“E
quindi adesso cosa
facciamo?”
“Non usare quel tono da “fine
del mondo”.
Così sembriamo delle disperate”
Puntualizzò Tayuya.
“Tecnicamente
siamo
disperate.” Sussurrò Karin. Tayuya le rispose con
un’occhiata seccata e aprì
uno scatolone infilando alcuni indumenti piegati prima.
“Okay…
okay… allora qual è il
piano?” ruppe di nuovo il ghiaccio Karin.
Tayuya era inginocchiata vicino a lei a riempire uno degli scatoloni
con alcuni
abiti.
Karin,
si rosicchiava le
unghie appoggiata ad una pila di scatoloni.
Il minuscolo appartamento sembrava un palazzo di cartone e di nastro
adesivo.
Circondato da un mare di intonaco verde-limone che con gli anni e la
sporcizia
adesso assomigliava di più ad un denso verde
vomito, come Karin usava definirlo.
“Beh, pensavo che per un po’ possiamo stare dal mio
ragazzo.” Disse Tayuya a
mezzavoce.
Karin assunse un espressione sinceramente disgustata.
“Ma io non voglio stare a casa di quel viscido. Giuro che
divento matta. E poi
Tay, ho trovato un ingaggio questo finesettimana. E’ per una
festa. Mi pagano
bene.”
Tayuya sospirò e finì di piegare qualche abito da
mettere nello scatolone.
“Il padrone di casa è stato chiaro, sorellina. Ha
già stipulato un contratto di
affitto con due nuovi inquilini a quanto pare. Quindi, dobbiamo
andarcene. E poi
Sakon è stato davvero carino. Mi ha aiutata a
smontare parecchi
mobili. Grazie a lui mi manca pochissimo lavoro da fare!” Sussurrò
rassegnata Tayuya.
“E’ stato davvero carino!
Mi ha aiutata a
smontare parecchi mobili!” le fece il verso Karin
esagerando e rendendo il
tono di voce pateticamente smielato.
“Beh,
almeno lui aiuta sai?
Francamente non è che mi diverta a giocare alla
traslocatrice.”
“Tu hai trovato un nuovo lavoro?” chiese Karin,
cercando di cambiare argomento,
dato che non le andava di dare una mano, o meglio si sentiva troppo
incazzata
con il mondo per rendersi utile.
“Oggi
sono andata un po’ in
giro. Qualcosa ho trovato, ma molti hanno periodi di prova molto
lunghi, il che
significa restare anche più di una settimana senza un soldo.
Però…”
“Però?”
Tayuya prima di rispondere staccò con i denti un pezzo di
nastro adesivo per
pacchi.
“Ho trovato intanto un part-time anche per la mattina. Li il
periodo di prova
durerà solo 2 giorni e la paga non è altissima,
ma almeno decorosa. Penso che
comunque trovero anche qualcos’altro. Staremo solo un
po’ dal mio ragazzo. Solo
qualche settimana. Il tempo di trovare una nuova casa. Senza orribile
intonaco
verde-vomito. Promesso. Mi passi quel pennarello?”
Karin sorrise e raccolse un pennarello nero indelebile, appoggiato a
uno
scatolone vicino. Adorava Tayuya. Odiava quel cretino del suo ragazzo,
si. Lo
trovava un coglione smidollato, le sarebbe piaciuto prenderlo a calci
nelle
gengive, le creava un nervosismo inaudito e inoltre era un fottuto
perdente.
Ma
non sarebbe mai riuscita a
smettere di voler bene a sua sorella.
“Vai da Hinata, oggi?” chiesta Tayuya mentre
scriveva in stampatello sullo
scatolone VESTITI ESTIVI. “Tanto ho praticamente finito. Non
ho bisogno di
altro aiuto.” Continò finendo di usare il
pennarello.
Sebbene fosse sollevata al pensiero di non dover far nulla, il sorriso
di Karin
si spense all’istante.
