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Autore: Flaqui    17/10/2011    10 recensioni
Non avevo la minima idea che, se avessi davvero preso il viale alberato sarei riuscita a liberarmi di ogni mio problema, che se non li avessi seguiti non mi sarei incasinata fino al collo.
Ma in quel momento un'unica cosa mi era chiara e tenendola bene a mente giunsi ad una conclusione.
A Privet Drive giravano strane voci su Harry Potter. Si diceva che fosse un pazzo, un genio, un mentecatto, un idiota, un assassino. Ma sola una cosa era certa. Harry Potter nascondeva un segreto. E io avrei scoperto di cosa si trattava.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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A Damien Dixon  che è stata la prima ad avere il coraggio di recensire questa storia, a TittiGranger che è di sicuro una delle scrittrici più brave di questa sezione e che ha speso il suo tempo prezioso per commentare, a  _Valerie_96  che continua a ripetermi dopo tutto questo tempo la stessa cosa (TI ADORO!), a Alexiel94 la mia musa ispiratrice, a bess_Black  che riesce sempre a strapparmi un sorriso, a _Haru_chan_ cercherò di non far morire nessuno(!!!), a L a i l a  che è riusicta a comprendermi meglio di quanto abbia fatto io e mi ha lasciato la recensione più bella che io abbia mai ricevuto, a My Heart Haunted con cui ormai ho fatto comunella (dicesi fare amicizia e dire str******e a tutto spiano),  fede15498che mi ha ridato la voglia di scrivere e alla fine ma non per ultima Miriam G F J Potter  che ringrazio infinitamente per il sostegno...
E alle meravigliose 9 ragazze che l'hanno inserita fre le seguite e alla ragazza che l'ha messa fra le ricordate...
GRAZIE!!!



1 – La prima volta che vidi Harry Potter

 


