«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
Prima di cominciare,
vorrei ringraziare MALKONTENT per la
sua recensione!
Sono molto contenta che
la fic ti piaccia, a dispetto di tutto sono molto euforica per questa storia e
trovare qualcuno che condiva questa euforia, mi va alla grande ^_-
Continua a seguirmi se
vuoi! ^_-
MICHELLE che
gioia ritrovarti! Mi fa sempre piacere leggere le tue recensioni!
Ebbene sì,
rieccomi qua ^_^
Io proprio non ci riesco
a stare lontana da questo sito ! ^-^’
aawaa COLPA,
AMORE E PREGIUDIZIO aawaa
Camminiamo di
fianco stavolta, lui mi sfiora la spalla con la sua; sembra il mio
proseguimento e mi diverte guardare le nostre due ombre mischiate fra loro!
Siamo
stranamente silenziosi, non una sua pillola di saggezza, non una mia domanda
evasiva. Nulla.
Ma nel
silenzio c’è complicità, perché io lo sento, sento
il suo respiro incerto e lo sfrigolio del tessuto della giacca contro i suoi
fianchi, che scandisce alla perfezione il rumore dei suoi passi.
E quindi non c’è
solitudine nel silenzio, perché io sono sintonizzata sulle sue
frequenze.
-“Abiti
molto lontano?!”-. Mi fa lui,
nel pieno del silenzio.
-“Non
molto, siamo quasi arrivati.”-. Vorrei domandargli perché, ma
tanto so già che non risponderebbe. Sorrido.
-“Quando
ridi, il volto si rilassa e ti scopre due fossettine adorabili proprio
qui…”-. Si stava toccando le guance, picchiettando leggermente,
-“Anche Betty le aveva. Era molto bella sai?!”-.
-“Mi
piacerebbe tanto conoscerla questa
Betty!”-. Gli dico con entusiasmo
infantile, poi dinnanzi a una vetrina mi specchio, controllando le mie
fossette; anche Simone le adorava.
Adorava,
sì.
Ora quando mi
passa affianco sembra neanche notarmi; il suo sguardo o mi trapassa o mi
schiva.
E non è
certo esaltante come cosa, dopo tutti i soldi che spendo in cure di bellezza e
cosmetici!
Oh mio Dio,
sto ironizzando su me e Simone; devo essere impazzita….
-“Dai
entra! Non restare lì impalato!”-.
Siamo sul
pianerottolo di casa, la porta è spalancata ma lui resta fermo sull’uscio.
Tentenna,
sembra impaurito. Allora lo prendo per mano, trascinandolo dentro.
-“Questa
è casa mia!”-. Faccio una leggera piroetta su me stessa; vado
molto fiera del mio piccolo e modesto nido! La verità è che
Simone mi ha lasciato arredarla secondo il mio eccentrico e variegato gusto,
lasciandomi libera di fare e strafare, perciò ne vado fiera, è il
riflesso della mia personalità dalle pareti ai mobili!
–“Mettiti pure comodo, vado a preparare un buon caffè.”-.
-“No
caffè no, mi rende nervoso.”-.
-“Beh
anche a me a dire il vero…”-.
-“Un the
però lo gradirei. Grazie.”-.
Gli sorrido
annuendo e recandomi in cucina; le chiavi di casa e il sacchetto di biscotti che
ho comperato, scivolano sul tavolo in legno chiaro.
Sulla dispensa
c’è un biglietto per me: “Stasera torno tardi, ho la
partita di calcetto e sicuramente te n’eri dimenticata! Possibile che in
ufficio non ti trovo mai? Un bacio, Simone.”
Lo stacco via,
con forza e frustrazione; no! Le sue maledette partite di calcetto preferisco
rimuoverle dalla testa, soprattutto perché stanno rubando del tempo
prezioso da passare insieme, ultimamente. Non fa altro che scappare, neanche
avessi la peste.
Il foglietto
vola nel cestino, senza neanche troppi preamboli.
Apro il frigo
e verso nei bicchieri un po’ di liquido rosastro, vagamente simile a the
alla pesca; ritorno in sala e lui è affianco alle mie foto, le guarda
teneramente, incuriosito da quei volti, da quelle espressioni.
-“Quello
è Simone. Non so per quanto tempo ancora, comunque è mio
marito!”-.
Si gira nella
mia direzione, puntandomi i suoi occhi neri addosso; uno sguardo strano,
d’ammonimento e duro.
Mi sento
imbarazzata, mi siedo cercando di nascondere le mie gote arrossate fra i
capelli folti.
-“In
buona e in cattiva sorte… una formula recita così.”-. Si
siede anche lui, ma nel farlo mi rifila una sua, neanche tanto sua, predica.
-“Più
che una formula a me servirebbe una ricetta d’amore!”-.
-“E per
fare cosa?! L’amore non è un testo scritto su un foglio di carta.
E lì servirebbe a poco comunque.”-.
-“La
situazione non è così semplice, io non so neanche perché
l’ho tirato fuori questo discorso. Scusami ma non voglio
annoiarti.”-.
