi e biondicci dell’uomo le premevano contro il collo ma lei non voleva staccarsi. Mark cercò di abbracciarla, ma il suo braccio era troppo debole e così si limitò ad accarezzarle un braccio, con dolcezza.

Sua figlia era diventata una donna, lo vedeva nei suoi occhi che non riuscivano a celare la preoccupazione e nel golfino che ormai le stava un po’ piccolo. Avrebbe voluto chiederle tante cose, ma riuscì solo a dire, con un filo di voce:- Sei tornata, piccola...-

Lily annuì, gli occhi umidi. Si staccò da lui e gli passò una mano sulla guancia, così pallida e vuota. Un tempo Mark Evans era stato robusto e forte, un uomo gioviale che amava sua moglie e le figlie alla follia. Poi, un giorno, un infarto l’aveva quasi ucciso e da allora non si era più ripreso. Lily ogni sera pregava perché lui migliorasse, perché stesse bene, ma in cuor suo sapeva che suo padre non sarebbe stato in grado di lottare ancora per molto. Si era aggravato il diabete, che l’uomo non aveva mai tenuto sotto controllo e il risultato era questo: un uomo ridotto ad una bambola di pezza, ancorato ad un letto che non riusciva a lasciare, con gli occhi spenti per la fatica di tenerli aperti.

La ragazza strinse una mano al padre, guardandolo e cercando di ricordarlo com’era prima della malattia, di ricordare i suoi sorrisi.

-Mamma ti ha scritto che volevo passare un Natale felice con te e la mia famiglia al completo. Sono così felice di esserci riuscito..- mormorò, cercando di alzarsi un po’ con a schiena. Lily intuì  ciò che voleva fare e sollevò il cuscino così da dargli un appoggio.

La porta si aprì, rivelando sua madre e Petunia dietro di lei. Lily sentì il proprio cuore accelerare mentre un rivoletto di sudore le solcava la schiena. Incontrando gli occhi della sorella, Lily non vi lesse disgusto. C’era una sorta di blocco in lei, qualcosa di insuperabile che andava oltre le dispute tra sorelle: loro padre stava morendo e ne erano consapevoli entrambe, portandosi via l’ultimo strascico di normalità che c’era ancora su quella casa.

-Tesoro, ti ho portato gli ingredienti per fare i biscotti...- disse sua madre, porgendo a Lily un sacchetto di plastica con la spesa all’interno. Gli occhi di Mark brillarono per qualche istante, mentre un sorriso cercava di farsi strada sul suo volto.

-Biscotti? Oh Lis, che bella notizia! Petunia ti può aiutare, vero?- chiese l’uomo, usando il soprannome di Lily di quand’era piccola.
Petunia scosse la testa, declinando l’invito.

-Sono passata a salutarti, papà, non posso trattenermi abbastanza da aiutare...- avrebbe voluto dire il mostro, ma sapeva che per suo padre sarebbe stato un dispiacere, così si limitò a dire un freddo e banale “Lily”.

Alla ragazza non sfuggì l’occhiata in tralice che le aveva rivolto Petunia, così si affrettò a baciare suo padre sul capo e a scendere di sotto per cominciare a cucinare. Sua madre le sfiorò un braccio, sorridendo dolcemente, mentre chiudeva la porta dietro di sé e Petunia.

Lily si sedette sulle scale e cominciò a piangere, silenziosamente.

Pianse per la sua famiglia, pianse per Petunia e per se stessa. Pianse per Marmalade, il suo gattino di appena due anni, che lei lasciava sempre a casa perché non poteva portarlo ad Hogwarts.

Pianse per il suo maglioncino troppo corto e per i suoi capelli che non ne volevano sapere di avere una forma.

Pianse fino a quando Sarah non uscì e la affiancò, sedendosi accanto a lei. Si abbracciarono, madre e figlia, e rimasero in silenzio a guardare la porta.

-Vieni, tesoro, troviamo qualcosa da metterti...- disse sua madre, alzandosi e prendendola per mano. Entrarono in camera di Lily, che era come lei l’aveva lasciata: i suoi peluches di quand’era bambina, l’armadio bianco con ancora i resti di qualche figurina e poi le foto più recenti di lei e Alice e Mary che ridevano e quella con tutte le persone del suo anno di Grifondoro.

Ce n’era anche una di lei con i suoi genitori e una con Petunia da bambine. Sfiorò le foto con le dita, cercando di non ricordare troppo, perché sapeva che sennò non sarebbe stata in grado di reggere ancora quella tensione.

