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Autore: a Game of Shadows    30/06/2011    5 recensioni
Il principe Edoardo, erede al trono d’Inghilterra, era uno dei figli prediletti della Regina Vittoria. Per motivi burocratici, ciò che comportò la morte della sua povera madre fu insabbiato e sostituito con la ormai celebre versione della sua dipartita del 22 gennaio 1901 a Osborne House all’Isola di Wight. Nessuno, chissà perché, si è mai chiesto perché si dicesse che la Regina fosse ancora sull’isola alla fine di Gennaio quando solitamente passava in quell’abitazione solo le vacanze di Natale.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI. Experiment.

“Non ha senso!” sbottò, camminando su e giù per il salotto.
Holmes ancora parlava del caso, ma io avevo smesso di seguirlo almeno un’ora e quindici minuti prima. Almeno, avevo smesso di seguirlo nelle sue spiegazioni perché fisicamente, invece, lo seguivo davvero. Per tutta la stanza, cercando di fermarlo e portarlo a letto ma credo non avesse sentito una parola di tutte le preoccupazioni che avevo espresso per la sua salute.
“Holmes, vada a dormire, è malato-”
“Allora” iniziò, fermandosi improvvisamente in mezzo alla stanza, causando uno scontro tra me e la sua schiena, di cui lui comunque non sembrò accorgersi, rimanendo immobile com’era prima della collisione. Era come andare contro un muro ad alta velocità; l’unico che si fa male sei tu, mentre il muro ti sbeffeggia con la sua impassibilità. Mi stava totalmente ignorando. Parlava ad alta voce solo per ragionare meglio, lo avrebbe fatto, anche se non ci fossi stato. “Un uomo, marinaio con le scarpe a punta quadrata irrompe nella stanza da letto della Regina dopo cena, in modo da non rischiare di avere incontri spiacevoli. Appena entra la minaccia con la pistola, fermandosi sulla porta – le impronte con il vapore erano più definite sulla porta e vicino allo scrittoio, per evitare un qualunque richiamo d’aiuto. La minaccia con la pistola da una distanza tanto ravvicinata da far cadere della polvere da sparo dalla canna al foglio, imponendole di scrivere una lettera d’addio in modo che sembri che si tratti di suicidio. Si procura la corda dalla stanza per non far credere che sia arrivato un oggetto dall’esterno, ma la Regina non è capace di fare un nodo scorsoio, non essendosi mai spostata se non per il tragitto Buckingham Palace – Wight, quindi annoda il cordone e la spinge a impiccarsi. Adesso” disse, andando a sedersi sulla poltrona. “Cosa c’entra il ragazzo? O, meglio: il rapporto di... intima amicizia che sembra avere con la Principessa Alice c’entra qualcosa con la morte della Regina? Non può mirare al trono, non è Alice l’erede ma Edoardo, e se avesse voluto uccidere anche lui, l’avrebbe fatto prima che scoppiasse lo scandalo, una persona che s’ingegna tanto per far passare un omicidio per suicidio non sarebbe tanto stupida da commettere un secondo delitto quando l’intero corpo di polizia ha messo le tende a Palazzo e senza dubbio non le toglierà fino all’elezione dell’erede. Però… però, anche se non ha intrapreso la carriera in marina, suo padre sì e senza dubbio un padre d’indole militare, qualunque sia il campo specifico, tende sempre a crescere i propri figli nello stesso modo in cui lui stesso è cresciuto. Potrebbe inconsciamente aver insegnato al figlio qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo nell’omicidio, ma non capisco il nesso…”
Per un attimo fui tentato di chiedergli chi fosse il ragazzo, ma cancellai immediatamente questa idea dalla mia testa. Chiunque fosse, le spiegazioni a riguardo avrebbero potuto benissimo attendere la carrozza del giorno dopo quando saremmo tornati a Buckingham. Ciò che mi premeva di più, al momento, era assicurarmi che Holmes andasse a riposare e, ovviamente, tenerlo lontano dall’astuccio in marocchino.
“Qualche teoria, Watson?” mi chiese, rialzando per la prima volta lo sguardo su di me in tutta la serata.
“Le mie teorie sarebbero talmente ridicole e sbagliate-”
“Come il solito” m’interruppe.
Presi un profondo respiro, stringendo i pugni, e ripresi. “-sarebbero talmente ridicole e sbagliate che sarebbe meglio che riposasse prima di subire un tale shock per la sua intelligenza. Per l’amor di Dio, Holmes, lei è umano! Se nelle sue già pessime condizioni di salute aggiunge tutto lo stress che si sta caricando sulle spalle, collasserà prima di domani! Vada a dormire, si riposi un po’!” esclamai, esasperato.
“Se fossi stato in grado di riposarmi in un momento simile lo avrei già fatto, non crede?” chiese di rimando.
“Lei è perfettamente in grado di riposarsi come qualunque altro essere umano malato e sotto stress, solo che se lo impedisce!”
“Non so se l’ha notato, Watson, ma in questo momento il destino del regno britannico dipende da me. Lei ha combattuto per l’Inghilterra, sa quanto sia importante”
“Lo so, ma mi dispiace informarla che tengo più alla salute del mio migliore amico che al futuro di un gruppo di funzionari soprappagati che restano seduti tutto il giorno all’interno di una stanza!”
Lo zittii. Per la prima volta, da quando lo conoscevo.
Molto probabilmente non si aspettava di sentirmi dire che lo ritenevo più importante della nostra Inghilterra, per cui avevo rischiato la vita.
Dunque, quando mi avvicinai alla sua poltrona, lui si alzò senza una parola. Gli posai una mano sulla spalla e lo condussi verso la sua camera.
Fu davvero un’impresa epica riuscire ad arrivare al suo letto senza calpestare niente sul pavimento. Ancora mi chiedo come faccia a vivere bene in quelle condizioni. In guerra, nei nostri accampamenti di fortuna, eravamo più ordinati.
Appena si sdraiò sul letto ancora disfatto dalla mattina, presi la sedia alla sua scrivania e la avvicinai.
“Sappia che non ho alcuna intenzione di andarmene fino a che non si sarà addormentato” annunciai.
Non disse niente ancora una volta, nonostante dovessi essere io a coprirlo, altrimenti lui non lo avrebbe fatto.
Contraddicendosi da solo, si addormentò nel giro di pochi minuti.
Non me ne andai, comunque. Rimasi seduto accanto al suo letto ad osservare le sue guance leggermente imporporate e il suo respiro regolare. Almeno finché lì, su quella sedia, il sonno vinse anche me.

