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Autore: Hikari93    14/10/2011    5 recensioni
TITOLO MODIFICATO!!! (Ex "Una strana coppia")
(ATTENZIONE: (NON) solo il primo capitolo è un po' "dark/angst")
Sentii solo una risatina, che non mi piacque. «Facciamo un patto.»
Alzai il capo, esterrefatto. «Un patto?» ripetei.
«Esattamente: hai sei mesi di tempo. Se riesci a diventare la mia» ironizzò, come se mi stesse prendendo in giro, e non desse peso alle mie parole «”persona che mi fa stare bene”, avrai i tuoi genitori indietro.»
I miei genitori? Allora erano vivi! «Altrimenti?» chiesi.
«Altrimenti sarai mio per l’eternità.»
D’impulso sgranai gli occhi, poi mi rilassai, accennando a un sorrisetto. «Come vuoi, signor…?»
«Sasuke… Uchiha.»
Genere: Angst, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 1: Naruto-chan?
 

 

 

 «Naruto-chan, cos’è quel musino triste?» Mia madre. Sorrideva mentre allungava il braccio verso di me, per toccarmi i capelli. Era di una bellezza indescrivibile, quasi divina, come se non fosse umana.
Abbassai il capo, ma al momento del contatto non sentii nulla, se non l’impressione di un alone irraggiungibile che mi sfiorava. 

 «Mamma.»
Mamma, mamma… la chiamavo, perché la sentivo distante, e una strana sensazione mi suggeriva che lei non mi avesse riconosciuto per davvero, sebbene mi avesse chiamato per nome.
«Naruto-chan, perché non vuoi che mamma ti accarezzi i capelli? Non devi vergognarti: non si è mai troppo grandi per ricevere amore.» Era triste: i suoi occhi avevano smesso di brillare di quel verde sgargiante e gioioso, lasciando il posto a una nube malinconica. Le labbra erano piegate all’ingiù.
«Mamma» richiamai. «Dove ti trovi, mamma?» urlavo, mi agitavo e piangevo. Per quanto allungassi le braccia, per quanto le mie dita arrivassero a toccarla, a sfiorarle il volto, non sentivo né il caldo di una pelle viva, né il freddo di un corpo morto.
Era il nulla che aveva assunto le fattezze della donna più importante della mia misera vita. Lei che mi aveva dato tutto; lei da cui ero nato; lei, lei, solo Lei. Delle lacrime le segnavano il volto, piccole goccioline che non lasciavano traccia della loro presenza, quando venivano trascinate giù dalla forza di gravità.
Del resto era normale: il vuoto totale aleggiava intorno a noi.
«Naruto-chan, perché non vuoi abbracciare la tua mamma?»  Allargò le braccia, invitandomi verso di lei, come faceva quando ero un bambino.
«Ti sbagli!» obiettai. «Sbagli, io vorrei, ma non ci riesco, mamma! Come devo fare, cosa devo fare?» continuavo a urlare, ma cresceva in me la sensazione che lei non mi udisse. Dunque corsi, in preda a un istinto possente che si era impadronito delle mie azioni: le corsi incontro, la travolsi con le mie braccia e il mio petto, ma ottenni un solo risultato: quello di attraversarla, e di ritrovarmi dall’altra parte di quello spirito. Non ebbi il coraggio di voltarmi a guardarla: mi struggeva troppo il poterla vedere senza entrare in contatto e interagire con lei.
«Naruto-chan, perché mi guardi così?» Era spaventata, non era da lei. Mia madre era di un coraggio ineguagliabile, di una forza d’animo che avrei tanto voluto possedere interamente. Cosa… cosa aveva visto per farle assumere quel tono di voce terrorizzato. E cosa c’entravo io, cosa?
Mi voltai di scatto, e lo vidi.
Anzi no, mi vidi.
Avevo degli occhi rossi, spaventosi e non sembravo cosciente. Uno strano alone di colore rosso mi circondava, come se fosse un profumo talmente intenso da diventare visibile. Ero io, ma al tempo stesso non lo ero.
Avvertii una goccia di sudore scendermi lungo la fronte. Deglutii, incapace di muovere uno qualsiasi dei muscoli.
Eppure quel mostro stava attaccando mia madre. A velocità supersonica cacciò fuori gli artigli e spalancò la bocca, emettendo un urlo che mi lacerò i timpani. Non sapevo in quale dimensione, in quale spazio o in quale posto fossi finito, ma se fino a ora non avevo sentito altro che la voce di mia madre, adesso iniziavo ad avvertire altro, come il dolore.
L’altro me stesso non mi stava attaccando, ma quando provocò uno squarcio sul ventre di mia madre, senza che io riuscissi nemmeno a battere ciglio per soccorrerla, mi sentii morire.
 
