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Autore: DreamWanderer    22/10/2011    1 recensioni
Karen, e le cose che le succedono attorno, filtrate attraverso il suo punto di vista e quello delle persone a lei vicine.
Fa parte della saga "Shards & Shades".
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shards & Shades'
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10.
Amiche.

(Cheer Up, My Friend)





Karen’s PoV

Inspira, espira.

Me lo ripeto in continuazione, mentre stringo con forza le mani sul volante. Cerco di stare tranquilla, ma guidare… anche su questa autostrada dritta e sgombra, non mi fa impazzire. L’ho passata bene la patente, ma mi devo ancora abituare a sedermi dietro a un volante.

--Karen, rilassati! Stai andando bene.-- mi rassicura Selene, ridacchiando.

Io sbuffo, ma sorrido mio malgrado. --La fai facile te, guidare ti piace!--

La mia amica ride al tono semi-isterico della mia voce, trascinando anche me.

--Metti un po’ di musica va’, così penso meno alla paura.-- le dico, e lei subito si mette a scartabellare tra i CD per scegliere qualcosa da infilare nel lettore.

Riesco a intravedere velocemente la scritta sul disco: HIM. Sorrido mentre la musica parte, pensando che me lo sarei dovuto immaginare. Sel si rilassa contro il sedile, godendosi le note che riempiono l’abitacolo.

--Ancora non so come hai fatto a convincermi.-- borbotta per l’ennesima volta, ma lo vedo che è contenta.

--Mia cara, non potevo lasciarti tornare a spaccarti la schiena come se niente fosse dopo che a momenti mi svieni nel bel mezzo di Piazza Garibaldi.-- obietto, senza durezza.

Per un secondo rivedo i suoi occhi blu farsi grandi, mentre si porta una mano alla testa e trema leggermente. Il palo dietro di lei era stato provvidenziale, altrimenti mi sarebbe finita lunga distesa sul marciapiede della piazza. Per fortuna era stato solo un calo di pressione, dovuto alla stanchezza e allo stress a cui era stata sottoposta negli ultimi giorni. Ci ho messo una vita, a convincerla che doveva staccare un pochino. E adesso, approfittando di questa settimana di vacanza interamente fortuita, dopo aver trovato qualcuno che potesse prendersi cura delle cose a casa sua per questi pochi giorni, la sto praticamente costringendo a staccare.

--Ma almeno adesso me lo dici, dove mi stai portando?--mi chiede di nuovo, come ha fatto per mezz’oretta ormai.

Ha cominciato quando ho fatto una tappa a Pontremoli, per andare due minuti in pasticceria a prendere qualche amorino.

--Ti porto al mare, Sel.--

Al mare, dove ho una casetta. Dove per una settimana scarsa potremo non pensare a famiglie dispotiche o cuori spezzati. Dove potremo comportarci tutt’e due come le ragazze giovani che in fondo, molto in fondo, siamo.



Selene’s PoV

Mi piace questo posto. Lerici. È una piccola città sulla costa ligure, in una zona chiamata Golfo dei Poeti. Ci sono tante casette a schiera arroccate sul mare, tutte colorate. Il castello, più una rocca che un castello in realtà, si erge a un estremo del lungomare e si specchia con una seconda rocca, quella di San Terenzo, il paesino dall’altro lato della baia.

Karen ha un piccolo appartamento, ed è qui che mi ha portata. Ha parcheggiato la macchina in piazza, nella zona carico-scarico, e abbiamo portato i bagagli di sopra. La casa è veramente piccina: due stanze da letto, un bagno, soggiorno unito alla cucina, e un corridoio.

La prima cosa che ho fatto, non appena ho messo piede nel piccolissimo appartamento, è stata correre sul balcone. La vista è bella, mozzafiato. La casa è a breve dalla spiaggia, come tutte le case di qui del resto, e si vede il mare. Si sente il mare, anche nel profumo un po’ salato che impregna la fodera del divano.

Karen nota il mio entusiasmo, e sorride. Poi prende la mia valigia, bloccando sul nascere tutte le mie proteste, e mi accompagna oltre la prima porta del corridoio.

--Ti sta bene dormire qui?-- mi chiede, appoggiando i miei bagagli sul grande letto a due piazze che occupa la stanzetta.

Annuisco distrattamente mentre osservo gli intarsi nel legno dell’armadio, l’unico elemento di arredamento a parte la mensola sopra il letto.

--È la stanza dei miei, e quella in cui non c’è nemmeno un po’ di umidità.-- mi spiega, sorridendo. --Ho pensato che ti ci saresti trovata bene.--

La guardo con gratitudine, e lei scrolla le spalle con leggerezza.

Anche dalla finestra della stanza si vede il mare. Socchiudo appena le imposte e subito un refolo di vento fresco e morbido mi sfiora il viso, come una carezza. Mi volto, e vedo che la mia amica si sta gustando il contatto con l’aria forse anche più di me.

