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Autore: Moony3    15/08/2011    4 recensioni
Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction: "La Chiave del Tempo" (quindi, essendo un Antefatto, può essere letta da tutti).
È strettamente legata al Tempo, ma non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo.
Vi ritroverete infatti a passeggiare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte famosi (ma non troppo) altre no - che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata la scusa ideale per immaginarmi quello che potrebbe essere successo prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Se anche voi siete afflitti da questa curiosità, liberate la fantasia e partite per questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo Secondo

Il discepolo inesistente


Regno di Scozia, 13 settembre 999 A.D.  
    
Il giovane mago si rassettò nervoso la tunica di un profondo blu notte e osservò il pesante medaglione d'oro che stringeva tra le mani: era grosso come un uovo di gallina, tondeggiante, decorato da figure - miniate con colori brillanti - talmente vivide da risultare inquietanti.
Sfiorò, suo malgrado affascinato, il corpo scuro del serpente che si snodava, sinuoso, lungo l'intero bordo dell'oggetto, la testa che mordeva la coda, nella perfetta riproduzione di un Uroborus. Al centro del monile, una fenice color corallo sorgeva maestosa da sfolgoranti fiamme d'argento.
Un oggetto interessante, indubbiamente. E molto meno innocuo di quanto potesse sembrare a prima vista.

«Caro, se non te la senti...»

Il ragazzo sollevò lo sguardo. Una strega bionda e rotondetta lo guardava con occhi colmi di preoccupazione, tormentandosi le ampie maniche della lunga veste color ocra.
Augurandosi di mostrare una sicurezza che era ben lungi dal provare, il giovane abbozzò un sorriso e rispose: «Certo che me la sento, Maestra Tassorosso».
La donna annuì, non troppo convinta.
Una strega bruna, alta e sottile, avvolta in una veste dello stesso colore di quella del ragazzo, alzò gli occhi dall'antica pergamena che teneva tra le mani e li posò su di lui, sorridendogli orgogliosa.
Orgoglio molto mal riposto, pensò amaro il ragazzo.
Era stato davvero un perfetto idiota a fidarsi del cugino.
Lo conosceva, per Merlino! Come gli era venuto in mente di condividere con lui la sua meravigliosa scoperta!
Si tolse rabbioso i capelli neri dagli occhi - ripetendosi, per l'ennesima volta, che l'intelligenza di cui andava tanto fiero doveva essere solo un'illusione - e, tentando disperatamente di non tremare, sfoderò la bacchetta.

«Ragazzo, se proprio devi farlo datti una mossa».