-“La tua
testa è così piena di pensieri inutili che hai annebbiato il
cuore, gli hai fatto dimenticare come funziona!”-.
Ancora con la
storia del cuore annebbiato; potessi farmi delle lastre al momento le farei!
Sono proprio curiosa di vedere se il mio cuore è così malandato
come dice.
E se lo fosse,
quale medicina sarebbe meglio prendere; lasciarsi o restare.
-“La colpa
non è mia, vorrei lo fosse ma non credo lo sia.”-.
-“In
amore non ci sono colpe ma solo errori, che si possono evitare se
vuoi.”-.
Alzo le
spalle, scuoto un po’ il capo in cerca di afferrare questa sua ultima
saggezza sull’amore; non ci sono colpe, possibile?!
Se scorrono le
diapositive della mia storia con Simone, io vedo solo una serie infinita di
colpe, errori certo sì, ma che conducono per forza di cose a un
colpevole, piuttosto che ad un altro.
Io stessa mi
sento la colpevole di questo naufragio e Simone è il mio errante.
Se non mi
avesse voltato le spalle, io non lo eviterei.
Allora sarebbe
meglio lasciarsi.
E così
che inizia la fine. Tremendo gioco di parole, tremenda verità.
-“Stai
ancora pensando?!”-.
Stacco gli
occhi dalle foto, lontane, sul mobile in noce.
Annuisco,
giocando a far scivolare il dito sul bordo liscio del bicchiere.
-“Perché
pensi?! Prenditelo l’amore che vuoi!”-. Comincia a giocare
anch’egli col bicchiere, seriamente concentrato –“voi ragazzi
di nuova generazione non sapete quanto siete fortunati. Avete tutto a portata
di mano, eppure neanche questa fortuna vi fa capire che alle volte anche un
piccolo gesto può bastare.”-.
-“Ma chi
te lo fa fare di perdere tempo con i miei problemi?! Guarda te l’ho
detto, lascia stare.”-.
-“Tu
perché hai perso tempo con me?!”-.
-“Non lo
so. Ma non credo di aver perso tempo, questo sì.”-.
-“Idem.”-.
-“Ma io
sono io, sono Sibilla. Tu invece chi sei?! E perché non rispondi mai a
una domanda?!”-.
-“Odio i
quiz.”-.
-“O hai
paura d’affrontare un discorso?!”-.
-“Non c’è
niente di timoroso nelle parole, è scoprirsi che fa paura. Ora ti ho
risposto.”-. Ride, beffardo.
-“Se
avessi avuto paura di scoprirti, non mi avresti seguito.”-.
Mi guarda
enigmatico, si sistema i capelli, ricci e nero corvino.
Ha qualcosa di
affascinante la sua presenza; mi incute paura e mistero, ma allo stesso tempo
gaiezza e sicurezza.
Sibila
qualcosa, ma non afferro una sola parola; il rumore metallico delle chiavi che
girano nella serratura, ha distorto il silenzio.
Dopo pochi istanti,
Simone appare sull’uscio della porta.
-“Ciao
Lila.”-. Grida credendomi lontano da lì, poggia il suo borsone
accanto al divano –“partita rimandata!”-. lasciandosi cadere
giù, dando le spalle alla sala, ignaro di tutto.
Allora mi
alzo, gli vado vicino.
-“Sono
qui, non devi per forza gridare!”-.
Fa leva sulle
braccia, con una faccia curiosa si alza.
-“Oh..”-.
Si alza in piedi di botto, arrossendo appena accortosi di un’altra
presenza in casa –“ oh scusa! E mi scusi anche lei, non
l’avevo vista!”-. Si avvicina al mio uomo del mistero,
stringendogli la mano.
-“Simone.”-.
-“Piacere.”-.
Piacere. Solo
quello. Simone lo guarda aspettando un nome, un aggettivo o qualsiasi altra
cosa servisse ad appellare quell’uomo, ma non ottenendo risposta sorride
falso dirigendosi in cucina.
Ovviamente mi
fulmina con lo sguardo.
Se sapesse che
è tutta la mattina che cerco di farlo parlare, avrebbe poco da
fulminare!
Mi scuso, e lo
raggiungo.
-“Possibile
che delle tue partite non possa fare a meno?!”-. Gli sussurro stando ben
attenta a non farmi sentire.
-“Mi
sembra d’averti appena detto che è stata rimandata. Chi è
quello?!”-.
-“Simone
è il principio! Mi avevi promesso di passare un po’ più di
tempo insieme!”-.
-“Sibilla
mi dispiace, lo sai quanto ci tengono i ragazzi alle partite del lunedì
sera! Insomma, chi è quello?!”-.
-“Ah
sì?! E a quelle del mercoledì?! A quelle del sabato?! Anche a
quelle tengono?! A me invece chi ci tiene?!”-.
-“Non
farne una tragedia adesso! E poi anche tu sei occupata, o mi sbaglio?! Ma chi
è quel tipo me lo dici sì o no ?!”-.