--Metti pure la roba dove vuoi, tanto qui è tutto vuoto.-- mi dice, riprendendosi dal momento di tranquillità. --Il bagno è infondo al corridoio. Io vado a litigare con la caldaia!--

La mia risata accompagna la sua uscita.

Svuoto le valigie in fretta, riempiendo un po’ il nulla che occupa le mensole e i ripiani dell’armadio. Le lenzuola del letto sono fresche e pulite, per niente umide, e sorrido quando vedo le stampe dei delfini che le ricoprono.

Poi noto i pochi piatti appesi alla parete, proprio sotto il punto in cui si attacca al soffitto. Devono essere i “famosi” Piatti del Buon Ricordo, quelli che Karen detesta in modo così aperto e cordiale.

Torno nel salottino all’ingresso, e trovo la mia amica che sta sistemando alcuni bagagli con un’espressione soddisfatta sul viso.

--Com’è andata con la caldaia?-- le chiedo, prendendo l’amorino che mi offre.

Sono buoni questi dolcetti. Quadrati biscotti wafer, un po’ più piccoli del palmo di una mano, riempiti da uno strato di crema pasticciera. Lei ne va matta, tanto da aver messo in programma una sosta a Pontremoli solo per passare a prenderne un po’.

--Ha fatto i capricci come al solito.-- sbuffa, mentre attacca la presa delle casse del suo iPod. --Questa casa sarebbe tutta da rifare, ormai ha vent’anni rotti.--

Rido ai suoi borbottii, ricordando quello che mi stava dicendo in macchina; i suoi hanno comprato la casa ancora prima che lei nascesse, quindi ormai gli elettrodomestici hanno il loro tempo. Hanno dovuto già ricomprare il frigo appena qualche mese fa perché era completamente andato.

Karen si abbraccia le spalle da sola, facendo scivolare le mani lungo le braccia con fare infreddolito.

Nonostante sia già aprile e l’aria stia cominciando a scaldarsi, qui in casa fa ancora freddo. I muri sono gelidi, perché è da quando è stato cambiato il frigorifero che nessuno è più venuto qui a riscaldare un minimo queste piccole stanze. Mi ha detto che sarebbe dovuta venire sua sorella Jen il mese scorso, ma ha avuto dei contrattempi e non ce l’ha fatta.

--Ti senti di andare a mangiare fuori?-- mi chiede. --Così intanto la casa si scalda un po’ e noi mettiamo sotto i denti qualcosa di più di quella miseria che c’è in frigo.--

Sorrido alla sua espressione stizzita a causa del freddo, ma in realtà nemmeno io mi sento molto a mio agio. Perché si tratta di quel freddo umido e sgradevole, quello che impregna sia i vestiti che le ossa, e che fa sembrare appiccicosa persino la pelle.

--Per me va bene.-- affermo mentre un sorriso furbo si disegna sulle mie labbra. --Ho visto un posto che si chiama “Fuoco e Fiamme”… pensi che potremmo andare lì?--

Lei ride di gusto assieme a me, rallegrata dai miei occhi che si stanno sicuramente accendendo di entusiasmo solo per il nome di quel posto.

Annuisce col capo. --Certo che sì! È un bel ristorante: la pizza è buona, la pasta non è affatto male, e costa poco. Dammi solo il tempo di accendere il deumidificatore e alzare il riscaldamento al massimo che poi andiamo!--

Ci sistemiamo appena, chiudiamo il tutto e ci fiondiamo nel ristorante prescelto. In effetti il posto è bello. Le sale dove si cena al chiuso danno sulla piazza, con finestre enormi chiuse da grandi vetri puliti, sorretti da intelaiature di caldo legno rossiccio. L’intonaco è di quell’ocra scuro, reso ancora più suggestivo dalle lampade aranciate. La pizza è buona, e ci riempie talmente tanto che decidiamo di fare a meno del dessert; ci mangeremo gli amorini a casa più tardi.

Poi Karen mi porta a fare quattro passi sul lungomare, un ampio marciapiede di un chilometro e mezzo che collega Lerici a San Terenzo. Costeggia tutte le spiagge, e il profumo del mare e la risacca delle onde non abbandona nemmeno un momento della nostra passeggiata. Il posto è ben illuminato, e entrambi i castelli arroccati a strapiombo sul mare sono un tripudio di luci dorate che si riflettono sulle acque morbide che invadono ritmicamente le spiagge che abbiamo intravisto durante questo giro.

Chiacchierando, arriviamo fino al castello da l’altro lato della baia, e lei mi porta a vederlo. Sono solo un paio di rampe di scale per accedere alla prima delle tre torri, e le facciamo con calma visto che in teoria sarei ancora convalescente. Ma questa passeggiata, presa con tanta calma e accarezzata da questo bel venticello salmastro, ha un non so che di rinvigorente.