Una voce indolente e sarcastica infranse la sua già precaria concentrazione. Ma il giovane non sollevò lo sguardo, questa volta.
Continuò a fissare ostinato l'oggetto, cercando di concentrarsi sulle parole aliene, dalle sonorità per lui inusuali, dell'antico e complesso incantesimo che si era sforzato di memorizzare.
Il proprietario dell'indolente voce sarcastica non desistette, però. Si scostò con fluida eleganza dal muro di pietra a cui era appoggiato e si avvicinò al ragazzo.
«Secondo me non dovresti farlo» sussurrò suadente, con quella voce che sapeva essere avvolgente come acqua. «Sprecare così un oggetto di simile potere...»
Il giovane mago alzò di scatto la testa, sorpreso.
Non poteva dire sul serio.
Un oggetto, per quanto straordinario, non poteva avere più valore di quello che, grazie alla sua stupidità, il mondo rischiava di perdere.
Guardò di sottecchi il mago scarno che si accarezzava assorto la corta, curata barba scura e, scorgendo il lampo di assoluta bramosia che gli attraversò gli occhi neri e freddi come ossidiana, strinse più saldamente il medaglione tra le mani.
«Per la spada di Merlino!» tuonò un alto mago dalla chioma fulva e arruffata - curiosamente simile alla criniera del leone rampante ricamato in oro sulla sua tunica rosso cupo - attraversando la stanza con quattro atletiche falcate e afferrando per la veste verde foresta l'ossuto collega.
«Sprecare, Salazar?» chiese incredulo, posando minaccioso la mano libera sull'elsa della splendida spada che, con indubbia originalità per un mago, si ostinava a portare al fianco. «Un discepolo - un tuo discepolo, per la precisione - ha avuto la brillante idea di azionare il gemello di quell'oggetto che fissi, con imbarazzante bramosia, da quando Cosetta lo ha mostrato al ragazzo. E tu sai cos'è quell'oggetto. Mi sembra più che opportuno tentare di recuperare questo tuo discepolo! Non fosse altro che per il piacere di fargli passare la voglia di gingillarsi con cose che non conosce. Fosse un mio discepolo io lo...»
«Godric!» lo interruppe la dolce Tassorosso, sfoggiando quel particolare tono di voce che sapeva ridurre al silenzio orde di discepoli indisciplinati. Funzionò anche con l'ardente Maestro Grifondoro.
«Tu cosa?» chiese quindi la strega guardandolo severa.
Godric la scrutò per un istante, pensoso, socchiuse gli occhi respirando profondamente e, lanciando uno sguardo torvo a Salazar, mormorò: «Io avrei già strappato di mano il medaglione al ragazzino, qui, e avrei raggiunto quel...»
«Godric!» esclamò Tassorosso, fissando minacciosa il mago che la sovrastava di tutta la testa e assestandogli un colpetto deciso sul braccio. «Non davanti ai discepoli!»
Il mago sbuffò, guardando in tralice il ragazzo che stringeva con ancora più energia il monile e concluse: «Dicevo: e avrei raggiunto quel poco accorto giovinetto, riportandolo qui. Perché pensi sempre male di me, Tosca?» concluse, chinando cavalleresco il capo e sfiorando, galante, la mano della strega bionda con le labbra.
«E, così facendo, saresti impazzito definitivamente, Godric» constatò la strega bruna - ancora intenta a leggere la pergamena - con la tranquillità di chi afferma una certezza assoluta e comprovata.
«Definitivamente?» chiese l'interessato.
«Definitivamente» ribadì la strega, sollevando gli occhi dalla pergamena per degnare il mago di uno sguardo distratto. «Sei già sulla buona strada, secondo me... ma raggiungere il cugino di Al...» indicò il ragazzo che ancora reggeva il monile. «Ti avrebbe dato il colpo di grazia, mio caro. Ti ho spiegato cosa succede a chi, andando nel passato, incontra se stesso».
Godric si avvicinò al tavolo sbirciando la pergamena che tanto assorbiva la strega bruna e, dopo un istante, chiese: «Cosetta, se tu avessi la buona grazia di spiegare anche a noi cosa nasconde di tanto interessante questa vecchia pergamena ammuffita...»
«Sto decifrando. Non è facile. Queste rune sembrano tracciate da te, Godric».
«Ehi!»
«Ma, proprio grazie all'allenamento fornitomi dai tuoi scarabocchi, ho capito. Il mio brillante discepolo ha scovato un'antica pergamena che parla di una Chiave del Tempo, scritta niente meno che da Aulo Valerio Corvino» affermò indicando la firma in calce allo scritto. «Quindi, il tuo brillante discepolo, Salazar, ha pensato bene di appropriarsi di una Chiave del Tempo e di provare ad azionarla» assottigliò gli occhi, sospettosa. «Resta da scoprire come abbia fatto ad impossessarsene, però, visto e considerato che solo voi tre sapevate che il Custode della Chiavi sono io...»
Salazar sogghignò. «Il ragazzo è un discreto Legilimante. E voi tre siete abbastanza scarsi in Occlumanzia, ve l'ho sempre detto».
La strega bruna lo fulminò con lo sguardo. «Solo un folle insegnerebbe la Legilimanzia a un fanciullo».
Salazar si strinse nelle spalle e sorrise. «Ognuno di noi insegna cose folli ai suoi discepoli più promettenti, Cosetta. Tu per prima».
Non aveva tutti i torti, convenne il ragazzo vestito di blu. Probabilmente Maestro Serpeverde non era a conoscenza di quante cose folli la donna avesse insegnato a lui.
Non aveva importanza, comunque. Non era l'abilità di suo cugino in Legilimanzia il vero problema.
Suo cugino non avrebbe mai pensato di appropriarsi di una Chiave del Tempo. Suo cugino non sapeva neppure cosa fossero le Chiavi del Tempo!
E non lo avrebbe mai saputo se lui non gli avesse mostrato quell'antica pergamena.
Maledicendo la propria stupidità, il ragazzo strinse la Chiave e affermò: «Io sono pronto, Maestra».
Cosetta Corvonero distolse gli occhi dai colleghi e annuì. «Sì, abbiamo già perso troppo tempo».
Il giovane, dopo essersi accertato di avere ben chiuso il fermaglio della catena a cui era fissata la Chiave, puntò la bacchetta contro l'oggetto e declamò con chiarezza il complesso incantesimo insegnatogli da Maestra Corvonero: una versione un poco diversa da quella che era riportata dalla pergamena di Aulo.
Lui non doveva limitarsi a tornare nel passato.
Lui doveva rintracciare un viaggiatore del Tempo. E impedirgli di fare qualcosa, probabilmente. 
La Chiave vibrò, accendendosi di bagliori dorati, quindi si librò strattonando energica il ragazzo che, a un cenno di assenso di Cosetta Corvonero, si lasciò guidare docilmente, seguito dai quattro maghi adulti.
Sentendosi vagamente idiota, si lasciò trascinare dalla Chiave per corridoi e scale, uscì nel parco e s'inoltrò nella fitta foresta che circondava il Castello.
I raggi del sole di quella luminosa giornata di fine estate filtravano appena tra i rami intricati degli alberi.
La Chiave riluceva di bagliori misteriosi nella morbida penombra della foresta e il giovane mago proseguì cauto, soggiogato dalla Magia, potente e sconosciuta, emanata da quell'oggetto che aveva sempre ritenuto leggenda.
All'improvviso, giunti in una piccola radura, la Chiave cominciò a lampeggiare velocemente, il corpo sinuoso del serpente si sollevò e ruotò lento in senso antiorario.
Per undici volte.
Poi si bloccò e la fenice si mise a pulsare.

«Ora, Al!» incitò Cosetta.

Il ragazzo annuì, prese un profondo respiro e sfiorò la fenice.
Sbatté le palpebre sorpreso, quando la creatura svanì dal medaglione, lasciandovi solo alte fiamme d'argento.
Si guardò attorno, teso, osservando affascinato il grosso cerchio comparso ai suoi piedi, trasalendo quando, tra bagliori di corallo, l'immagine di una fenice apparve al centro spiegando superba le ali fiammeggianti.
Un Portale del Tempo.
Il suo Portale del Tempo, per la precisione.
Chiuse gli occhi e, prima di perdere il coraggio necessario, entrò con un balzo nel cerchio pulsante, barcollando visibilmente, ghermito da una forza improvvisa che sembrava risucchiarlo. Il mondo attorno a lui cominciò a ruotare come impazzito.
O, forse, era lui che ruotava come impazzito, realizzò, frastornato da un fastidioso, persistente ronzio.
Aprì istintivamente gli occhi, richiudendoli subito, abbagliato da accecanti lampi policromi che accendevano l'aria odorosa di ozono come prima dello scatenarsi di un temporale.

I Quattro Fondatori osservarono immobili la scena, trasalendo quando il ragazzo e il cerchio svanirono davanti ai loro occhi.
«Avrei dovuto andarci io!» ruggì Grifondoro.
Corvonero scosse il capo, coprendogli la mano che stringeva l'elsa della spada con la sua. «No, nessuno di noi quattro poteva farlo, Godric. Sicuramente questa cosa riguarda noi nel passato. E undici anni fa non ero ancora diventata Custode delle Chiavi, tutti noi pensavamo fossero solo una leggenda. Saremmo impazziti vedendoci comparire davanti una versione più vecchia di noi stessi».
«Undici anni» sussurrò Tassorosso, fissando meditabonda il punto dove, fino a qualche istante prima, si trovava il Portale del Tempo. «Cosa è successo di così importante per quel ragazzo esattamente undici anni fa?»
«Hogwarts era stato fondato già da qualche anno» rammentò Grifondoro, pensoso. «E' stato in quel periodo che abbiamo accolto nella foresta il branco di centauri di Iskander?»
«Sì, Iskander e i suoi amichetti zoccoluti si sono sistemati nella foresta proprio in quel periodo» confermò Serpeverde, una sfumatura indecifrabile nella voce. «Ma, esattamente undici anni fa abbiamo - o, per meglio dire, avete - deciso di accogliere un altro branco, ben più numeroso di quello di Iskander, e che, purtroppo, non si è stabilito nella foresta. Esattamente undici anni fa voi tre avete deciso, a maggioranza, di aprire il portone di Hogwarts anche ai nati Babbani... sguinzagliando osservatori in tutte le lande più sperdute per rintracciarli, tra l'altro».


