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Autore: Iolyna92    05/09/2011    3 recensioni
I capelli biondi profumavano ai fiori di lavanda e stavano ancora bagnati e scompigliati sulla testa.
Il viso dai lineamenti eleganti era leggermente più roseo per l’ambiente caldo che aveva abbandonato e gli occhi leggermente lucidi e arrossati.
Le larghe spalle, nude e umide, insieme alle braccia possenti e il petto, dove scolpiti c’erano muscoli sviluppati dai frequenti allenamenti, brillavano invitanti sotto le luci del pomeriggio.
Sulla pelle calda e profumata, una brillante goccia d’acqua attirò il suo sguardo.
Questa era partita dalla giuntura dei capelli sopra la tempia e pian piano scivolava sul bel fisico di lui, seguendo i contorni perfetti fino all’addome, dove fu assorbita dalla tovaglia che copriva il resto del corpo fin sopra le ginocchia.
Dorothy non si fermava spesso ad osservare la fisicità dei ragazzi e mai ad osservare quella di Seifer, almeno non fino ad adesso.
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
Spero di avervi incuriosito con questo pezzo tratto dalla mia storia^^
Vi sarei davvero grata se deste un occhiata e, anche se poi decideste di non leggerla, lasciare comunque una recensione. Accetto ben volentieri sia critiche che apprezzamenti xP grazie in anticipo^^
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*°*°*@Note della scrittrice@*°*°*

Salve a tutti di nuovo :)!!!Vorrei fare una precisazione (e ti pareva se non ne faceva -.-“)  a chi ha già letto il prologo prima di averlo modificato :)!!! Ho aggiunto una piccola parte dove spiego il significato di elemento!!! E’ subito dopo l’entrate di Hojo nella sala!!! Spero che vi piaccia e che continuate a seguirmi!!! :) aspetto tante vostre opinioni!!! Bye :)(E’ diventata pure inglese adesso... -.-“ Mha!)

 

 

Capitolo 1°

Padron Hojo

 

 

La pioggia cadeva pesante e fredda sul bosco quiete, provocando il ticchettio di mille orologi scoordinati.

Le foglie secche di quercia che coprivano il sottobosco non fermavano il diffondersi del penetrante odore di terra bagnata.

Le sarebbe piaciuto godersi ogni singolo attimo di quel magico momento.

Magari seduta ai piedi della quercia più grande, chiudendo gli occhi e lasciando fuggire tutti i tormenti che la vita le aveva gentilmente regalato.

Le gambe spingevano sempre più per aumentare il ritmo della corsa, anche se i muscoli bruciavano sotto lo sforzo di una fuga apparentemente infinita.

Anche i polmoni sembravano avessero preso fuoco: pompavano a tutta forza ossigeno, provocando un fiatone pesante.

I piedi scivolavano leggermente sulle foglie bagnate soprattutto quando, esile ed agile come un felino, si ritrovava a scansare alberi e massi che le sbucavano davanti all’improvviso.

I vestiti erano impregnati d’acqua piovana e si erano notevolmente appesantiti, mettendo in mostra ogni singola forma del suo corpo minuto.

I capelli di un acceso rosso, anch’essi bagnati, rimbalzavano sulle spalle al ritmo frenetico della corsa.

E mentre ogni singolo muscolo si sforzava per sfuggire dal “predatore”, la mente studiava mille e più modi per liberarsene.

 Le armi che portava con sé erano la sua piccola pistola, già carica, e un pugnale.

Quindi, in fin dei conti, in caso di combattimento se la sarebbe cavata.

E non era da sottovalutare come avrebbe facilitato, un eventuale scontro, il suo elemento.

 

Oh, quando disprezzava il suo elemento.

Lui era la causa di tutto: del mancato sostegno di una famiglia, di un’infanzia disastrata, di una terribile adolescenza, delle continue persecuzioni, dell’impossibilità di riuscirci a creare una vita normale… e di questa fuga.

 

Il fiatone era ancora più pesante quando decise di voltarsi appena ad osservare i suoi inseguitori.

Erano cinque uomini, tutti vestiti con una tuta aderente nera, coordinati a stivali e cintura di pelle.

I visi erano coperti con passamontagna che lasciavano intravedere solo gli occhi.

Al centro e al comando del gruppo vi era l’uomo più alto e muscoloso di tutti, affiancato da altri due tipi poco più bassi di lui.