E la vista è una meraviglia. Nel buio della sera, il castello di Lerici spicca contro la coltre scura del cielo. Le casette a schiera dei due paesini brillano come una via lattea di stelle luminose, e anche i lampioni che bordano il lungomare proiettano un flebile, tremulo riflesso sulle onde avvolgenti.

--Voglio portarti anche dietro i castelli, ma quello lo facciamo domani.-- mi dice, una volta tornare a Lerici. --C’è troppo buio adesso, non ti godresti la vista.--

Annuisco sorridente mentre lei gira le chiavi nella serratura. Oggi è stata una giornata di viaggio e passeggiate, e non mi sento nemmeno io di mettere troppo alla prova questo maledetto corpo traditore.

Entriamo in casa, e mi godo la lieve carezza del delicato tepore che ci accoglie. Temevo un forno, contando che il riscaldamento è stato al massimo fino ad ora, e invece non si sta affatto male. Appoggio una mano sui muri e li trovo freschi, ma non più umidicci e gelidi come prima di cena. Karen regola il termostato, soddisfatta come un gatto con un gomitolo di lana, e mi lascia il primo turno del bagno mentre lei va a disfare la sua valigia.



Karen’s PoV

--SONO LE UNDICI MENO UN QUARTO!!!--

Lo strillo di Sel mi fa sobbalzare sul divano, tanto che mi cade il libro dalle mani. A malapena cinque secondi dopo, il tornado rosso che è la mia amica fa irruzione nel soggiorno, ancora in pigiama, con un’espressione confusa e assolutamente sconvolta sul viso affilato.

E io scoppio a ridere come una perfetta idiota.

--Che ti ridi, iena?! È quaranta minuti che mi rigiro pacificamente nel letto! Quaranta minuti!! Poi mi sono alzata, ho guardato l’orologio e ho visto che segnava le undici meno un quarto! Le undici meno un quarto!!-- sbotta. --Perché non mi hai chiamata?--

Io ovviamente rido ancora di più. Ormai ho le lacrime agli occhi, il che in realtà è un vero sollievo visto che ho addosso queste cavolo di lenti a contatto che oggi non ne vogliono sapere di far pace con l’aria salmastra di qui.

--Hai dormito bene allora.-- dico tra una crisi di ridarella e l’altra, e lei mi fulmina con lo sguardo. --Rilassati Sel! Sei qui in vacanza, ricordi? Non me ne frega niente se ti alzi alle undici meno un quarto. Se ti va adesso possiamo andare a fare colazione.--

--Ma ora che scendiamo saranno le undici passate! Non hai ancora mangiato?!--

Questa donna è in crisi isterica.

Alzo gli occhi al cielo. --Va beh, se non ti va di fare colazione possiamo vestirci con calma e poi a mezzogiorno andiamo a farci un brunch. So che “Al Borgo” di San Terenzo hanno qualche brioche anche a quell’ora.--

Mi guarda stralunata come se avessi appena detto un’eresia. E a me torna la crisi di ridarella.

--Dai Sel, tranquilla! Lo so che sei abituata a ritmi più serrati, ma ti ho trascinata qui per rilassarti, non per buttarti giù dal letto alle otto di mattina!--

La sua espressione sconvolta evapora lentamente fino a diventare un sorriso tenero e intenerito insieme.

--Su, adesso vai in bagno mentre io mi vesto così poi ti faccio vedere le spiagge dietro i castelli come ti ho promesso ieri sera!-- dico, accompagnando un gesto di “sciò” con la mano per enfatizzare il concetto.

Tre quarti d’ora e passa dopo questo divertentissimo modo di iniziare una giornata, siamo entrambe sedute davanti al borgo con due belle tazze di tè caldo, due brioches a testa, biscottini, e un paio panini leggeri in stile toast da mangiare più tardi con calma.

--Non ti facevo così golosa.-- mi punzecchia sorridendo, accennando alle mie brioches con crema di riso e cioccolato fondente.

Io sfodero la mia faccia di bronzo migliore. --Non ho mai il tempo di fare colazione fuori, queste sono praticamente le mie scorte per l’inverno.--

E Sel scoppia a ridere, non so bene per cosa. Forse per la mia espressione menefreghista, praticamente introvabile sul mio viso, o forse per la frase da perfetta cretina, o forse per l’allegria che le mette addosso quest’atmosfera rilassata.

Spazzoliamo come si deve la colazione, lasciamo un po’ di mancia a quella povera cameriera disgraziata che si è subita i nostri scleri durante questo sostanzioso brunch, e poi la porto dietro il castello di San Terenzo.

