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Autore: PattyOnTheRollercoaster    24/07/2011    1 recensioni
Seymour -Robivecchi- Parker attraversa la strada guardando a destra e a sinistra. [...] La gente lo osserva per un bel po’ quando gli capita di dargli un’occhiata, e senza accorgersene rimane a fissarlo per un pezzo. D’altronde, è impossibile non farlo; quale coglione se ne va in giro con un cappotto in piena estate?
Per il concorso One Shot dell'estate
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il costume del Robivecchi





Seymour -Robivecchi- Parker attraversa la strada guardando a destra e a sinistra. Una sigaretta appiccicata all’angolo della bocca, i capelli lunghi color castano scuro, leggermente mossi, le mani ficcate nelle tasche di quel grosso giubbotto vecchio come il suo nome. La gente lo osserva per un bel po’ quando gli capita di dargli un’occhiata, e senza accorgersene rimane a fissarlo per un pezzo. D’altronde, è impossibile non farlo; quale coglione se ne va in giro con un cappotto in piena estate? Solo lui, ecco. Come cavolo faccia, resta un mistero.
Il giubbotto del Robivecchi è comunque qualcosa di spettacolare da vedere, inverno o estate che sia. E’ uno di quei giubbotti spessi, marroni, che arrivano fino alle ginocchia. Ha dei grossi bottoni neri e anche una di quelle cinture con fibbia che servono per chiudere i cappotti. Poi ha delle tasche. Tasche ovunque, tasche dappertutto; tasche interne, esterne, tasche all’altezza del petto e più in basso all’altezza delle ginocchia. E sono sempre piene di cianfrusaglia. E’ per questo che al posto di chiamarlo Seymour lo chiamano Robivecchi, a lui. Perché se ne va sempre in giro con un sacco di vecchiume addosso. Il suo nome sembra da vecchio, i suoi vestiti sono vecchi, tutto quel ciarpame che ha nelle tasche è vecchio, e pure lui sembra vecchio ad una prima occhiata. Poi, quando lo guardi bene, ti rendi conto che non può avere più di ventisette anni o giù di lì e, giuro, è una cosa da rimanerci secchi.
Ogni volta che è in giro il Robivecchi si guarda attorno. Se per caso scova qualcosa che gli interessa va lì e se lo prende. Lui ha una vera passione per la roba strausata, o anche per le cose inutili. Quella sottospecie di sgabuzzino nel quale vive con la sua sorellina Penny è pieno del suo ciarpame. Raccoglie le cose che la gente butta, cose come i carillon rotti, le spille vecchie, pezzi di stoffa colorata, posaceneri spaccati, vetri colorati… E tutto il resto, tutto quello che trova che abbia un sapore di antico, un sapore particolare che a lui piace.
Comunque sia sono le otto di mattina, e quel dannato pazzo è già in giro a fare il suo mestiere. Attraversa la strada con la sigaretta appiccicata alla bocca, ma la tiene spenta, perché dove sta andando non si può fumare.
Le persone vanno in giro con le maniche corte, lui invece ha addosso, leggermente scivolato giù dalle spalle, quel cappotto con le tasche gonfie. L’unica cosa che ha in comune con tutti gli altri sono i grossi occhiali da sole che sfoggia. Anche loro di seconda mano, certo, sono spessi e semplici, e secondo lui gli danno un’aria da duro.
Il Robivecchi spinge la porta ed entra nella tavola calda “The ‘70s”. E’ proprio come essere riportati negli anni settanta; una versione più patinata e paradossalmente più merdosa. Siede al bancone e attende che la cameriera venga a prendere la sua ordinazione.
La donna ha una quarantina d’anni, porta vestiti semplici sotto il grembiule con il nome del locale stampato in arancione, e quando lo vede si arresta con una smorfia quasi disgustata in volto. «Cristo Robivecchi, ancora con quel cappotto di merda?»
Il ragazzo fa un sorrisino storto e se lo sistema meglio addosso con un’aria fiera e compiaciuta. «Lo sai, è per lavoro.»
«Ah», fa la donna con tono sfiduciato. Ha un cartellino al petto con scritto sopra “Hello, my name is” e sotto a pennarello nero, grosso, Faizah.
Faizah è di origini afroamericane, ha un figlio piccolo che va alle elementari e lavora dieci ore al giorno in un caffè. Fra qualche mese riceverà un piccola promozione e guadagnerà cinque dollari all’ora in più, suo figlio prenderà la varicella e lei dovrà portarlo dal medico. Ma ancora no lo sa, quindi si mette davanti al Robivecchi con il taccuino in una mano e una biro nell’altra. «Cosa ti porto?»
Il Robivecchi dà uno sguardo al menù. «Qual è la torta del giorno?»
«Crostata al cioccolato o plum cake alla vaniglia.»
«Vaniglia, grazie.»
«Caffè?»
«Una tazza grande.»
«Arrivano subito.»
Faizah se ne va, e il Robivecchi rimane fermo seduto al bancone, a guardarsi attorno. Ruota sulla seggiola alta e si gira per guardare fuori dalla vetrina. Oltre la scritta colorata “The 70’s” attaccata al contrario, vede il sole forte che si abbatte contro le persone e le cose, senza pietà. Pensa di essere strano, perché non soffre il caldo e non suda quasi mai. Sarà una di quelle fottute malattie rare, pensa. Comunque non gli dispiace avere sempre con sé il suo cappotto, lo protegge dalle cose che non gli piacciono. Ad esempio, a lui non piace il sole, di conseguenza odia l’estate. Ma avere un cappotto vecchio e grosso che lo protegge è di sicuro un vantaggio contro quella palla di fuoco.
Il Robivecchi sente un rumore dietro di sé e vede che Faizah ha posato sul bancone la sua tazza di caffè fumante.
Gli piace Faizah, anche se è sempre gentile con tutti tranne che con lui. La prima volta che l’ha incontrata credeva fosse scorbutica e la considerava una zitella acida. Ma poi, dopo tanti incontri, ha cominciato a capire e apprezzare il suo scudo di freddo cinismo che usava con tutte le persone che considerava alla sua altezza.
Faizah fuma tre o quattro spinelli alla settimana, e il Robivecchi è il suo spacciatore di fiducia. Fumare la rilassa, la rende una cameriera più disponibile e una mamma più paziente. Così qualche notte, dopo che il suo bambino è andato a dormire, lei siede sulla poltrona del suo ex marito, prende un libro, e fuma. Il fumo spesso della marijuana è rassicurante.
Il Robivecchi, vedendo che Faizah sta tagliando una grossa fetta di plum cake alla vaniglia, si fruga velocemente in una delle sue innumerevoli tasche -lui sa benissimo quale- e ne estrae un pacchettino di erba che stringe forte nella mano. Da un’altra tasca prende una manciata di dollari spiegazzati.
Faizah gli posa di fronte la torta del giorno. «Sono tre dollari.»
Uno. Due. Tre. Conta il Robivecchi. Più un piccolo extra. Gli porge i soldi e assieme gli mette in mano il panetto di marijuana. «Sono venti dollari», dice serio.
«Hai aumentato il prezzo, bifolco?», domanda Faizah facendo finta di avercela con lui.
«Ho aumentato la roba, così non me la devi chiedere ogni dieci giorni.» Il Robivecchi sorride pallidamente, quasi malinconico, e Faizah si scioglie un po’.
Va alla cassa, mette via i tre dollari, e tira fuori dalla tasca un biglietto da venti che lascia noncurante sul bancone. Prima di andare a fare qualcos’altro dice a voce bassa ma distinta: «Buona giornata Robivecchi».

