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Autore: Hi Ban    11/08/2011    3 recensioni
Sentì la porta chiudersi dietro di lei e si chiese soltanto perché.
Perché tutto fosse destinato a terminare quella notte, perché tutto aveva smesso di esistere in un attimo, senza che lei avesse avuto il tempo di accorgersene. Perché quel mondo che le sembrava così irrimediabilmente sbagliato era quello reale, quello in cui, per anni, aveva vissuto ad occhi chiusi senza rendersi conto di quanto tutto fosse triste, doloroso e pericoloso. Perché la sua vita non era una favola, ma era una macabra storia su cui stavano calando tenebre e oscurità.
Perché.
Non venne mai nessuno a darle una risposta.
Genere: Generale, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Shino Aburame
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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The night of the hunter




The night of the hunter



Whatever you do, don't be afraid of the dark
Cover your eyes, the devil inside
One night of the hunter
One day I will get revenge
One night to remember
One day it'll all just end, oh.

[The night of the hunter – 30 Second to Mars]





Hinata si rilassò sulla sedia nel momento esatto in cui la campanella annunciò l’inizio della pausa tra un’ora e l’altra, perciò la conseguente fine della tortura a cui la stava sottoponendo osservare quel foglio su cui continuava a trovare imperfezioni. Il professore decretò la fine del tempo per scrivere e in un attimo il suo foglio scomparve dal banco, liberandola anche da quell’ansia che continuava a tormentarla; sapeva che, in fondo, non c’era nulla che non andasse, il compito era andato alla perfezione, ma fino a quando aveva modo di rileggerlo lei non riusciva a smettere di trovare qualcosa che non andava. Cosa che, di per sé, era abbastanza sciocca visto che non si poteva di certo dire che la giovane Hyuuga avesse problemi di sorta a scuola. Non era molto socievole, timida com’era parlare era davvero un’azione ardua per lei, ma era davvero un’ottima studentessa. Nemmeno suo padre, Hiashi, poteva avere da ridire su ciò e quella era sicuramente una grande cosa.
Mentre la classe si svuotava lentamente, lei metteva ordine sia tra i suo pensieri sia sul banco, ritrovandosi in un attimo immersa in una calma surreale. Le bastava poco per scivolare lentamente in quella quiete che era anche una delle caratteristiche principali della giovane. Hinata era davvero una ragazza semplice e posata, non aveva eccedenze, ogni suo gesto era misurato e poteva vantare anche una gentilezza che di quei tempi era sopravvalutata oltre che quasi impossibile riconoscere in giro.
A volte, però, era proprio quella sua peculiarità a portarla incontro a svariati problemi.
«Ehi, Hinata!»
In un attimo la voce che riconobbe come quella del suo migliore amico venne accompagnata dalla faccia del suddetto, che entrò letteralmente nella classe come una furia.
«Hinata!» ripeté con uno dei suoi soliti sorrisi un po’ strafottenti, ma che non volevano trasmettere nessuna superiorità.
Era semplicemente Kiba, era il suo modo di essere, selvaggio e sgangherato, con quell’energia e quella vitalità che nessuno riusciva mai a comprendere. Era stato il primo amico di Hinata – ed unico – per il semplice fatto che era stato lui a parlarle per la prima volta. Si era avvicinato e aveva iniziato a chiederle questa e quella cosa, dopodiché le cose erano andate al loro posto da sole, come se fosse stato ovvio che i due sarebbero dovuti divenire amici.
L’unico aspetto di Kiba che poteva essere visto con un po’ di curiosità – biasimo e critica da chi non lo conosceva – era la sua aria un po’ selvaggia, appunto. Non erano, però, i capelli sparati in tutte le direzioni o il suo modo di fare spartano e incoerente, ma proprio quel qualcosa nel ragazzo che lo faceva sembrare più legato del necessario a quei cani che tanto amava.
E la famiglia Inuzuka aveva davvero molto cani, di grande e piccola taglia, e Kiba dimostrava in ogni occasione il suo attaccamento a quegli animali.
Tesseva sempre le lodi di Akamaru, quello che probabilmente preferiva e Hinata aveva anche avuto modo di vedere il suddetto cane. Era davvero bello e giocherellone, aveva convenuto, e ciò che più apprezzava di quel grande cane era la sua intuitività. Sembravano davvero in sintonia, padrone e cane, e quello era un legame che alla Hyuuga piaceva molto, anche se era certa di non poterlo comprendere appieno.
«Ciao, Kiba-kun» rispose con un sorriso, felice di vederlo.
