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Autore: _opheliac    16/07/2011    7 recensioni
Blaine era un ragazzo che difficilmente credeva alle storie che gli anziani raccontavano sulle loro divinità: certo, sacrificava gli animali quando lo si riteneva necessario – benché non sempre riuscisse a guardare quelle povere bestie morenti – e se arrivava un periodo di carestia allora pregava affinchè Brittany ridonasse la fertilità alle terre, ma lo faceva più per tradizione che per vero credo.
Ma un giorno dovette ricredersi.

Una Klaine ambientata nell'antica Grecia, tra gli Inferi, il Monte Olimpo e gli ostacoli delle divinità. La decisione di Finn, Padre degli Dei, risolverà i dissapori e farà vincere l'amore proibito, se questi si mostrerà meritevole, o seguirà la volontà di Dave?
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le dodici fatiche di Blaine

Le dodici fatiche di Blaine

 

Vi  era, un tempo, la credenza che la natura, le stagioni, gli elementi naturali e tutto ciò che accadesse nel mondo, come anche l’amore e la guerra, fossero dettati dalle azioni di alcuni particolari esseri. Nessuno aveva mai avuto il privilegio di incontrarli di persona, almeno così si vociferava, eppure tanti erano i templi a loro dedicati, moltissimi i sacrifici per ottenere la loro benevolenza, e ancor di più erano le storie che si raccontavano di padre in figlio, di famiglia in famiglia, sulle incredibili gesta da loro compiute.  Si diceva che vivessero sulla cima del monte più alto di tutto il territorio, la cui scalata nessuno aveva mai tentato; la loro casa doveva essere al di la delle nuvole, o forse ne faceva addirittura parte, perché pur alzando la testa ai limiti del possibile, nessuno riusciva a scorgere il minimo movimento o segno di vita. Nonostante fosse molta la curiosità di vedere dal vivo questi esseri incredibili, che gli uomini avevano iniziato a chiamare Dei, nessuno si era mai avvicinato più di tanto alle pendici del monte, non volendo incorrere nelle loro ire e provocare catastrofi che avrebbero sconvolto la loro vita terrena, già difficile di per sé.

Erano uomini semplici quelli che popolavano le terre di quell’epoca, che vivevano dell’abilità di cacciare con  le loro sole forze, e dei pochi mezzi che la natura metteva loro a disposizione. Eppure non vi era popolo più valoroso in tutti gli angoli del mondo fino a quel momento conosciuti, nessun popolo più abile nell’arte della guerra, nella navigazione, perfino nelle arti della magia e della divinazione.
Gli uomini erano abili con la spada, forti e valorosi, le donne di una bellezza e spirito d’animo impareggiabili.
Benchè  il sopravvivere richiedesse notevoli sforzi giornalieri, chiunque poteva asserire che nei loro occhi vi era sempre la gioia.
Era un’epoca d’oro per il mondo stesso.

 

*******

 

A diversi metri di altitudine, al di la delle nubi, circondate di luce e armonia, vi erano veramente le dimore degli Dei. Erano tanti edifici, alcuni più piccoli, altri maestosi, il più grande, al centro di tutto e sulla cima esatta dell’Olimpo. Questo poteva rassomigliare a uno dei grandi templi dei mortali, con le sue altissime colonne doriche, un tetto triangolare talmente massiccio che sembrava nessuno potesse scalfirlo, e una scalinata imponente, che portava all’ingresso vero e proprio. Non vi erano dei muri, la struttura era aperta e inondata dalla luce che proveniva direttamente dal cielo; il tempio si divideva in navate: lungo l’apertura principale si accedeva alla sala più importante, dove vi erano, posti in cerchio, dodici alti scranni, ognuno con un diverso simbolo inciso nel marmo in cui erano scolpiti. In mezzo, vi era un grosso cerchio in quello che sembrava oro, al cui interno vi era incastonata una grossa sfera trasparente, completamente vuota.  La navata sinistra era destinata all’uso di pochi, poiché non tutti avevano avuto il permesso di potervi entrare; era protetta da uno scudo invisibile agli occhi, che consentiva l’entrata soltanto a quelle persone designate. I rimanenti non soltanto non potevano attraversarlo, ma non potevano nemmeno vedere cosa vi era al di là;  per i non eletti, appariva semplicemente come uno spazio vuoto.

Nella navata destra si trovava un lungo tavolo,  anch’esso scolpito nel marmo e incastrato nel pavimento,  come anche le panche che vi stavano ai due lati. Una sola sedia, ben più piccola degli scranni della sala principale, ma comunque imponente, stava nel lato corto, ad indicare il posto a sedere per la figura più importante. Era il posto a sedere del Padre degli Dei, colui da cui quasi tutti gli altri erano stati generati, e che aveva salvato i suoi fratelli e sorelle da una morte dolorosa.

Egli era Finn, al quale venivano rivolte le preghiere più solenni e importanti.

