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Autore: Colonnello    22/10/2011    1 recensioni
Diecimila anni dalla Fondazione di Roma (circa 3000 d.C.). L'Impero Romano domina su più della metà dell'Europa e dell'Asia e su tutto il Nuovo Continente... ma la sua egemonia sta per essere messa in discussione...
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1 Dunque, l'idea di questa storia è semplice (insomma, mica tanto poi a svilupparla): l'Impero Romano non si è mai estinto e ha anzi continuato la propria espansione nel corso dei secoli, fino a ricomprendere quasi tutto il Nuovo Continente (dov'è ambientata in effetti la storia) e una grossa fetta dell'Asia fino al confine con l'Impero Cinese. Di conseguenza, il mondo che ho immaginato e che cercherò di sviluppare da qui ai prossimi capitoli è molto diverso da quello che oggi conosciamo, per due importanti ordini di ragioni. Innanzitutto è un mondo dominato da una cultura e da una mentalità diverse dalla nostra: i romani avevano una mentalità estremamente concreta, dove tutto ciò che non aveva un impiego pratico non valeva la pena di essere preso in considerazione; inoltre, nel mio mondo (Ecco, la mia prima storia e già mi atteggio a Dio!) esiste ancora la schiavitù, la guerra è una realtà pienamente accettata e, come scoprirete nei prossimi capitoli, anche la posizione della donna è notevolmente ridimensionata rispetto alla nostra. In secondo luogo, dal momento che la mia storia è ambientata in un mondo dove la lingua madre è il latino e non l'inglese, ho dovuto fare i salti mortali per cambiare alcuni termini che proprio non potevano adattarsi al contesto, quindi scordatevi parole come computer, beh... quello è facile, basta sostituirlo con "computatore", bunker, shock (che orrore! trovato scritto in una traduzione di un romanzo storico di Simon Scarrow!), ecc. Inoltre, per le medesime esigenze di credibilità storica ho dovuto cambiare anche i nomi di alcuni luoghi, cercando al contempo di renderli riconoscibili. Insomma, ho proprio avuto una bella idea complicata per la mia prima storia, quindi vi prego, siate clementi. Ma al tempo stesso fatemi sapere che ne pensate, se c'è qualcosa che non va o che andrebbe corretto, per farmi domande... sono aperta alle critiche, belle e brutte! Buona Lettura!