Regno di Scozia, 13 Settembre 988 A.D.

Il giovane mago aprì gli occhi e si guardò attorno, stordito.
I raggi dorati del sole filtravano a fatica dall'intrico di rami che lo sovrastava, illuminando debolmente l'immagine della fenice su cui era disteso.
Si alzò in piedi un po' barcollante e uscì dal cerchio tracciato attorno alla figura.
Sette ore.
Maestra Corvonero era stata chiara, in proposito.
Aveva solo sette ore per rintracciare il cugino e impedirgli di fare quello che desiderava fare. Qualunque cosa fosse.
Sperava di non essere arrivato troppo tardi: il cugino si trovava in quel luogo - e in quel tempo - da qualche ora, ormai.
Al aveva dovuto convincere la sua Maestra a controllare lo scrigno delle Chiavi, prima di poterlo seguire.
Impresa non facile. La strega era stata molto sorpresa dalla sua richiesta e aveva acconsentito solo dopo avere avuto tra le mani l'antica pergamena affidata ad Al da un giovane novizio incontrato in un monastero Babbano.
Al adorava visitare i monasteri Babbani.
Al adorava tutto ciò che profumava di sapere e di arte, e i monasteri Babbani erano saturi di sapere e di arte.
Quel giovane, amabile novizio grassoccio era parso particolarmente desideroso di donargli la pergamena; risaliva a un'epoca pagana - era persino scritta con caratteri runici - e, di conseguenza, i religiosi erano decisi a distruggerla.
Era strano quel giovane novizio, in effetti. Molto strano, ora che ci pensava.
Merlino! La pergamena gli era comparsa tra le mani come se l'avesse Evocata! Al non ci aveva fatto caso al momento, per lui era una cosa normale ma... i Babbani non potevano Evocare gli oggetti!

L'urlo stridente di un uccello rapace - un falco, probabilmente - lo riscosse.

Tempo. Aveva poco tempo. Lo stravagante novizio poteva aspettare, la sua missione no.
Si sincerò che la Chiave fosse ben assicurata al suo collo, si guardò attorno per orientarsi e, rassicurato dal sommesso ronzio dell'oggetto - segno che il cugino si trovava nei paraggi - s'incamminò deciso verso il Castello.
Giunto al limitare della foresta si fermò un istante, studiando la turrita sagoma di Hogwarts che si stagliava, superba, contro il cielo limpido: era un po' diversa da come la ricordava. Era... incompleta.
Al non riuscì a impedirsi di sorridere quando scorse una versione più giovane, ma altrettanto arruffata, di Godric Grifondoro che, roteando con abilità sopraffina la sua rilucente spada argentata, intratteneva un gruppo di estasiati discepoli vestiti di rosso cupo.
Poco oltre, una manciata di ragazzini con tuniche color ocra osservava lo spettacolo, fingendo, nel frattempo, di ascoltare Tosca Tassorosso che, indicando un lussureggiante Cespuglio Farfallino, parlava animatamente.

«Ops. Scusa, ragazzo».

Al trasalì quando un ometto panciuto lo colpì con una grosse otre di pelle altrettanto panciuta.
«Idromele speciale per Dama Tassorosso. Di mia produzione» spiegò compiaciuto l'uomo, dopo essersi accertato che l'otre fosse ben chiusa. «Gran donna, Dama Tassorosso. Ha accettato di istruire il mio ragazzo. Fa accadere cose strane, il mio ragazzo. Nessuno nella mia famiglia ha mai fatto accadere cose strane, solo lui» abbassò la voce. «La gente cominciava a guardarlo storto. Una volta, per esempio, ha fatto spuntare due orecchie da asino al figlio di quella bisbetica di Lucy. A me è parso appropriato, sì. Il resto del villaggio non era d'accordo, però. Ma, da quando Dama Tassorosso lo ha accolto tra i suoi discepoli, il mio ragazzo ha imparato a controllarsi, fa ancora cose strane, ma solo quando serve. Questa estate ha liberato i granai dai topi semplicemente agitando quel suo legnetto. I vicini lo adorano, ora, il mio ragazzo. Persino quella bisbetica di Lucy» concluse orgoglioso l'uomo, sorridendogli amabile.
Al ricambiò il sorriso, felice per quell'uomo e per il figlio.
Era fermamente convinto che insegnare a controllare la Magia ai nati Babbani non era solo auspicabile, ma indispensabile: un mago adulto incapace di controllare i propri poteri poteva essere molto pericoloso, per se stesso e per l'intera comunità. Non era un caso che, in genere, i Babbani non impazzissero per i maghi. Al poteva anche capirlo, insomma, non doveva essere piacevole ritrovarsi un figlio dotato di orecchie da asino...
Assorto nei propri pensieri, il ragazzo non prestò troppa attenzione al discepolo vestito di verde che, immerso nella lettura di una pergamena, si scontrò con l'ometto e la sua otre di idromele, né all'improvviso ronzio della Chiave del Tempo.
L'uomo rovinò a terra ma l'otre rimase sospesa, fluttuando sopra la sua testa grazie a un provvidenziale colpo di bacchetta del giovane in verde che, arrotolata la pergamena, si scusò cortese aiutando l'uomo ad alzarsi. Quindi afferrò l'otre fluttuante e, dopo avere trafficato un po' con il tappo, la porse all'omino assicurando che era intatta.
L'uomo ringraziò e, dopo essersi congedato dai due giovani maghi, si avviò verso Maestra Tassorosso reggendo cauto la sua otre panciuta.

