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Autore: usagi_    13/08/2011    5 recensioni
Una storia che racconta di Ace e della sua avventura da ragazzo.
Come ha costruito la sua vita da pirata, subito dopo aver lasciato Rufy per seguire il suo sogno.
Con compagni strani e avventure al limite del normale.
Avverto: non sarà la solita storia -Ace incontra la perfettissima ‘b’ si innamorano e vivono felici e contenti-.
La trama gira principalmente sull’avventura!
I nuovi personaggi sono i Pirati della ciurma di Ace inventati da me.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi vergogno tanto a pubblicarla.. E' la prima storia che scrivo, e che faccio leggere a qualcuno, non vogliatemi troppo male, è già tanto se ho trovato la forza di pubblicarla! però, saranno ben accette le critiche costruttive, anche se non spero di far un grande successo! :P grazie a chi la leggerà, mi basterà solo questo ^^


___

Quella notte la spiaggia era più che mai colorata dal chiarore della luna, rendendo irrealmente la spiaggia di un colorito quasi argentato.
Era la prima notte solitaria per Ace, che era partito di casa poche ore prima, lasciando dietro di lui tanti ricordi positivi e non.
Rufy, fu il primo pensiero che gli invase il cervello. Nonostante lui si fidasse del suo fratellino e della sua forza, era certo che da oggi fino al giorno in cui si sarebbero rivisti, ne avrebbe combinate di tutti i colori. Nonostante non fossero fratelli di sangue, si assomigliavano davvero tanto, e forse anche troppo, se non fosse per l’impulsività del fratello minore.
Entrambi, nonostante le parole del nonno, erano intenzionati a diventare pirati, e benché volessero bene al vecchio, non avrebbero mai abbandonato la loro ambizione.
La loro fame era la stessa, e non si poteva ricordare il giorno in cui non abbiano tentato a vicenda, di rubarsi il cibo al piatto.
Nel mezzo di questi pensieri, tra un miscuglio di momenti buoni e non, di avventure pericolose e pugni amorevoli, un attacco di sonno lo prese alla sprovvista, facendolo addormentare sulla sua piccola imbarcazione, che se non fosse stato per il mare tranquillo, l’avrebbe di certo portato all’altro mondo.

Dopo un tempo che per lui era indefinito, trovo la sua piccola barca ferma tra la sabbia ed il mare, ma comunque tra la terra ferma.
La piccola prua era quasi affondata sulla sabbia, il che non lasciava di certo in equilibrio l’imbarcazione, che per via di un brusco movimento di Ace intento a controllare cosa rendesse la barca quasi verticale, si capovolse con essa finendoci dentro, come se avesse un tetto sopra di lui, o peggio ancora una bara.
Urlò di dolore, tanto da invadere quella che poco prima era una spiaggia tranquilla, mentre una ragazza seduta tra la sabbia, si prese un grande spavento.
Si alzò di scatto, e iniziò a correre verso la riva, portando con se una piccola candela per farle luce.
Non era la tipa che si avvicinava facilmente agli altri, un po’ perché non poteva definirsi molto amichevole, e un po’ perché non si fidava neanche del suo pesce rosso, ma vedendo che un ragazzo aveva avuto un incidente proprio davanti a lei, non poteva far altri che soccorrerlo.
“mi senti? Ti sei fatto male?” domando la ragazza inchinandosi verso l’imbarcazione capottata, volgendogli uno sguardo piuttosto spaventato.
Non ricevette alcuna risposta, né un minimo movimento delle gambe del ragazzo che spuntavano a stento fuori dalla barca, così decise di sollevare l’imbarcazione con le sue forze.
Nonostante la sua corporatura non pareva per nulla quella di una ragazza forte e capace di sollevare qualcosa, afferrò con forza la barca dalle estremità, stringendola forte con le sue mani esili e candide, facendo pressione tanto da sentirle infuocate.
Con tutta la forza di cui disponeva, alzò la barca facendola poggiare sulla poppa e poi la girò per farla di nuovo galleggiare nel mare, per fortuna calmo.
Fece un respiro di sollievo, portandosi dietro alle orecchie i capelli castani che le stavano coprendo la visuale.
Rivolse nuovamente il suo sguardo verso quel ragazzo che, ancora non dava segni di vita.
Poteva sentire che respirava in maniera persino eccessiva, tanto da fare dei rumori poco umani ed accompagnare il tutto con una enorme bolla che sbucava dal naso, e cresceva ogni volta che espirava.
Probabilmente svenuto, la ragazza decise di portare tutto quello che aveva in fondo alla spiaggia vicino a lui, in modo di potergli far mangiare qualcosa al suo risveglio.
Le ore passavano, il cielo notturno ormai lasciava sempre di più il passo a quello del giorno, colorando tutto di un arancio tenue.
Per tutta la notte si occupò di curargli bene o male quei graffi che decoravano il suo corpo, anche se lui più volte muovendosi rischiò di non far bastare tutto quel disinfettante, per le ferite che le avrebbe causato.
Non si udiva nessun rumore, se non quello del russare del ragazzo, mischiato al brontolio del suo stomaco, così decise di svegliarlo.
Iniziò a chiamarlo, scuoterlo ed urlare, e più lui dormiva, e più lei urlava quasi a perdere la voce.
I suoi capelli ora mai erano sparati in aria, pieni di rabbia contro quel sonno così forte che le aveva causato persino male alla testa, e incubi per quelle poche volte che era riuscita a prender sonno.