Seymour gusta la sua torta alla vaniglia e non si accorge che qualcuno lo sta guardando dal fondo del locale. Gli occhi di un uomo sulla trentina, dai capelli corti e spartani, osservano ogni sua mossa. Sta bevendo un tè caldo assieme ad un muffin al cioccolato e, poi, vorrebbe delle uova strapazzate con bacon ben cotto. Il suo nome è Arvey Nomardisky, ed è un agente di polizia. In quel momento è in vacanza, nonché di pessimo umore. Il suo cognome è Polacco, perché suo nonno era un polacco trasferitosi in America grazie ad una di quelle grosse navi da cargo che ospitavano più di cento clandestini nascosti qua e là. Suo nonno era quello che di notte s’infilava nelle cucine e rubava il prosciutto e le uvette, e fu così che conobbe la nonna di Arvey: era una delle cuoche della nave.
Arvey ha trentaquattro anni e sua moglie ha minacciato di lasciarlo se si occupa sempre e solo di lavoro. Ha due bambini, un maschio di sei anni e una femmina di due. Fra qualche anno rimarrà particolarmente stupito del fatto che il maschio si voglia dedicare alla danza classica, e la femmina al calcio. Ma ancora non lo sa, quindi fissa il Robivecchi senza preoccuparsi dello sport.
Come è già stato detto Arvey è in vacanza, e non ha con sé né una pistola di servizio né tantomeno un distintivo, quindi sarebbe azzardato fermare quell’uomo seduto a qualche metro da lui. E se fosse solo un coglione in cappotto il 24 di Luglio? Arvey ha visto che ha qualcosa di strano, e gli pare anche di aver adocchiato un passaggio sospetto di contanti fra lui e la cameriera. Forse potrebbe aspettare che se ne vada per interrogare lei. Ma quella non mi direbbe niente se non le faccio vedere il distintivo, pensa amaramente. E poi, anche se non lo vuole ammettere, la cameriera gli sta simpatica, perché gli ha sorriso e gli ha portato il muffin più grosso che c’era nella teca delle brioche.
Arvey si riscuote quando vede l’uomo alzarsi e uscire.
Maledizione! La tentazione di seguirlo è troppo grande. Potrebbe solo assicurarsi che sia un criminale e poi lasciarlo perdere, tornando dopo le vacanze nel bar con un distintivo e una pistola di servizio a chiedere informazioni alla cameriera, e magari a mangiarsi un altro muffin. Ma non lo farà, non riuscirà a trattenersi, perché a lui piace il suo lavoro; così tanto che per lui non è un lavoro. Si preoccuperà di tenere la cosa nascosta a sua moglie e così non correrà nessun guaio.
Tira fuori un paio di banconote e nel frattempo guarda l’uomo che è uscito. E’ fermo al semaforo, sta per attraversare la strada. Lascia le banconote sul tavolo e corre via, dicendo a Faizah: «Tenga il resto!».
Arvey esce, corre al semaforo che ormai è scattato sul verde, e si insinua fra la folla di passanti. Perde il suo uomo. Avanza di qualche metro schivando ragazze in minigonna e borse. Il sole è già caldo nonostante siano solo le nove di mattina. Soffre il caldo in una maniera allucinante, Arvey, non sa perché ma quando arriva l’estate si fa la doccia una o due volte al giorno. Saranno quelle cose che chiamano ormoni o ghiandole sudoripare, pensa sempre. Ad un tratto si guarda attorno, in cerca del suo uomo, e si rende conto che, cazzo, è impossibile perderlo. E’ l’unica persona in quel caldo infernale con addosso un cappotto. Porta dei pantaloncini corti, una maglietta leggera e lisa, ma ha su quella maledetta giacca marrone. Arvey pensa che morirebbe se la dovesse indossare lui.
Il suo uomo scende nella metropolitana con passo svelto e Arvey lo segue. C’è un sacco di gente in quella metropolitana, e probabilmente il bastardo l’ha fatto apposta per non farsi notare mentre smercia coca o qualche fottuta pasticca.
Salgono sulla metro A e Arvey si siede lontano per non farsi notare. L’uomo ha incontrato un amico. I due si salutano e si danno pacche sulle spalle, parlano un po’ e poi scendono alla stessa fermata. Si salutano accanto ad un cestino della spazzatura e l’uomo prosegue verso l’uscita. Arvey non stacca gli occhi da lui. Se l’avesse fatto avrebbe potuto vedere che l’amico sta frugando nel cestino dell’immondizia e ne trae un sacchetto che si mette subito in tasca. Contiene cinque grammi di eroina.
Escono fuori e Arvey si rende conto che lo sconosciuto lo ha portato a Rockaway Beach.