Sobbalzai: un incubo, era stato tutto uno stupido incubo. Veritiero, e troppo, ma soltanto un sogno senza senso e senza alcuna spiegazione logica.
Aprii e chiusi gli occhi più volte prima di ritornare presente a me stesso. Mi osservai il braccio, constatando che mi tremava visibilmente. Lo afferrai per il polso, aiutandomi con l’altra mano, tentando di tenerlo fermo, ma come risultato ottenni solo che tutto il mio corpo fosse scosso da quel tremolio piuttosto vivace. Persino il labbro prese a muoversi indipendentemente: non ero padrone del mio corpo.
«Non pensavo che una sciocchezza del genere ti scuotesse in tal maniera. Mi sembri piuttosto provato.»
Fu meccanico il mio gesto. Girai il capo con estrema lentezza, non capendo cosa stessi facendo, né perché lo stessi facendo. La fronte era imperlata di sudore freddo e le palpebre spalancate.
Un ragazzo dalla carnagione pallida, in contrasto col buio delle sue iridi e dei suoi capelli, mi fissava. Stampata sul volto c’era un’espressione che già conoscevo, e anche il tono con cui mi aveva rivolto la parola non mi era nuovo. Una mano era poggiata sul fianco, conferendogli un’aria da vincitore.
Ci misi un po’ a riconoscerlo, visto che mi sentivo piuttosto intontito.
«Sasuke… Uchiha» mormorai, quando ritornai parzialmente in possesso del mio essere. Cacciai fuori tutta l’aria che avevo tenuto nei polmoni finchè non aveva cominciato a bruciarmi dentro e mi accarezzai i capelli, ipotizzando stupidamente che fosse mia madre a farlo. Passai e ripassai la mano, scompigliandomi ancora di più la zazzera bionda, perso in un profondo pozzo di malinconia. Mi si inumidirono gli occhi, ma non piansi: non l’avrei fatto davanti a lui.
«Cosa mi hai fatto?» domandai a denti stretti. Lo osservai di sottecchi.
Alzò le spalle, come a volermi far intendere che era estraneo a quella vicenda. «E’ un incubo, non puoi affibbiarmene la colpa.»
«Se tu non l’avessi rapita, non l’avrei sognata!» tuonai, fuori di me. Pensare che avevo il responsabile di tante notti fatte solo di pianti disperati e mai consolati, di giorni e giorni di ricerche sofferte e di sofferenza pura e non potevo fare nulla di immediato e concreto per cancellarlo dalla faccia della Terra mi faceva rabbia.
Strinsi le lenzuola nel pugno e imprigionai la lingua tra le due arcate dentarie.
«Fossi in te non reagirei così.» Cominciò a muoversi per la camera, seguito dal mio sguardo attento. «Ricordati che sono pur sempre l’unico in grado di risolvere questo… chiamiamolo spiacevole inconveniente.»
Il suo volto: la sua espressione era impassibile mentre parlava di morti e sparizioni come di un inconveniente.  Solo a volte, brevi e intensi sorrisi malvagi andavano a distorcergli le labbra, rendendolo più malvagio di quanto potesse sembrare in apparenza. In effetti, se me lo fossi trovato davanti sotto queste spoglie, non avrei nemmeno supposto che poteva trattarsi di colui che cercavo: l’avrei scambiato per un ragazzo normale.
«Mi fai schifo» sussurrai, stringendo più forte i pugni.
Sasuke sorrise alle mie parole, schiaffeggiando l’aria con un gesto di noncuranza. «Sono completamente indifferente al tuo odio. Non ti agevolerebbe nemmeno di tanto così» avvicinò il pollice e l’indice finchè quasi non si toccarono «affermare il contrario.»
«Credimi, non lo farei nemmeno in quel caso!»
Sembrò pensieroso e alquanto scettico. «Ne dubito fortemente, Naruto-chan
 
