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Autore: Nadir de Orpheus    01/11/2011    3 recensioni
Ricordo. E non ha significato dire che la ricordo, ora che lei è distesa accanto a me –una mano posata sull’onda dei capelli sparsi sul cemento. Sparsi sul suo viso sottile, e sparsi come sul mio cuore. Lo sento rallentare. Venisse il sonno. Venisse l’oblio, ora che scende la sera.
Voglio ricordare di lei ancora una volta, mentre le guardo le ciglia.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III
The Angel.

 

Da qualche tempo abitavo in una casa in periferia. Cadeva a pezzi, non solo l’intonaco, che ormai sembrava l’eccezione, sulle pareti, ma le pareti stesse, le finestre, le porte. C’erano falle nel pavimento e spesso più terra che legno, assi divelte nei muri, tegole che sprofondavano nella gravità e minacciavano di crollarmi in testa mentre dormivo. Mi importava ben poco.
Non potevo permettermi un appartamento, e non potevo trovare una stanza, avere dei coinquilini.  Con la vita che facevo, mi serviva un posto in cui nessuno si stupisse di sentir ululare nella notte, o vedere un grosso cane che si aggirava nei dintorni. I miei vicini erano spacciatori. Mi lasciavano in pace, e io lasciavo in pace loro –anche se la voglia di azzannarli e farli smettere di appestare la città con la loro merda raffinata era sempre molto forte. Però quella casa mi serviva.
Lei era sparita.
Aveva sorriso per un istante così balenante che era stato come volare. Restare accecati dal sole –ma come Icaro, mi schiantai a terra nel rendermi conto che se ne era andata. Così, in un lampo. Lungo la strada, correndo, senza dire niente. Senza voltarsi. Ricordavo il suo odore come se mi fosse rimasto imbrigliato nelle narici, e si fosse fatto strada nel cervello avvolgendo i miei nervi. Era lì.
Lei era lì, con me, in qualche modo che non avrei saputo spiegare.
Ma solo dopo averla sognata per sette notti di fila mi decisi a fare qualcosa. Andai alla biblioteca, cercando testi sui lupi come me –più che altro leggende che di vero avevano ben poco. Ero sicuro, però, che ci dovesse essere qualcosa, da qualche parte, che mi avrebbe spiegato quella scintilla che mi si era accesa dentro, e bruciava lentamente i fili della mia vita, ora che avevo incontrato lei.
Qualcosa che mi avrebbe detto perché sentivo di amarla. Perché lei. Perché in quel modo.
Come se non potesse esistere un altro domani, se non l’avessi incontrata ancora. Se non avessi potuto tenerla con me –farle da scudo e baluardo contro gli angeli. Non m’importava perché l’avessero attaccare, se fosse una peccatrice, o un’anima sfuggita. Importava lei.
Profumo e spirito di fiore appassito. La mia rosa che perdeva petali nella pioggia. Volevo lei.
Nessun libro mi spiegò seriamente perché un licantropo avesse tanto bisogno di un’umana, se non aveva intenzione di sbranarla. D’amore non se ne parlava. Ma lei non era cibo, per me.
Era l’incastro del mio essere lupo ed essere uomo –era la luce che colmava lo spazio tra gli specchi, ed era un nuovo specchio. Vedevo me e vedevo lei. Separati, ma simili. Rassomiglianti.
E quando guardavo il lupo, i suoi tratti variavano dai miei, a quelli di lei. Un mutare come il mare.
Lei, come la marea.
La biblioteca non mi era stata di alcun aiuto –nemmeno cercare tra i testi sui lupi veri e propri mi era servito. Niente spiegava quell’intensità disastrosa che mi teneva chiuso in casa, a guardare la luna, con un ululato spento in un uggiolio che mi serrava la gola. Una voragine che si spalancava lenta, lì dove il pensiero di lei bruciava la mia esistenza –un tratto riarso alla volta. Nel vuoto di me.
“Cercala.”
“Dove dovrei cercarla?”
Non ero sicuro che non fosse un’allucinazione.
Se ne stava seduto lì, sul davanzale della finestra, come se ci fosse sempre stato ed io, semplicemente, non l’avessi visto. Una gamba piegata ed appoggiata alla cornice, una distesa.
“Sei un lupo. Tu puoi sentirla.”
La nuca adagiata indietro –occhi grigi al cielo.
Capelli troppo biondi.
“Non ci riesco. Ho tentato.”
“Tenta ancora.”
“Perché dovrei darti ascolto?”
Non mi guardava, non lo fece mai.
Era come collegato alle nuvole da un filo, ed aspettava di risalirlo, e tornare a casa. Mi passai le dita tra i capelli, con un mezzo sospiro, mentre lui non rispondeva. L’avevo cercata a lungo, senza mai riuscire a rintracciare il suo profumo. Mai, da nessuna parte. Era davvero sfumata nel vento.
“Perché qualcuno deve trovarla. Se non saremo noi, saranno loro.”
“Loro, chi?”
“Loro. Con le anime è sempre così.”
La cosa che mi stupì, fu il fatto che non mi stupisse. Avevo sentito che non era viva –non c’era sangue che scorresse, in lei, né il tepore della carne –il suo era un profumo invisibile, come non ne avevo mai sentiti, se non a mezzanotte nei cimiteri. Lo sapevo, eppure mi faceva male.
Amavo un soffio di vento. Qualcosa di perduto che era solo un’impronta, e sarebbe stata cancellata.
Il rumore di uno specchio che s’incrinava, dentro.
“Se la trovo, che cosa succede?”
“Quello che deve succedere. Già lo sai.”
“Voglio stare con lei.”
“Avrai il tuo tempo.”
Ma non potevo. Avremmo avuto qualche giorno, forse, qualche ora, più probabilmente. Non mi chiesi mai, se lei volesse vedermi. Se volesse stare con me. Sarebbe stato logico porsi il problema –del resto, era stata lei ad andarsene senza dirmi una parola. Eppure. Sentivo quel legame così forte.
Lei, anima sola. Anima che non riusciva a lasciare il mondo degli umani.
Guardarlo, con quegli occhi così grandi.
“Perché siete venuti da me?”
“Perché tu hai creato il problema, e tu devi risolverlo.”
“Quale problema?”
I suoi occhi non erano grigi, come mi era sembrato. Erano luna. Forse di giorno sarebbero stati sole, ma adesso, di notte, erano luna che si specchiava in me, e mi scoperchiava. Mi resi conto che non muoveva mai le labbra: lo sentivo parlare nella mente, echeggiando tra gli specchi.
“Il legame. Prima di te, era solo un’anima testarda. Adesso ha un’àncora, qui a terra.”
“E cosa c’è di male?”
Luna lancinante.
“Lei è morta. Deve stare con i morti. Non può attardarsi ancora qui.”
“Come si chiama?”
Non mi stava ascoltando, ora. Si alzò in piedi, sulla cornice della finestra, proteso verso l’altro.
Come se stesse catturando le parole delle nuvole.
“Tu morirai.”
“Quando lei se ne andrà. Sì, lo so. Come si chiama?”
Stava già svanendo. E io sentivo quell’eco nel cuore, e la certezza che non ci fosse posto per me, nel mondo, senza di lei. Così era per i lupi. Non sopravvivevano, alla morte di chi amavano.
Era la sola cosa che avevo capito, tra le pagine.
L’angelo tornò alla luna, o qualsiasi fosse il suo posto, senza lasciarmi un nome.
Cercala come se dovessi trovare te stesso.

 
  
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