Se esisteva un dio,
ero sicuro che mi avrebbe mandato all’inferno senza appello, dopo tutte le
bestemmie che avevo tirato giù nel cercare l’accesso dell’autostrada in
quell’intrico di strade che era la periferia ovest di Milano. Per un colpo di
fortuna, trovai un cartello verde che indicava la direzione da seguire, e per
fortuna dopo molte peripezie riuscii a varcare la barriera e ad immettermi
nello stradone a quattro corsie. Destinazione: Bologna.
Ero frustrato,
incazzato, ma soprattutto… triste. Con le mani strette sul volante, piangevo a
dirotto, urlando e disperandomi. Andare fino lì non era stata una buona idea,
per non dire che era stata un’idea di merda, dal momento che ero stato deluso
un’altra volta e mio fratello aveva scoperto che ero gay. Ma come aveva fatto a
scoprirlo…?
Feci due più due, e
ricostruii le possibili ipotesi.
Illuminazione divina?
Spiata?
Ecco, sì. Forse
quest’ultima era la più probabile.
Per come la vedevo
io, Simone doveva aver spifferato tutto alla sua amica del cuore che era lì con
noi nella tenuta di Flavio… Siccome non aveva voluto dirmi chi era questa
fantomatica amica, avevo dovuto arrivarci da solo, giungendo alla conclusione
che la sua amica era Marika, la stessa che aveva intortato mio fratello quel
giorno nel bosco e chissà quante altre volte alle quali io non ero stato
testimone.
Ehi, ma perché stavo
piangendo? Io avevo in mano una bomba che poteva esplodere, tra le mani.
Sarebbe bastato fare una telefonata a Chiara, raccontarle tutto, esortarla a
fare qualche controllo accurato sul cellulare di mio fratello, e tac! Avrei avuto la mia vendetta.
Ma no, non avrebbe
potuto funzionare. Prima di tutto perché se io spifferavo tutto quanto a
Chiara, mio fratello come minimo sarebbe venuto a cercarmi per strangolarmi;
poi perché sicuramente sarebbe corso dai miei a raccontare tutto ciò che io
avevo fatto con Simone e, poco ma sicuro, mi avrebbero tolto l’appartamento e
quindi anche Francesco, l’unica mia fonte di sostentamento dato che non avevo
un lavoro.
Mi toccava soltanto
sperare che una volta tornato, non fossero già lì, allertati da Ermanno.
- Cazzo, cazzo …
cazzo. – sibilai tra i denti, in preda ad un forte senso di smarrimento. Misi
la freccia e mi fermai su una piazzola di sosta, accendendo i lampeggianti.
L’atmosfera era calma, anche se le auto che sfrecciavano mi impedivano una
concentrazione ottimale. Chiusi gli occhi, e cercai di rilassare braccia e
mani… Rispondi, Dandy… lo so che ci sei.
Rispondi, vieni da me, vieni a consolarmi… Ti prego… ti prego. Invocai mentalmente
questa preghiera, ma ovviamente Dandy non apparve. Ci provai e riprovai per un
bel po’ di minuti, ma non accadde nulla. Sconfitto, scossi la testa e sospirai.
Rimisi in moto la mia auto e ripartii, ancor più disperato di prima.
Un rombo di tuono.
Guardai fuori dal finestrino, e vidi che il tempo si era oscurato parecchio.
Grossi nuvoloni neri nel cielo sopra l’autostrada minacciavano di scaricare
tanta acqua.
Pigiai più forte
sull’acceleratore, e vidi il tachimetro spostarsi dalla tacca dei 130, poi quella dei 140, e infine 160. Non mi importava se mi avrebbero mandato una
multa a casa, non mi importava se questa mia bravata fosse finita in tragedia.
O arrivavo a casa mia, o sarei morto nel tentativo.
Il motore diesel
della mia bellissima Audi ronzava potente, a quella velocità che non aveva
forse mai toccato, nemmeno quando era stata di mio padre, accusato da mia madre
di correre troppo quando era in autostrada. Ecco, forse avrebbero potuto
togliermi la casa, forse mio fratello avrebbe potuto smettere di parlarmi… ma
se mi avessero tolto la mia bella macchinina, mi sarebbe veramente dispiaciuto.
- Vai bella, vai…
portami a Bologna. Portami a casa. A casa mia. –
Quel giorno
sull’autostrada c’erano parecchi camion. Da quando avevo lasciato Milano avevo
incontrato si e no due auto, un’utilitaria ed un SUV. Per il resto del
tragitto, soltanto autotreni e autoarticolati. La cosa mi inquietò un po’, ma
cercai di non darci peso più di tanto.