A completare il quadretto, i tre gorilla venivano coperti alle spalle dai punti deboli della squadriglia: due ragazzi esili e apparentemente giovanissimi che probabilmente potevano avere poco più di quattro o cinque mesi di allenamento.

 

La pioggia continuava a cadere sempre più forte e più fredda.

Abbassò lo sguardo a terra continuando a rimuginare su come li avrebbe fermati.

Infilare un piede dentro una pozzanghera alquanto profonda le diede una brillante idea.

Si voltò nuovamente per un attimo.

Come si aspettava anche i suoi inseguitori non le scansavano.

Così si preparò al suo esperimento.

Si voltò un istante prima che gli ultimi due scagnozzi, i più giovani, passassero sopra la grande pozzanghera che lei aveva già superato.

Appena vi furono sopra, in un istante, con un gesto veloce della mano nella sua mente ordinò al suo elemento: “Acqua rediti vapore”.

Il risultato ottenuto fu un successo.

Gli scagnozzi che prima correvano veloci dietro ai tre superiori, ora erano rimasti con i piedi piantati sotto terra secca, che prima, mischiata con l’acqua, era la semplice pozzanghera.

Sentiva le loro urla per la sofferenza dell’impatto e per lo spavento.

 

Non riuscì a trattenere un sorriso.

Meno erano i seguaci di Hojo a seguirla, più possibilità aveva di arrivare sana e salva a Warmin.

 

Ora il problema si poneva per gli altri tre.

Non aveva ancora in mente come fermarli e oltretutto mentre eseguiva il suo esperimento, aveva rallentato la sua corsa.

Ciò spinse gli altri tre scagnozzi, che neanche si voltarono a prestare soccorso agli altri, ad accelerare il loro passo.

 

 - Corri, corri piccolina… - disse il più grosso messo al centro, sogghignando con una risata pesante, proprio come la voce – Avrai fermato i miei colleghi, ma appena ti acchiappo, ti farò pagare tutte queste sofferenze. –

Un brivido la scosse all’idea delle torture tremende che avrebbe potuto subire e si spronò a correre più velocemente.

-Se mai mi prenderai! – gridò poi in tutta risposta sorridendo.

Se davvero sarebbero arrivati allo scontro diretto, era meglio che iniziasse a gasarsi un pochetto.

 

Dopo tutto il successo che aveva ottenuto, fermando due dei cinque uomini che continuavano a seguirla, sentiva che poteva raggiungere il suo obiettivo.

Ormai era diventato un banalissimo gioco.

Avrebbe vinto, se lo sentiva, perché aveva trovato la carica per correre anche per il resto della vita.

Aveva trovato la carica per sconfiggere qualsiasi cosa.

Aveva trovato la carica per togliersi di torno per sempre le irritanti visite di Hojo, le cattive maniere dei suoi scagnozzi, e i mille omaggi e regali che a volte si costringeva ad offrirle pur di trascinarla dalla sua parte.

Ma come poteva, un sovrano così intelligente, famoso non solo per la sua crudeltà ma anche per l’astuzia con cui aveva sottratto il potere a molti imperatori, mostrarsi così banale nel tentativo di voler attirare una recluta importante come lei?

E come poteva aspettarsi che lei avrebbe accettato, dopo che le aveva rovinato la vita?

Restava un mistero.

 

-Guarda… - Sussurrò il comandante, strappandola ai suoi pensieri.

Ad un tratto, gli alberi in mezzo cui stava per passare Dorothy, si piegarono di fronte a lei bloccandole il passaggio.

I rami lunghi e secchi si erano intrecciati tra di loro, come tela per i ragni, e non le lasciavano via di fuga.

Si trovò in difficoltà.

Studiò velocemente vari modi per oltrepassare l’ostacolo, senza successo.

Era in trappola.

Costretta a fermarsi, si voltò: la stavano raggiungendo e lei era pronta ad affrontarli.

A sconfiggere il nemico.

A combattere fino all’ultimo sangue.

Così, brandì il pugnale dalla fodera di cuoio che stava appesa alla sua cintura, lo nascose per bene dietro la schiena e sospirò.

L’adrenalina era entrata in circolo e i riflessi erano allerta come non mai.

 

Appena la raggiunsero, l’accerchiarono.

 -Hai visto che ti sei fermata? – le chiese sogghignando il comandante.

Una scintilla brillò nei suoi grandi occhi nocciola.