La prima volta che vidi Harry Potter stavo per compiere tredici anni e, soprattutto, stava per piovere. Enormi nuvoloni neri, potevano essere le sette del mattino così come le sette di sera per quanto era scuro il cielo, si andavano ad addensare proprio sopra il tettuccio della vecchia Buik di famiglia. Probabilmente avrei dovuto interpretarlo come un segno del destino.
-Che tempo di merda- esclamò mia sorella, la fronte schiacciata sul finestrino dell’auto, le mani strette in due pugni.
Nathalie aveva tre anni, quindici centimetri e due taglie di reggiseno più di me. Non avevamo mai avuto un rapporto tanto stretto dallo scambiarci qualche parola in più rispetto ai soliti “Mi passi il sale?”, “Dove hai nascosto il mio mascara?”, “Quando è che te ne vai di casa?”, eppure, quando doveva dire qualcosa, per quanto stupida potesse essere, pretendeva che l’intera famiglia l’ascoltasse. Anche se doveva criticare la temperatura.
-Nathalie quante volte ti ho detto di non dire queste parole?- chiese mia madre, con il tono piatto di chi ha passato l’intera giornata a guidare un vecchio catorcio sulle strade sferrate della periferia di Londra.
Mia sorella grugnì qualcosa che con molta fantasia poteva essere considerato un “scusa” ma che conoscendola era molto probabile fosse un “vaffanculo”. Mia madre scrollò il capo, ma non disse nulla. Non poteva dire nulla, d’altra parte. Benché lei non dicesse parolacce a tutto spiano come Lie (“Smettila di chiamarmi con quel soprannome da rincitrulliti!”) era comunque colpa sua se ora ci trovavamo lì.
Dopo ben diciassette anni di litigi, urla, imprecazioni e soprammobili lanciati da una parte all’altra della casa, mia madre e mio padre avevano divorziato. I miei si erano incontrati da giovani, al college, si erano messi insieme ad una festa ed erano andati insieme al ballo di fine anno. Poi, dopo appena tre mesi dalla fine della scuola, avevano deciso di convolare a nozze.
“Non avremmo dovuto correre così tanto”, aveva detto mia madre dopo aver firmato le carte della separazione. A questo punto mi sarebbe venuta voglia di dirle che questi discorsi avrebbero dovuto farli un po’ prima di mettere al mondo tre figli. Ovviamente però, benché loro dicessero il contrario, giurando e spergiurando con le loro lacrimucce finte, le conseguenze ci sarebbero state.
Tanto per cominciare io e Nathalie eravamo state affidate a mamma e il mio adorato fratellino Jamie era con papà. Avrei tanto voluto il contrario. Non che non volessi bene a mamma, ma la prospettiva di passare ancora cinque anni prima della maturità con le altre due donne di casa mi faceva preoccupare.
Comunque, evitiamo di divagare e ritorniamo al mio problema con Harry Potter. Bhe, insomma non è che io abbia un problema con lui, solo che mi incuriosisce il suo modo di fare. E ogni volta che c’è lui nei paraggi succedono delle cose strane.
Quando la vecchia auto si fermò scricchiolando davanti a quella che sarebbe stata la nostra nuova casa, soppesai dentro di me la possibilità di tornarmene nel nostro vecchio appartamento a Dover a piedi. Privet Drive era una strada abbastanza elegante, per essere in periferia e circondata dal nulla, le case erano tutte intonacate alla perfezione, con un bianco brillante e acceso che se fissato troppo intensamente dava fastidio agli occhi. Le persiane delle finestre erano tutte rigorosamente blu cobalto e tutte serrate in vista dell’imminente temporale. I giardinetti, di cui ogni casa era prevista, erano curati e rigogliosi e nell’abitazione accanto alla mia potei osservare anche un piccolo viottolo in ghiaietta che partiva dalla strada vera e propria e conduceva fino all’ingresso dell’abitazione.
In effetti, nell’insieme, era abbastanza piacevole, e avrebbe anche potuto attrarre se non fosse che tutto era drammaticamente uguale, noioso e ripetitivo. Ero già venuta una volta a Privet Drive, a sette anni per l’esattezza, a visitare la mia vecchia e decrepita nonna, morta appena una settimana dopo. Ma il ricordo era sbiadito e assolutamente irrilevante. Mai avrei pensato di dover ritornare in quella casa, per viverci poi.
Mio padre aveva offerto a mia madre di lasciarci la casa a Dover, ma lei, nonostante le suppliche mie e di mia sorella, aveva deciso che voleva lasciarsi il passato alle spalle e di voler tornare a casa sua, Privet Drive, appunto.
Mi trascinai fuori dalla macchina, lasciando con disappunto i vecchi sedili in pelle e il cofano che emanava calore. Il vento freddo e l’aria umida mi travolsero appena mossi un passo fuori. Mi strinsi forte nel mio pullover, stringendo più forte la sciarpa sul petto.
Non poteva fare così freddo ad Agosto, maledizione! La cosa strana era che il vento, i nuvoloni e il cielo scuro, erano apparsi così, di colpo. Un minuto prima non c’erano e il secondo dopo, bum! eccoteli davanti, peggio di una tormenta. Evidentemente qualcuno lassù si stava arrabbiando sul serio.
Nathalie che mi aveva preceduta sul sentierino in ghiaia, si fermò davanti alla porta e fissò la casa con aria scettica. Odiavo quando faceva quell’espressione. Alzava il sopracciglio inarcandolo così tanto da farlo quasi scomparire dietro l’attaccatura dei capelli.
Anche mia madre si accorse del gesto e cercò di assumere una smorfia rilassata, non riuscendoci fra l’altro. Aggirò la figura della sua primogenita e si avvicinò alla porta in legno color mogano. Poi, dopo un altro sorriso che sapeva molto di spavento, si infilò la mano in tasca e estrasse una vecchia chiave arrugginita. Tutte e tre la fissammo per un secondo, lei con speranza e gioia, io e Nath con disprezzo e odio. Poi la infilò nella serratura.
-Bene, bene!- esclamò con aria soddisfatta, poi, con un gesto elegante che doveva in teoria farci ridere ma che in realtà, complice il vento tagliente, mi fece lacrimare gli occhi, aprì la porta dell’abitazione –Benvenute a casa, ragazze mie!-
Fu in quel momento che realizzai. Quella era casa mia ora. Quella villetta bianca e azzurra, con il giardino incolto e il nanetto da giardino senza un occhio sul davanti, quella sottospecie di abitazione, ora, era casa mia. Casa mia.
-Se non c’è il cavo satellitare e la presa per Internet giuro che ti denuncio- esclamò Nathalie, squadrando mia madre, poi, con passo risoluto, entrò dentro.
La mia camera era al secondo piano. Era piccola, troppo per i miei gusti, ma almeno non avrei dovuto condividerla come a Dover. In effetti, pensai mentre mi gettavo sul letto, meglio avere qualche centimetro in meno di spazio, piuttosto che inciampare nel balsamo di mia sorella che amava lasciare oggetti sparsi per terra (soprattutto i suoi reggiseni, per ricordarmi il fatto che ero piatta come una tavola e lei no).
Fu in quel momento che lo sentii. Un urlo prolungato e disperato, proveniva dalla casa adiacente. Sembrava un voce maschile. Mi avvicinai alla finestra e dopo avere alitato sulla superficie, per riuscire a distinguere qualcosa, sbirciai. La finestra dava sul davanti della casa, e da lì riuscivo a intravedere chiaramente il giardino dei vicini.
Chiamatemi pure guardona e pettegola, ma io sono curiosa, è un mio difetto, lo so. Eppure se non avessi sbirciato, quella sera, probabilmente nulla di quello che è successo sarebbe avvenuto e Harry Potter sarebbe rimasto per me un semplice vicino, magari un po’ più strambo, ma pur sempre irrilevante.
Spalancai le vetrate e mi sporsi. Mi aspettavo di vedere un assassino armato di coltello a serramanico, o, in alternativa, un orso grizzly con posate a bavaglino pronto a sbranare poveri passanti innocenti, ma l’unica cosa che mi trovai davanti era un ragazzo.
Doveva avere all’incirca la mia età, capelli neri corti, occhiali poggiati con malagrazia sul naso adunco, vestiti logori e un po’ troppo lunghi e larghi per lui, camminava velocemente lungo il vialetto trasportando con sé una enorme valigia. In mano teneva qualcosa, sottile e lungo, che però, data la grande distanza, non riuscivo a distinguere.
Non era un mistero però che fosse molto arrabbiato. Scomparve velocemente dietro la curva in fondo alla strada. Evidentemente non si era nemmeno accorto della mia presenza, e se se ne fosse accorto evidentemente non gli ero risultata abbastanza importante da venire considerata.
Rimasi a fissare il punto in cui era scomparso per un po’, troppo assorta per capirci qualcosa. Benché sapessi che non c’era nulla di strano in un ragazzino un po’ incazzato che sbatteva la porta di casa, sentivo dentro di me un brutto presentimento.
Cosa erano quelle urla? Chi era la famosa “Marge” che la voce maschile implorava di tornare indietro? Chi era quel ragazzo? Non lo sapevo, ma ero troppo stanca per pensarci, o anche solo per darmi della pazza, perciò mi limitai a sbattere più volte gli occhi.
Il cielo era tornato sereno. Le nuvole erano spazzate via da un vento invisibile, e ormai si stagliava in controluce la figura argentata della luna, ancora illuminata dai raggi del sole. (Avete mai visto la luna quando c’è ancora il sole? Bhe, è uno spettacolo fantastico…) Più i secondi passavano più l’idea che fino a qualche minuto prima ci fosse stato il rischio che venisse a piovere mi sembrava assurdo. Era come se quello strano ragazzo uscendo di casa avesse portato via con sé anche il cattivo tempo.
Solo in quel momento mi resi conto che un enorme cosa rotonda, che sembrava quasi di dimensioni umane, galleggiava allegramente nel cielo scuro confondendosi con le ombre della sera.
Per un breve attimo, probabilmente per la stanchezza del viaggio,  pensai che sembrava tanto un persona molto, molto grassa che volava, anzi avrei persino giurato di sentirla urlare, poi, dopo essermi data della stupida ed aver realizzato che era solo uno palloncino, chiusi di scatto la finestra.
Ficcai la valigia sotto il letto, con l’intenzione di sistemare l’indomani i vestiti nel vecchio armadio in frassino, e, senza neanche salutare mia madre, ero ancora arrabbiata con lei, mi gettai sul letto, addormentandomi.
 