Ma avevo fatto bene ad accettare? Era vero che si trattava della mia unica possibilità, ma c’era da considerare anche l’altra faccia della medaglia, e cioè che Sasuke mi “avrebbe fatto suo per sempre”. Sarei diventato una sottospecie di schiavo? Mi avrebbe torturato come aveva fatto ieri? La mia testa era strapiena di domande e, mentre mi apprestavo a vestirmi per uscire in città e riportare i libri in biblioteca, sentivo la presenza inquietante di Sasuke dietro la porta.
Tirai fuori la testa bionda dall’apertura superiore della felpa, arancione, larga che stavo indossando e infilai le maniche al posto giusto.
Potevo fidarmi veramente di quel tipo? Del resto cosa l’aveva spinto a venirmi incontro in questo modo? Avevo tanto da guadagnare in caso di vittoria, ma altrettanto da perdere in caso di sconfitta; avrei dovuto tenere gli occhi ben aperti e i sensi vigili così da guadagnarmi anche lo zero virgola uno per cento di possibilità in più di farla franca.
Sorrisi sicuro: ero o non ero il tipo che puntava anche su percentuali bassissime?
Mi sarebbe bastato pensare a tutto ciò che rendeva la vita bella e degna di essere chiamata piacevole. In più, avrei dovuto scoprire cosa frullasse per la mente di Sasuke, e, per quanto mi dolesse ammetterlo, cercare di cambiare atteggiamento, perché anche questo costituiva un problema abbastanza grave: se io ero il primo a detestare Sasuke, come sarei potuto diventare la sua persona importante? Sarebbe dovuta essere una cosa reciproca.
Abbassai la maniglia e mi mostrai a Sasuke: dovevo giocare tutte le mie carte e annullare ogni mio ricordo e sentimento d’odio per spuntarla.
 
 
*   *   *
 
 
«Dove andiamo?» mi chiese.
«In giro.»
Passeggiavamo per le stradine strette di Konoha, dotate di pochissimo marciapiede. Ai lati, talvolta s’intravedeva qualche ciuffo d’erba verde, sopravvissuto, almeno per il momento, all’autunno che imperversava. I viali erano abbastanza silenziosi, soprattutto perché i bambini erano a scuola a quell’ora e i ragazzi più grandi difficilmente erano già in piedi. Solo qualche adulto, taciturno, alcuni con buste della spesa in mano, rincasavano o deviavano verso altri negozi. Beh, Konoha non era immensa, ma aveva quel po’ che bastava per vivere una vita tranquilla.
«Ti piace il posto?» domandai, per cominciare un minimo di conversazione.
«Mh.»
Mi strinsi nelle spalle, sistemandomi meglio il cappotto, così da difendermi dai taglienti spifferi di vento gelido. Poi, diedi un’occhiata a Sasuke: sembrava completamente diverso dal tizio macabro che avevo conosciuto meno di ventiquattro ore prima. «Che significa “mh”?» Non dovevo demordere, ma era indispensabile che ci rapportassimo in qualche maniera. Forse si era fatto più schivo proprio perché voleva evitare che io diventassi importante per lui. Mmm… riflettendoci, questa tesi non reggeva troppo.
«Mi fa schifo» puntualizzò poi «non ha senso che stia ancora in piedi.»
Tenetti a freno la lingua, e qualcosa mi diceva che avrei dovuto farlo spesso, da allora in avanti. Alzai le spalle, lasciando che il discorso andasse a scemare con la sua osservazione.
«Fa freddo, vero?» ripartii. Mi abbracciai e strofinai le mani sulle braccia, per produrmi un po’ di calore. «Eppure è solo fine Settembre!»
«Per me è indifferente: non provo nulla.»
Lo disse con una tale semplicità da farmi rimanere spiazzato, tant’è che bloccai di colpo la mia andatura. Non si trattava di pietà, dispiacere o compassione – come avrei potuto provare qualcosa del genere per colui che mi aveva tolto la famiglia senza un motivo che mi fosse concepibile? –, ma si trattava di essere sbattuto a forza contro la realtà dei fatti.
Eravamo diversi io e Sasuke. E troppo, anche.
Il punto, però, era che non ci contraddistingueva una diversità normale, quanto qualcosa che fosse impossibile da annullare. La differenza stava nel fatto che io ero vivo e provavo, mentre lui era l’ombra di ciò che era stato.
Era stato… lui era stato: un individuo come me, con sentimenti, affetti e obiettivi. Un uomo, un essere vivente. Mi ero lasciato sfuggire tutto ciò, l’avevo dato per scontato. Se era vero che Sasuke era un umano – e lo era stato di certo – allora era più che possibile, era sicuro che avesse in sé anche una parte buona. Oppure il bene che è in noi scompare con la nostra morte, lasciandoci soltanto il marcio? Cosa l’aveva spinto, dunque, ad agire così? Quale torto aveva subito, da portarlo a prendersela con i suoi stessi simili? Ma c’era anche un’altra domanda che mi assillava, che forse era di più facile risposta rispetto alle altre, anche se non sembrava: come aveva fatto Sasuke a procurarsi un corpo, quando in realtà non era altro che uno spirito?
«Usuratonkachi, cos’hai da fissarmi?»
Eppure niente di lui sapeva di terrestre. Non lo era la voce, non lo erano i modi: o probabilmente era tutto un mio modo distorto di vedere le cose.
«Andiamo» scandì e, con la stessa lentezza con cui erano state pronunciate le sillabe, un dolore sempre più forte mi percosse la gamba, distogliendomi dalle mie riflessioni. Forse avevo passato troppo tempo col naso tra i libri, a ipotizzare, quindi non riuscivo più a farne a meno.
«Cosa vuoi farmi?» Alzai il tono di voce, e presi a saltellare ridicolmente su una gamba sola, alternando la destra e la sinistra. Ero memore delle mani fantasma che mi avevano impedito ogni movimento, per cui era meglio prevenire.
«Sei ridicolo, usuratonkachi.» Prese a camminare in avanti.
Usuratonkachi, usuratonkachi, usuratonkachi…
«Usuratonkachi a chi, teme!» sbottai, e il mio urlo riecheggiò nel silenzio surreale che si addiceva tanto al mio strano compagno. Gli corsi dietro, prima che potesse distanziarmi troppo.
 