Purtroppo i due non erano nella stessa classe, ma quello non era di certo un ostacolo alla loro amicizia. «Ah, non ci crederai! Il compito di letteratura giapponese è andato bene! Grazie davvero!» ululò quasi e in un attimo avvolse Hinata in quello che doveva essere un abbraccio, ma sembrava più un modo per stritolare la Hyuuga.
«Pre–prego Kiba-kun» mormorò rossa sia per la mancanza di aria sia per l’imbarazzo; non era abituata a quelle dimostrazioni di affetto così esplicite e dubitava che ci si sarebbe mai abituata.
Kiba, di per sé, non era un tipo granché espansivo, ma capitava invece che si facesse prendere dall’entusiasmo e agisse sotto l’effetto dell’euforia. Era sovente che grazie ai ripassi last minute di Hinata riuscisse a superare uno di quei compiti che altrimenti gli avrebbero garantito un’insufficienza e la sua reazione era puntualmente molto affettuosa.
Ad Hinata non dava fastidio, anzi, la faceva sentire accettata quel comportamento – sentimento che la sua famiglia non le suscitava per una serie di svariati motivi –, ma era davvero molto timida.
Quando si staccò da lei esordì in un sorriso a trentadue denti, tanto che Hinata non poté non sorridere di rimando.
«Su, cosa fai ancora lì seduta? Prendi il pranzo e andiamo fuori!» disse con enfasi, mentre già la trascinava fuori dalla classe. La maggior parte degli studenti quel giorno se ne stava dentro.
Hinata avrebbe voluto fargli presente che fuori stava per mettersi a piovere, tanto erano neri i nuvoloni che coprivano Konoha, ma smontare la felicità del ragazzo era impossibile. Era come distruggere una roccia a mani nude: impossibile, appunto.
In un attimo furono al solito posto in cui passavano le pause, ovvero sotto un mandorlo molto vecchio, dalla corteccia scura e dai rami secchi; aveva davvero un’aria datata e non solo perché non c’era neanche una foglia ad adornarlo – non era il tempo giusto.
Il cielo minacciava davvero un grande temporale, ma da quella vasta e cupa volta non cadeva neanche una goccia. C’era solo un senso di fremente imminenza in quelle nuvole che componevano una fitta tela dalle gradazioni di grigio.
«Uh, che brutto tempo, speriamo non piova, devo fare il bagno ad Akamaru» si lamentò con enfasi, mentre si lasciava cadere sul prato, con le mani dietro la testa.
Hinata scosse piano la testa al sentire il suo ragionamento, ma fu quantomeno felice di sapere che la sua principale preoccupazione fosse solo quella e non nulla di più grave. Poteva quasi dire con certezza di odiare quando Kiba era di cattivo umore per qualche cosa. Era come se qualunque fonte di luce si fosse spenta anche nel mondo di Hinata, perché, in fondo, l’Inuzuka era colui che era stato capace di portare un po’ di chiarezza nel suo mondo, che le sembrava sempre terribilmente spento. Felice e spensierato com’era, riusciva a riflettere su Hinata la sua positività e alla ragazza quella non era una cosa che era passata inosservata, a livello puramente sentimentale. Già da tempo la ragazza aveva capito che lui era davvero una parte molto importante della sua personale realtà, più di quanto lei stessa avrebbe mai immaginato, ma non ne aveva mai fatto la minima parola con il ragazzo. Non voleva rovinare tutto, non ora che sembrava aver trovato il suo posticino in quel mondo grigio che sembrava non voler avere nulla a che fare con lei. L’affetto mancato della sua famiglia era qualcosa che aveva trovato completamente nella fiducia che Kiba aveva in lei e tanto bastava.
«Ehi, oggi passi da casa mia? Così mi dai una mano con Akamaru! È da tanto che non lo vedi» disse ad un trattò, strappando Hinata dalle sue riflessioni.
«Sono venuta da te ieri» gli fece presente candidamente, mentre lui scrollava le spalle.
«Akamaru ha la memoria corta come il padrone» e così dicendo si ticchettò due dita sulla fronte, con quel suo solito sorriso sbarazzino che irritava tanti, ma scaldava come non mai Hinata.
Lei arrossì e poi annuì, conscia che accettare su due piedi per lei non sarebbe stato un problema. Suo padre non c’era quasi mai e aveva più volte ribadito la sua visione della cosa per quanto riguardava Hinata: non era di nessuna utilità e perciò era un peso pari a quello della roba vecchia.