«Hey…», qualcuno grida dietro al Robivecchi, che s’incammina lungo la spiaggia attirando non pochi sguardi. «Hey!» Quando capisce che chiamano lui, si ferma e si volta. Un uomo dal taglio di capelli spartano gli corre dietro. Lo aspetta. «Hey ciao, mi chiamo Simon», dice Arvey tendendo una mano.
Accigliato, il Robivecchi la stringe. «Piacere.» Non dice il suo nome, perché non gli va che lo sappia.
Simon sembra agitato e sorride a scatti nervosi. Cristo!, pensa il Robivecchi, non sarà uno di quei finocchi che tentano di rimorchiare in spiaggia? Non gli va di dover rifiutare le avances di un uomo.
«Sei di qui?», domanda Simon/Arvey.
«No», risponde secco il Robivecchi. Non vuole dargli corda, non lo conosce nemmeno. E se fosse un poliziotto in borghese?
Simon pare deluso. «Be’… ti ho visto parlare con quei ragazzi, mi chiedevo… mi chiedevo se avevi un po’ di roba da vendere.»
Il Robivecchi gela. Quel coso lo ha visto mentre faceva affari con un gruppo di ragazzi qualche ombrellone più in là? Doveva stare più attento, per la miseria. Riprende un cipiglio austero. «Roba? Che tipo di roba?»
Simon alza le spalle. «Erba, hashish, o qualcosa di più forte se ce l’hai.»
Il Robivecchi fa in fretta due calcoli. Non conosce quel tipo, e non sembra uno che si fa. Lui la riconosce la gente che si fa, ormai, li vede tutti i giorni. Non resta che negare. «Hey, mi hai preso per un cazzo di spaccia? Brutto scemo, va a farti fottere!» Fa finta di arrabbiarsi e gli dà un leggero spintone, ma in realtà ha paura il Robivecchi.
Arvey sta sulla difensiva. «N-no, non volevo dire quello. Cioè… pensavo solo…» Tenta di sembrare sciocco e indifeso, in realtà studia le mosse del ragazzo. E’ stupito da quanto sembri giovane, da lontano gli era parso persino più vecchio di lui.
«Non pensare troppo sembra che tu non ne sia capace», dice in fretta il Robivecchi.
«Ma… ma c’è un falò stasera in spiaggia, volevo solo sapere se tu potevi…»
«Sì, come no», sbuffa il ragazzo di fronte a lui guardando altrove. «Va’ via, va’. Un giorno ti daranno tanti di quei calci in culo per parlare alla gente in questo modo. Un falò…» Il Robivecchi si volta e ricomincia a camminare.
Il cellulare di Arvey suona, e lui si dice che non è proprio giornata. «Pronto?»
«Pronto tesoro, sono io.» Eva, sua moglie. «Sono imbottigliata nel traffico, devi andare a prendere Daisy dalla signora Teller.»
Arvey sbuffa. Proprio una giornata no. «A che ora?»
«Fra mezz’ora.»
«D’accordo.» Arvey saluta e rimette il cellulare il tasca. C’è qualcos’altro nella sua tasca. Arvey tira fuori una vecchia spilla tutta rovinata da un lato. C’è la foto di tre uomini e una scritta gialla. “Police”. Chissà come cavolo ci è finita lì dentro.
Dopotutto, forse si era sbagliato riguardo a quel tipo.