“No, oggi no. Sono distrutta e… voglio solo andare a dormire.”
Tayuya stette in silenzio per qualche momento, pensosa e Karin si
diresse in
camera sua.
“Karin non ent-“
“TAYUYA DOVE DIAMINE HAI MESSO IL MIO LETTO?!”
“…Ehm ho già imballato le tue
cose”
“Tay!”
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“Ah, ben tornato Neji.”
“Grazie Hinata.”
Hinata
dopo aver fatto un
breve inchino, sempre aggraziato, andò nella sala del
tè, seguita dal cugino.
“Cosa preferisci?” disse Hinata piano.
“A dire il vero, ora che ci penso non mi va nulla,
grazie.”
“Oh” Hinata smise di ordinare il set da
tè.
“I ragazzi mi hanno invitato ad uscire questo pomeriggio.
Sicura di voler
restar da sola in casa? Perché non esci con quella
ragazza…”
“Karin?
Oh… l’ho chiamata
poco fa, ma ha il cellulare spento.”
A dire il vero Hinata era parecchio turbata. Aveva veramente provato a
contattare l’amica ma l’unica risposta che aveva
ricevuto era stata quella
della fredda voce metallica della segreteria telefonica. Karin aveva
qualcosa
di strano. Hinata sapeva bene anche che l’amica era una
ragazza che non
esternava i problemi e tendeva a tenersi tutto dentro. Era una cosa che
aveva
imparato quasi subito da Kay. Ma il fatto che non le rispondesse al
telefono la
preoccupava ancora di più. Aveva visto l’annuncio
affisso all’ingresso della
scuola, aveva riconosciuto facilmente la vecchia amata cinepresa di
Karin.
Doveva essere successo qualcosa di importante. Karin non avrebbe mai
venduto
quell’oggetto senza una ragione precisa.
Neji stava controllando qualche messaggio e Hinata era lì
ferma in mezzo alla
stanza. Nella confusione della giornata si era dimenticata di avere fra
le mani
il numero di Naruto, più prezioso di un diamante.
“Allora esco.” Disse Neji, con il tono
contraddistinto dalla solita
inespressività disarmante.
“Abbi cura di te.”
Hinata si sentiva sempre un po’ ridicola a dirlo, ma non poteva farci
niente.
Era
nella sua indole
preoccuparsi per gli altri e soffrire per loro.
A
differenza di Karin però
non riusciva a migliorare veramente le cose. Era passiva in ogni
situazione,
pur essendo emotivamente coinvolta. La contraddistingueva una
fragilità
inaudita e una delicatezza spaventosa, ma non riusciva ad imporsi e
subiva ogni
tipo di angheria.
Non riusciva ad trovare il coraggio per chiamare Naruto. Non riusciva a
trovare
il coraggio per andare da Karin. Non riusciva a trovare il coraggio per
difendersi da persone prepotenti. La gente non la considerava. Era come
se
fosse invisibile. Hinata era la ragazza strana della IIIC, la cugina di
Hyuga,
la tizia amica di Izumi.
Ma non era mai Hinata. Neji non le avrebbe mai chiesto se voleva uscire
anche
lei. Naruto non l’avrebbe mai notata veramente. E Karin aveva
sicuramente cose
più importanti a cui pensare, invece che ad una stupida
piagnucolona. In quel
momento, Hinata provò un profondo disprezzo verso se stessa,
verso la sua
debolezza e verso la sua incapacità di prendere in mano la
situazione e di
dimostrarsi forte.
Aspettò solo che il cugino chiudesse la porta di casa per
accucciarsi sul
pavimento di marmo, rimanere in silenzio e sentirsi più sola
di quanto si fosse
mai sentita.
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Dopo
gli ultimi colpi di
phon, Sakura ammirò la splendida acconciatura, risultato
della sapiente mano di
un esperto.
