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Autore: Emi Nunmul    27/12/2011    1 recensioni
Gli incubi che infestano le mie notti, sono indicibili. Non sono posseduta, non scappo da un efferato omicida, e non devo far fronte a scene troppo cruente. Cruente a tal punto da farti vomitare le viscere.
Semplicemente, muoio.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione a questa raccolta.



 

 

 

· Regret


«Se le fa male, deve solo stringere i denti, signorina.»
Fa male. Diamine se fa male. Però, ad essere sincera, fino ad ora è la ferita che brucia di meno.
Non vedo l’ora di poter uscire di qui ed aspettare che questo tatuaggio guarisca. È piccolo piccolo, sulla caviglia, ed è semplicissimo, senza fronzoli inutili. Porta il tuo nome, ma immagino tu non lo sappia.


«Se le fa male, deve solo stringere i denti, signorina. Ma è solo un pizzico; non dura nulla.»
Uno, due… cinque fori all’orecchio destro, tutti in una volta. Feci i piercing come i tuoi, ma immagino tu non lo sappia.

«Quale desidera, signorina?»
«Questo qui con la croce, ed anche quella collana, con il teschio al centro.»
Iniziai ad indossare dei gioielli che avevano un peso immane, per me, perché erano gli stessi che portavi tu.

«Sei sicura di volerlo comprare nero? Non sarà troppo appariscente?»
«Lo metterò fuori casa, quando mia madre non mi può vedere.»
E misi un rossetto come il tuo, tracciando le stesse linee.

«Di che colore?»
«Neri… e rossi.»
Tinsi i capelli come i tuoi.

Portai una felpa come la tua, cercai il tuo stesso smalto argentato, i tuoi idoli, i tuoi modi di fare ed i tuoi pensieri divennero i miei. Le mie lacrime diventarono simili alle tue, quando gridai il tuo nome al centro della mia stanza buia.

Ora il tuo nome è sulla mia pelle. Ci penserà quell’inchiostro, a mantenere per sempre il legame a senso unico che ci lega. Ti tengo stretto, e tengo strette le tue parole.
Come se fossi di due colori, come se fossi fatta di chiaro avorio e scura ossidiana, spero di poter diventare di un’unica tinta, tenendoti la mano, un giorno.
Non sapendolo, non volendolo, abbiamo camminato insieme.


Quando mi guardai allo specchio, dopo essere tornata dallo studio del tatuatore, riconobbi un timido camaleonte che si era tinto dei tuoi colori.
Perdendo la calma, lasciandola scivolare dalle dita, feci finta di raccogliere le tue lacrime.

Un giorno, però, tenendo strette le tue mani –una ossidiana, l’altra avorio-, mi sentii in qualche modo libera. Diventammo completamente neri, ricoperti da un qualche assurdo tipo di pittura. In qualche modo mi sembrava d’esser nuda, in modo che tu potessi vedere tutto ciò che avevo fatto in modo da ricordarti.
Quanta pena! Avrei potuto ridere di me stessa.

Tornando a gridare il tuo nome, ad inciderlo, stringendo una felpa senza alcun valore, realizzai che i sogni sono eternamente sogni, e sono pervasi da una mortale serenità.
   
 
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