Ormai quelle parole non le facevano più male come le prime volte che gliele aveva rivolte ma le lasciavano sempre quel senso di vuoto che non riusciva mai a riempire del tutto.
«Perché hai quella faccia? Al posto di cento hai preso novantanove virgola nove periodico al test?» la schernì bonariamente, nel tentativo di strapparle un sorriso.
Kiba ci provava sempre a farla sorridere, anche a modo suo, con le sue sgangherate battute, spesso senza senso, semplicemente perché non gli piaceva neanche un po’ vedere quell’ombra cupa nei suoi occhi chiari. Si sentiva quasi infastidito e insofferente come un cane quando gli veniva accarezzato il pelo al contrario con forza. Era contro natura, qualcosa che non si sforzava nemmeno di accettare e perciò improvvisava spesso e si comportava da stupido, tutto purché lei sorridesse. Nessuno a Konoha poteva dire di non conoscere le vicende che si svolgevano sotto il tetto di casa Hyuuga; era quasi di dominio pubblico e per Hinata non restava che una neanche discreta compassione da parte degli altri abitanti. Veniva quasi trattata con le pinze, perché la reazione di Hiashi Hyuuga era imprevedibile.
Lei accennò un sorriso e portò la sua attenzione sul pranzo; takoyaki.
In un attimo le venne in mente la situazione della cucina quel mattino. Nel momento in cui era entrata nella stanza per prendere il suo pranzo e recarsi a scuola aveva trovato i suoi genitori intenti a discutere fittamente, con uno sguardo preoccupato. Non l’avevano neanche degnata di attenzione e avevano continuato a discutere con serietà. Non aveva potuto attardarsi nella stanza più di quanto lo richiedesse il prendere il pranzo, ma era comunque riuscita a captare qualche parola.
Parlavano degli attacchi che stavano colpendo Konoha da quasi un mese ed era quello l’avvenimento proprio sulla bocca di tutti; la popolazione era allertata e ognuno presagiva con terrore i più truci avvenimenti che presto avrebbero macchiato ancora il paese.
Anni prima Konoha era stata lo scenario di nuove morti in seguito ad aggressioni, uguali a quelle che la stavano sconvolgendo adesso ed era stato appurato che tutto era da imputare ad un animale; per l’esattezza un lupo.
Così come era avvenuto tutto, poi era terminato e tutti avevano ripreso, pian piano, a vivere fuori dagli schemi dettati dal terrore. Allora, la paura di finire tra le fauci di quella bestia era stata alta, Hinata aveva avuto sì e no otto anni, ma ricordava le descrizioni agghiaccianti che erano state fatte delle aggressioni. Sangue, lacerazioni, morsi. Qualcosa dentro di lei le diceva che no, le voci non erano state ingigantite poi più di tanto.
Era ovvio, si disse, che il centro della discussione fosse quello: le morti che erano avvenuto per mano dell’animale erano già tre e nessuno voleva che le prossime morti prima che tutto finisse nuovamente fossero le loro o dei propri cari.
Un brivido le attraversò la schiena e Kiba se ne accorse.
«Hai freddo?»
«No… sì» esitò, incerta se quello fosse l’argomento migliore da trattare; erano a scuola, l’unico luogo in cui la paura sembrava essere stata lasciata fuori dalle mura della struttura. Lì c’erano solo alunni che imparavano e professori che insegnavano, era come se fosse rimasto l’unico posto dove si poteva ricercare nuovamente la normalità che era stata squarciata da quei tragici avvenimenti.
Tutti, però, avevano paura e quella era solo una maschera. Tuttavia, perché distruggere anche quella?
«Cosa c’è, Hinata?» chiese con la fronte aggrottata, assottigliò lo sguardo e la nota vivace venne sostituita prontamente con il sospetto e l’intento di indagare con il fine di scoprire.
«Oh, nulla, davvero» si affrettò a rispondere, conscia che se quella era una situazione difficile di cui discorrere, per Kiba e per la sua famiglia la questione rappresentava qualcosa di decisamente più complicato da gestire.
Si poteva riassumere tutto semplicemente facendo riferimento alla caratteristica di ogni umano che si trova in una condizione del genere. La paura si trasformava in un irrazionale modo di agire, benché spesso avesse basi fondate. A Konoha non erano ovviamente mancati coloro che tentavano di trovare un capro espiatorio che mettesse a tacere anche solo per un attimo i loro timori. Forse non ci credevano nemmeno, forse sì, ma restavano comunque intenti a cercare qualcuno a cui addossare la colpa. Potevano anche non essere più in un’era incivilizzata, ma la mente umana restava la stessa in situazioni come quelle.