Lo si dipingeva come una personalità burbera e severa, l’indiscusso sovrano dell’Olimpo, ma la verità era che aveva un gran cuore,  un animo nobile e gentile, in grado di prevedere ciò che sarebbe accaduto e spesso decidere in anticipo quali sarebbero state le conseguenze.  A volte, però, egli riusciva anche a cambiare idea, se vi erano delle motivazioni adeguate.

 

 

*******

Gli dei non scendevano spesso sulla Terra, se non era strettamente necessario, perché rischiavano di essere visti, e quando accadeva le conseguenze erano quasi sempre spiacevoli.  Gli unici umani che avevano il permesso di vederli e parlare con loro erano gli Oracoli; erano, comunque, momenti che accadevano in determinati giorni dell’anno, o in alcuni particolari periodi, ad esempio quando vi era in corso una guerra, o la carestia.
Blaine era un ragazzo che difficilmente credeva alle storie che gli anziani raccontavano sulle loro divinità: certo, sacrificava gli animali quando lo si riteneva necessario – benché non sempre riuscisse a guardare quelle povere bestie morenti – e se arrivava un periodo di carestia allora pregava affinchè Brittany ridonasse la fertilità alle terre, ma lo faceva più per tradizione che per vero credo.

Ma un giorno dovette ricredersi.

 

La foresta era brulicante di animali, e lui cercava solo un capriolo da portare a casa per placare la fame della madre e della sorellina. Appostato tra gli alberi, le orecchie tese a captare il minimo movimento, si spostava con passi fluidi e leggeri, addentrandosi sempre più nella vegetazione fitta.  La caccia non era soltanto un modo per procacciare il cibo, ma una vera e propria arte, che richiedeva una certa abilità, come destrezza, velocità e soprattutto una certa dose di furbizia, perché gli animali spesso erano anche più scaltri degli uomini, e non sempre era facile prenderli. Molti preferivano la pesca, ma il suo villaggio non era così vicino al mare come potevano esserlo altri, ed era più veloce e facile andare a caccia nella foresta li vicino.
I suoi occhi scrutavano intorno a se con attenzione, le mani stringevano l’arco con decisione, pronte a scoccare una freccia non appena avesse avvertito la presenza della sua preda. Più si addentrava tra gli alberi, più un forte rumore gli riempiva le orecchie, come una valanga di rocce in piena caduta, o un tumulto di zoccoli che spezzavano rami secchi.
Dopo un po’ si rese conto che non era nulla di ciò che aveva potuto pensare lui, ma semplicemente si era avvicinato, senza neanche accorgersene, ad una piccola cascata, che andava a racchiudersi in un piccolo laghetto; lì, placidamente seduto tra un branco di cuccioli di capriolo, vi stava un uomo, un bellissimo uomo dalla pelle diafana.
Blaine lo osservava da dietro una roccia, la freccia pronta a scoccare in direzione di un’esemplare un po’ più distaccato dal branco, quando l’uomo alzò appena lo sguardo, incrociandolo per un momento con il suo.
Gli  mancò un battito, tanto che fece cadere l’arco dalle mani, ormai dimentico dell’obiettivo per il quale si era addentrato così a fondo: mai aveva visto un viso tanto bello, dei tratti così fini e delicati, incorniciati da folti capelli castani; il corpo era al tempo stesso esile e ben definito, i muscoli tonici, il busto coperto da una tunica bianca, che proseguiva fin quasi al ginocchio.  Ma ciò che veramente lo lasciò basito, erano gli occhi: di un azzurro intenso, ancor più che del colore dell’acqua della cascata, luminosi e, al tempo stesso, impauriti.
Aveva già visto quel viso, benché mai di persona, in una statua che di sicuro non rendeva giustizia a quella bellezza così perfetta: ne ebbe certezza quando l’uomo, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, sparì, illuminando per pochi istanti quell’oasi di pace di una luce intensa, facendo scappare il branco, che era stato completamente ignorato dal giovane.
Blaine, ancora con gli occhi spalancati, si lasciò cadere sulla terra umida, una mano a stringere la roccia dietro cui si era appostato, come se cercasse un appiglio. Era abbastanza sicuro di aver appena visto il Dio Kurt.

 

 

 

Spazio dell’autrice:

Salve, carissimi.
Questa è un’idea che mi è balenata per la mente qualche giorno fa, in piena notte. No, non avevo neanche bevuto tanto.
E’ la prima fan fiction che scrivo dopo anni, ed è la primissima in assoluto che pubblico qui su Efp, nonché su Glee.
Vi sarei grati se, non so, commentaste per farmi sapere cosa ne pensate. Le critiche, in particolare, sono ben accette, so di averne bisogno.
Si, questo è solo il prologo, gli altri capitoli ( se ce ne saranno, perché ho la sensazione che non mi leggerà nessuno ) saranno SICURAMENTE più lunghi.
Beh si, è tutto.  *-*
  
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