Fiorella ed io ci
conoscevamo da circa un annetto, ovvero da quando decisi di intraprendere la
terapia psicologica. I motivi che mi portarono su questa via furono tanti.
Primo fra tutti, il mio eccessivo attaccamento al virtuale in favore del reale,
che non mi consentiva di vivere appieno le relazioni reali.
È vero, sono un
disegnatore, so disegnare bene e forse potrei conquistare chiunque soltanto
presentando un disegno, ma (ahimé) sono piuttosto burbero e timido, e
relazionarmi con qualcuno per qualcosa che vada al di fuori di una semplice
chiacchierata mi riesce veramente difficile. Tante volte ho constatato che la
gente mi gira al largo, con la differenza che se prima questa era una cosa che
mi straziava il cuore, adesso ho imparato a viverla, se non bene,
discretamente, e a cercare delle soluzioni nella mia mente, con l’aiuto appunto
di Fiorella.
- Cara dottoressa,
rieccoci – le dissi, accomodandomi sulla mia sedia. Era un rito che facevo
ormai da molti mesi, ma ogni volta che lo facevo, mi sembrava sempre la prima volta.
Lei sorrise e rispose
– Bentrovato, Donatello. Allora, di cosa parliamo oggi? –
Le nostre
conversazioni incominciavano così. Oggi le avrei parlato di quanto ero
invidioso di Francesco che riusciva ad intrattenere così facilmente rapporti
con le persone, di come lo vedevo ed avevo voglia di spaccargli la faccia, di
quanto sarebbe piaciuto anche a me poter avere, ogni sera, un ragazzo nuovo da
coccolare e baciare.
- …E perché ogni sera
uno diverso? – chiese Fiorella. Io scrollai le spalle, scuotendo la testa.
- Per sentirmi
attraente. Sentirmi desiderato da qualcuno, dottoressa. C’è chi si sente
desiderato ogni sera e chi invece mendica lo sguardo di un’altra persona… -
risposi io, lentamente. Agli altri potevo apparire burbero, ma Fiorella
conosceva il mio vero lato oscuro, fatto di sogni e desideri infranti. A quella
mia risposta, Fiorella fece una pausa, stando in silenzio.
- Ma lei, Donatello,
ha davvero bisogno di sentirsi attraente? –
- Io…? Sì. Ne ho un
bisogno smodato, quasi quanto respirare. –
- Non pensa che
essendo un artista, lei sia già di per sé molto attraente? – mi domandò. La
domanda mi lasciò un po’ interdetto. C’era del vero.
Ci pensai.
Un po’ di tempo fa,
quando avevo diciassette anni, ero solito impartire lezioni di disegno ad un
ragazzo un po’ più giovane di me, di circa dieci anni. Si chiamava Vittorio, e
grazie al mio aiuto riuscì a diventare abbastanza bravo da non spaventarsi più
dei suoi disegni e buttare via i suoi fogli (anche perché io gli insegnai che non
bisogna mai buttar via nulla, anche se non ci piace. Quel che non piace a noi,
potrebbe piacere a qualcun altro!). Inoltre, questo soldo di cacio di
ragazzino, penso si fosse preso una cotta per me. Di tanto in tanto mi scriveva
degli sms, in cui mi chiedeva molto spesso dell’amore, di come fanno ad
innamorarsi due persone. Poi mi chiedeva se avessi mai baciato una ragazza, o
se l’avessi mai fatto (ci siamo capiti)… il tutto nello stile timido ma allo
stesso tempo diretto di un decenne che non sa ancora nulla della vita. Meno di
lui ne sapevo io, che a diciassette anni l’unica esperienza era stata
trastullarmi… Sms a parte, nonostante l’età, il buon Vittorio voleva sempre
sedersi sulle mie gambe mentre disegnava. Diceva che stava più comodo, e che
gli sembrava che i disegni gli riuscissero meglio.
Questa specie di
rapporto durò circa fino alla fine delle mie scuole superiori e l’inizio delle
sue scuole medie. Da lì in poi ci perdemmo di vista, con grande dispiacere da
parte della madre perché suo figlio era caduto in una specie di catatonia dopo
che me ne fui andato io. Seppi soltanto che si risollevò grazie alla vicinanza
dei suoi amici, tra una partita di calcio e qualche ora di studio insieme.
- Forse ha ragione,
dottoressa. – ripresi, dopo la lunga riflessione – In fondo, anche saper
disegnare bene è essere attraenti, in un modo o nell’altro. –
Lei annuì,
sorridendo. Poi mi guardò negli occhi e decretò – Ci dobbiamo fermare qui per
oggi, il tempo è scaduto. La aspetto la prossima settimana. –
- Certo. Grazie
dottoressa. Arrivederci. – salutai, alzandomi dalla sedia e dirigendomi verso
la porta d’ingresso, per uscire anche per quella settimana.
La situazione in
Italia è differente rispetto ad ogni altra parte del mondo. Nel resto del
mondo, se vuoi conoscere gente, basta che ti rechi in un locale specializzato e
ti metti a chiacchierare con uno. In Italia, andando in un locale sei fortunato
se riesci a beccare qualcuno che ti dia retta, se non ti conosce e se non fai
parte del suo gruppo in maniera diretta o per derivazioni successive. Se poi
sei come me, decisamente fuori dallo standard, puoi anche essere amico di Rocco
Siffredi che non riuscirai mai a conoscere nessuno.