“Quando, la cara
Ino mi ha chiamata disperata dicendo
che era un’emergenza ho cancellato il mio volo per Londra. Ma
cara Sakura, come
hai fatto a conciarti così?”
“Ehm, problemino con alcune persone”
arrossì Sakura.
“Che barbarie. I capelli sono sacri… sono
l’essenza di una persona!” Protestò
indignato Roberto. Roberto non si definiva semplicemente
“parrucchiere”, ma Artista
(con la A maiuscola). Ed effettivamente era fenomenale. Inutile dire
che era
più gay di Elton John.
Il suo salone era recensito dalle riviste di moda più
prestigiose e vi era una
lista d’attesa kilometrica per farsi fare
un’acconciatura da lui. Ma con le
amicizie giuste…
“Grazie
mille Roberto. Hai
fatto davvero uno splendido lavoro.” Disse Sakura tirando
fuori dal suo portafoglio
una carta di credito.
“Prego tesoro. E se proprio devo essere sincero sei
semplicemente incantevole
con i capelli corti.”
Sakura
sorrise accarezzandosi
una ciocca. Si diede un leggero sguardo nello specchio del salone.
Diamine,
era davvero uno
schianto. Oltre al nuovo taglio di capelli, indossava un completo
stupendo di
Armani che aveva comprato il giorno prima. Il trucco era perfetto e
aveva colto
l’occasione di farsi anche la manicure. Finito
il pagamento, Roberto le riconsegnò la
carta di credito.
“Grazie tesoro e mi raccomando, se succede qualcosa
chiamami!”
“Certo.
E grazie a te.”
Sakura
uscì dal salone. Dalla
sua pochette iniziò a vibrare e suonare il cellulare.
“Ciao
Saku, sono io!” la voce
di Ino rallegrò ancora di più Sakura.
“Ino! Dove sei?” rispose.
“Mi trovo al Complex. Mi raggiungi?”
Il Complex era un bar aperto da poco, un po’ in periferia e
vicino alla
spiaggia, che però vantava una gran popolarità
fra i giovani del luogo. Certo,
non era un locale neanche paragonabile al Red, al Juice o al Room
però si
difendeva bene ed era un’alternativa accattivante,
perché si poteva fare il
bagno in una Jacuzzi serviti da camerieri bellissimi o godere
semplicemente
della vista spettacolare e buona musica dal vivo. Ovviamente tutto
questo era
riservato a persone che potevano permettersi di spendere. E tanto.
Sakura sorrise. La giornata non sarebbe potuta andare meglio. Era
stupenda con
il nuovo taglio, il completo Armani era favoloso e un sorriso le
illuminava il
volto. Il Complex era la ciliegina sulla torta. E poi doveva
assolutamente
mostrare a tutti il nuovo taglio.
“Dammi 5 minuti, prendo un Taxi e ti raggiungo.”
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“Non
gli bastava trasferirci
tutti da Trottolinoamorosodududadadà, ha inscatolato pure la
mia stanza!”
Brontolando
Karin uscì
dall’appartamento, dalla porta sul retro. Sakon, il ragazzo
di Tay, aveva
suonato il campanello e Karin ne aveva abbastanza di sfigati, quindi
non
potendo riposare, dato che il suo letto era stato smontato per il
trasloco,
decise di farsi un giro. Scese velocemente le scalette malandate e
percorse il
vicolo deserto. Mentre la sua testa era pervasa da pensieri sgradevoli
che
avrebbero potuto istigare una normale teenager al suicidio
cercò di
concentrarsi sull’unico pensiero meno disperato ovvero la
festa di sabato.
Sinceramente non le piacevano le feste, tutta la confusione, musica
scadente a
palla, ubriachi che vomitano in mezzo alla pista… diciamo
che per Karin non c’era
poi così tanto divertimento.
L’ideale
di divertimento di
Karin consisteva nel lavorare su un video o su una pizza e una birra o
sullo
sfottere i tamarri di Jersey Shore sul divano con Tayuya e una
copertina.