«Ti preoccupano le aggressioni» disse semplicemente, tirandosi su a sedere. Non sembrava essere una cosa che lo impensieriva più del dovuto, ma la mascella irrigidita era segno che non era esattamente così.
Da una semplice supposizione era passata ad ipotesi, dopodiché si era trasformata in una potenzialmente sicura tesi ed infine c’era chi aveva decretato che la causa era quella: visto l’attaccamento che la famiglia Inuzuka aveva mostrato per i cani, si era giunti alla fallace conclusione che loro dovessero avere ovviamente a che fare con le aggressioni. Cani e lupi non erano forse simili? Ci si era davvero convinti che potesse essere così e ora una delle più vecchie famiglie della cittadina veniva guardata con sospetto. C’era, purtroppo, anche chi decideva di agire ed era questo che impensieriva l’Inuzuka.
Immediatamente Hinata si sentì in colpa per aver tirato fuori una argomento del genere, ben sapendo quali erano le circostanze attuali. Anche la sua famiglia spesso le aveva fatto intuire che anche loro erano propensi verso quella via di pensiero, ma lei, ovviamente, non ci credeva.
Lei conosceva Kiba e anche la sua famiglia: come potevano c’entrare?
«Mi dispiace, Kiba-kun… mi dispiace davvero» tentò di scusarsi a bassa voce, sforzandosi di rendere il suo tono di voce più convincente. Purtroppo ne uscì un flebile sussurro che le fece tingere di rosso le guance. Perché era sempre così dannatamente timida e impacciata?
«Ehi, non preoccuparti! Vedrai che tra un po’ la smetteranno!» esordì con un sorriso, come a volerla rincuorare.
Era lui a rassicurare lei, mentre Hinata sapeva che doveva essere il contrario, perlomeno in quella situazione. Ma da quando lei aveva memoria era sempre lui a cercare le parole per tranquillizzare lei, non il contrario.
«Anche se non capisco cosa dovremmo c’entrare noi… dove ce lo devo avere nascosto un lupo, sotto al letto?!» borbottò quasi esasperato e Hinata lesse nei suoi occhi socchiusi una stanchezza che andava al di là di quella fisica.
«O-ovvio che non c’entrate nulla voi! Sono loro… sono loro che cercano qualcosa che li faccia sentire al sicuro…» mormorò, cercando di mettere insieme frasi con cui svolgere il suo ruolo da amica in quel momento. Stava ripetendo ovvietà e cose già dette e si rese conto che l’unica cosa che voleva sentire Kiba era l’unica vera rassicurazione, perciò si affrettò ad aggiungere: «Io ti credo, so che non c’entri.» Non c’era esitazione nel suo tono e in un attimo Kiba fu nuovamente animato dalla sua vivacità.
«Ah, Hinata-chan, se fossi un cane adesso ti gratterei la testa!» E esordì con una sottospecie di risata che a Hinata sembrava più che altro un latrato.
Lei sorrise ed arrossì, conscia che quello era più o meno il suo modo sgangherato di dirle che la trovava tenera.
«In quel caso dovrei darti anche i croccantini…» aggiunse pensieroso, per poi saltare letteralmente su.
«Ho questi però!» Iniziò a rovistare nelle tasche della giacca che portava, dopodiché piazzò letteralmente sotto al naso di Hinata un sacchetto schiacciato e annodato male.
«Su, prendi! Li ha fatti Hana!» la informò e in un attimo gli occhi della Hyuuga brillarono letteralmente. Dolci alla cannella: lei li adorava e chiunque la conoscesse un po’ lo sapeva.
La sorella di Kiba era davvero molto brava a farli e ogni volta tramite Kiba gliene mandava un po’.
Con mano esitante li prese e con cura scartò la carta sgualcita. Già sentiva l’odore della cannella e non poté non sorridere.
«Grazie» pigolò, sotto lo sguardo soddisfatto e saputo di Kiba.
Rimasero in silenzio per un po’, mentre una lieve brezza invernale li calava completamente nel paesaggio circostante. Non c’era praticamente nessuno nel cortile, preferivano tutti starsene al caldo dentro e più volte Kiba li aveva criticati; era una persona che si adattava difficilmente alle preferenze altrui e non mancava mai di tentare di far cambiare a qualcuno la sua opinione su qualcosa.
«Credo che sia ora di andare» esordì ad un tratto Hinata, riportando entrambi nella realtà e fuori dalle loro riflessioni. Fecero per alzarsi, quando all’improvviso qualcosa li trattenne.