A quella prima sera ne successero altre. Ogni estate, da quando mi trasferii al numero 3 di Privet Drive, erano ricche di avvenimenti, irrilevanti per chi non sapeva vederli, che assumevano per me significati sempre più inaspettati. Era un caso che enormi uccelli tropicali volassero ogni notte fino alla finestra più a sinistra della casa affianco alla mia? E cosa era stata quell’enorme esplosione che avevo sentito l’anno scorso? Perché i Dursley avevano sempre quell’aria vagamente spaventata dipinta sul viso? Perché Harry scompariva ogni singolo anno per poi riapparire magicamente con un grosso baule ogni primo di Giugno sulla porta di casa? E ancora più importante, che cosa faceva in quei mesi in cui scompariva?






Piccolo Angoletto Buio dell'Autrice

Ma vi rendete conto di cosa avete fatto?
Dieci recensioni! Dieci! Per un prologo!
Quando ho visto il numeretto accanto al nome della storia stavo per svenire!
In compenso ho lanciato un urlo così forte che mio fratello è entrato in camera armato di una mazza da baseball, credendo che ci fosse un ladro/assassino/marmotta/ragno/qualsiasi altro tipo di insetto....
Allora, come avete potuto notare se siete arrivati fino a qui, il capitolo è molto breve e non è stata ancora svelata l'identità della protagonista, ma spero vi piaccia lo stesso...
Piccola nota, ovviamente la scena di Harry che va via di casa e il "palloncino" che la nostra protagonista scambia per un essere umano, sono tratti dal terzo libro (non si era capito sai!) mentre l'espolosione a cui si riferisce nel pezzo finale è dovuta al signor Weasley che fa scoppiare il camino nel quarto libro...
Prima di concludere con queste mie note chilometriche volevo avvisarvi che farò di tutto per essere fedele alla storia reale.
E con questo intendo che la nostra ragazza misteriosa non avrà mai un vero rapporto con Harry, insomma al massimo si scambieranno un ciao...
La verità è che mi è sempre piaciuta l'idea che magari questa storia che sto cercando di raccontare ora è vera, magari è davvero esistita questa fantomatica vicina di casa che vuole scoprire il segreto di Harry, solo che, non avendo ella avuto rapporti con il nostro maghetto, la Row non l'ha raccontata...
Si, è un pò complicato come concetto...
Va bhe, ora vi lascio, prima che qualcuna/o di voi mi fucili...
Un bacio enorme, al prossimo capitolo!
Fra


   
 
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