-“Ma che
ne so io!!!”-.
-“Dovevo
avvertirti lo so. Ma questo chi è, l’uomo del mistero che non si
può sapere come si chiama?!”-.
-“Simone,
io non lo so.”-.
-“Ah
bene. Abbiamo un uomo in salotto che non solo non si presenta, non sappiamo
nemmeno chi sia! Sibilla, sei impazzita?!”-.
-“Non lo
so davvero.”-. Adesso mi guarda serio, mi stringe le spalle mettendomi a
sedere.
-“Chi lo
ha fatto entrare?!”-.
-“Io.”-.
-“Ecco,
allora lo sai chi è.”-.
-“Simone
non è così semplice la questione.”-.
-“Spiegati
allora, però aspetta”- prende una sedia venendomi di fianco
–“fammi sedere perché ho come la sensazione che non sia una
storia molto felice.”-. Ride, e la sua risata mi da ai nervi.
-“Ma di
che ti preoccupi, scusa! Non è mica un mostro!”-.
-“Ma se
hai detto che non lo conosci!”-.
-“Non
conosco il suo nome, ma non credo sia pericoloso.”-.
Lo vedo
fissare i suoi occhi verdi nei miei.
Non sta
capendo, sbuffa, prendendosi il volto fra le mani.
Odio quando mi
guarda così, nei suoi occhi vedo scorrere pensieri innominabili; forse
penserà che sono pazza, con tutte le mie incoerenze, le mie follie.
Odio pensare
che pensi che io sia pazza.
Allora mi
caccio qualcosa di bocca, strozzando qualche parola qua e là, per farle
divenire più corpose poi, quando gli racconto tutto dell’uomo del
mistero.
-“Non sa
dove andare, allora l’ho portato qui. Ecco tutto.”-.
Scuote la
testa, ridendo falsamente, ironico e arcigno.
Si alza in
piedi, tirando la sedia via, con un colpo secco.
-“Cioè
vuoi dirmi che ti sei portata dentro casa un pazzo suicida, che sembra
raggirare ogni tua domanda sensata, rifilandoti pillole di saggezza, solo
perché non sa dove andare?! Sibilla, tu non stai bene…”-.
-“Ti ho
già detto che non è cattivo.”-.
-“Ma tu
che ne sai!”-. Alza un po’ la voce, gli intimo di abbassarla, ma
prosegue senza darmi ascolto –“ per me può anche essere un
maniaco, uno stupratore, uno psicotico! Ma poi ti sei bevuta il cervello?!
Eludere la legge, portarlo qui, lo sai che se quello fa una cazzata ci passiamo
di mezzo?!”-.
-“Adesso
smettila! Mi stai facendo paura!”-. Mi alzo dalla sedia anche io,
giocando nervosamente con le mani –“Te l’ho detto, non
è cattivo.”-.
-“E vuoi
tenerlo qui magari?!”-.
-“Ma
sì, per una notte, almeno fino a quando non gli trovo una sistemazione
adeguata.”-.
-“Dovevi
lasciarlo dov’era! Tu non sei la sua badante!”-.
-“Ma
come fai ad essere così egoista?! Come riesci a fregartene sempre e di
tutto e di tutti?!”-.
-“Lo fai
apposta eh?!”-. Ride, mordendo una mela –“dai, dillo che lo
fai apposta. Tu vuoi farmi pagare il fatto che non sto con te, che non ci metto
impegno, che non riesco a darti il figlio che vuoi… ammetti che questa
è la tua punizione, perché io non posso credere che tu sia
arrivata a questi livelli!”- poi la getta via, tornando a urlarmi in
viso.
Lo guardo con
disprezzo, rabbia, indignazione.
Come
può pensare una cosa simile. Come ?!
-“La
verità è che un vecchio pazzo ha avuto pietà di me, uno
sconosciuto! Tu che vivi con me da una vita, che mi conosci meglio di chiunque
altro, tu, mi hai abbandonata, lasciata sola.”-.
-“Un
vecchio pazzo, sì. Ma la tua vita è così, se uno non
è squilibrato non riesce ad arrivare a te.”-.
Sento gli
occhi inondarsi di lacrime, lo guardo scuotendo un po’ il capo, ferita
come solo il marchio a fuoco della brutale verità, può fare.
Lo vedo
portarsi una mano alla bocca, allungarmi le braccia, chiedermi scusa; ma il mio
corpo si divincola, si dimena da quelle braccia che non sente più
familiari e scappa.
Via, lontano.
Fuori di là, fuori da quella casa.
Passo veloce
dinnanzi al mio uomo del mistero, che mi guarda afflitto, dispiaciuto.
So che ha
sentito, mi fermo un attimo ricambiando quegli sguardi.
Ma il dolore
è troppo, non resisto, non riesco a trattenere quel dolore animale.
Apro di getto
la porta e mi butto fra le scale.
Adesso non
importa chi è il colpevole o qual è la colpa. Adesso
l’importante è fuggire.