«Inuzuka, Hinata» esordì a mo’ di saluto una voce, che entrambi scoprirono appartenere a Shino Aburame.
Hinata mormorò un saluto, arrossendo lievemente quasi immobilizzata dalla sua presenza. Non sapeva come mai, ma quando c’era lui nei paraggi lei si sentiva sempre a disagio, quasi in soggezione.
«Aburame» disse in tono strafottente Kiba e quella volta il suo intento era davvero di voler apparire superiore. Non aveva mai negato di mal sopportare il ragazzo che ora se ne stava compostamente appoggiato all’albero poco distante da loro.
Quando era arrivato?
«Perché lei è Hinata e io sono Inuzuka?» chiese palesemente scocciato, ma nel suo tono c’era ancora una traccia di ironia, non era completamente serio e la Hyuuga ne fu felice.
L’Aburame lo ignorò totalmente.
«Sono sempre di più quelli che credono che voi c’entriate qualcosa» disse in tono monocorde, come se l’argomento fosse più che palese e avessero parlato di quello fino a quel momento.
Ciò di cui stava parlando, comunque, era ovvio, ma né a Kiba né a Hinata era chiaro il perché del suo intervento.
«Tu sei tra quelli» constatò semplicemente l’Inuzuka, tentando di mantenere quella calma che era sempre solito perdere prima tempo. Non era un ragazzo molto paziente ed era più incline all’assecondare la parte di sé che adorava mettere zizzania e lasciarsi immischiare in risse o accese discussioni. La presenza di Hinata riusciva a limitare quella sua parte impaziente, ma in fondo Kiba era fatto per il novanta percento di spregiudicatezza e per il restante di giudizio mancato.
«Che acume, Inuzuka. Capiresti le motivazioni anche tu se aprissi gli occhi» gli fece presente con pacata tranquillità.
Hinata trasalì e nemmeno lei seppe bene perché; quella frase era stata come una folata di vento troppo forte che le si era abbattuta addosso portando con sé insinuazioni che la disturbavano come un rumore molesto.
«Non me ne frega niente di quel che hai da dire, Aburame» ribatté in un ringhio, sporgendosi in avanti, con i pugni chiusi per la rabbia. Ogni cosa di lui faceva capire che quelle insinuazioni lo avevano irritato più del dovuto.
Solitamente a scuola nessuno avanzava allusioni a riguardo, era davvero una sorta di porto sicuro. Eppure Shino lo aveva appena fatto.
Hinata fu quasi tentata di intervenire, poggiare una mano sulla spalla di Kiba e chiedere a Shino di smetterla, ma era davvero bloccata. Poi lei in quella questione non c’entrava davvero nulla. I due sembravano star portando avanti una discussione che aveva un inizio radicato in ben altre questioni che certamente non avevano avuto inizio in una semplice pausa pranzo.
Fece passare il suo sguardo preoccupato da Kiba a Shino e viceversa, soffermandosi poi su quell’ultimo; sembrava il ritratto di una calma che all’Inuzuka mancava evidentemente.
Se ne stava compostamente appoggiato al tronco e osservava ciò che accadeva da dietro i suoi occhiali scuri, che portava anche se non ve ne era una reale necessità. Era così da quando Hinata lo aveva visto la prima volta, ma non aveva mai saputo il perché né se ne era interessata più del dovuto.
Forse era proprio la presenza di quelle lenti scure, che creavano una specie di muro tra il ragazzo e il mondo, ad intimidire Hinata; era come se lui fosse superiore e non si capiva mai dove guardasse.
La osservava, non la osservava, la Hyuuga non riusciva a capirlo e questo la intimoriva quasi.
«Smettila di comportarti come un animale, Inuzuka, non sei uno di loro per il momento» riferì con una sorta di ironia sommessa che Hinata non riusciva ad interpretare. Si costrinse a credere che non ci fosse altro che il riferimento alla passione per i cani del ragazzo.
Kiba non sapeva proprio cosa ribattere e si limitò a ringhiare qualcosa all’indirizzo del ragazzo; probabilmente erano improperi della peggior specie.
«Complimenti per il test, Hinata. È una fortuna che la presenza di Inuzuka non ti abbia attaccato più del dovuto» disse ad un tratto e questa volta si rivolse proprio alla Hyuuga, che sussultò sorpresa.
Si sentiva a disagio; quando si era girato verso di lei? La stava già guardando prima o solo adesso?
Forse quelle erano tutto cose a cui qualsiasi altra persona non avrebbe fatto caso, ma per Hinata erano uno scoglio enorme.