Un cartello mi indicò
che l’uscita di Lodi era vicina, e che le vicine Pavia e Piacenza erano
prossime. Bene, significava che ero quasi arrivato al confine tra Lombardia ed
Emilia Romagna.
Nel frattempo, aveva
incominciato a piovere.
- Bene, benissimo.
Adesso appena torno a casa, una bella doccia… un bel libro… e poi dormo fino a
domani. E affanculo questa vacanza di merda. Poi deciderò sul da farsi. –
Mi avevano rotto i
coglioni, tutti. Ero parecchio frustrato, e questa volta non me la sarei cavata
tanto facilmente. Una volta tornata, Fiorella avrebbe dovuto sorbirsi un sacco
di lamentele da parte mia, per come questa vacanza era andata, per come mi ero
stufato di questa vita, per come …
…Perso nelle mie
elucubrazioni mentali, non mi accorsi che ero in corsia centrale. Ai miei lati,
un TIR ed un autotreno, che viaggiavano quasi alla mia stessa velocità. Era
ovviamente impossibile, a meno che io non avessi rallentato involontariamente.
Ed era effettivamente così. Pigiai di nuovo più forte, per togliermi dalle
scatole, quando all’improvviso…
L’autotreno alla mia
destra fece una manovra repentina e saltò in corsia centrale mentre io ero lì. Aprii
la bocca dal terrore, mollai immediatamente l’acceleratore ed il mio piede
schiacciò potentemente il freno, provocando uno stridore di pneumatici sull’asfalto.
Il TIR alla mia sinistra suonò il suo clacson potentemente, mentre la mia auto
slittava sull’asfalto bagnato.
- Ahhhh!! – urlai,
pazzo di terrore di schiantarmi contro le barriere. Se era vero che tempo fa
avevo desiderato la morte, ora che avevo rischiato veramente di morire, ero più
terrorizzato che mai.
La mia auto fece
testacoda, e alla fine si posizionò di traverso tra le corsie. Con le mani
ancora sul volante, che tremavano dalla paura, gli occhi spalancati che
guardarono prima a destra e poi a sinistra, lentamente rimisi la marcia e mi
riposizionai su una corsia, riprendendo la marcia.
- Mamma mia… che
spavento. – mormorai. Il mio respiro era affannoso ed il mio battito cardiaco
accelerato.
- Sono quattro euro e
cinquanta. – mi disse la cassiera dell’autogrill dove mi ero fermato. Avevo
preso un cappuccino e due brioches, bisognoso come non mai di darmi una calmata
dopo quanto mi era accaduto. Ero sopravvissuto ad un incidente che mi avrebbe
seccato sul colpo, non so se mi spiego. Pagai e mi diressi frettolosamente ad
un tavolo, con il vassoietto in mano che minacciava di cadere, da quanto stavo
ancora tremando.
Una signora lì vicino
vide che avevo qualcosa di strano. Mi guardò per un po’ di secondi, fino a che
io non incrociai il suo sguardo e lei lo distolse, per discrezione. Sospirai,
ed iniziai a sorseggiare il mio cappuccino. Addentai anche una brioche, ma mi
resi subito conto di aver buttato via tre euro e mezzo. Non avevo fame, mi
sentivo lo stomaco totalmente chiuso. Posai la brioche e tornai a bere il
cappuccino. Se non altro, mi stava calmando un po’.
Mentre ero lì che
sorseggiavo il liquido caldo, una mano mi si posò sulla spalla. Io mi voltai,
ma quando vidi di chi era, rimasi stupefatto.
- Beh? Non mi saluti?
– disse Dandy, con quell’aria sbarazzina che riconoscevo.
Completamente
rincoglionito da tale visione, non tanto per la bellezza quanto per la sorpresa
di trovarmi davanti un personaggio creato da me in carne ed ossa, aprii la
bocca, ma non ne uscì alcun suono.
- E… e… -
- Oh, uffa, come sei
rompipalle. Un po’ di allegria, su! – rispose lui, sorridendomi a trentadue
denti. I suoi occhi azzurri mi guardavano, ed i suoi capelli biondi
scintillavano nonostante la luce povera del locale. La signora di poco prima
sembrava non accorgersi di nulla, così come tutti i pochi viaggiatori presenti.
- Che cos’è, uno
scherzo? Guarda che io… -
- Nessuno scherzo –
rispose Dandy, serio. – Mi hai chiamato, ed eccomi qui. Ci sono altre domande?
–
- Ma … ma tu sei un …
- come intuendo ciò che stavo per dire, Dandy mi si avvicinò e mi posò tre dita
sulle labbra.
- Shhh. – disse lui,
facendomi l’occhiolino. – Usciamo di qui, prima, va bene? -