Qualche
volta era stata
invitata ad una festa, ma non si era mai divertita molto, anzi per
nulla e
aveva passato tutte le serate a desiderare che Tayuya arrivasse prima
del
solito, cosa che non accadeva praticamente mai, dato che sua sorella
era
costantemente in ritardo, un po’ per colpa del lavoro, un
po’ perché la
puntualità non era proprio il suo forte.
Così,
aveva smesso anche di
accettare i pochi inviti che le rimanevano. E questo sabato, avrebbe
avuto di
nuovo una festa. Però stavolta nessuno l’avrebbe
infastidita e avrebbe
guadagnato qualcosa. Quindi non sembrava così male.
Un altro pensiero positivo era il concerto degli Akatsuki. Per un
momento
raggiunse l’estasi pensando di poter finalmente ascoltarli
dal vivo e cantare a
squarciagola le loro canzoni al concerto. Ma si ricordò che
i biglietti li
aveva solo Hinata e doveva andarci con lei. E il pensiero positivo
svanì all’improvviso.
Uscita dal lungo vicolo entrò in una via principale e
iniziò a farsi strada fra
i passanti e i turisti sul marciapiede.
Vide
per un attimo Haruno che
prendeva un taxi e fu tentata di farle un cenno di saluto, visto quello
che era
successo nella giornata, ma rimase immobile. E forse era meglio
così, dato che
anche se quel giorno erano accaduti vari eventi, questo non voleva dire
che
fossero diventate già amichette del cuore.
Inoltre Karin osservò Sakura, perfetta in ogni dettaglio e
iniziò a provare una
sottile vergogna per le sue unghie rosicchiate, i capelli spettinati ed
anche i
suoi pantaloni preferiti le sembrarono roba da grandi magazzini.
Pensò che
comunque non valeva la pena entrare nel mondo di Haruno e delle altre,
perché
Karin apparteneva a tutt’altro mondo e anche se avesse voluto
fare parte di
quel gruppetto di ragazze dai vestiti firmati e senza grandi ideali, il loro mondo era troppo
costoso.
Girandosi
affrettò
velocemente il passo, un
po’ più
amareggiata di prima e incazzata con il mondo come sempre. E solo la
vista di
una misteriosa Volvo nera riuscì a distoglierle dalla mente
ogni pensiero.
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Sakura
scese dal taxi dopo
aver pagato la tariffa del viaggio, stando ben attenta a non sgualcire
troppo
il vestito. Davanti a lei c’era una pedana di legno
posizionata proprio sulla
spiaggia, che andava rialzandosi gradualmente e ai lati di questa
pedana delle
palme. Il Complex si trovava alla fine della pedana, in posizione
rialzata. Il
fatto che il locale fosse in alto, valorizzava il tutto,
perché vantava davvero
di una vista a dir poco splendida.
Sakura risalì la pedana con calma. Le piaceva molto la
spiaggia. L’aria era
tiepida ma non ancora afosa e vi era una leggerissima e piacevolissima
brezza
marina. Fra poco sarebbe proprio iniziata l’estate.
Arrivata nel locale, la ragazza cercò con lo sguardo Ino,
quando fu richiamata
da quest’ultima.
“Sakura! Siamo qui” urlò Ino agitando un
braccio.
Sakura notò che non c’era solo la biondissima Ino,
ma anche Ten Ten e Tsugumi,
una delle compagne di classe.
A passo veloce raggiunse il loro tavolo, sfoderando un sorriso radioso.
“Che
schianto, Saku!” disse
ammirata Ten Ten.
Sakura
arrossì lievemente e
sorrise, fingendo una certa modestia, sebbene perfettamente consapevole
di
essere davvero favolosa.
“Roberto ha compiuto un capolavoro!” sorrise Ino.
“Davvero, ti stanno
benissimo! Che invidia… io non sto bene con i capelli corti,
ma a te donano
molto.”