C’era di nuovo quella sottile ironia che proprio non riusciva a comprendere, ma si concentrò di più su ciò che aveva detto. Come faceva a sapere del test? Lui era un anno avanti a loro e la sua classe si trovava dal lato opposto della scuola.
Arrossì e biascicò un ringraziamento che si perse nel vento che iniziava a soffiare più pesantemente. Si stupì maggiormente quando realizzò un altro piccolo particolare che era passato piuttosto inosservato rispetto a tutto il resto.
Shino non si fermava quasi mai a parlare con qualcuno, era una persona discretamente solitaria.
Qualche volta l’aveva salutata, ma non si era mai rivolto a lei e tantomeno a Kiba. Non che lei sapesse, perlomeno.
Lo vedeva pranzare da solo e tornare a casa mai in compagnia di qualcuno; la sua era un’altra tra le famiglie più datate del paese.
«Ora puoi anche andartene, Aburame, non sia mai che uno dei tuoi scarafaggi tenti il suicidio in tua assenza» berciò sprezzante Kiba e quel tono scosse un po’ Hinata. Non fu tanto per ciò che disse, quanto più per la cadenza puramente carica di odio che utilizzò.
L’Inuzuka scoccò un’occhiata alla ragazza con la coda dell’occhio, trovandola vagamente scossa; anche se la Hyuuga non gli aveva mai detto nulla, lui l’aveva osservata e sapeva che la presenza dell’Aburame non la metteva di buon umore. Forse aveva un po’ esagerato con il tono, ma in quel momento si sentiva dell’umore per rispondere così.
Shino non rispose, ma fece qualche passò avanti, giungendo davanti a Kiba. Lui aggrottò la fronte, ma non si mosse; Hinata attese che succedesse qualcosa che però, contro ogni logica, non avvenne.
L’Inuzuka non si avventò su di lui né Shino fece qualcosa di avventato.
«Presto potrebbe essere notte di caccia. Fa’ attenzione a quel che fai, Inuzuka, fa’ attenzione a quel che fai a lei» mormorò talmente piano che Hinata non sentì l’ultima parte, dopodiché così com’era venuto se ne andò.
«Cosa…» iniziò soltanto la giovane, mentre la voce si riduceva ad un sussurrò inudibile.
Kiba si riprese subito e si voltò di scatto, mentre sul suo volto troneggiava un’espressione per lo più confusa.
«Quel ragazzo ha qualche problema qui» e si batté una mano sulla fronte.
Vedendo che Hinata sembrava anche più perplessa di lui, esordì con una risata – il solito latrato di Kiba, per intenderci.
«Hinata, hai davvero una faccia buffissima! Akamaru converrebbe con me» annuì con un sorriso malandrino, non prima di averle messo un braccio sulle spalle e strinta a sé. Il tutto, ovviamente, con una grazia mancata tipica del ragazzo.
Le guance della Hyuuga, ovviamente, si tinsero di un leggero rosso, ma in cuor suo fu più che felice di quella dimostrazione di normalità, che sembrava essere stata minata completamente dall’incontro con l’Aburame. Erano sempre piuttosto pesanti gli attacchi rivolti dagli altri nei confronti dell’Inuzuka, ma quello sembrava avere un qualcosa di sottinteso che era difficile comprende per tutti.
«Su con la vita! Quello è solo un idiota, nulla di cui preoccuparsi. Probabilmente ha solo qualche insetto di troppo nel cervello» disse sghignazzando, facendo riferimento a quella che era la reale passione di Shino.
Non era certamente un mistero che trovasse interessanti gli insetti, ma molti l’avevano ritenuta quasi una cosa insana, giudizio che Hinata riteneva completamente sbagliato. Non conosceva Shino, ma a prescindere non apprezzava che la gente venisse criticata senza sapere come in realtà stavano le cose. Guardò per un attimo l’amico di sottecchi e vide che nei suoi occhi vispi era calata un’ombra scura che faceva comprendere perfettamente ad Hinata quanto in realtà fosse anche solo scocciato dall’incontro con il ragazzo. Per lei era un libro aperto e viceversa; non sapeva nemmeno lei se nel suo caso fosse una buona o una cattiva cosa che il ragazzo comprendesse tutto di lei.
«Ehi, ma di che test parlava scusa?» chiese ad un tratto, mentre ancora la teneva stretta.
Il continuo cambio di discorso, per allontanarsi quanto più possibile da ciò che era appena accaduto, non passò inosservato alla Hyuuga. Non glielo fece notare né quello era il suo intento.