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PROLOGO

Il vento soffiava gelido sull’altopiano innevato. Nonostante fosse una giornata serena e il sole splendesse alto nel cielo, faceva molto freddo. Sdraiati sulla neve in formazione serrata, con le armi imbracciate, gli otto legionari facevano del loro meglio per stringersi l’un l’altro e scaldarsi a vicenda, e per impedire alle nuvolette di condensa di uscire dalle loro bocche ad ogni respiro. Il nemico era tanto vicino che sarebbe bastato che qualcuno notasse il loro respiro per farli scoprire. Cinque di loro stavano distesi a pancia in giù con gli sclopetum rivolti verso la valle, mentre gli altri tre stavano distesi sulla schiena o semiseduti con le armi rivolte verso la cima della parete rocciosa alle loro spalle, per assicurarsi che nessuno li attaccasse alle spalle.
-Saranno almeno una decina in tutto, non di più- disse Scipione.
Accanto a lui, Publio Ottavio Aureliano, abbassò il binoculo con il quale aveva fino a quel momento scrutato il piccolo accampamento nemico in fondo alla valle, nei pressi di un laghetto gelato.
-C’è anche un nionico, lo vedi?- chiese porgendolo a Scipione.
Lucio Giulio Scipione diede un’occhiata e annuì, restituendoglielo. C’era ben poco da tenere d’occhio, per la verità. L’accampamento nemico era assai concentrato. Un paio di tende e qualche mezzo di trasporto. Se quella era davvero l’ultima roccaforte nemica, allora quella guerra preannunciava di concludersi bene per i romani. Non una delle nostre più gloriose vittorie, pensò Scipione mentre la sua mente si allontanava dalla guerra ancora in corso per concentrarsi sull’immagine della moglie che lo aspettava a casa, incinta di già otto mesi e mezzo. Si chiedeva se sarebbe riuscito a tornare a casa in tempo per il parto. Pregò gli dei che Ksun Ja, il comandante degli ausiliari egizi, fosse riuscito ad arrivare a Roma sano e salvo e a consegnarle la lettera che le aveva scritto frettolosamente per informarla che era vivo e che stava bene. L’ultima cosa di cui Ottavia aveva bisogno nelle sue condizioni era di preoccuparsi per lui.
Scosse la testa, scacciando dalla sua mente quei pensieri e tornando a concentrarsi sul presente.
-Riesci a sentire quello che dicono?- gli stava chiedendo Publio Ottavio.
Una buona metà dei nemici che avevano localizzato nell’accampamento stava tutta davanti ad una delle tende. Stavano discutendo animatamente, indicando qua e là.
Scipione tirò fuori un captatore di suoni e, dopo averlo acceso, puntò il microfono verso l’accampamento e si premette contro le orecchie i due ricettori. Riuscì a sentirli parlare, ma le parole gli giungevano confuse e incomprensibili.
-Non parlano latino- disse- E sono troppo distanti.
Publio Ottavio si guardò intorno con circospezione, scrutando le cime delle alture una per una.
-C’è qualcosa che non mi convince- mormorò.
-Che vuoi dire?- chiese Scipione.
-Arrivare qui è stato fin troppo facile. E quell’accampamento è completamente allo scoperto.
Sollevò di nuovo il binoculo e scrutò i confini dell’accampamento.
-Solo sei uomini di guardia… non mi convince… devono essercene degli altri.
Scipione spense il captatore di suoni e si tolse i ricettori.
-Vuoi tornare indietro?- chiese con una nota di dubbio nella voce.
Publio Ottavio scosse la testa e posò il binoculo, tornando ad imbracciare l’arma.
-È troppo tardi- rispose deciso- Non avremo un’altra occasione come questa. Dobbiamo attaccarli adesso!
In quell’istante, come se avesse appena dato l’ordine di attaccare a qualcun'altro, dalla cima della parete rocciosa alle loro spalle sbucarono degli uomini armati che iniziarono a sparare contro di loro. I tre legionari addetti alla copertura furono colti completamente di sorpresa e ci misero qualche attimo di troppo a reagire. Publio Ottavio, Scipione e gli altri che erano distesi accanto a loro si voltarono e scattarono in piedi il più velocemente possibile per rispondere all’attacco. Nell’accampamento alle loro spalle giunsero gli echi del combattimento e gli occupanti corsero anch’essi alle armi. Pochi attimi dopo, su di loro piovvero delle pirobule. Publio Ottavio vide che i cannoni portatili erano posizionati in cima all’altura, da dove erano stati attaccati, e ci mise un attimo a capire che erano stati attirati in una trappola e circondati. Ordinò ai suoi di concentrare il fuoco dei loro sclopetum contro i nemici più vicini, ma già ne vide cadere tre, colpiti ripetutamente senza che avessero la possibilità di reagire. Si voltò alla sua destra, in tempo per vedere Scipione correre lateralmente nel tentativo di defilarsi. Un proiettile lo colpì al petto e Publio Ottavio vide lo schizzo di sangue, l’amico cadere pesantemente sulla neve e questa tingersi di rosso.
-Scipione!- gridò, correndogli incontro per aiutarlo.
Scipione si voltò verso di lui e sollevò una mano come per dirgli di non muoversi. Ma lui non gli diede retta. Sua sorella non glielo avrebbe mai perdonato se avesse lasciato che accadesse qualcosa a suo marito. L’aveva quasi raggiunto, quando sentì distintamente il fischio del proiettile che trapassava la sua corazza e si piantava nella carne, vicino al collo. Stramazzò a terra e si accorse con stupore di non sentire dolore. In effetti, non sentiva assolutamente nulla… a parte il sangue che cominciava ad invadergli la gola e la bocca. Maledetta la Parca!, pensò agonizzante, mentre il suo corpo perdeva rapidamente sensibilità.
Qualcosa si mosse accanto a lui, e un attimo dopo il volto contratto di Scipione comparve sopra il suo. Sentì la mano del cognato premere contro la sua gola, cercare freneticamente di arrestare l’emorragia. Si accorse solo in quel momento che la tunica di Scipione era macchiata di sangue in corrispondenza della spalla. Una ferita superficiale. Non si era fatto nulla. Buffo…, fu tutto quello che riuscì a pesare. Pensare che ero corso in suo aiuto.
-Va tutto bene, Aureliano- gli disse Scipione respirando affannosamente- Tieni duro! Un nostro mezzo aerio ci ha visti e ha respinto il nemico. Adesso scendono a portarci via.
Publio Ottavio tossì e il sangue gli uscì a fiotti dalla bocca. Non riusciva quasi a respirare. Aveva la vista annebbiata e sentiva che le forze gli stavano venendo meno. Scosse lentamente la testa.
-Quanti… sopravvissuti…?- riuscì a chiedere, con la voce gorgogliante sangue.
Il volto di Scipione si contrasse in una smorfia e la sua bocca non proferì risposta. Publio Ottavio non ebbe bisogno di altre spiegazioni e capì che non gli restava molto tempo.
-Pre… nditi cura… di mio figlio- balbettò a fatica- Ha… ha solo quattordici anni… è solo…
Scipione distolse lo sguardo e l’espressione sul suo volto s’incrinò, la vista gli si annebbiò per le lacrime. Lottò per ricacciarle indietro, poi si voltò di nuovo verso l’amico morente.
-Lo farò, te lo giuro- rispose.
Publio Ottavio sollevò una mano tremante e la infilò nella tunica. Intorno al suo collo, insieme al titulus, era appeso un sottile cilindro di metallo della grandezza del suo dito mignolo. Lo  infilò nella mano di Scipione.
-È il mio tabulario personale- disse- Occupatene tu… finché Publio… non sarà… in grado…
Scipione annuì, stringendosi al petto l’oggetto che gli era stato consegnato.
-Farò anche questo- rispose- Tu, però, cerca di resistere più che puoi, Aureliano! Puoi ancora salvarti!
Publio Ottavio sorrise e scosse la testa.
-Non… non sento più… nulla…
Si guardò intorno per quel che poté e sul suo volto si dipinse un’espressione piena di rammarico. Proprio qui dovevo venire a morire!, pensò. Freddo, ostile e lontano miglia e miglia dalla mia casa…
Inspirò profondamente. L’odore della neve gli giunse appena, così come la sua consistenza fra le dita della sua mano. La fine si stava avvicinando. Si voltò di nuovo verso Scipione. Lo vide a stento, le sue labbra si muovevano, si rivolgevano a lui, ma la sua voce non arrivò alle sue orecchie. Sollevò una mano verso di lui, sforzandosi di tenerla sollevata e aperta. Scipione capì e gliela strinse, mentre una singola lacrima scivolava sulla sua guancia sporca. Publio Ottavio sorrise e lasciò andare ogni resistenza al torpore che man mano s’impadroniva del suo corpo. Le immagini davanti ai suoi occhi sfocarono rapidamente, finché non fu tutto buio, e allora non sentì più nulla.
  
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