Intanto sua madre aveva tirato fuori qualcosa dall’armadio e gliel’aveva messo sul letto. Poi vi poggiò sopra qualcos’altro, che fece sorridere Lily.

-Pensavo che potesse essere originale...- mormorò la donna, nel vedere il sorriso della figlia. Uscì, lasciandole l’intimità per cambiarsi.

Quando Lily scese di sotto, vestita, aveva di nuovo il solito sguardo fiero e l’aria battagliera che l’aveva sempre contraddistinta. Prese gli ingredienti dalla busta e li dispose metodicamente sul tavolo immacolato. Accese il forno e iniziò a guardare la ricetta, anche se la sapeva a memoria.

Le sue mani impastavano e mescolavano senza tregua. Quando infilò i biscotti nel forno si gettò su una sedia, spossata dalla fatica.

All’improvviso suonò il campanello e lei si alzò pigramente, pulendosi le mani su uno strofinaccio prima di correre ad aprire.

La porta sbattè contro qualcosa e lei si portò le mani alla bocca, reprimendo un risolino...
 
                                                                                    ****
 
James aveva cercato l’indirizzo di Lily durante il loro quarto anno, in un momento di noia totale e se l’era impresso nella memoria con la scusa di doverlo ricordare per poterle fare qualche scherzo.

Quando si materializzò, si trovò davanti una casa bianca a due piani, circondata da un giardino che forse un tempo era stato curato, me che ora presentava i segni del tempo. Ogni cosa, dalla staccionata verde alla cassetta delle lettere rossa ricordava Lily e il ragazzo si ritrovò a sorridere. Si avvicinò alla porta e vide un piccolo campanello d’ottone, con su scritto M. Evans e S. Goldson. Premette l’aggeggino, memore delle lezioni di Babbanologia e fece un salto, spaventato dal trillo acuto che quello emise. Si voltò a studiarlo meglio e in quel momento la porta si aprì, colpendolo con forza.

Qualcuno mi vuole morto pensò, tenendosi la testa per il dolore e gli sembrò di sentire qualcuno ridere. Si chiese chi fosse, se uno dei familiari di Lily o lei stessa.

Voltandosi, riuscì solo a pensare qualcuno mi vuole davveromorto.

Lily era davanti a lui, le mani davanti alla bocca. Aveva indosso un maglioncino a collo alto color crema e una gonna verde scuro, sopra la quale c’era... una cravatta.

James sbattè gli occhi qualche istante, guardando la bizzarra cintura, che effettivamente era una cravatta, per la precisione una cravatta rossa con disegnati tanti piccoli abeti sopra. Alzò la testa e vide che Lily aveva iniziato a ridere e aveva tolto le mani da davanti al viso, rivelando una semplice treccia laterale che cedeva morbidamente sulla sua spalla destra.

Era bellissima.

Semplice  eppure così elegante da far invidia a chiunque, in quel momento James non poteva fare altro che guardarla ridere, continuando a tenersi la testa. Lei si fermò e lo guardò, prima con aria interrogativa, alla quale lui rispose con un’alzata di spalle, poi sorrise e si scostò dalla porta, invitandolo ad entrare.

-Ciao James!- disse, sporgendosi per dargli un delicato bacio sulla guancia. Il ragazzo si guardò intorno e la prima cosa che notò fu un albero di Natale grande il doppio di Lily, completamente addobbato. Sotto c’era un solo pacchetto, che recava la scritta Per Lily da mamma e papà.

Mentre James guardava casa sua, Lily si chiese cosa ci facesse lì, cercando di ignorare la fitta allo stomaco che l’aveva presa nel vederlo. Era contenta di vedere il suo amico, precisò. Vide James annusare per aria e si accorse che i biscotti erano pronti.

-Ho fatto i biscotti...- disse, con semplicità. Lui la guardò, gli occhi spalancati e, Lily ne era certa, un bel po’ di acquolina. Lo condusse in cucina, aprendo il forno.

-Bella cintura...- commentò James, sorridendo, mentre lei tirava fuori la teglia dal forno.

-Era una cravatta di mio padre. Mia mamma dice che da un tocco di originalità al tutto...- spiegò, togliendosi le manopole da forno ed aprendo uno sportello, alla ricerca dello zucchero a velo. Che, puntualmente, era in fondo a tutto.