«Di inglese.»
«Cento, come al solito! Ah, la mia Hinata!» disse e sembrava quasi un padre orgoglioso della figlia. Così dicendo si incamminarono per tornare nella scuola.
Hinata non disse nulla e assecondò la sua volontà di dimenticare quanto successo, ma in un secondo momento si ricordò che un altro frammento di discussione che aveva sentito tra i suoi genitori conteneva il nome della famiglia Aburame.


***


Quello stesso giorno Hinata era solo passata da casa per lasciare la cartella e avvisare qualcuno che quella sera si sarebbe fermata a casa di Kiba. Da quel punto di vista, il disinteresse dei suoi famigliari nei suoi confronti era una maggiore possibilità di fare ciò che voleva, ma lei non era interessata ad approfittare della situazione. Quando usciva avvisava, chiedeva anche il permesso come ogni figlia che si rispetti, benché sapeva che la risposta sarebbe stata sempre sì. Forse per loro era una liberazione, ma non si soffermava più del dovuto su quell’aspetto.
In più, se fosse uscita senza chiedere, Hiashi avrebbe trovato un pretesto per far valere la sua opinione negativa sulla figlia e quella non era una cosa che Hinata voleva. In cuor suo la ragazza sperava ancora che, con buoni comportamenti e altro, un giorno sarebbe stata vista con occhi migliori dal padre. La madre non era completamente contro di lei, semplicemente si comportava con una freddezza nei suoi confronti che forse era peggio del modo di fare di Hiashi.
In quel breve lasso di tempo che aveva passato in casa, comunque, aveva avuto modo di parlare proprio con sua madre, che l’aveva fermata nell’atrio.
«Hai detto che esci, dove vai?» chiese, ma era una domanda scontata e quasi inutile.
Si poteva quasi dire che Hinata facesse la spola da casa sua a quella di Kiba, dove riceveva sempre un’accoglienza calorosa e un benvenuto pieno di dolci alla cannella. L’Inuzuka, invece, non poteva di certo fare la stessa cosa; anche se non si contavano quei maligni pregiudizi nei confronti della sua famiglia, gli Hyuuga erano noti a Konoha proprio per la loro ristretta e ben selezionata cerchia di conoscenti. Mal sopportavano con neanche troppa indiscrezione il fatto che Hinata frequentasse qualcuno che non ne faceva parte, ma non si opponevano più del necessario.
«Da Kiba» rispose semplicemente e avrebbe tanto voluto che, per una volta, il suo tono non suonasse così pieno di colpe o facilmente discutibile.
Le sarebbe piaciuto davvero tanto poter difendere la sua amicizia con il giovane di fronte alla sua famiglia, che era palesemente schierata contro di loro.
«Hinata, tesoro, sai cosa ne pensiamo» le fece presente e, per un attimo, in quel ‘tesoro’ Hinata ci vide davvero un po’ di preoccupazione e interesse per la figlia. Forse non era motivato correttamente, era qualcosa di ipocrita che si trovava dietro quelle parole, ma c’era quel fantasma di maternità che la Hyuuga cercava disperatamente in ogni parola.
Era più che convinta, inoltre, che la madre, in fin dei conti, non avesse colpe; semplicemente pensava alla famiglia, al volere di suo marito. Forse nemmeno Hiashi era da biasimare e quella era una considerazione che si ripeteva spesso; anche lui si occupava solamente di tenere alto il vanto della famiglia, lei era solo una piccola eccezione, come potevano tenere conto di lei se c’era in ballo qualcosa di ben più grosso?
Kiba le aveva fatto notare svariate volte e con una certa enfasi che non si poteva anteporre qualcosa ad una figlia, neanche se si trattava di tutta la famiglia. Bisognava trovare dei compromessi.
Hinata alla fine era giunta alla conclusione che una compromesso lo aveva trovato lei, nella sua testa; non contraddiceva il padre e continuava per la sua strada, certa che un giorno avrebbe trovato il suo posto da qualche parte. Aveva Kiba, andava bene così. Forse, poi, le cose sarebbero anche cambiate, ma per il momento sopportava la questione.
«Io non la penso come voi» mormorò, ma fu fiera di sé poiché non aveva abbassato lo sguardo. Non aveva lasciato che i lunghi capelli le coprissero il volto né che gli occhi fossero nascosti dietro la frangia scura.
«Non sono una buona compagnia, gli Inuzuka. Kiba non lo è, dovresti darci ascolto.»