Il giovane sconosciuto si abbassò il cappuccio e Al sospirò sollevato: il giovane sconosciuto non era affatto sconosciuto.
La prima parte della sua missione poteva dirsi conclusa.
«Buonasera, cugino» sogghignò il ragazzo con la tunica verde, scostandosi i sottili capelli di un biondo chiarissimo dal viso. «Ti stavo aspettando, sapevo che mi avresti seguito. Ma sei arrivato troppo tardi, mi sa».
Al corrugò la fronte, guardandosi attorno allibito: non c'era nulla di strano, a quanto poteva notare.
Osservò, quindi, con più attenzione il cugino e notò che teneva nella mano destra una minuscola ampolla d'argento.
Non poteva avere...
Afferrò l'ampollina e annusò frenetico. «Tu! Tu hai messo...»
«Belladonna, cugino. So che esistono veleni più rapidi ed efficaci, ma questo lo usano anche i Babbani e...» si azzittì all'improvviso, sbarrando gli occhi incredulo, o forse oltraggiato.
Al non si preoccupò di scoprire il perché, però.
Gettò a terra l'ampollina e - ringraziando Maestra Corvonero e la sua propensione a impartire insegnamenti poco ortodossi ai discepoli più dotati - si Trasfigurò in un grosso gatto nero, lanciandosi all'inseguimento dell'omino che caracollava lento sotto il peso dell'otre panciuta.
Raggiuntolo - proprio mentre era in procinto di porgere il suo dono a Maestra Tassorosso - emise un basso miagolio di avvertimento e balzò sull'otre, lacerandola con gli artigli affilati.
L'uomo gridò rabbioso, guardando impotente l'idromele dorato riversarsi sulle pietre grige che lastricavano il cortile, mentre la strega, sorridendo divertita, placcò l'indisciplinato felino.

«Dannate bestiacce! Non ho mai sopportato i gatti neri, sono malvagi. Demoniaci» mugugnò l'amabile ometto, esternando coloriti improperi che consistevano, per lo più, in fantasiosi metodi di cottura atti a creare squisiti manicaretti a base di tenera carne di felino.

«Suvvia, mio buon William, è solo un micetto vivace. Non vorrete cominciare a credere alle stupide dicerie che vengono messe in giro da ignoranti superstiziosi, vero?» chiese Tosca, sollevando interrogativa un sopracciglio.
L'ometto arrossì, imbarazzato, e farfugliò qualcosa di incomprensibile.
Godric Grifondoro, attirato dai coloriti improperi dell'uomo, abbandonò gli esercizi con la spada e si avvicinò alla collega, guardando dispiaciuto la pozzanghera d'idromele. Poi afferrò il gatto per la collottola e lo studiò attentamente. «Il nostro amico peloso, qui, è dotato di un gusto particolarmente raffinato in fatto di bevande» spostò lo sguardo sull'otre lacerata e fischiò ammirato. «E di ottime lame, direi».
Tosca sorrise, accarezzando con dolcezza il musetto vellutato del gatto poi, ripulito con un esperto colpo di bacchetta l'idromele versato, prese a braccetto l'uomo e propose conciliante: «William, se rinunciate ai vostri ricchi manicaretti a base di gatto, vi inviterò a condividere la cena con noi. Purtroppo non potremo bere il vostro squisito idromele... ma le pietanze saranno deliziose, fidatevi».
Grifondoro e il micio guardarono i due allontanarsi, quindi il mago osservò ironico: «William le troverà deliziose, sì... ma a Salazar andranno di traverso. Preferirebbe di sicuro mangiare te, pelliccia compresa, che condividere il pasto con un Babbano, vuoi scommettere, gatto?»
Il gatto lo scrutò con i suoi vispi occhi grigi e, arruffando il pelo, allungò una zampata soffiando minaccioso.
Grifondoro rise, lasciando andare l'animaletto: «Ottime lame davvero, amico mio. Ottime lame». Poi, osservando il gatto allontanarsi si strinse nelle spalle e richiamò i suoi discepoli, tuonando allegro: «Va bene, ragazzi, l'esibizione è finita. Filate a studiare nella vostra Sala Comune, ci vediamo a cena... ci sarà da divertirsi!»

Il gatto raggiunse il limitare della Foresta e, assicuratosi che dal Castello nessuno potesse vederlo, riprese le sue sembianze abituali.
Quindi, massaggiandosi la nuca messa a dura prova dall'energica stretta di Grifondoro, cercò con lo sguardo il cugino, sinceramente sorpreso dal fatto che non lo avesse fermato in qualche modo: era sempre stato bravissimo con gli Schiantesimi.
Quando lo scorse, capì.
Un superbo centauro dal manto bianco si frapponeva tra il cugino e il Castello, puntando minaccioso contro il ragazzo un arco con tanto di letale freccia incoccata.
Il cugino era immobile, la bacchetta magica giaceva ai suoi piedi. Più pallido del solito fissava la creatura con occhi sgranati, colmi di sorpresa. E di rabbia.
Al si avvicinò un po' titubante. Sapeva che la foresta che circondava Hogwarts era abitata da quelle fiere creature, ma vederne una in carne e ossa era tutta un'altra storia...
Il centauro lo scrutò con distaccata curiosità, scuotendo pigro la folta coda candida. Quando i suoi strani occhi chiarissimi si posarono sulla Chiave del Tempo di Al, abbassò l'arco e sorrise enigmatico.
«Un'anomalia temporale annullata da un'anomalia temporale» mormorò apparentemente divertito. «E' già successo. Con una modalità molto simile. Non un essere umano ha sistemato le cose. Ma un "animale". Anche allora».
Al annuì con compita educazione; non ci aveva capito nulla, ad essere sinceri - Maestra Corvonero sosteneva che, a volte, non era facile comprendere i centauri - ma non gli pareva saggio contrariare quella fiera creatura. Non che ne avesse paura, anzi: ne era assolutamente affascinato.
Maestra Tassorosso diceva che i centauri non erano affatto cattivi. O feroci. Volevano solo essere trattati con rispetto. Al lo trovava giusto.
Quindi abbozzò un sorriso e chinò il capo.

«Patetico! Ora ti inchini anche a un animale! Sei la vergogna della famiglia» sibilò il cugino, fissando con disprezzo la tunica blu di Al. «Ma questo già si sapeva: unico fra tutti noi a non essere stato scelto da Serpeverde».

