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Autore: Colonnello    02/11/2011    1 recensioni
Diecimila anni dalla Fondazione di Roma (circa 3000 d.C.). L'Impero Romano domina su più della metà dell'Europa e dell'Asia e su tutto il Nuovo Continente... ma la sua egemonia sta per essere messa in discussione...
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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3 A costo di apparire come una persona che se la tira, dirò che sono fiera di questo capitolo. Non mi capita spesso di essere soddisfatta di ciò che scrivo, ma questa è una di quelle volte. Scrivere questo frammento della storia mi è talmente piaciuto che nel farlo ho persino trascurato qualche ora di studio (che dovrò ahimè recuperare!). Quando le idee ti saltano in testa, d'altro canto, bisogna al più presto metterle le iscritto, prima di perdere l'input. Se poi il professore che spiega parla talmente veloce che è impossibile carpire una parola, la mente è più invogliata alle distrazioni e a flussi di pensieri che esulano dal diritto, dalle leggi e dal Codice Napoleonico.
Insomma, questa settimana ero proprio in vena di scrivere e spero che il risultato finale sia equivalente al mio entusiasmo!

**********

Gli zappatori avevano scoperto che lungo una fascia di circa mezzo miglio sulla parte esterna del confine erano state rimosse le mine poste a protezione delle fondamenta del Vallo di Alasia. Ma non fu questa la notizia più allarmante che Corinno ricevette quel giorno. Il centurione degli zappatori, infatti, lo informò che quella non era la prima chiamata che ricevevano e che anche le altre corti di zappatori erano state chiamate giorni prima a verificare la presenza delle mine e, in più di un'occasione, a riposizionarle per tappare le falle. Inoltre, al praetorium del generale Valerio Massimo correva voce che i ronin stavano pianificando un nuovo assalto, qualcosa di grosso simile a quello dell'anno prima, ma che stavolta non avrebbero tentato la scalata. Di cosa si trattasse nello specifico, però, nessuno era ancora riuscito a chiarirlo.

-Forse tenteranno di far saltare il muro- diceva quella sera Sesto nel dormitorio, mentre consumavano il rancio- Di creare delle brecce per passarci attraverso in massa, magari in più punti.

-Spiegherebbe l'apertura di corridoi fra le mine nel bel mezzo della notte- concordò Giunio Attico, il più anziano dei tribuni che occupavano quel dormitorio- Sicuramente hanno voluto effettuare dei rilevamenti sulla struttura del Vallo, altrimenti avrebbero coperto le buche. Invece le hanno lasciate scoperte, sapendo che le avremmo riempite di nuovo. Cos'ha fatto il legato dopo che gli zappatori se ne sono andati?- chiese, rivolgendosi a Publio.

Questi ingoiò il boccone che aveva in bocca e bevve un sorso prima di rispondere.

-Ha voluto sapere chi era il tribuno di turno la notte scorsa per punirlo. Ma è inutile se la stessa cosa è accaduta ovunque- rispose- Quando però gli ho riferito della falla nel campo minato, è sbiancato di colpo... e ancora di più quando ha sentito le notizie dagli zappatori. È molto preoccupato, questo è certo, e se le voci che girano corrispondono a verità, ha tutte le ragioni per esserlo.

Attico annuì gravemente. L'anno prima era stato lì e aveva visto la fanatica determinazione, e anche il coraggio doveva ammetterlo, che i ronin avevano dimostrato nell'assaltare un'opera di fortificazione ritenuta inespugnabile. Le armi e le artiglierie del Vallo avevano dovuto consumare buona parte della riserva di munizioni e lasciare a terra diverse dozzine di cadaveri prima che i supersiti decidessero di mollare. E conoscendo la loro assurda mentalità, doveva essergli costato molto ammettere che la loro strategia era fallita, e c'era da scommettere che più di uno dei supersiti si fosse suicidato subito dopo per la vergogna.