Di nuovo quella piccola nota di apprensione che smosse qualcosa dentro Hinata. Non voleva darvi adito, lei conosceva Kiba e sapeva cosa era meglio per se stessa.
«Io li conosco… lo conosco… non sono cattivi, non potrebbero» esitò per un attimo, ma non si lasciò abbattere nemmeno dalle guance che sembravano pungere sotto degli spilli, segno che erano divenute rosse.
«Ogni cosa sembra riportare a loro» le fece presente, quasi lei stessa avesse compassione della figlia. «Non c’è nulla, solo i pregiudizi» asserì candidamente, conscia che forse avrebbe semplicemente dovuto dare ascolto alla madre per quella volta, assecondarla e poi riprendere come sempre quella che era la sua quotidianità.
«Hinata, gli Inuzuka non sono benvisti» iniziò e il tono si era fatto duro. Non ebbe tempo di finire la frase, che una terza voce – questa volta maschile – si intromise nella discussione.
«Vuoi forse portare altra vergogna su questa famiglia frequentandoli?» il tono era secco, imperioso e austero.
Hiashi Hyuuga si trovava alle spalle di Hinata e la fece sussultare vistosamente. Sia le parole sia il tono avevano avuto un effetto devastante sulla tenacia che Hinata aveva ostentato fino a quel momento.
«Loro c’entrano qualcosa e c’è chi se ne sta già occupando. Ora ti conviene andartene in camera tua» continuò come se le sue parole avessero un potere ipnotico sulla figlia, che adesso avrebbe fatto esattamente come le era stato detto.
Lei, però, non si mosse. Per un attimo la sua mente le fece presente che era quello il motivo per cui la madre non voleva che lei andasse; semplice apparenza familiare.
«Avresti dovuto frequentare qualcuno come Aburame, non un randagio come quell’Inuzuka. Non mi stupisce, però, che le cose siano andate così» aggiunse e il tono era tagliente, tanto che Hinata sentì come una sferzata di rancore abbattersi sulla sua schiena. Non aveva avuto il coraggio di voltarsi, quelle parole l’avevano letteralmente inchiodata a terra.
«Cosa… cosa c’entrano gli Aburame?» Hinata mise da parte le offese, lasciò correre tutto quello che stava succedendo, che era di per sé piuttosto strano e si concentrò su quel qualcosa che l’aveva tormentata tutto il giorno.
«Sono persone rispettabili» le concesse di sapere, ma era altro che interessava ad Hinata.
Voleva sapere cosa si stavano dicendo a riguardo i genitori quel mattino, voleva venire a conoscenza di cose che, evidentemente, non la riguardavano.
«Va’ in camera tua» la riprese semplicemente allora e Hinata si voltò verso di lui.
«Perché sono tanto importanti?» chiese, ma lo sguardo non era puntato in quello del padre. Non riusciva nemmeno a credere di essere lei a parlare.
«Hinata…» la ammonì sua madre.
«Non credo siano cose che tu debba sapere.»
«Loro… se ne occupano» sussurrò semplicemente e trasalì al lampo di ira negli occhi di Hiashi. C’era anche un qualcosa che le fece capire di aver ragione; la famiglia di Shino sapeva qualcosa riguardo alle morti ed era ancora quella che stava provvedendo a mettere fine a tutto.
Non avevano prove però… non potevano fare nulla alla famiglia di Kiba se non avevano qualcosa che confermasse tutto.
Un conato di vomito le mozzò il respiro. Mosse qualche passò verso il padre, verso l’uscita di casa. Sapeva cosa voleva fare.
«Va’ in camera tua Hinata. Ora.» Non ammetteva repliche.
La Hyuuga lo superò senza guardarlo in faccia. Sapeva di avere lo sguardo di sua madre su di sé e che Hiashi stava per perdere la pazienza.
«Hinata!» urlò brusco, al che la ragazza iniziò a correre sotto i richiami irati di suo padre.




La seconda parte di questa storia la posterò domandi per il semplice motivo che sarebbe venuta troppo lunga tutta insieme… e poi perché non l’ho finita, sì, ma facciamo finta di niente!*fischietta*
Ammetto di non aver mai trattato tutto il team otto e mi sono anche resa conto di non saperli gestire un granché; il fatto che sia un’Au non aiuta!XD
La canzone utilizzata per questo capitolo è Night of the hunter dei 30 second to Mars.
Non ho altro da dire se non che spero possa piacere e non sia un totale disastro da cestinare all’istante!XD
Oh, sì, quelli che leggete sono proprio accenni Kiba/Hinata, yep!*fugge*
  
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