Prima sognò un rinoceronte che la rincorreva, poi un leone che la squartava, ed infine tutti e due che facevano comunella per prenderla.

Chi glielo aveva fatto? Perché non l'aveva lasciato al suo destino?

Con queste domande che perfidamente le gironzolavano in testa, iniziò ad addentare un panino che si era portata proprio per farsi una mangiata notturna, e che invece aveva lasciato successivamente per il ragazzo.
“ben ti sta!” urlò guardandolo male, facendo volar via lontano tutti gli uccelli appena svegli, che volavano intorno alla spiaggia.
Quasi in lacrime di commozione per il suo stomaco, che aveva aspettato così a lungo del cibo avendocelo sotto il naso da tutta la notte, la ragazza strizzò gli occhi addentando il panino.
Non sentiva nulla nella sua bocca, ed i denti avevano sbattuto tra di loro e non sul pane, un secondo dopo si rese conto che tra le mani aveva ancora il panino, ma era come incollato, non tra le sue mani, ma in quella strana posizione, e benché con tutte le forza cercasse di tirarlo verso la sua bocca, sembrava andare verso giù.
Spaventata, con gli occhi sbarrati e la gola secca, guardò attentamente il panino, rendendosi conto che sotto di esso, qualcosa lo teneva fermo con la bocca.
Una bocca così enorme da averne preso già la metà, continuando a tirarlo a se con solo la forza della mascella.
“non solo sei sonnambulo, ma sei pure scroccone!” disse tirandogli un calcio tra le costole, anche se lui, inginocchiato col panino in bocca, non accennava a staccarsi da esso.
Le mani erano sempre meno salde sul panino, fino a che non cedettero alla forza di Ace che con un sol boccone lo finì.
Lui la guardò confuso, non sapeva chi fosse, e non capiva perché stava con lui, ne tanto meno capiva dove stava, l’unica cosa che ricordava era l’incidente con la barca, che ora tranquilla galleggiava in mare.
“chi sei?” domandò non curante del fatto che lei non era proprio quel che sembrava una persona amichevole e alzandosi e sistemandosi i vestiti pieni di sabbia.
Si sentiva la testa pesante, ed i granelli di sabbia ovunque, persino appiccicati sulla pelle, tanto da avergli creato anche dei piccoli graffietti sulle ginocchia ed i gomiti misteriosamente pieni di cerotti.
Lo stomaco brontolava più che mai, tanto che sentiva che prima o poi avrebbe preso lui il comando del suo corpo.
In risposta alla sua domanda e la sua maleducazione, ricevette un altro colpo, questa volta alla testa, ma molto più forte, tanto da creare sulla fronte di lui, un enorme bernoccolo.
“io sono quella che ti ha salvato la vita, ti ha accudito tutta la notte e che tu in cambio hai rubato il panino senza chiedere il permesso! Comunque piacere, Isabel!” rispose lei urlando come non mai, e se prima si sentiva quasi senza voce, ora poteva dichiararsi muta per almeno una giornata.