Quando mi svegliai, non ero sulla sedia, ma avvolto dal calore delle coperte.
Non capii subito, quando mi misi seduto, perché fossi immerso nel caos della camera di Holmes, ma poi ricordai di averlo obbligato ad andare a dormire, seppur non sapessi come fossi arrivato nel letto.
Mi voltai dall’altro lato del letto, trovandolo vuoto. Mi resi conto, allora, che, come il solito, a svegliarmi erano state le note del violino che venivano dal salotto. Guardai l’orologio: le tre in punto.
Si era svegliato, mi aveva messo a letto, e si era alzato. Non riusciva proprio a dormire.
Caddi di nuovo con la testa nel cuscino prima di riuscire ad alzarmi. Il fatto era che quella stanza era lui; il caos, la stranezza degli oggetti, persino il suo profumo, impregnato nelle coperte in cui mi stavo crogiolando come un cucciolo in cerca di coccole.
Prima di rendermi conto di cosa stavo facendo, mi ritrovai ad abbracciare il suo cuscino. Quando me ne accorsi, me ne allontanai come se mi fossi scottato, guardandomi circospetto intorno sperando che non mi avesse visto.
Ma lui era ancora in soggiorno, sentivo ancora le note nell’aria.
Mi alzai, cercando di uscire dalla fase di stordimento immediata dopo un sonno profondo, e mi diressi verso il soggiorno.
Quando lo vidi, mi strappò un sorriso. Era a testa in giù sulla poltrona, gli occhi chiusi e, seppure in una posizione molto scomoda, continuava imperterrito a suonare quella melodia che lo avevo sentito suonare spesso anche quando non avrei dovuto essere a Baker Street, durante il matrimonio, che interrompeva ogni volta che si rendeva conto della mia presenza. Una delle mie preferite.
La musica si fermò quando aprì gli occhi, fermandosi a guardarmi, ancora sottosopra.
“Dovrebbe essere a riposare” asserii.
Sbuffò, distogliendo lo sguardo, ma non disse niente come risposta. Iniziai a pensare che soffrisse d’insonnia e non me lo avesse mai detto, perché per quanto stanco potesse essere, ogni notte, alle tre, si svegliava ed andava a suonare.
Ripose il violino a terra, rimanendo comunque in quella scomoda posizione.
“Watson, ho bisogno del suo aiuto per un esperimento molto importante” disse invece, con la voce arrochita dalle molte ore di muto.
“Non le sembra un po’ tardi per dedicarsi alla chimica?”
“Non ha a che vedere con la chimica, né con il caso. Può avvicinarsi per favore?”
Incuriosito – e, ammettiamolo, anche un po’ intimorito: quando mai, durante un caso importante, Sherlock Holmes si perdeva in esperimenti che non erano utili alla soluzione? – mi avvicinai, inginocchiandomi, nonostante le proteste della ferita, sul pavimento davanti alla sua poltrona.
Non aveva distolto lo sguardo da me neanche un attimo e adesso i suoi occhi ancora lucidi per la febbre sembravano brillare ancora di più. Forse per la vicinanza o forse perché, in un modo o nell’altro, brillavano di più davvero. Era quella particolare scintilla che aveva quando era vicino alla conclusione di un caso particolarmente complicato e mi guardava così, in quel momento, come se il caso su cui stava lavorando fossi stato io.
Forse anch’io lo stavo osservando allo stesso modo perché non riuscivo a capire quali fossero le sue intenzioni. Poi, oltre agli occhi luminosi, le sue guance erano ancora colorate di un lieve rossore e le labbra umide dischiuse. Era davvero bellissimo.
Ebbi la tentazione di sollevare una mano almeno fino a toccargli i capelli. Volevo sentirli scorrere tra le dita, ma non lo feci. Sarebbe stato troppo sconveniente.
“Che cosa devo fare?” chiesi.
Sembrò riflettere molto sulla risposta da darmi, nonostante mi avesse chiesto lui di partecipare. Lo vidi deglutire a vuoto, mentre lo sguardo rimaneva fisso nel mio.
“Deve baciarmi”
Mi sembrò che il tempo si fermasse.
Forse stavo ancora dormendo, forse avevo bevuto troppo a cena, ma non riuscivo a credere che quelle parole fossero uscite davvero dalle sue labbra.
Alla fine, uno di quei banalissimi luoghi comuni è vero. Aspetti qualcosa per tutta la vita e quando arriva, non sei mai abbastanza preparato.
“Cosa-?” mormorai, sconvolto.
Considerai di essere, sì, sveglio, ma ancora stordito dal sonno, quindi avergli sentito dire quello che io volevo sentire. Avevo bisogno di sentirglielo ripetere prima di rischiare di rovinare per sempre la nostra amicizia che, fino a quel momento, era quanto di più prezioso avessi.
“Mi ha sentito benissimo, non mi costringa a ripetermi”
Non ci pensai più.
Mi chinai su di lui e lo baciai.

   
 
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