Al sospirò. Erano passati già sei anni da quando era stato scelto da Corvonero. La sua nobile e orgogliosa famiglia avrebbe dovuto essersi rassegnata, ormai. «Artie...»
«Non chiamarmi Artie! E' ridicolo e assolutamente privo di dignità» sibilò il cugino, alterato.
«Come preferisci, Arcturus - nome che, personalmente, trovo molto più ridicolo di Artie, ma tant'è - sei venuto nel passato per avvelenare Maestra Tassorosso?»
Arcturus sbirciò il centauro che ancora incombeva su di lui e, accertatosi di non essere più sotto tiro dell'arco, annuì.
Al scosse la testa, sconvolto. «Ma perché? Perché lei? Perché ora? Perché tornare indietro nel tempo di undici anni? Perché proprio undici anni?»
Arcturus sogghignò irridente, chinandosi guardingo a raccogliere la propria bacchetta magica: «Perché, Aldebaran...»
«Non chiamarmi Aldebaran! E' un nome stupidissimo. Anche peggio di Arcturus».
«E' il tuo nome: Aldebaran Black. Comunque, sono tornato indietro di undici anni perché, proprio questa sera, Grifondoro, Tassorosso e Corvonero decideranno non solo di ammettere sporadicamente qualche nato Babbano a Hogwarts, cosa che già fanno, ma di cercarli appositamente e di portarli qui. E lo faranno proprio per colpa di quel Babbano ciccione, così grato a Tassorosso perché convinto che imparare a usare la Magia sia stata la salvezza del figlio».
«E' la verità».
«E chi se ne importa! La conoscenza magica dovrebbe appartenere solo ai maghi».
«Chiunque possiede poteri magici è un mago, Arcturus. Non importa da chi sia nato. Tua sorella è Purosangue, ma non possiede alcun potere magico».
«Io non ho sorelle, Aldebaran, ti pregherei di ricordarlo» ribatté gelido Arcturus, gli occhi neri colmi di puro sdegno.
Al trattenne a stento la rabbia. Non era mai stato tanto tentato di trasfigurare il cugino in qualcosa di appropriato: un Vermicolo, per esempio. Spica, la sorella di Arcturus, era una ragazzina adorabile ma, ovviamente, la fiera casata dei Black non sapeva che farsene di una Magonò.
Respirò profondamente, cercando di trattenersi: un Vermicolo non avrebbe potuto rispondere alle sue domande, purtroppo.
«Ma perché Maestra Tassorosso?» chiese sinceramente allibito. Davvero, non riusciva neppure a concepire che qualcuno volesse fare del male alla gentile Tosca Tassorosso.
«Perché è stata, o sarà, a seconda dei punti di vista, proprio lei la più accanita sostenitrice della causa. Se fosse stata avvelenata da un Babbano - e sono sicuro che la tua brillante Maestra Corvonero avrebbe scoperto subito che di avvelenamento si trattava - Serpeverde non sarebbe stato il solo ad opporsi all'eventualità di accogliere sistematicamente i nati Babbani ad Hogwarts».
Al boccheggiò, disgustato, non sapendo come ribattere al delirio del cugino, poi notò che la Chiave del Tempo di Arcturus lampeggiava freneticamente: al centro dell'oggetto si cominciava già a scorgere una figura alata color corallo. Non c'era più tempo.
«Dov'è il tuo Portale, Arcturus? La tua Chiave lampeggia».
Il ragazzo alzò le spalle disinteressato e, scoccando un'ultima occhiata colma di rancore al centauro si incamminò verso il Castello, urlando: «E allora? Che lampeggi. La mia missione non è conclusa! Ho ancora la possibilità di cambiare la storia. Il Babbano cenerà al Castello. E io ho altri piani!»
Al non ne dubitava.
Conosceva il cugino.
«Lo so. E' il tempo che ti manca. Il tuo Portale sta per richiudersi! I compagni di Cormiac...»
«Sciocchezze! Favole per spaventare i marmocchi creduloni come te, cuginetto! Non è mai esistito nessun compagno di Cormiac. Non c'è alcuna traccia dei compagni di Cormiac. Solo Cormiac è esistito, e non poteva certo essere così stolto da mettere limiti a un simile oggetto di potere!»
Girandosi verso il cugino, Arcturus agitò il braccio: il beffardo gesto di saluto di un giovane dio che si crede onnipotente.
Prima che potesse aggiungere altro, la Chiave smise di lampeggiare. L'aria attorno ad Arcturus cominciò a tremolare, il ragazzo sembrava rarefatto, avvolto in una coltre di nebbia sempre più fitta che aleggiava su di lui. Solo su di lui.
Al si sfregò gli occhi, poi guardò incredulo Arcturus svanire. Letteralmente.
Si slanciò in avanti, impugnando la bacchetta e cercando un incantesimo per fare riapparire il cugino. Doveva esserci un modo. C'era sempre un modo.
Quando qualcosa di tiepido gli strinse una spalla, soffiò come aveva fatto in forma di gatto e tentò disperatamente di liberarsi da quella morsa d'acciaio.

«Non c'è nulla che tu possa fare per lui, ormai. E' perso. Perso nelle pieghe del Tempo».