Tolto il cappotto il Robivecchi ridiventa Seymour. Si lascia andare sul divano e sospira. E’ sera, e quella è stata una lunga giornata. E’ quasi sicuro di essere incappato in un poliziotto in borghese. Comunque sia non tornerà più in quella spiaggia per un po’, per esserne sicuri. Come cavolo gli era venuto in mente, a quello, di parlare di un falò?
«Seymour?» Penny, la sorellina di Seymour, dopo una mezz’ora sbuca dalla camera da letto e si stropiccia gli occhi. Li ha rossi e gonfi, segno che deve aver dormito parecchio. Dorme sempre dopo essersi fatta una dose. Seymour detesta quando lo fa, ma non vede come impedirlo e una parte di lui non vuole impedirlo. Vorrebbe essere un fratello migliore, e riuscire a togliere a Penny quello schifo dalle vene, e magari riuscire anche a trovare un lavoro vero. Ma chi lo vuole uno come lui? Scansafatiche e poco raccomandabile, ecco come sembra.
«Ciao», saluta Seymour alzandosi e dandole un bacio sulla fronte. Penny adora quando lo fa. «Com’è andata oggi?»
Penny alza le spalle e va in cucina. «Al solito. E tu?»
«Al solito.»
Si sente frugare in cucina poi Penny rispunta con dei crackers in mano. «Stasera usciamo, ti va? C’è una festa, ci sarà un sacco di lavoro per te.»
«Una festa? Di chi?»
Penny si avvicina al grosso cappotto marrone e comincia a svuotarlo delle cose più pesanti. «Non lo so di chi, ma è una festa sicura.»
«Dove?», domanda Seymour.
Penny sorride debolmente e gli porge il cappotto pesante. «In spiaggia, c’è un falò. A Rockaway.»
Seymour sospira, prende il cappotto, e rindossa il costume del Robivecchi.
Dopotutto, forse si era sbagliato riguardo a quel tipo.


















Allora... questa è la mia One Shot per l'estate. Insomma, non so proprio... forse è un vero schifo, considerato che l'ho scritta quasi tutta in un giorno solo. Mi sto letteralmente lanciando nel vuoto per questo concorso, però è bello ogni tanto misurarsi con qualcosa di diverso, quindi ho deciso di partecipare e per qualche motivo ho avuto proprio oggi un bisogno urgente di scriverla.
Il rating è giallo per le tematiche di droga e le parolaccie, spero che nessuno si sia offeso, e comunque, il rating avvisava.
Mi piace il personaggio di Seymour, ce l'ho in mente da tanto tempo. Invece Arvey è più un azzardo, ed è nato solo qualche ora fa, quindi forse è un po' incompleto.
Ho trovato particolarmente difficile far c'entrare l'estate in maniera non troppo scontata. Sì, la storia si svolge in estate, ma questo ovviamente non basta. Credo che siano i personaggi ad essere più legati alla stagione: Seymour che odia l'estate e si fa notare da tutti con quel cappottone nonostante il caldo, e invece Arvey che è tutto il contrario. Poi la spiaggia e l'ambientazione sono tipicamente estive...
Mah, non so dirvi... forse è tutta una tremenda cavolata! Ditemi un po' voi se vi va =)
Patrizia

P.S. Rockaway Beach esiste davvero, sta a New York, e per raggiunggerla si prende davvero la metropolitana A (o almeno spero, altrimenti le mie informazioni erano errate xD).
   
 
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