Sakura fece una piroetta, come una bambina che voleva mostrare il nuovo
vestitino a suo padre.
“Grazie ragazze!” disse Sakura sorridendo e
prendendo posto a sedere.
Un cameriere dal fisico scultoreo si avvicinò al tavolo e
chiese a Sakura
l’ordinazione. Sakura optò per un succo di
pompelmo, mentre le altre avevano
già indicato la loro consumazione.
Anche le altre erano molto carine. Ten Ten portava i capelli legati in
una
morbida coda e indossava un Gucci nuovissimo che le metteva in risalto
le gambe
kilometriche, mentre Ino era una dea nel suo Versace, con i capelli
lunghi
sciolti e biondissimi. Tsugumi sedeva in silenzio intenta a sfogliare
una
rivista.
“Kin verrà espulsa?” chiese la mora,
sorseggiando la sua acqua tonica.
“Non lo so” ammise Sakura amareggiata
“Però la preside non era propensa a fare
finta di nulla. Spero almeno sia stata sospesa, sarebbe il minimo per
quello
che ha fatto a Hinata”
“Hinata? Che c’entra lei?” chiese Ino
incuriosita.
“Quella è buona solo a frignare.”
Sussurrò Tsugumi malignamente. “Alla fine
quella che ci ha rimesso è stata Saku.”
Sakura
iniziò a trovarsi a
disagio. Avrebbe
voluto urlare che in
realtà Hinata non era una frignona e che si era fatta
realmente male. Ma tutte
quelle attenzioni, i capelli perfetti, quel cameriere carino che le
aveva
sorriso, il completo nuovo… perché rovinare una
bella giornata con un litigio?
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“Aaaaaaaaah
che palle, ho
perso di nuovo!” protestò Kiba, agitando il
joystick.
“Scusa, ma non concedo rivincite” rise Suigetsu,
alzandosi dal divano e
spegnendo la console.
Kiba gli lanciò il suo joystick che Suigetsu prese al volo.
“Ehy Hozuki, non mi offri niente?”
“Mi
perdoni signor Inuzuka,
ma ho solo birra.” Disse Suigetsu ostentando un accento
inglese da vecchio
maggiordomo.
“Sarà sufficiente, per questa volta”
rispose Kiba con un tono snob
Suigetsu
si diresse verso il
frigo e tirò fuori due bottiglie. Una la lanciò
all’amico.
“Scusa, ma la domestica ha avuto un problema oggi e non ha
potuto fare la
spesa.” Sospirò Hozuki.
“Tanto volevo una birra.” disse Kiba buttandosi di
nuovo a peso morto sul
divano.
I
ragazzi stettero in
silenzio per un attimo.
“Piuttosto
mi vuoi dire
perché hai cambiato posto in classe?”
Suigetsu trovò una scusa. “Beh, i miei genitori
stanno mandando un precettore
per testare la mia preparazione e se non so niente, i vecchi mi tolgono
i
viveri.”
“Che palle. Adesso ti toccherà ascoltare quella
checca in paranoia del
professor Kabuto.”
Suigetsu stappo la sua bottiglia e iniziò a sorseggiare la
sua birra
ghiacciata.
“Hai anche davanti quella pazza di Izumi!”
A Suigetsu andò di traverso un sorso.
“Però la sua compagna di banco, Hinata,
è molto carina” continuò Kiba, che si
era interrotto per bere un po’ di birra. Suigetsu
sgranò gli occhi: d’altro
canto non avrebbe mai potuto immaginare che il suo amico si fosse
potuto
prendere una sbandata per una ragazza così timida e
riservata come Hyuga.
Inoltre non era sicuro che Neji, cugino di Hinata Hyuga, l’avrebbe presa
bene.
Kiba si accorse del danno, diventando immediatamente paonazzo.