Prese il suo zainetto e lo riempì di tutto quello che aveva lasciato per quella che pensava sarebbe stata una persona educata: Fasce e disinfettante in caso di ferite, acqua, cibo e tanto altro.
Si sistemò la lunga gonna bianca piena di sabbia, e si mise lo zaino su una spalla andandosene via tra la rabbia, ed una piccola vena che pulsava spaventosamente sul collo, per fortuna coperta dai capelli lunghi fino alle spalle.
Ace lo guardò stralunato, e mentre si grattava la testa, la guardava andar via con le mani strette a pugni e le gambe quasi tremolanti di rabbia.
La testa gli faceva più male di prima, e la fame l’avrebbe fatto fuori da un momento all’altro.
Ieri era così felice di iniziare una grande avventura, in cui si era immaginato tante sorprese, cose nuove, compagni fantastici e cibo da mettere sotto i denti almeno cinque volte al giorno, come il nonno gli aveva insegnato per combattere al meglio.
Invece si ritrovò con un bernoccolo, una fame insopportabile, da solo in un posto che non conosceva, e in più con l’unico abitante che aveva conosciuto, misteriosamente infuriata con lui.
Non poteva cedere per così poco, perciò si alzò in piedi, con l'intenzione di scusarsi con quella ragazza e farsi aiutare a trovare qualcosa da mangiare, e qualcuno per iniziare a formare la sua ciurma.
“ehi, mi potresti presentare qualcuno un po’ più grande di te? Sto cercando aiuto per la mia ciurma!” urlò Ace correndole in contro, fino a che non fu lei a fermarsi e girarsi a guardarlo.
Isabel non era di certo una ragazza che dimostrava i suoi sedici anni. Era piuttosto bassa, dalla carnagione chiara e con un odio smisurato per tutto ciò che poteva essere femminile, come i trucchi, i capelli lunghi, i nastrini colorati, il colore rosa e le scarpe col tacco.
Nonostante ciò, sapeva benissimo che se la andava a cercare quando la chiamavano maschiaccio, ma di certo non avrebbe mai sopportato che qualcuno la etichettasse come piccola. Odiava la sua statura, e chiunque glielo facesse notare, aveva le ore contate.
Lei sorrise, ma non di gioia.
Gli angoli della sua bocca a stento creavano una smorfia tremante di rabbia, ma che Ace aveva confuso con un atto di gentilezza, che ricambiò.
Intento a sorridere di rimando e convinto di aver finalmente risolto i problemi con la ragazza, si ritrovò al posto del sorriso qualcos’altro, ed un urto tanto forte da farlo cadere per suolo.
Si toccò con la mano il volto, partendo dal bernoccolo nella fronte, fino ad arrivare alla bocca, dove tirò via qualcosa che non trovò mangiabile.
Lo portò verso gli occhi, identificandolo.
Era una infradito nera e piccola, probabilmente della ragazza che poco prima pensava sorridesse.
Si mise seduto con quella scarpa e la guardò, mentre di lei non c’era più una traccia, probabilmente era scappata via, anche se lui non aveva ancora capito cosa avesse fatto o detto di tanto sbagliato.


   
 
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