-Che vengano pure avanti i musi gialli!- affermò Furio in tono sprezzante- Li stermineremo esattamente come l'anno scorso. Non sono che barbari incivilizzati, che non hanno rispetto di nulla... neanche della loro stessa vita!

-Io trovo la loro cultura assai affascinante- rispose distrattamente Publio- Hai mai provato a leggere i trattati sul Bushido? O qualcuno dei versi che scrivono prima di togliersi la vita? La loro accettazione della morte è ammirevole tanto quanto si dice del loro valore in battaglia!

-Stronzate, Scipione! Non sono altro che vaneggiamenti da filosofi che si atteggiano a guerrieri! È risaputo che oltre i confini romani non c'è altro che inciviltà!- ribatté Furio, prima di rivolgergli una smorfia carica di disprezzo e di consiscendenza- Mi sorprende che un nobile di antica schiatta come te parteggi per il nemico!

Publio si sentì ribollire di rabbia. Con Furio non era riuscito ad andare d'accordo fin dal giorno in cui l'aveva conosciuto, durante l'addestramento. Gaio Furio Olennio era uno di quei nobili arroganti e superbi, convinti che l'essere romani li equiparasse a divinità e che tutto ciò che non era romano andasse disprezzato eannientato, senza rendersi conto che parte della grandezza di Roma era dovuta alla capacità che avevano avuto i loro antenati di trarre il meglio da tutte le diverse culture con cui erano venuti a contatto. Ma a far infuriare Publio non era stato tanto il disprezzo di Furio verso una cultura che a suo parere aveva molto da insegnare ai romani, quanto l'accusa neanche troppo velata di essere un traditore. Suo padre aveva versato il suo sangue su quella terra, il fratello di sua madre era sepolto da qualche parte dietro il Vallo, e i suoi antenati avevano combattuto contro i nionici durante le guerre di conquista della Nova Terra. Se Roma era padrona di un nuovo intero continente, lo doveva anche al sacrificio e al sangue dei Giulii.

L'offesa era troppo grave per tollerarla e Publio scattò in piedi, stringendo i pugni. Anche Furio si alzò lentamente, sogghignando; non perdeva occasione per provocare Scipione, ma quello aveva una pazienza fuori dal comune e non era facile farlo cedere alla rabbia. Stavolta, però, sembrava esserci riuscito e nulla gli avrebbe dato maggior soddisfazione che riempire di pugni quello smidollato.

Insieme a loro due, però, si alzò anche Sesto.

-State buoni tutti e due!- disse, frapponendosi ad entrambi- Potremmo essere attaccati da un momento all'altro e vi volete scannare fra di voi?!- li rimproverò.

Sesto non era più anziano o più maturo di loro, ma da futuro retore aveva una notevole inclinazione diplomatica. Sia Publio che Furio si resero subito conto della stupidità del loro comportamento, soprattutto se della loro rissa ne fosse venuto a conoscenza il legato.

-Sono un nobile, sì! E fiero delle mie radici, anche!- affermò Publio con veemenza- Ma al contrario di te, manco dell'arroganza di ritenermi al di sopra di chi non è come che, siano i legionari sotto il mio comando, siano i nostri stessi nemici!

Così dicendo, si sedette e riprese a mangiare in silenzio, dando ad intendere che per lui l'argomento era chiuso. Furio non tentò di provocarlo ancora e non rispose. Si rivolse invece a Sesto, colpevole secondo lui di avergli portato via la soddisfazione di pestare a sangue il rivale.

-Sempre pronto a sputare sentenze e ad intrometterti negli affari altrui, eh, Cicerone da due assi!

Sesto non rispose e tornò a sedersi anche lui. La magra cena dei quattro ufficiali andò avanti in un'atmosfera carica di tensione.

Altrove, nel frattempo, non era più rilassato il legato della XXVIII Legione. Plauto Corinno sedeva in quel momento nel suo tablinum, al praetorium, e guardava fisso davanti a se, assorto nei propri cupi pensieri. Non aveva ancora mangiato e aveva anche saltato il rancio di mezzogiorno, ma le preoccupazioni da cui era afflitto in quel momento gli impedivano di percepire la fame, e anche la stanchezza.