“Hozuki, non metterti in testa di combinare casini o sei m
o r t o.”
sibilò il moro, accentuando la parola morto.
Kiba
era quel tipo di ragazzo
non troppo sveglio, un po’ spaccone con gli adulti. In genere
però era un tipo
abbastanza pacifico e nonostante l’aspetto arrogante,
riusciva ad avere una
discreta folla di ammiratrici. Amava la natura, tanto da aderire a
diverse
associazioni ed aveva un cane, Hakamaru al quale era molto legato fin
da quando
era un bambino. I suoi genitori erano gente famosa. Il padre era un
noto
presentatore televisivo, che negli ultimi tempi aveva riscosso molta
popolarità
grazie ad un nuovo gioco a premi, mentre la madre era direttrice di una
catena
di alberghi di lusso sparsi nel continente. Ma nonostante la sua
fortuna
economica e sociale, Kiba non amava ostentare tutto ciò.
Inoltre non dava segno
di impazzire per la vita notturna. Preferiva praticare sport
all’aperto oppure,
come in quel pomeriggio, giocare alla playstation.
Insomma,
nonostante
l’atteggiamento un po’ vivace non era cattivo.
Però era fortissimo e nelle
risse riusciva spesso ad avere la meglio, quindi non era auspicabile
farlo
arrabbiare.
“Ho
afferrato il concetto.”
Annuì Suigetsu.
Kiba riprese il suo colorito abituale.
“Ah comunque la sai la novità?” riprese
“Quale sarebbe?”
“Credo che Izumi si sia presa una cotta per
Uzumaki”
Suigetsu cercò di accennare un sorriso beffardo, ma il
sorriso si trasformò in
una smorfia. Rimase semplicemente in silenzio. Izumi e Naruto? Per
favore.
Avrebbero potuto vincere il premio di coppia più mal
assortita dell’anno. Non
poteva essere vero e poi a Naruto non piaceva lei, no?
Si girò di colpo, perché il sorriso si era
trasformato presto in una smorfia e
la rabbia lo aveva invaso come un fiume in piena. Sicuramente Naruto
avrebbe
solo giocato con Karin. A lui, lei non interessava, ci avrebbe
scommesso
qualunque cosa. Naruto non la meritava quanto lui, anche se Karin era
una
strega.
“Amico, tutto bene?” iniziò ad
allarmarsi Kiba.
“Pensavo che se magari Izumi si avvicinasse ad Uzumaki,
magari potrei chiederle
di Hyuga...” continuò il ragazzo
Suigetsu annuì, stringendo i pugni.
“Senti, invita gli altri. Cosi facciamo una bella
chiacchierata.” Sibilo poi.
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Karin,
agitatissima, si
sbracciò per chiamare un taxi.
L’autista accostò vicino a lei, aprendo le
portiere e con aria pacata le
domandò:
“Dove vorrebbe andare signorina?”
Karin si catapultò nel veicolo, chiudendo velocemente le
portiere e disse la
frase che tutti noi vorremmo dire almeno una volta.
“SEGUA QUELLA MACCHINA.”
L’autista si guardò intorno e notò la
Volvo nera, fortunatamente ancora nelle
vicinanze grazie al semaforo che l’aveva bloccata.
Karin ovviamente era consapevole che il mondo era sicuramente pieno
zeppo di
Volvo nere e sicuramente in città non esisteva un'unica
Volvo nera, ma quando
l’auto le era passata accanto, aveva avuto una sensazione
spiacevole e
stranissima.
L’uomo non fece domande e seguì l’auto.
Alla radio c’era uno degli ultimi singoli
degli Akatsuki. Karin sospirò chiedendosi perchè
la cattiva sorte la adorasse e
la perseguitasse senza darle tregua.
E proprio nel bel mezzo dei pensieri deprimenti, si accorse che un
altro
problema, non proprio tralasciabile incombeva su di lei. Se ne accorse
quando
vide il contatore del taxi e si ricordò di avere in tasca
solo qualche
spicciolo. Oh no. Oh no.