Al si riscosse al suono di quella voce profonda e ipnotica.
«Ma...» farfugliò confuso.
«Quando un Portale si chiude, si chiude per sempre. Il tuo amico non lo ha attraversato in tempo. E' perso, ormai. Come i compagni di Cormiac. No, non sono una favola: Caalum e Rhys sono esistiti, come Arcturus. Ma, come Arcturus, si sono persi nel Tempo».
Al lo guardò frastornato, lanciando di tanto in tanto sguardi verso il punto in cui era sparito il cugino.
«Ma lui dov'è, ora?»
Il centauro scosse il capo e si strinse nelle spalle. «Lui non è. Semplicemente. E' come se non fosse mai stato».
«No! Lui è stato! Io lo so che lui è stato!»
«Certo. Perché tu c'eri. Eri qui. Sai del suo Viaggio nel Tempo. Ma per chi non sa... lui non è mai stato. Anche Cormiac ricordava i suoi compagni. Ma solo Cormiac. E Kyros, che sapeva della loro impresa. Per tutti gli altri Caalum e Rhys non sono mai esistiti. Sono solo una leggenda, nulla di più. Cormiac non ha potuto tornare indietro nel tempo per salvarli perché non li avrebbe trovati: Caalum e Rhys non erano, semplicemente».
Il ragazzo abbassò il capo, sconfitto.
Sapeva che il centauro aveva ragione. Lo sentiva. Ma era difficile convincersene. Era difficile accettare di non essere riuscito a salvare Arcturus. Di non potere neppure tentare di salvare Arcturus.
«Aldebaran Black» il ragazzo fece involontariamente una smorfia sentendo il nome e il centauro sorrise. «Non disprezzare il tuo nome. Aldebaran è una stella bellissima, molto saggia, puoi imparare molte cose osservandola, e ascoltandola. Fu proprio Aldebaran a suggerire a Kyros di aiutare Cormiac a creare le Chiavi del Tempo. Le Sette Chiavi del Tempo. Sette come le Pleiadi».
«Allora non è molto saggia la tua Aldebaran. Non sono sicuro che le Chiavi siano oggetti buoni».
Il centauro si scostò i lunghi capelli bianchi dal viso e si strinse nelle spalle. «Sono solo oggetti. Gli oggetti non sono né buoni né cattivi, Aldebaran. Tutto dipende da chi li usa».
«Arcturus avrebbe ucciso una persona. E probabilmente messo nei guai molti nati Babbani, grazie a una Chiave del Tempo».
«Vero. Ma Aulo ha salvato suo padre, grazie a una Chiave del Tempo».
Al ci pensò un istante. Se davvero una vita umana era stata salvata grazie a una Chiave del Tempo, allora era un bene che fossero state create. «Forse Aldebaran non è così male. Forse un po' saggia lo è».
Il centauro sorrise. «Aldebaran è molto saggia. E anche Cormiac lo era: sapeva che dei limiti vanno sempre posti agli oggetti di potere. E lo ha fatto. Non più di vent'anni indietro nel tempo e non più di sette ore di apertura del Portale».
Il ragazzo scosse il capo e sospirò mesto. «Per colpa mia due Chiavi del Tempo sono andate distrutte. Ora ne rimane solo una».
«Se anche fosse non ci sarebbe nulla di male. Così era scritto. E poi non hai distrutto due Chiavi. Il tuo amico ne ha distrutta una. Tu non è detto».
«Nella sua pergamena Aulo ha scritto...»
«Aulo non sapeva tutto delle Chiavi, non era il Custode quando ha scritto quella pergamena».
«Sei tu il Custode, ora?»
«No. Noi centauri sappiamo, però. Abbiamo il compito di vegliare sul Custode delle Chiavi. Se tu non fossi intervenuto per evitare azioni che avrebbero potuto sconvolgere il corso della storia, sarei dovuto intervenire io».
Un rumore di zoccoli furibondo fece trasalire Al che si guardò allarmato alle spalle.
Quattro centauri avevano raggiunto il limite della foresta e osservavano fieri la scena.
Uno di loro si fece avanti, salutò il centauro bianco con un cenno del capo e disse: «Un Portale del Tempo si è chiuso: una parte dell'anomalia si è assorbita, Iskander».
Il centauro bianco annuì. «Sì. E presto si assorbirà anche l'altra» tornò a rivolgersi al ragazzo. «Tu non hai colpe, Aldebaran. Torna al Portale, ora. E tramanda la conoscenza, così vogliono le stelle» quindi volse le spalle al mago e, dopo un ultimo cenno, s'inoltrò nella foresta, subito seguito dagli altri centauri.

Aldebaran si sfregò stancamente gli occhi e si lasciò cadere a terra, confuso e svuotato.
Le parole pronunciate dal centauro gli vorticavano nella testa ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a comprenderle appieno.
Ci avrebbe pensato più avanti, forse; ora aveva qualcosa di più urgente da fare.
Era tentato di smarrire anche se stesso nel Tempo: magari avrebbe scoperto cosa era successo ad Arcturus. Lo studioso che c'era in lui era affascinato dalla prospettiva.
Ma una frase pronunciata dal centauro rimbombava insistente nella sua mente: tramanda la conoscenza. Sì. Quella era sicuramente la cosa più importante. E più utile: se avesse tramandato la conoscenza nessuno si sarebbe più perso nel Tempo. Lo avrebbe fatto. Lo doveva fare. Lo doveva ad Arcturus.
Si alzò in piedi e lanciò un'occhiata al Castello incendiato dalla luce aranciata del tramonto. Alcuni ragazzi vestiti con tuniche blu circondavano Maestra Corvonero, ascoltando rapiti le parole che uscivano dalle labbra della strega.
Una bambina minuscola giocherellava con la bacchetta magica, mentre osservava incantata il volo aggraziato di uno sciame di fate. Improvvisamente scintille colorate fuoriuscirono dalla bacchetta della bambina, colpendo il ragazzino sedutole accanto che si ritrovò dotato di una chioma iridescente come polvere di fata. La bambina abbassò gli occhi impaurita, proteggendosi istintivamente la testa con le mani. Cosetta Corvonero gliele scostò gentilmente, rassicurandola: «Qui nessuno ti punirà se ti scapperà qualche incantesimo, Mary. Qui imparerai a controllare la Magia. Tra l'altro a Rufus quel colore sta d'incanto» affermò seria la strega, scatenando le risate divertite di tutti i ragazzini, Rufus compreso.
Aldebaran sorrise: i nati Babbani dovevano frequentare Hogwarts.
Arcturus aveva tentato di impedirlo e lui lo aveva fermato. Mary avrebbe imparato a controllare i suoi poteri. Mary non sarebbe più stata punita dai suoi vicini.
Forse aveva distrutto una Chiave, ma ne era sicuramente valsa la pena.
Un po' sollevato, si inoltrò nella foresta: la sua missione era conclusa, non gli restava che riattraversare il Portale del Tempo.


Regno di Scozia, 13 settembre 999 A.D.

Aldebaran serrò gli occhi, esausto.
Nelle orecchie aveva ancora un canto dolce e misterioso. Un canto che aveva placato il suo dolore.
Confuso, tentò di ricordare cosa gli avesse fatto provare quel dolore.
Poi ricordò.
Ricordò l'omino che caracollava sotto il peso della panciuta otre di idromele; ricordò Grifondoro che roteava esperto la sua spada rilucente; ricordò Tassorosso che spiegava qualcosa a ragazzini distratti dallo spettacolo offerto da Grifondoro... e ricordò Arcturus.
Arcturus.
Aldebaran si portò un pugno alla bocca e soffocò un singhiozzo.
Una mano carezzevole gli scostò i capelli dal viso e una voce dolce mormorò, materna e consolante: «Va tutto bene, caro. Sei stato bravissimo».
Aldebaran aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il viso preoccupato di Tosca Tassorosso e si lasciò avvolgere dalla forza calda e rassicurante della strega.
Poi scosse il capo, mormorando: «Ho perso Arcturus».