-Ci vuole una pausa dopo circa venti minuti di corsa… - rispose seria e minacciosa.

Rigirava con la mano sudata il pugnale dietro la schiena, pronto a ferire.

E continuava ad osservarlo negli occhi, pronta a prevedere le sue azioni.

 

Era il decimo giorno di viaggio, ma le sembrava fossero passati anni dalla notte in cui era partita dalla propria città.

Bhuck era una città piccola e nascosta, costruita disordinatamente dai ribelli nella valle di Kino.

Lì aveva iniziato circa un anno fa il suo allenamento: era diventata una donna tra lo guaire di spade pesanti, giocando agile con tre pugnali contemporaneamente e mirando con armi da fuoco.

Non era diventata un’esperta, per quello ci volevano anni, ma aveva imparato abbastanza per difendersi da eventuali attacchi o improvvisi inseguimenti.

Poi Warmin, temendo che un attacco avrebbe distrutto completamente la città, sottomettendola al potere della “Grande Tirannia”, le aveva chiesto di mettersi in viaggio per raggiungere la città portante della ribellione.

Dieci giorni di lungo viaggio, passati a camminare nell’ombra, dormire all’aperto o in delle caverne, senza fuoco né cibo. Sola acqua.

La coscienza di essere seguita aveva comportato un rallentamento nel suo viaggio.

Ma non avrebbe mai permesso che tutta quella fatica le regalasse un viaggio di sola andata per la roccaforte di Tulemont, da anni abitazione e prigione di Hojo.

 

-Attaccate! – ordinò  a sorpresa e con rabbia il comandante.

I due scagnozzi rimasti obbedirono, o meglio ci provarono.

Dorothy, con i riflessi di un gatto, allungò la gamba desta colpendo e allontanando il primo scagnozzo con forza.

Cadde a terra, tenendosi lo stomaco.

Poi si voltò di scatto e non esitò a conficcare il pugnale scoperto nello stomaco del secondo.

Lo tirò verso di se con forza e l’uomo, piegato in due dal dolore, cadde a terra.

Il pugnale aveva lasciato nella tuta nera e nella carne sottostante un grande foro da cui iniziò a fuoriuscire sangue denso.

L’uomo si voltò di lato, e piegato in due dal dolore, strinse lì dove lo aveva ferito.

Urlava e si contorceva sotto la ferita che la lama, tagliente, gli aveva inflitto.

Dorothy aveva eseguito la sua difesa alla perfezione, e abbassò un attimo la guardia.

In quell’istante, il comandante si spostò dietro di lei di soppiatto.

- Siete inutili, non sapete fare nulla! – esclamò mentre di scatto si avvicinò a Dorothy e la prese da dietro.

Le sue braccia possenti e forzute l’avevano bloccata in un abbraccio tanto forte, da non permetterle di muoversi.

Le faceva male, le teneva le braccia completamente bloccate sul petto che a malapena riusciva a inspirare ed espirare.

Provava a muovere le spalle, sperando che mollasse o semplicemente allentasse la presa, ma l’unica cosa che ottenne furono i sogghigni dell’uomo, divertito a vedere la sua preda scuotersi e agitarsi senza successo.

Si sentiva un passerotto che tentava di spiccare il volo, anche se chiuso dentro il pugno di una forte mano che glielo impediva.

Con la voce pesante trasformata in un malefico sussurro, le disse all’orecchio:

- E’ inutile che continui a muoverti perché, così, peggiori la situazione… –

L’abbraccio che la bloccava si strinse ancora di più appena terminò la frase, diventando sempre più letale.

E ogni secondo che passava, la stringeva sempre di più.

Sempre di più.

- Lascia-mi… sta-re - provava a ribattere Dorothy, con voce spezzata.

Ma la stretta, facendosi sempre più forte, le bloccò il respiro.

Quasi in apnea provava a muoversi per liberarsi, ma era sempre peggio.

Presa dal panico di essere senz’aria, provò ancora una volta a strattonarsi, ma niente.

- Immagina - intanto le diceva il comandante sempre in un sussurro – come ci divertiremo nelle prigioni. Faremo tanti, tanti giochetti… Vorrei farti provare la frusta o le scariche elettriche sulla pelle…- rise- Dato che il tuo elemento è l’acqua dovresti “sentirle” di più… E poi quando arriva sera…-

 “E’ finita…” pensò intanto mentre iniziava a girarle la testa.