«Eccoci, questa è la biblioteca!» annunciai come se mi trovassi al centro del mondo, e fu per questo che ricevetti degli “ssssh” di disapprovazione da parte di coloro che si stavano dedicando alla lettura. Incrociai le mani e chiusi un occhio, chiedendo perdono.
«So che questa è una biblioteca» disse sarcastico, lasciandosi passare una mano tra i capelli neri e concedendosi un sospiro. «Ti ricordo che sono nato prima di te» aggiunse poi.
Sembrava strano, dato che pareva avere la mia stessa età.
«Coraggio, andiamo a consegnare questi libri, tanto» mi incupii «non mi servono più.»
Sentii la mano di Sasuke afferrarmi il polso e stringermelo. Era fredda, non era cambiata dall’ultima volta che aveva vagato sulla mia pelle. Con poca forza, dato che opposi poca resistenza, mi attirò in prossimità delle sue labbra, in modo che potessi udire ciò che aveva da sussurrare. Si concesse un risolino, che mi fece dimenticare tutte le buone intenzioni che avevo avuto fino ad allora. «Hai ragione, Naruto-chan, ormai mi hai trovato.»
Naruto-chan.
Ogni volta che lo pronunciava, sentivo una stretta al cuore, perché mi rimandava coi ricordi al sogno di quella mattina stessa. Era passato così poco tempo, ma mi sembrava di essere distante anni luce da quell’immagine e da quella che era stata la vivida percezione della sua voce.
Non fiatai più, ma stetti a ripensare al sangue che usciva, virulento, dal corpo di mia madre, dilaniato. A fiotti, si disperdeva per l’ambiente sconosciuto, mi bagnava le guance e mi macchiava della consapevolezza di non aver fatto nulla, ma di essere stato, anzi, il motivo del suo dolore.
 