Così, per cercarmi un
po’ di compagnia al di fuori di quella della carta disegnata, io usavo
connettermi ai siti internet “di settore”. Non che la situazione fosse
migliore, ma l’intermediazione di uno schermo era quasi un passaggio obbligato,
una sorta di esame preliminare che i due si facevano.
E quanti esami avevo
passato io nel corso di questi anni… avevo conosciuto un sacco di ragazzi, di
un po’ tutte le età. Quando era proprio andata bene ero riuscito ad andare a
casa con loro e fare qualcosa di serio, salvo poi in qualche occasione non
riuscire a funzionare bene per l’atto sessuale vero e proprio, ovvero la
penetrazione: Inspiegabilmente, c’era sempre qualcosa che riusciva a farmi
perdere la voglia… una frase detta al posto sbagliato, una coccola fatta male,
o un bacio mal dato. Ciò la diceva lunga sul fatto che io non fossi un animale
da copula ma una persona vera, con sentimenti veri che prescindevano dal sesso.
Il più giovane dei miei amanti aveva avuto diciotto anni, mentre il più vecchio
trentadue. Con tutti avevo fatto qualcosa, tutti loro avevano lasciato in me
un’impronta piacevole alle prime battute della nostra conoscenza, salvo poi
trasformarsi in perfetti sconosciuti dopo che avevano ottenuto ciò che
volevano. Il gioco si era ripetuto tante volte, nonostante mi fossi sempre
ripromesso di non cascarci più, ma era più forte di me: non riuscivo a sedermi
senza provare a darmi da fare.
Il nuovo candidato
amante si chiamava Ritchie85. Più grande di me di qualche mese, carino ma non
troppo, e molto dolce. Di me aveva visto un bel po’ di fotografie, e fino ad
allora non mi aveva ancora chiuso i ponti. Io rispondevo alle sue moine con
molto distacco, senza tuttavia lasciar trapelare che mantenevo le distanze.
Eppure, in questa strenua difesa di me stesso, lentamente cominciavo ad
affezionarmi.
Che
hai fatto oggi?
Niente,
ho girovagato. Senza lavoro, puoi fare quello che vuoi!
Scrissi, rispondendo
alla sua domanda. Lui mi piazzò un’emoticon che sorrideva.
Questa
sera cosa farai?
Mi domandò di nuovo
Ritchie85. Io risposi che non lo sapevo.
Ti
andrebbe di venire a bere qualcosa da me? Mi sento solo, e vorrei un po’ di
compagnia.
Un po’ incerto,
fissai lo schermo del mio Acer per un bel po’ di secondi. Non trovando
risposta, mi misi a fissare il poster di Dandy Landy che mi ero fatto da solo.
Come sempre, lui era lì, con quella posa plastica che voleva imitare James
Bond, solo che al posto della pistola teneva spianate le sue dita e guardava il
mondo esterno con aria truce, rotta soltanto dal sorriso sbarazzino che gli
avevo dato.
Che
debbo fare? Pensai, rivolgendomi a lui. Ovviamente
lui non rispose, ma penso che se avesse potuto, mi avrebbe detto di no.
Va
bene.
Quella fu la mia
risposta a Ritchie85.
Riccardo (così si
chiamava) abitava in una zona abbastanza fuori città. Risvegliata la mia Audi
dal suo sonno meccanico, partii alla volta di casa sua, e in circa mezz’ora
arrivai.
Quando si aprì la
porta di quell’appartamento al terzo piano, mi si presentò un bel ragazzo,
moro, occhi chiari e fisicamente perfetto. Mi sorrise, ed io gli sorrisi di
rimando, peccato che fossi più imbarazzato che altro, a quella vista.
Devo dire che la
serata fu piacevole. Guardammo un film in DVD e poi, dopo una breve
chiacchierata, lui mi saltò letteralmente addosso. I suoi baci furono di fuoco,
così come le sue carezze. Non ci mise troppo a spogliarsi e a mostrarmi quanto
il suo corpo fosse perfetto, mentre io esitante restai ben chiuso nella mia
camicia nera.
- Sai cosa mi piace
di te…? – mi disse ad un certo punto.
- Cosa…? –
- I tuoi capelli … -
rispose Riccardo, arruffandomeli – sono così attraenti. Secchi e modellabili a
piacimento. – e così fece, con le mani, giocando con i miei capelli, e
continuando a baciarmi.
- mmm… anche i tuoi
sono belli… - risposi io, carezzandoglieli. Lui si irrigidì, fermandosi un
attimo. Per un momento ci guardammo negli occhi, entrambi con espressione
neutra. In quegli occhi chiari c’erano un sacco di parole che potevano essere
brutte o belle, ma io non riuscivo a coglierle. Quanto avrei voluto saper leggere
negli occhi, in quell’istante… se avessi saputo allora ciò che so adesso,
sicuramente avrei preso e me ne sarei andato a gambe levate. Ma purtroppo così
non feci, e lasciai che quell’attimo svanisse, cacciato in malo modo da un
altro bacio di Riccardo.
Quando la serata
finì, mi misi alla porta di Riccardo.
- Ci vediamo domani?
–
Lui sorrise e mi fece
l’occhiolino, senza tuttavia rispondere. Feci per dire qualcos’altro, ma lui
molto simpaticamente, mi sbatté la porta in faccia.
Il giorno dopo, avrei
voluto vederlo sul messenger per capire dove avessi sbagliato. Era l’orario in
cui di solito si connetteva, ma quel giorno non si fece vivo.
E continuò a non
farsi vivo nei giorni seguenti.
Mi aveva bloccato e
cancellato.