Qui c’è un’insenatura con tanto di spiaggia e bar arroccato sulle pareti scoscese, il “Vertigo”. Saliamo per prenderci qualcosa di fresco da bere per accompagnare i panini-piadina di prima, e poi la porto ancora oltre l’insenatura. C’è una piccola scogliera, che qui chiamiamo “la torretta”. Non è altro che una grande roccia a strapiombo sul mare, che dista un tuffo di un paio di metri circa dalle onde forti ma non violente. Ci sediamo lì appena all’inizio della scogliera, apprezzando il calore della roccia scura sotto le nostre mani e quello del sole d’aprile sul viso.

--È uno dei miei posti preferiti.-- le dico, la testa ancora reclinata all’indietro per godermi sia i raggi delicati che i ricordi. --Con i nostri amici ci venivamo spesso, prima che la compagnia si sfaldasse. Una volta mi sono tuffata anche io. Una sola però, perché per salire bisogna o farsela a nuoto fino alla spiaggia o scaldando quello scoglio là.-- le spiego, indicandole uno scoglio a strapiombo sul mare con i bordi ricchi di appigli, ma anche molto irregolari. --È praticamente impossibile venirne fuori senza tagli. E visto che io ero riuscita a risalire con due graffi leggeri non ho voluto ritentare la sorte.--
Sel ascolta il mio racconto, gli occhi blu come l’oceano persi a cercare di dare una forma alle nuvole di panna montata che attraversano occasionalmente il cielo limpido.

Prima di tornare al lungomare facciamo due passi sulla spiaggia, sentendo tra le dita le onde lunghe del mare primaverile.

Quando arriviamo dietro al castello di Lerici, la guardo sorridere incantata alle insenature che si intravedono dalla spiaggetta sassosa sul lato della rocca. Approfittiamo del resto del pomeriggio per cercare qualche conchiglia e mettere ancora i piedi in acqua, e poi andiamo a comprare due cose per riempire il frigo.

Il supermercato è vicino per fortuna. È piccino, essenziale, ma riusciamo comunque a fare provviste per sopravvivere qui per una settimana. L’unico neo è che dovremo razionare gli amorini. Quando glielo dico scoppia giustamente a ridere di gusto.

Più tardi, giusto prima che cali la sera, vedo che osserva con disappunto il cielo leggermente annuvolato.

--Dovrebbe venire un po’ grigio per i prossimo tre o quattro giorni, anche se le previsioni mettevano variabile.-- le dico, e la guardo imbronciarsi.

--Vengo al mare e s’annuvola.-- sputa tra i denti, un po’ piccata. --Niente giro alle Cinque Terre, se c’è brutto i traghetti non vanno.--

--Vorrà dire che ripeteremo la gita a Lerici.-- sorrido io. --Comunque, ho portato il lettore DVD. Poi abbiamo anche i Piatti del Buon ricordo da tirare, la tombola, il monopoli e le carte da gioco. Per non parlare del telefono.--

Mi guarda perplessa, senza capire che diamine c’entri il telefono in questo elenco di giochi d’emergenza. Il mio sorriso si allarga, diventando quasi un ghigno furbo.

--Visto che stai qui una settimana, perché non chiami qualcuna delle tue amiche e vedi se può raggiungerci?--

Quando mi salta addosso per la contentezza, io ringrazio di essere seduta sul divano; perché se fossi stata in piedi, ora come ora sarei stata trasformata in una polpetta di gatto spiattellata sul pavimento!







Angoletto!

Sarò breve, perdonatemi, ma è colpa del mal di testa fulminante che mi trascino dietro da stamane :'(

Prima di tutto mi scuso, mi scuso immensamente per tutto il tempo che è passato dall'ultima pubblicazione di Shards & Shades. L'unica cosa che posso dire è che, tra tempo e meritatissima depressione post-vacanze, non ho davvero avuto voglia di riprendere questa serie in mano. E, a dirvela tutta, non ci sono nemmeno riuscita. Ci sarebbe dovuto essere un altro capitolo prima di questo, ma dopo 4 mesi senza essere riuscita a scriverlo ho deciso di posticiparlo. È solo rinviato, promesso :)

La seconda cosa è una dedica: ranyare, questo è tutto tuo, anche se lo sapevi già <3


Risponderò a tutte le recensioni per lo scorso capitolo, "Incanto di Neve.", domani appena ho un minuto, perché ci tengo a ringraziare quelle parole che mi avete lasciato.

In ultimo, vi ricordo come al solito la mia pagina:
DreamWanderer ~EFP

Chicos, vi saluto, e vi lascio con una promessa: non passerà più tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro! Il prossimo capitolo lo troverete sempre qui, a "Slices of Life.", domenica prossima. E presto tornerò anche a farmi viva nelle recensioni :)

Un grazie a chi è arrivato fin qui.
;*
   
 
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