Nel corso della giornata, dopo le rivelazioni che gli avevano fatto gli zappatori, aveva fatto molte telefonate e aveva ricevuto altre notizie preoccupanti dagli altri presidi sparsi lungo il confine e dai vari comandi di regione. Oltre alle falle nei campi minati, in più di un settore le sentinelle avevano notato movimenti sospetti nei territori al di là del confine. Si trattava indubbiamente di ronin, ma la cosa più preoccupante era che essi non manifestavano intenzioni ostili e sembravano piuttosto limitarsi ad osservare l'ostacolo ai loro desideri di guerra e di saccheggio, come se attendessero qualcosa. Gli unici attacchi erano stati solo quelli contro un paio di aerei da ricognizione che avevano solcato il cielo oltre il confine. Ma anche in quel caso, erano state sparate poche e sporadiche raffiche di armi da fuoco, volte più a infastidire gli avieri e a spingerli a tornare indietro, piuttosto che ad abbatterli.

Era  improbabile che attendessero le condizioni adatte ad un nuovo assalto. Negli ultimi giorni non vi erano state tormente di neve, il cielo era stato limpido e la visibilità ottima; il giorno durava poco in quel periodo dell'anno, ma questo non aveva mai costituito un problema per loro, nè per i romani oltretutto. Non erano stati individuati assembramenti di truppe, ma solo qualche piccola pattuglia. Se i ronin stavano pianificando un nuovo attacco in massa, evidentemente non avevano fretta, il che dava adito alla convinzione di Valerio Massimo secondo cui i ronin stavano attendendo che qualcosa si muovesse all'interno, che scoppiasse una rivolta che dirottasse altrove l'attenzione dei romani e lasciasse parzialmente sguarnito il confine. E da lì all'ipotizzare un'alleanza fra ronin e rivoltosi il passo era breve.

Ciò che però rendeva Corinno più teso e preoccupato era la mancanza di ordini, se non quello ricorrente di mantenere alta la sorveglianza e non lasciare alcuna falla scoperta lungo il confine. D'altro canto, che altro avrebbero potuto fare? Il loro compito era di sorvegliare il confine e impedire a chiunque avesse intenzioni ostili di entrare nel dominio di Roma. E i suoi uomini lavoravano già ai limiti della paranoia. Già da mesi regnava una certa tensione, e dopo quel giorno questa sarebbe certamente aumentata e la forzata immobilità l'avrebbe ulteriormente esasperata. Ma cosa poteva farci? Come avrebbe mai potuto rimediarvi?

Corinno si pose quelle domande mentre si alzava dal tavolo e prendeva a girare distrattamente nella stanza. Nonostante fosse il comandante della legione assegnata a quel presidio, non godeva di condizioni di vita diverse da quelle degli altri legionari. Certo, aveva una stanza tutta per se, ma questa era piccola e scarsamente arredata. Il letto, piccolo, stretto e duro, si trovava accanto alla scrivania; nell'angolo opposto l'arca personale, sulla cui superficie lui aveva fatto sistemare un piccolo fornello a vapore per il bollitore del kave; una piccola nicchia sopra il letto gli serviva per appoggiarci pochi oggetti personali, fra cui la pistola. Il suo mondo era ridotto a quei ristretti confini; per lavarsi doveva fare la fila ai bagni comuni, insieme agli altri legionari, e mangiava il loro stesso rancio, che un servo personale provvedeva a portargli dalle cucine. In pratica, usciva solo quando veniva chiamato espressamente da qualche parte, com'era successo quel giorno.