«Arcturus si è perso da solo, Aldebaran».

Il ragazzo distolse gli occhi dalla strega e cercò con lo sguardo colui che aveva pronunciato quelle parole.
Aveva riconosciuto quella voce profonda e ipnotica. L'avrebbe riconosciuta tra mille.
Ai limiti della radura, un maestoso centauro dal manto bianco lo guardava. Le braccia conserte, i lunghi capelli candidi scompigliati dal vento.
Aldebaran lo ricordava meno massiccio. Più giovane. Ma era Iskander, non potevano esserci dubbi...

«Tu gli hai impedito di compiere un grosso errore» lo rassicurò pacato il centauro, cominciando poi a narrare ai Quattro Fondatori le gesta del giovane mago.
Aldebaran ascoltò tutto restandosene raggomitolato su se stesso, le mani spasmodicamente serrate attorno alle ginocchia e gli occhi chiusi.
Arcturus non sarebbe tornato.
Arcturus non lo avrebbe più irritato con i suoi deliri sull'importanza del sangue puro.
Arcturus non lo avrebbe più tormentato presentandogli orde di ragazze più stupide di un Troll di Montagna ma di comprovata e antica stirpe magica.
Arcturus non lo avrebbe più esasperato in nessun modo.
Arcturus, insomma, gli sarebbe mancato da morire.
E la cosa peggiore era che sarebbe mancato solo a lui.
Persino i Quattro Fondatori faticavano a ricordare Arcturus!
E loro sapevano.
Quando il centauro ebbe terminato il suo racconto, Aldebaran si alzò, si tolse la Chiave dal collo e la porse a Corvonero.
«Mi dispiace, Maestra» sussurrò mesto, gli occhi grigi colmi di sconfortata amarezza. «Ora rimane una sola Chiave funzionante. Spero solo che sarà usata con più saggezza».
La strega prese l'oggetto che il ragazzo le porgeva e lo osservò: «Al, non...»
Il ragazzo scrollò le spalle e la precedette. «Non ha importanza, Maestra. Vorrei andare, ora. Col vostro permesso vorrei ricopiare la Pergamena di Aulo. E vorrei aggiungere qualche annotazione a proposito del funzionamento del Portale del Tempo: nessun altro dovrà fare la fine di Arcturus».
«Ma...» insistette la strega, allungando una mano verso il discepolo.
Il centauro le sfiorò una spalla scuotendo la testa e Corvonero annuì: «Va bene, Al. Vai pure».
Il ragazzo chinò il capo e si allontanò in direzione del Castello.

Corvonero guardò il centauro: «Non ha distrutto la Chiave. E' solo scarica. Si ricaricherà».
Il centauro annuì: «Lo so. Ma a lui non interessa saperlo, al momento. Tutto quello che vuole fare è tramandare la conoscenza. Mi pare saggio».
«Davvero?» domandò Tassorosso osservando addolorata il punto in cui il ragazzo era scomparso. «Non sono così sicura che le Chiavi del Tempo siano conoscenza da tramandare. Creano solo guai».
Il centauro scosse indolente la folta coda bianca. «Non per colpa loro. La responsabilità è del mago che le usa».
«E' quello che tento di fare capire da sempre a questi tre testoni» esclamò Serpeverde, insofferente. «Non esiste una Magia cattiva. Ma solo maghi che la usano male».
«Non ci provare, Salazar» ribatté immediatamente Grifondoro. «La Magia che intendi tu non è solo cattiva. E' oscura. E a Hogwarts non verrà mai insegnata».
Serpeverde sbuffò, sfiorando sovrappensiero il ricamo argentato - un sinuoso intreccio di serpenti - che impreziosiva la sua tunica verde e osservò: «Anche tu ti interessi a quella stessa Magia che definisci oscura, Godric».
«Vero. Ma solo per trovare dei sistemi per neutralizzarla, Salazar. A te interessano le Arti Oscure. A me la Difesa contro le Arti Oscure... non è esattamente la stessa cosa».

Il centauro sorrise enigmatico, scrutando il cielo terso in cui cominciavano a spuntare le prime stelle: «I tempi stanno maturando. Hogwarts seguirà il suo corso. Sarà quello che era scritto dovesse essere. Grazie ad Aldebaran».
Così dicendo si inoltrò silenzioso nella foresta, lasciando i quattro maghi a fissarlo allibiti.
«Uhmf» bofonchiò Grifondoro. «Detesto quando i centauri parlano come centauri!»
«Ah, per una volta devo dirmi perfettamente d'accordo con te, Godric. Che ti assalga una Manticora se ho capito cosa voleva dire» rincarò Serpeverde.
Grifondoro lo fissò, inarcando un sopracciglio. «Come sarebbe a dire che mi assalga una Manticora? Non dovrebbe assalire te, la suddetta Manticora, visto che sei stato tu a chiamarla in causa?»
Salazar ci pensò un istante. «Quisquilie. Resta il fatto che sono d'accordo con te: detesto i centauri quando parlano come centauri».
Corvonero aggrottò la fronte, pensierosa: «Quello che ha detto Iskander è molto profondo. Solo che, al momento, mi sfugge il senso più recondito».
I due uomini la guardarono con esasperato divertimento, mentre Tassorosso la prese sottobraccio dirigendosi al Castello. «Ecco, Cosetta cara, in attesa che tu trovi il senso più recondito della frase molto profonda di Iskander, proporrei di radunarci tutti nel mio studio a meditare sul fatto che Hogwarts sarà quello che era scritto dovesse essere. William mi ha appena fatto avere la solita otre del suo paradisiaco idromele, sapete?»


Regno di Scozia, 14 Settembre 999 AD.