Karin cominciò ad agitarsi molto. Era squattrinata si, ma
non una pezzente e
non le andava di essere vista come una delinquente perché
non lo era. Lei e
Tayuya erano persone oneste e avevano fatto molti sacrifici, ma mai
avevano
commesso scelleratezze. Le mani della ragazza non smettevano di
tremare.
Ad un certo punto l’auto parcheggiò e il taxi
accostò.
L’auto sospetta si era fermata davanti ad un complesso
residenziale molto
raffinato. Karin si accorse di essere nei quartieri alti e si
sentì ancora più
a disagio.
“Signorina, l’auto nera si è
fermata” riprese l’uomo con il solito tono di voce
estremamente pacato.
Dall’auto uscì un volto fin troppo famigliare e
Karin spalancò gli occhi per la
sorpresa. Gaara, un suo compagno di classe, con cui non era in
confidenza e non
avrebbe mai voluto avere a che fare, usciva dall’auto
inforcando i suoi
occhiali da sole. Il corpo le si irrigidì per lo shock,
quando notò
un’ammaccatura alla carrozzeria.
“Se vuole, posso aspettarla qui.”
Continuò l’uomo con voce pacata
Karin non rispose e uscì dalla vettura dirigendosi verso
l’entrata del palazzo,
facendo uno scatto per entrare prima che il cancello si chiudesse
dietro di lei.
Gaara non sembrava essersi accorto di nulla, merito forse degli
auricolari
dell’i-pod. Karin si stava sentendo proprio una persona
orribile, una stalker,
però il misto di rabbia furiosa e curiosità
aumentò la voglia di fare chiarezza
sulla Volvo e il suo ginocchio malandato.
Per far capire al tassista che sarebbe ritornata, anche senza soldi,
Karin fece
un cenno al tassista dalla ringhiera della recinzione.
L’autista rispose con un
cenno.
Gaara entrò nel androne del palazzo e salì le
scale, ancora ignaro della
presenza della rossa, che stava sempre a qualche rampa di distanza,
muovendosi
furtivamente senza produrre alcun suono.
Ad un certo punto il ragazzo si fermò ad un pianerottolo,
suonando il
campanello e Karin si acquattò sul freddo e lucidissimo
marmo bianco delle
scale. Dopo pochi secondi una voce familiare:
“Arrivo!”
Karin
si irrigidì ancora di
più. Era Kiba Inuzuka, era sicuramente lui.
Era proprio a casa di Inuzuka! Accidenti, adesso era doppiamente nei
guai.
Alla
porta aprì proprio Kiba
che fece entrare subito Gaara, completamente ignaro
dell’inseguimento di Karin
e chiuse la porta.
La ragazza sospirò e si alzo dal marmo freddo. Cosa avrebbe
potuto fare ora?
Cosa aveva tratto da tutto ciò?
Anche se le coincidenze facevano impressione, Karin non avrebbe ancora
potuto
incolpare Sabaku. Intanto non aveva prove e anche se ne avesse avute,
non
c’erano testimoni non c’era niente che avrebbe
potuto aiutarla. Forse doveva
aspettare e chiarirsi? Per carità, no! Avrebbe potuto essere
denunciata per
l’essersi immessa in proprietà altrui e non
avrebbe fatto altro che aumentare
la tariffa del taxi. Karin gemette di rabbia per la propria
stupidità, quando
una mano gelida le bloccò con forza le braccia e
un’altra mano le premette con
forza la bocca di modo che non potesse parlare, ne gridare aiuto.
L’angolo di Promise,
l’autrice più lenta del mondo.
Lo
so, vi faccio dannare. Lo so, sono
lenta. Lo so, lo so. Alcuni di voi mi vorrebbero sparare un colpo in
testa lo
so. Ma vi prometto che finirò questa fiction… un
giorno.
Lo giuro!