Si avvicinò alla mappa olografica proiettata su una delle pareti. Riproduceva nei dettagli l'organizzazione del presidio di sua competenza, con la disposizione delle varie coorti e degli osservatori e delle postazioni difensive. Tornato lì dopo aver salutato gli zappatori, aveva preso il lapis elettronico e aveva evidenziato la fascia di mezzo miglio dove le mine erano state rimosse. Osservandola attentamente, si era reso subito conto che si trattava di un settore cruciale del settore di confine sotto la sua competenza. In quella zona, infatti, la linea fortificata interrompeva parte della sua continuità a causa della presenza di una falla nel terreno, una breccia naturale sulla quale gli inegneri romani, capaci di costruire intere città a più piani sopraelevati o sottoterra, non erano stati in grado di porre le necessarie fondamenta. La breccia era quindi attraversata da un ponte coperto che collegava i due tronconi del muro, ed era presidiata da postazioni meno fortificate e più esposte rispetto alle altre.

Aveva senso che i ronin pianificassero un attacco contro il presidio immediatamente adiacente a quella spaccatura. Se fossero riusciti a prenderne il controllo, sarebbero stati in grado di allargare la breccia e di infiltrare le loro truppe attraverso di essa praticamente indisturbate. Dall'altra parte dell'insenatura iniziava il presidio di competenza di Appio Sempronio, e Corinno lo aveva già chiamato per mettersi d'accordo con lui per un'ulteriore rafforzamento delle posizioni in mezzo a loro.

Forse però, pensò Corinno mentre osservava assorto la sua mappa, c'era qualcos'altro che poteva fare. Mentre l'idea prendeva forma nella sua testa, parte della tensione che lo aveva tormentato durante il giorno cominciò a scemare. Non sarebbe servita a sviare il pericolo, ma di sicuro gli avrebbe consentito di affrontarlo con maggiore consapevolezza nel momento in cui fosse divenuto reale. Presa la decisione si sentì improvvisamente più tranquillo, e fu allora che percepì distintamente il buco che gli tormentava lo stomaco.

Sarà meglio che mangi qualcosa, pensò, Prima di mettermi al lavoro.

Mandò il servo, che alloggiava nel cubicolo accanto, a prendergli il rancio e attese il suo ritorno scaldando una tazza di kave nel bollitore e sorseggiando la bevanda scura e calda mentre rifletteva sui dettagli, sempre davanti alla mappa olografica. Quando il servo tornò con il rancio, lo divorò nel giro di pochi minuti, dopodiché, finalmente rifocillato, si sedette alla scrivania e tramite l'interfono chiamò gli addetti alle trasmissioni interne.

-Parla il comandante! Convocate immediatamente nel mio alloggio i tribuni Balbo e Scipione!- ordinò.

Un attimo dopo, gli altoparlanti sparsi in tutti gli avamposti, i dormitori, i locali e i corridoi del presidio mandarono l'annuncio affinché i destinatari potessero sentirlo ovunque si trovassero. Era già abbastanza tardi e nei dormitori chi non era di turno stava già andando a dormire. Publio e Sesto furono così costretti a rivestirsi e ad abbandonare in tutta fretta la stanza per raggiungere l'alloggio/tablinum del legato.

-Perdonatemi per avervi tirati giù dal letto- si scusò Corinno- Prendete pure una tazza di kave e sedetevi.

I due giovani tribuni accettarono l'invito e si sedettero di fronte al loro comandante.

-Per donami siete dispensati dal servizio normale- annunciò questi- Ma ho bisogno che portiate a termine una missione di una certa importanza... fuori dai confini. Ve la sentite?

Publio e Sesto si scambiarono un'occhiata mista di stupore e preoccupazione. L'idea di avventurarsi fuori dai confini dell'Impero sarebbe sembrata ardita e pericolosa anche in assenza del rischio assai alto di imbattersi in una banda di ronin. Ma se le voci che giravano erano vere, là fuori rischiavano di incontrare un intero esercito di mercenari nionici che non si sarebbero lasciati certo sfuggire l'occasione di aggiungere le teste di due incauti romani alla loro collezione di trofei. Eppure, nè Publio nè Sesto pensarono per un solo istante di rifiutare la richiesta di Corinno. L'orgoglio e la disciplina militare ormai inculcata dentro di loro glielo impedivano. Inoltre, erano entrambi curiosi di conoscere il motivo per cui il legato intendeva mandarli là fuori.