James si avvicinò e lo prese senza sforzarsi troppo, al che Lily commentò:- Però così non vale... tu sei più alto!-

Rimasero in silenzio a guarnire i biscotti, quando Lily chiese- Come mai sei qui, comunque?-
James avrebbe voluto rispondere,  ma effettivamente, cosa ci faceva lui lì?

-Ehm, passavo da queste parti e... ehm... ok, ero preoccupato e sono venuto a trovarti!- concluse, cercando di evitare di arrossire. Inutilmente.

James Potter non arrossisce mai, questa era una regola.

In quel momento sbucò una donna dalla porta e James lasciò cadere un biscotto. Era pressoché identica a Lily, se non per gli occhi azzurri e le rughe.

-Oh, mamma, ho quasi finito. Mamma, James Potter. James Potter, mamma...- presentò pigramente, disponendo i dolcetti su un vassoio.
La donna sorrise, mentre il ragazzo le porgeva una mano imbarazzato. E così ci aveva visto giusto. Quello era James Potter.
Si chiese cosa ci facesse lì, ma vedendo il ragazzo aiutare maldestramente la figlia, decise che non le importava. Era bella la serenità che c’era in quella stanza, in stridente contrasto con l’ansia e la tristezza che regnavano nella casa.

-Ok, porto i biscotti a papà! Potter, con me!- esclamò Lily, afferrando il vassoio ed evitando che James afferrasse il quinto biscotto. Il ragazzo portò una mano alla tempia, come se stesse facendo un saluto militare e la seguì impettito, sotto le risate di Sarah. Quel tipo era buffo, davvero. Le ricordava tanto Lily quand’era bambina e inseguiva Petunia giocando a fare il cane.

-Agli ordini, sergente Evans!-

All’improvviso, dalla stanza dei genitori di Lily uscì Petunia, tirando su col naso. Vide James e Lily sorridere e qualcosa la prese dall’interno, una sorta di triste rabbia.

Petunia si accorse di essere invidiosa di quei due sorrisi complici.

Lily la superò senza degnarla di un’occhiata, mentre James si volse a guardarla: capelli biondicci e occhi scuri, un viso allungato e magro, Petunia Evans non somigliava quasi per niente alla sorella, se non per lo sguardo fiero nonostante ferito.

-Papà, ti ho portato i biscotti!- esclamò Lily, entrando. James la seguì, timoroso, senza riuscire a scrollarsi di dosso lo sguardo ferito di Petunia. L’uomo nel letto aveva gli stessi occhi di Lily e sembrava un bambino quando assaggiò i biscotti.
All’improvviso una mano gentile si posò sulla spalla di James e lui si voltò, scoprendo il sorriso gentile di Sarah Evans.

-E lui chi è?- domandò il padre di Lily, facendo arrossire James per la seconda volta nella giornata. Lily si affrettò ad affiancarlo e a spingerlo avanti:- Lui è James, un mio amico! Questo bimbo goloso è invece mio padre, Mark...-

Era serena, finalmente. Sembrava che tutto andasse per il meglio. La porta si aprì, rivelando Petunia che sbirciava curiosa. In quel momento Lily avrebbe potuto abbracciarla e dirle che andava tutto bene, avrebbe voluto portarla in camera e raccontarle qualcosa di più su James...

SI udirono dei tonfi provenire dalla porta. E poi una voce, che Lily non avrebbe mai più dimenticato.

-Evans, lo sappiamo che sei lì dentro! Perché non ci vieni ad aprire, così ti salutiamo come si deve?-

James la guardò, mentre il vassoio cadeva per terra, spargendo ovunque i biscotti. La mano di Lily corse alla bacchetta e una gran paura la prese. L’avevano trovata.

I Mangiamorte.







Ed eccomi qui... ok, mi vorrete uccidere... non ho mai scritto un capitolo così lungo, davvero. 4000 parole. Il mio bradipismo si è superato... innanzitutto grazie a tutti coloro che commentano... ^^ poi, passiamo a qualcosa sulla storia: volevo rendere la tristezza di Lily, la sua angoscia e poi il suo sollievo nel vedere James. Mi sembra di aver scritto qualcosa di tremendamente clichè, ma vabbè. Ultima curiosità: il gatto di Lily si chiama Marmalade... il nome significa marmellata, ma lo stesso significato ha anche la parola Jam (anche se Jam indica un'altro tipo di marmellata)... in qualche maniera vedevo Jam come l'abbreviazione di James, segno che quindi Lily a lui ci pensava già da prima, anche se inconsapevolmente... :)
Un bacione, Writ
   
 
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