L’altro scagnozzo si era posto davanti ad osservare la scena, mentre il comandante, preso dall’enfasi di quello che le stava raccontando iniziò a stringerla di più a se, quasi a volerla possedere.

- E poi quando arriva sera mi divertirò io a godere del tuo favoloso corpo… Sicuramente il Padrone me lo concederà…-

Il suo respiro si era fatto pesante, e lo scagnozzo di fronte sogghignava divertito.

Una mano iniziò a scivolare sul suo ventre.

Quanta malvagità c’era, non solo nell’accurata descrizione che le aveva fatto, ma anche in quell’uomo…

Si scatenò l’inferno dentro Dorothy.

L’idea di finire tra le sue grinfie, il solo immaginare le torture che la aspettavano, le ridiede la carica e la speranza.

Piegò la gamba in modo da dare un calcio lì, dove non batte il sole, al comandante che la teneva bloccata e rimediò alla stretta che la stava soffocando.

Il comandante cadde in ginocchio tenendosi il pacco, quasi con le lacrime agli occhi.

A terra, Dorothy, fece un gran respiro per riempire i polmoni dell’aria che le era venuta a mancare, si alzò e si avvicinò all’alto scagnozzo.

Prese la mano con cui teneva il suo pugnale, la girò in modo innaturale e glielo conficcò nella coscia.

- Scusa – tirò a battutina al ferito, sorridendo a vedere la sofferenza nel suo volto proprio come aveva fatto lui un istante prima – ma questo è mio, vado di fretta, e – estraendo il pugnale, provocandogli così un’emorragia che le sporcò parte dei pantaloni - mi serve! Bye porci! Portate i miei saluti a Hojo! – concluse sorridendo e riposando il regalo nell’apposita custodia.

 

Ricominciò a correre più forte e carica di prima.

Entusiasta si avviò velocemente verso uno dei passaggi segreti di Warmin, che si trovava nei paraggi: ce l’aveva fatta.

Si era tolta tutti quegli stupidi scagnozzi di mezzo e stava per ottenere ciò che ormai desiderava da tanto.

Stava per entrare a far parte di uno stato indipendente dove avrebbe continuato il suo addestramento per affrontare La “Grande Tirannia” in battaglie frequenti.

 

E, all’apice dell’orgoglio, quando tutto sembrava finito, quando credeva di aver raggiunto la sua meta, uno sparo.

Un dolore atroce coinvolse la sua spalla sinistra.

Il comandante del gruppo aveva un asso nella manica e lo aveva appena utilizzato.

Dorothy, appena subì il colpo dello sparo, rallentò: dal foro che trafiggeva la spalla, proprio dove il proiettile l’aveva perforata, un fiume di sangue rosso e denso fuoriusciva senza sosta.

La stringeva ma inutilmente perchè all’improvviso si sentì debole, senza forze.

Avrebbe tanto voluto sdraiarsi a terra e morire lì, sotto la pioggia che le batteva sul viso.

Ma non poteva arrendersi, non poteva fermarsi.

Lasciando il braccio della spalla dolorante rilassato continuò a correre, sempre più piano, sempre più debole.

Era riuscita a fare solo lunghi passi, ma aveva raggiunto il pozzo che l’avrebbe condotta alla città nascosta.

Dalla sofferenza e dalla debolezza non riusciva neanche a pensare.

Le girava vorticosamente la testa e sentiva che a momenti sarebbe svenuta.

Ma forse ce l’aveva fatta.

Quando una mano la girò, così senza forza, poiché era fragile come una foglia secca; si trovò faccia a faccia col comandante degli scagnozzi, che ormai aveva messo tutti fuori uso.

- Ho vinto io piccola, – le disse con la felicità stampata negli occhi che s’intravedevano dal passamontagna – Padron Hojo mi tratterà come un re per la missione che sono riuscito a compiere senza di quei cretini là! –

Dorothy, raccogliendo le poche forze che aveva conservato, infilò, senza farsi notare, la mano destra nella custodia di cuoio appesa alla cintura, ed estrasse la pistola.

Con la vista appannata, una fatica immensa e un filo di voce impercettibile, si rivolse all’uomo di fronte a se, e con tutto l’odio che provava, gli riferì:

-Non hai vinto… Non ancora… -

Impugnò la pistola, la alzò appena e premette il grilletto.

Sparò dritto al cuore.

Il peso dell’uomo si abbatté su di lei e insieme caddero nel pozzo alla volta di Warmin.

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