Annuirono entrambi. Corinno ne parve soddisfatto.

-Benissimo!- disse- In circostanze normali vi avrei concesso la scorta di un manipolo, ma data la situazione attuale è più sicuro che vadano solo due uomini. Darete meno nell'occhio e, nel malaugurato caso in cui doveste essere scoperti, vi sarebbe più facile defilarvi.

Era un'affermazione discutibile, ma sarebbe stato inutile farlo.

-Cosa dobbiamo fare?- chiese Sesto.

Corinno si alzò e usò la penna elettronica per indicare un punto sulla mappa olografica, diverse miglia oltre il confine romano.

-Da queste parti dovrebbe trovarsi un insediamento invernale degli aleutini- spiegò- Una piccola tribù pacifica, dedita a pratiche primitive come la caccia e la pesca, che non ha mai dato problemi a noi romani. Nessuno meglio di loro conosce la regione, per cui se qualcosa si sta realmente muovendo là fuori, loro saranno stati i primi a saperlo.

-Volete che prendiamo informazioni?- chiese intuitivamente Publio.

-Proprio così, Scipione. Voglio sapere cosa ci attende per il futuro e voglio saperlo al più presto! Partirete domani dopo il sorgere del sole. Inutile che vi dica che in questa stagione avrete solo poche ore di luce a disposizione. Cercate di tornare prima che faccia buio.

-Ad ogni buon conto, ci porteremo comunque dietro la tenda e l'occorrente per un bivacco- disse Publio, rivolgendosi a Sesto, che annuì.

-C'è la possibilità di incontrare difficoltà nel trattare con questi indigeni?- chiese Sesto- Se i ronin sono là fuori, potrebbero averli minacciati o aver occupato il villaggio.

-È improbabile- rispose Corinno- I ronin non amano mischiarsi a gente che considerano barbari o inferiori. Inoltre, gli aleutini sono un popolo pacifico e poco incline a schierarsi in una guerra che non li riguarda. Non dovrebbero avere problemi a darvi delle informazioni, proprio come non ne avrebbero a darne ai ronin... per questo è essenziale che torniate qui il prima possibile non appena portata a termine la missione.

Publio e Sesto annuirono. Detta così, sembrava una missione semplice, niente di più che una scarpinata nella steppa innevata. Nessuno però poteva prevedere che cosa avrebbero trovato una volta là fuori.

Publio lanciò una breve occhiata a Sesto e riconobbe la decisione nei suoi occhi. Tornò a rivolgersi al legato e rispose per entrambi.

-Accettiamo la missione!

***********

Evvai! Finalmente si comincia ad entrare nel vivo della storia! Purtroppo, però, trascorrerà un po' di tempo prima che inizi a scrivere il prossimo capitolo. Questo finesettimana ho uno stage di karatefuori Palermo, e inoltre sto preparando un esame per fine Novembre, quindi dovrete (e dovrò) avere pazienza. Nel frattempo, chiunque voglia lasciarmi un commento, una critica o farmi qualche domanda è il benvenuto. Io controllo facebook, l'e-mail e l'account qui su EFP regolarmente e più di una volta al giorno, quindi tranne che per questo week-end non tarderei più di tanto a rispondere!
Un paio di precisazioni. Nel capitolo ci sono un paio di commenti denigratori nei confronti della civiltà giapponese. Non corrispondono alle mie idee. Come il protagonista, Publio, trovo la civiltà e la cultura giapponesi estremamente affascinanti e penso che i romani meno intransigenti e meno "nazionalisti" avrebbero saputo apprezzarla se avessero avuto l'occasione di entrarvi a contatto.
Secondo chiarimento. Da qualche parte ho citato un
fornello a vapore. Con questo non è da intendersi un fornello realmente a vapore, ma a gas, che in latino si diceva vapor. La parola gas è di origine belga e può essere ricollegata al greco, ma in maniera troppo tortuosa.
  
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