«Spettro» lo apostrofai, per chiarire le distanze «non chiamarmi mai più in quel modo!» sbottai, cercando di contenermi, quando tornammo a casa.
La maschera di ragazzo vissuto e sofferente, che Sasuke aveva indossato finchè la porta di casa non si era chiusa alle nostre spalle, era scomparsa del tutto. Al suo posto, era ritornata l’espressione che conoscevo.
«Come? Usuratonkachi?» Mi stava schernendo, lo vedevo dal luccichio divertito delle sue iridi. Era chiaro ed evidente, anche se tentava di nasconderlo. O forse faceva finta, così da farmi innervosire e uscire di senno.
«No, razza di bastardo!» Lo afferrai per il colletto della camicia bianca e strinsi, attirandolo a me. Non percepivo il suo respiro: quello che avevo di fronte era solo un corpo vuoto. Come avrei fatto ad affezionarmi a un guscio vuoto? «Sai cosa intendo» digrignai.
«Vuoi dire, forse, Naruto-chan
Fu un lampo: i suoi occhi si spalancarono e da neri diventarono rossi.
Avvertii che le forze mi stavano abbandonando e che la mente si stava proiettando da qualche altra parte, in un luogo indefinito.
Di nuovo.
«La vedi, Naruto-chan? La vedi?» Lo spettro. Non lo vedevo fisicamente, ma la sua voce era assordante e mi spaccava i timpani. «Voltati!»
E io seguii il suo comando, come ipnotizzato. Gli occhi erano vacui e i miei movimenti meccanici e guidati. Lui aveva detto “voltati”? Così avrei fatto.
Nemmeno quando mi si ripresentò dinnanzi la scena del sogno mi mossi, né reagì. Ero diventato quello che era Sasuke: un corpo vuoto, con uno spirito morto al suo interno.
«La vedi, Naruto-chan? E vedi chi è che sta compiendo un tale massacro? Sei tu: il piccolo e tenero Naruto-chan sta ferendo la mamma?»
Era come se mi osservassi dall’esterno: vedevo il mio corpo, come mantenuto in piedi da un burattinaio, intento a osservare la scena del sogno. Poi c’era un altro me, quel secondo me indemoniato in cui rifiutavo di riconoscermi.
Osservavo e subivo i fatti contemporaneamente.
Sasuke mi aveva preso alle spalle e, dopo aver sollevato la felpa, infilò una mano sotto, così da toccarmi la pancia. Con un certo distacco, avvertii i suoi polpastrelli – gelidi, sempre gelidi – che mi accarezzavano secondo uno strano disegno. E poi qualcosa di viscido, e più caldo delle sue dita, in prossimità del collo. Sasuke aveva cominciato a leccarmi la pelle e dove la sua saliva entrava a contatto con la cute sentivo bruciare.
Ma continuavo a non muovermi.
Finché l’atroce spettacolo di mia madre ridotta a brandelli non culminò in una pozza di sangue. Solo allora, col sapore del liquido rosso su per il naso e la gola e con la sensazione di Sasuke ancora appiccicato a me, ripresi conoscenza.
Fui di nuovo in cucina, dove tutto era cominciato.
La scena iniziale non si era modificata: c’ero io e c’era Sasuke, la mia mano stretta sul colletto della sua camicia. Pian piano la presa andò scemando, fino a quando non si allentò del tutto, facendo sì che la mano ricadesse lungo il fianco, come se attirata verso il pavimento. E il corpo, vittima di quello stesso insulso gioco, cadde in ginocchio. «C-cosa… cosa hai f-fatto?» balbettai.
Stavo facendo uno sforzo enorme per far uscire le parole. Il collo mi faceva male e in gola era forte il sapore del sangue di mia madre. «Cosa hai fatto? Cosa?» Gradualmente alzai il tono di voce e insieme a esso aumentava la mia rabbia. «Non era nei patti, idiota, hai barato!» Battei i pugni a terra, facendomi male ma sopprimendo il dolore.
Mi lamentavo, afflitto, come quando, da piccoli, Kiba escogitava qualche sotterfugio per scamparla. Ma ora era diverso, dannazione! «Come diavolo faccio a combattere contro di te?» Diedi un pugno al muro, arrossandomi tutte le nocche.
«Non c’era alcuna deroga al proposito. Anche tu puoi usare tutti i mezzi che vuoi» sogghignò, beffandosi della mia debolezza. «E poi, è stato solo un test psicologico, nient’altro.»
«Và al diavolo!» urlai.
«Siamo suscettibili, Naruto-chan» sussurrò, ritrovatosi improvvisamente a una distanza quasi nulla dal mio volto.
«Credimi, Sasuke Uchiha, credimi perché te lo giuro sul mio onore e sulla famiglia. Io contro di te non perderò, puoi usare tutti i trucchetti che ti pare.» Facendomi forza sulle gambe, riuscii a mettermi in piedi, sebbene fossi ancora parecchio scosso.
«Non temere, non mi serve la tua autorizzazione per farlo» rise. «Anzi, ti dirò di più: giuro su me stesso che non riuscirai mai a sopraffarmi.»
Ebbi solo il tempo di accennare una breve smorfia di sdegno, poi dovetti strascinarmi e poi appoggiarmi al tavolo, altrimenti sarei potuto svenire.
Era già passato un giorno, e non sarebbe potuta iniziare peggio di così.

 


 

 





 
La verità? Non ho idea di cosa abbia scritto. Ho paura che non si capisca, ma un po’ è vero perché ci sono altre cose di Sasuke che vanno svelate (a tempo debito, ovviamente ù-ù).
Nel frattempo: grazie alle 7 persone che hanno recensito, alle 3 che hanno messo la storia tra le preferite e alle 21 che l’hanno messa tra le seguite.
 
Come sempre, un commento di qualunque tipo è sempre gradito! ^___^
 
P.S. Io non voglio procedere con una narrazione troppo lenta o priva di avvenimenti significativi, però loro sono avversari e non si conoscono se non da poco. Prima che si arrivi a qualcosa di yaoi basato su un vero sentimento bisognerà aspettare! >///>
Spero non vi annoierete! >//<
Oddio, i complessi mentali! §___§


 

   
 
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