Salazar Serpeverde se ne stava appoggiato al davanzale della finestra del suo studio, godendosi il tramonto e osservando Godric Grifondoro che, roteando con energia la sua spada scintillante, intratteneva un nutrito gruppo di ragazzini.
Salazar poteva scorgere discepoli con tuniche rosse, ocra, blu e, notò con un certo disappunto, verdi attorno a lui.
Doveva ammettere che lo spettacolo aveva un suo fascino, ma non voleva che i suoi discepoli provassero interesse per una pratica così irrimediabilmente Babbana.
Con uno sbuffo contrariato volse le spalle alla finestra e si accostò al tavolo. Cominciava ad essere stanco della piega che stava prendendo Hogwarts.
Per un piacevole istante aveva sperato che quel ragazzo... Arcturus... riuscisse nella sua impresa.
Quando lo aveva aiutato ad appropriarsi di una Chiave del Tempo, non aveva avuto idea che il ragazzo avesse intenzione di avvelenare Tosca, o gli avrebbe imposto di cambiare piano.
Non solo la strega gli stava sinceramente simpatica, ma era una Purosangue, ed era un grosso spreco versare puro sangue magico.
Ma Arcturus non aveva voluto confidarsi, aveva deciso di fare di testa sua e, dopo tutto, a Salazar andava bene così. Apprezzava i discepoli astuti e ambiziosi: gli ricordavano un po' se stesso.
Certo, se quello stupido non avesse mostrato la Chiave al cugino, prima di usarla...
Pazienza, aveva altre strade da seguire. Studiò attentamente le piante del Castello tracciate sulle pergamene che ricoprivano il tavolo.
Sì, aveva in mente di apportare una modifica ai sotterranei: voleva aggiungere una camera.
Una camera irraggiungibile, in cui conservare alcune cose di sua proprietà; una camera di cui nessuno avrebbe saputo l'esistenza, solo lui ed, eventualmente, i suoi eredi: una Camera dei Segreti.
Compiaciuto, Salazar strinse in pugno l'antico medaglione che portava al collo.
Somigliava a quei monili in cui le sciocche fanciulle romantiche conservavano ciocche di capelli dell'amato, e quelle più sagge veleni potenzialmente letali...
Era un bell'oggetto, tutto sommato. Apparteneva ai Serpeverde da secoli.
Il serpente che, in origine, lo aveva decorato formando una sinuosa esse proprio al centro si era sbiadito col tempo e Salazar lo aveva ritracciato, rendendolo più elaborato e ricoprendolo di smeraldi purissimi. Forse ora quel decoro sembrava più una esse molto ricercata, ma il serpente stilizzato si intuiva ancora.
E gli smeraldi non sbiadivano.
Quel monile avrebbe attraversato indenne i secoli, passando da Serpeverde a Serpeverde.
Sorridendo soddisfatto il mago aprì il medaglione, estraendo un pezzetto di fragile, antica pergamena, e lesse ad alta voce, usando la lingua dei serpenti, le parole che vi erano vergate.
«Io continuerò la mia battaglia. Farò di tutto perché i miei simili si rendano conto della minaccia che i Babbani rappresentano per la stirpe dei maghi. E farò in modo che, se io dovessi fallire, i miei eredi proseguano questa missione. Parola di Sigebert Serpeverde!»
Il mago annuì orgoglioso, prima di ripiegare con cura il bigliettino, ed esclamò convinto: «E parola di Salazar Serpeverde».




Ed eccoci alla terza tappa del Viaggio.
Altre notizie sulle Chiavi del Tempo vengono rivelate e, finalmente, cominciano a comparire personaggi potteriani!
Del resto, nella storia delle Chiavi del Tempo, potevano forse mancare i Quattro Fondatori di Hogwarts? Giammai, naturalmente! ù.ù
Così eccoli qui, in tutto il loro splendore!
Spero di non aver combinato troppi pasticci presentando Tosca Tassorosso, Cosetta (o Priscilla... non ho mai capito con esattezza quale sia il suo nome esatto, ma ho optato per Cosetta per mantenere le iniziali uguali) Corvonero, Godric Grifondoro e Salazar Serpeverde (che appartengono rigorosamente a J.K. Rowling. Io li ho solo presi in prestito per questa tappa del Viaggio) ma è esattamente così che me li immagino!
Come avrete notato, in un momento di delirante mania di grandezza, ho ipotizzato che il celeberrimo medaglione di Serpeverde fosse in realtà la Chiave del Tempo distrutta da Sigebert Serpeverde. Spero vogliate perdonarmi questo attacco di megalomania compulsiva. ^^
Per finire qualche spiegazione sul protagonista di questo capitolo: Aldebaran Black.
Prima di tutto due parole sul nome: lo so, avrei potuto scegliere uno dei fantasiosi nomi "astronomici" che compaiono (e ricompaiono) nell'Albero Genealogico dei Black, ma ho preferito optare per un nome "nuovo". Sia per rispetto verso i personaggi inventati da J.K. Rowling, sia per sottolineare la "particolarità" di Aldebaran, che non è esattamente un Black di cui la famiglia andrà particolarmente fiera: il suo nome non sarà tramandato ai futuri rampolli della Casata, insomma. Del resto quale Black "regolamentare" avrebbe imposto a un proprio virgulto il nome di un originale figuro prescelto da Corvonero e convinto della necessità di accogliere i nati Babbani nella comunità magica?
Scegliendo il nome ho però deciso di mantenere la tradizione "astronomica". Aldebaran, che deriva dalla parola araba 
al-Dabarān ossia "L'Inseguitore" (e quindi mi pareva molto appropriato al personaggio in questione), è la stella Alfa della costellazione del Toro, la stessa costellazione delle Pleiadi.
Inoltre questo nome ha una particolarità che tornerà utile per il seguito della storia. E, infine, ha un suono che mi piace molto, quindi...
In secondo luogo un "avviso di servizio": Ad Aldebaran è toccato il dubbio onore di inaugurare una "tradizione" che ci accompagnerà per tutta la parte centrale della storia: il protagonista principale del capitolo (colui - o colei - che "filtrerà" la storia raccontata) sarà un membro - più o meno "alternativo" - della nobile e antichissima Casata dei Black.

Chiudo l'angolo delle "Farneticazioni dell'Autrice" approfittando di questo ultimo scorcio della giornata per augurare a tutti un Buon Ferragosto!
Un po' tardivo, lo so... ma meglio tardi che mai, no? ;)




  
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